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Las Meninas nello specchio del Siglo de Oro

Nel documento Il quadro nel quadro (pagine 132-138)

Il quadro cancellato

COMMENTO TRADUZIONE

1. Diego Velázquez e Las Meninas 1 Il contesto

1.5 Las Meninas nello specchio del Siglo de Oro

Nel Seicento spagnolo, a causa della perdita del monopolio commerciale con l’America e il progetto fallito di unificare l’Europa cattolica, la Spagna scivolò verso il declino politico ed economico.

Gli artisti e i letterati del tempo, in questo periodo di crisi, interpretarono le inquietudini di un’epoca realizzando opere dense di significato; non solo Velázquez e Pedro Calderón de la Barca, per esempio, insinuarono il dubbio che la realtà fosse solo un’illusione ma alcuni scrittori spagnoli del tempo, ricollegabili all’illusionismo barocco, in particolare, Baltasar Gracián, trattarono il tema dell’illusione e dell’apparenza.

Il pensiero del gesuita e filosofo aragonese, Gracián (una delle menti più lucide del suo tempo e assieme a F. Quevedo, uno dei più grandi prosatori del

concettismo barocco), era di origine pessimista (com’era consuetudine nel

periodo barocco spagnolo) e si fondava sullo spazio ostile e illusorio nel quale prevalgono le apparenze, invece che virtù e verità. Inoltre, sul dato di fatto che l’uomo sia un essere malevolo, interessato e debole. Egli scrisse un’opera magistrale dal titolo Il Criticone, pubblicata in tre volumi nel 1651, 1653 e 1657.

Pedro Calderón de la Barca, nella Vita è sogno, un dramma filosofico- teologico redatto nel 1635, basa i propri principi sull’importanza dell’educazione nella vita dell’uomo, sul potere della volontà umana contro il destino, sullo scarso valore della vita, considerata come semplice apparenza e sull’idea felice che “anche se in sogno, non vanno perdute le buone azioni”.

Utilizzando le parole di Harold Osborne in Oxford Companion to Art (Oxford, 1978) possiamo dire che

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un dramma […] è incompleta se non ha un pubblico. È un contrassegno tipico di

un’opera barocca il fatto di suscitare con vari mezzi la partecipazione fisica, e quindi emozionale, dello spettatore. Perché la pittura e la scultura riescano a conseguire quest’obiettivo devono innanzitutto essere convincenti nel creare l’illusione della realtà e della verità del loro soggetto. La rappresentazione barocca si occupa, quindi, della realtà delle apparenze, o almeno della loro verosmiglianza […]. Essa crea uno spazio in cui il soggetto e lo spettatore possono essere uniti in un momento di tempo specifico e a volte teatrale».10

Nella letteratura artistica e politica dell’antichità, vi era un genere letterario costituito da scritti di filosofi e specialisti di attività pratiche, come, per esempio, le guide all’educazione dei prìncipi. Sulla base della tradizione antica che ebbe origine con l’orazione “A Nicocle” di Isocrate e si estese a tutto il periodo Barocco, troviamo questi testi “esemplari” che univano l’istruzione in politica a una guida etica e religiosa e che si chiamarono

speculum principis (espejo de príncipes). Lo specchio era collegato a una

norma di condotta di carattere e di pensiero, esso indicava un’immagine esemplare o ideale, una “riflessione” raggiungibile solo attraverso l’arte e il nostro occhio interiore. Lo specchio era anche il riflesso dell’utopia artistica, poiché il simbolo del principe perfetto o esemplare era la creazione di un’attività legata alla formazione dell’uomo ideale.

