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La valutazione del rischio d’insolvenza: i metodi

Capitolo 2: La Relazione Banca-PMI: elementi distintivi e criticità

3.4 Il rating

3.4.2 La valutazione del rischio d’insolvenza: i metodi

La stima del tasso atteso d’insolvenza (PD) può essere effettuata mediante diverse metodologie. La modellistica, sia di tipo tradizionale, sia di tipo innovativo, presenta

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caratteristiche difformi che si adattano diversamente all’oggetto di stima. In generale si possono individuare tre approcci principali251:

1. metodi soggettivi, generalmente ricondotti ai rating system; 2. metodi statistico-empirici, identificati dal credit scoring;

3. metodi alternativi che utilizzano, i dati relativi ai valori di mercato dei titoli azionari o derivati.252

1. Il primo approccio ricomprende sostanzialmente i sistemi di rating, ovvero i modelli che utilizzando le variabili quali-quantitative, giudicano, mediante l’assegnazione di un punteggio, il merito creditizio di un’impresa. In tali modelli la PD viene determinata sulla base di un sistema di analisi del rischio d’impresa che ricalca, senza grosse variazioni, le tre fasi di analisi evidenziate nei paragrafi precedenti (quantitativa, andamentale e qualitativa). La parte quantitativa è finalizzata a valutare il rischio di business e rischio finanziario, rispettivamente la capacità di generare margini operativi e di rimborsare il debito253. Tale analisi produce un giudizio in forma dicotomica (solvibile o non solvibile) oppure un risultato diviso in classi di rischio. Generalmente le classi di rating rappresentano l’affidabilità e la classe di rischio nella quale l’impresa è collocata. Tra i benefici riscontrabili c’è la possibilità di tenere in considerazione sia variabili di natura qualitativa sia variabili di natura quantitativa; ciò è di fondamentale rilevanza per le banche il cui portafoglio crediti è concentrato prevalentemente sulle esposizioni verso piccole e medie imprese. Un ulteriore punto di forza dei modelli analitici riguarda la presenza di un profilo (credit manager), interno all’organizzazione della banca, in grado di sollevare considerazioni critiche sui risultati ottenuti, che altrimenti non sarebbero possibili con la sola analisi quantitativa. La banca impiega tali modelli quando ritiene non conveniente sviluppare un approccio statistico, a causa della ridotta rappresentatività delle imprese, o quando considera opportuno condurre la valutazione secondo logiche discrezionali. Si sottolinea comunque che tali sistemi non presentano una robusta capacità segnaletica della tendenza al default, in quanto la variazione nella classe di rating è attuata quando la variazione del merito creditizio è significativa.

251 Cfr. Gai L., Il rating delle PMI. Un approccio metodologico per le banche, confidi e intermediari finanziari, Franco

Angeli, Milano 2009.

252 In questi modelli, che si fondano sulle intuizioni di Merton (On the pricing of corporate debt: the risk structure of

interest rates, in “Journal of Finance”, N. 29, 1974), il valore della PD viene calcolato considerando i valori delle

attività aziendali e la loro volatilità. Questi approcci hanno il pregio di essere oggettivi e lo svantaggio soprattutto in Italia, di non essere applicabili alle imprese non quotate.

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2. Il secondo approccio è costituito dalle metodologie di credit scoring che si fondano principalmente sull’analisi discriminante di Altmnan254. L’analisi discriminante è una tecnica statistica utilizzata per classificare ed eseguire delle previsioni su un campione di osservazione, in cui la variabile dipendente compare in forma qualitativa. Senza tuttavia addentrarci nell’impostazione statistica delle metodologie255, richiamiamo anche in questo caso le caratteristiche principali e le implicazioni nella valutazione delle imprese. Si tratta di modelli che adottano come input i principali quozienti di bilancio di un’impresa e, attribuendo ad ognuno di essi un coefficiente di ponderazione in funzione della probabilità d’insolvenza, giungono alla valutazione del merito creditizio. Il credit scoring256 offrendo un giudizio automatico su una determinata controparte, consente alla banca di velocizzare il processo decisionale, riducendo i costi di istruttoria. Questo rappresenta un vantaggio soprattutto quando l’attività di erogazione del credito si focalizza sul segmento retail, e sul segmento small business, dove i prestiti sono di modesta entità. Risulta chiaro che l’adozione dei modelli di scoring garantisce l’oggettività della procedura di valutazione e la possibilità di ottenere valutazioni dalle quali si può ricavare una storia sui tassi di insolvenza. Un primo problema è legato al fatto che i modelli di scoring trascurano le risultanze ottenibili da un efficace analisi qualitativa, che assumono sovente particolare importanza nel determinare il merito creditizio dell’impresa257. Un secondo limite è dato dal fatto che le variabili economico-

finanziarie che entrano nel modello sono limitate a dati di bilancio, che hanno, specie