Nella biblioteca di Velázquez vi erano almeno cinque volumi che trattano della legge della riflessione, fra i quali si annoverano la Specularia attribuita a Euclide e la Perspectiva (la “teoria della visione”) di Witelo, oltre a opere miliari nel campo della prospettiva, fra cui quelle di Daniele Barbaro e di Albrecht Dürer. Quest’ultimo era importante per la simmetria del corpo umano, Daniele Barbaro, invece, per la prospettiva, ma Velázquez possedeva anche altri testi, alcuni dei quali, degli autori Vitruvio e Vignola, per l’architettura, di Federico Zuccaro, Giovanni Battista Armenini,

10 SNYDER J. (1985), Las Meninas e Lo specchio del principe. In NOVA (1997), Velázquez, Foucault e

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Michelangelo Biondo, Giorgio Vasari e Leon Battista Alberti.

Pertanto, la legge della riflessione che Velázquez conosceva bene, che cos’è? Ogniqualvolta la luce proveniente da una sorgente luminosa incontra una superficie levigata (uno specchio o una superficie metallica) parte della luce torna indietro nell’aria e si dice che la luce è riflessa. Quando incontra una superficie che non è piana, si dice che la luce è diffusa, poiché essa viene proiettata in varie direzioni. Questo non è il caso dello specchio di Las

Meninas che appare come una superficie ben liscia.

Per quanto concerne la biblioteca personale di Velázquez, egli possedeva una moltitudine di testi importanti, come Lo specchio del gentiluomo o Lo

specchio del cortigiano, libri che erano parte integrante del processo di

autoformazione. Allo stesso modo, i testi di Baltasar Gracián erano considerati manuali da autodidatta che fornivano massime per la formazione dell’uomo secondo canoni esemplari. Inoltre, Velázquez possedeva una copia del Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione: un dialogo che riguardava le qualità del perfetto cortigiano e della perfetta dama di corte e trattava del ruolo sociale del cortigiano nell’educazione del «principe perfetto».

L’immagine dello specchio diviene, quindi, una metafora letteraria che si estende a due concezioni basilari: riflettere qualità esemplari di mente e d’azione o rivelare qualità corrotte che, al pari di quelle ideali ed esemplari, possono essere viste solo dall’occhio interiore. Ma sia nel primo caso che nel secondo, l’immagine riflessa non può essere compresa solo dall’occhio dell’anima. Lo specchio dell’anima peccatrice (The Mirror of the Synfulle

Soul, 1531) è un poema della regina Margherita di Navarra che fu tradotto

dal francese da Elisabetta I e che rivela una corruzione non visibile dall’occhio umano. Infatti, la corruzione ha sede all’interno delle azioni della persona e si può scorgerla solo in uno specchio che rifletta l’immagine dell’anima.

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un’immagine ideale ed esemplare di Filippo IV e Marianna d’Austria, di carattere, disposizione e di pensiero; un’icona la cui sorgente è nell’immaginazione e che l’arte produce.

Velázquez e la sua legge della riflessione, pertanto, sono già presenti da ca. dieci anni nel quadro della Venere allo specchio (Fig. 10, National Gallery, Londra, 1644-48) e di cui J. Gállego tratta nel suo saggio.

L’antico tema del paragone tra le arti, sorto nella seconda metà del XV secolo, vide fronteggiarsi vari artisti, letterati, umanisti, poeti e musicisti; uno di essi, Giorgio Vasari, contribuì alla dibattuta problematica, asserendo che la scultura ci costringe a cogliere nel tempo il variare dei profili, mentre la pittura contrappone un sapiente gioco di specchi che svela i punti di vista delle cose in un unico istante. Un errore comune è quello di credere che lo specchio debba restituire la completezza della forma, in realtà gli specchi, talvolta, ci mostrano dettagli o aspetti che contribuiscono ad arricchire la sfera emotiva dell’immagine. Ne è un esempio lampante, lo specchio che riflette il volto di una figura (solitamente, una donna) che non riusciamo a

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vedere poiché è raffigurata da tergo o di profilo. Il quadro della Donna allo

(Fig. 11) Donna allo specchio (Ter Boch, Rijksmuseum – Amsterdam, 1650.