254 Seppur la struttura fondamentale sottostante i modelli di scoring sia stata elaborata negli anni trenta da autori quali

Fischer (1933) “The use of multiple measurements in taxonomic problems” e Durand (1941), la spinta decisiva allo sviluppo e alla diffusione di questi modelli si è avuta negli anni Sessanta, con i lavori di Beaver (1967) e Altman (1968), Financial ratios, Discriminant Analysis and the Prediction of Corporate bankruptcy, in “journal of Finance, settembre 1968. Il modello di Altman, imperniato sulla multiple discriminant analysis, divenne il fondamento su cui si sono innestati quasi tutti i contributi più moderni.

255 Nella prassi i modelli credit scoring vengono classifcati in funzione di quattro forme metodologiche: i modelli

probabilistici lineari, modelli logit, modelli probit, modelli di analisi multidiscriminante.

256 La definizione secondo la Banca d’Italia è la seguente: “Il credit scoring è un sistema automatizzato adottato dalle

banche e dagli intermediari finanziari per valutare le richieste di finanziamento della clientela (in genere per la concessione del credito al consumo). Esso si basa su sistemi automatizzati che prevedono l'applicazione di metodi o modelli statistici per valutare il rischio creditizio, e i cui risultati sono espressi in forma di giudizi sintetici, indicatori numerici o punteggi, associati all'interessato, diretti a fornire una rappresentazione, in termini predittivi o probabilistici, del suo profilo di rischio, affidabilità o puntualità nei pagamenti.”

257 Uno studio condotto dal Crif e Nomisma nel 2012 dimostra che oltre il 60% della valutazione del merito creditizio di

una impresa di piccole dimensioni non si basa su dati economico-finanziari ma principalmente sulla storia creditizia dell'impresa stessa e del suo legale rappresentante. C'è un gap informativo che, secondo la media delle nuove richieste di affidamento rilevate da Crif, caratterizza circa il 20% delle piccole imprese e che potrebbe essere colmato con informazioni alternative e non tradizionali, da utilizzare per valutare il merito creditizio. Per la precisione, il modello del Crif prende in considerazione due elementi: a) i dati di pagamento delle utenze acqua: lo storico delle fatturazioni su un campione di soci e titolari d'azienda. b) le informazioni commerciali B2B (business to business): si applica adottando un indicatore sintetico che prevede la performance di pagamento di un'impresa verso i fornitori utilizzando informazioni anagrafiche, strutturali, finanziarie e sui comportamenti di pagamento. Applicando questo modello a un campione di imprese è risultato che avrebbero maggiori facilità di accesso al credito: il 70% delle start up, oltre il 50% delle imprese con un profilo di rischio intermedio, il 70% delle imprese prive di referenza creditizia.

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nell’ambito delle PMI, una frequenza di aggiornamento bassa. Inoltre dal punto di vista interpretativo molti indicatori utilizzano in maniera ambivalente dati del book value con dati di mercato, che per le PMI poco si adattano vista la loro ridotta presenza sul mercato. Ancora, l’uso dei dati storici non consente di scontare le aspettative di evoluzione futura dell’azienda, limitando la capacità previsionale del modello258.

3. L’ultimo metodo, pur non rivestendo ancora particolare rilevanza nella valutazione delle PMI, utilizza i dati provenienti dal mercato dei capitali259. Questo approccio discende dal modello di option pricing260 sviluppato da Black e Scholes (1973). Vengono altresì definiti structural model perché si fondano su variabili strutturali dell’impresa ove l’evento di default deriva dall’evoluzione degli asset dell’impresa stessa.

In sostanza l’insolvenza si verifica nel momento in cui il valore delle attività aziendali risulta inferiore a quello delle passività. Il debito viene configurato da una opzione call sugli asset con uno strike price pari al valore delle passività; l’esercizio dell’opzione è conveniente finché il valore degli asset è maggiore delle passività261.

Al vantaggio dell’oggettività e semplicità di applicazione, si contrappongono alcuni limiti. In primo luogo l’ipotesi che considera il default solamente a scadenza e non lungo tutta la vita dell’opzione. L’altra problematica è data dal fatto che il modello presuppone l’utilizzo dei valori di mercato, cioè l’ipotesi che i prezzi rappresentino la migliore stima dell’azienda, circostanza piuttosto complessa da definire per le PMI.