Specchio (Fig. 11, Rijksmuseum, Amsterdam, 1650) di Ter Boch assume

questa valenza nel gioco espressivo, come la Venere allo specchio o Venere e

Cupido (National Gallery, Londra, 1648 ca.) di Velázquez. La “riflessione”,

quindi, è caratterizzata dal rimandare il riflesso dello specchio a un oggetto che appartiene allo spazio figurativo.

Durante il regno di Filippo IV fino al 1656 (l’anno di nascita di Las

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molti di questi, furono dedicati al monarca stesso o a suo figlio Baltasar Carlos.

Un’opera importante, da questo punto di vista, è indubbiamente il trattato di

empresas dello scrittore e diplomatico spagnolo, Don Diego de Saavedra

Fajardo, sul principe politico cristiano ideale, l’Idea de un Príncipe político

cristiano, edito nel 1640 e che conobbe molte edizioni e traduzioni in inglese,

olandese, francese e italiano. Saavedra fu anche un importante amico e consigliere del re, servendo come cavaliere dell’Ordine di Santiago. Il trattato è fondamentale nella letteratura spagnola “dello specchio” di quel periodo e fa luce sugli atteggiamenti del tempo verso l’arte e l’educazione.

Nell’introduzione, Saavedra omaggia il suo re, scrivendo che egli vuole solamente mostrare il corpo umano per quello che è, “dal punto di vista anatomico”, indicando dove risieda la prudenza e come la pittura sia un buon esercizio per l’anima e il “fisico”. All’inizio del testo, in particolare nell’empresa 2, Saavedra comincia la trattazione dell’educazione del principe ideale, con una discussione del rapporto natura-arte nel suo commento all’empresa 2 (il motto di riferimento è Ad omnia). L’arte, in questo contesto, è simboleggiata da due materiali utilizzati in pittura: il pennello e il colore. La natura, invece, cioè l’infante, è raffigurata come una tela bianca, con il divino creatore rappresentato come un artista (una mano che regge i pennelli e la tavolozza dei colori).

Saavedra ne tratta in questo modo: «Con il pennello e i colori, mostra in tutte le cose il suo potere l’arte. Con quelli, se non è natura la pittura, è tanto a lei simile […]. Non può l’arte dare l’anima alli corpi, ma li dà gratia, li movimenti, e ancho gl’affetti

dell’anima».11 Saavedra con questo commento evidenzia la stretta connessione

fra arte e idealità nel pensiero spagnolo del Siglo de Oro, inoltre, che un giovane principe dovrebbe essere incoraggiato a imitare la vita e le azioni

11 SAAVEDRA F. (1640), Idea de un Príncipe político cristiano, 4 voll., Madrid 1927-1930, vol. I, p. 82.

(Tr. it. L’idea de un prencipe politico christiano di Diego Saavedra Fachardo rappresentata in bellissime

imprese, quali dimostrano il vero esser politico, con esempi historici, e discorsi morali. Dall’ultima e più copiosa editione hora trasportata dalla lingua spagnuola. Venezia: Per Marco Garzoni 1648, p. 4).

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esemplari della sua famiglia, così da potersi plasmare in accordo con quei caratteri ideali. L’arte rappresenta la natura ma deve anche perfezionarla per mezzo dell’educazione, insegnando quei valori ideali a cui aspirano i virtuosi. A questo proposito, uno degli elementi più importanti del teatro spagnolo del Seicento riguarda la costanza e la perfezione (imperfezione) dei prìncipi. Il principe malvagio Sigismondo, per esempio, del capolavoro di Calderón, La vita è sogno, raggiunge la padronanza di sé attraverso gli ideali cristiani. Il principe implora il perdono del padre per un tentativo di rivolta, del quale egli voleva essere a capo e il padre accoglie la sua supplica. Proprio in quel momento, Sigismondo apre gli occhi, risvegliandosi. Calderón sembra volerci trasmettere questo messaggio: ogni sogno umano può essere l’inizio di un risveglio e ogni risveglio, l’inizio di un sogno.

Nel documento Il quadro nel quadro (pagine 132-138)