di Ernesta Rogers Vacca
P rem essa
Malgrado il titolo, questo breve saggio non si occuperà dell’opera svolta da assistenti sociali nei complessi di edilizia sovvenzionata; chi scrive non ne avrebbe la competenza. Il tema che vogliamo trattare è invece un altro. Esistono in Italia alcune migliaia di persone che conoscono direttamente il problema della casa, sia da un punto di vista materiale, sia nei riflessi che esso ha sulla vita delle persone normalmente indicate come clienti p utenti dei servizi sociali.
Queste persone sono gli assistenti sociali; una professione che viene ancora chiamata nuova, benché in effetti questi operatori funzionino in svariati enti da ormai più di vent’anni. I loro campi di lavoro sono i più diversi; vengono impiegati da enti con finalità diversissime, òhe vanno dall’assistenza alla gio ventù, all’assistenza in fabbrica, all’assistenza in campo sanitario generico e specifico (ospedali generali, ospedali psichiatrici, ospedali specializzati come sanatori e centri di riabilitazione per invalidi e minorati, eoe.).1
Nel corso del loro lavoro, essi abbastanza spesso usano visitare in casa i loro clienti ed utenti; e queste visite sono considerate un normale strumento di lavoro. Si può dire in generale che le ragioni per cui un assistente sociale si reca al domicilio del cliente -invece di vederlo in ufficio sono di natura svariata, e non hanno necessariamente molto a che fare con il « vedere la casa » . Spesso è una questione di convenienza pratica, come nel caso di ammalati, anziani, donne legate da una -situazione domestica che non permette loro di muoversi facilmente, uomini che si possono -vedere dopo il lavoro, quando sarebbe per loro -una fatica di più recarsi da un’altra parte. Comunque, questo muoversi e venire dal cliente, può avere un’importanza notevole nel tipo di rapporto che si viene a -stabilire, e specialmente può dare l ’occasione di un incontro con il gruppo familiare e -favorire quindi il coinvolgimento di vari membri della famiglia al lavoro -comune per risolvere il problema, quale che sia, ohe ha causato il contatto con l’assistente sociale. E’ uno strumento òhe peraltro si può rivelare a doppio taglio, e richiede una notevole compe tenza professionale da chi intenda servirsene.
Resta il fatto che nel corso di queste visite, inevitabilmente rassistente sociale percorre il quartiere, « entra » nella casa in cui la famiglia normalmente vive:
naturalmente, un certo numero di osservazioni scaturiscono spontaneamente e, cosa che a noi interessa di più in questa sede, vengono in genere più o meno accuratamente registrate. Si può dire infatti che non esiste un ente di servizio sociale che nelle sue schede, cartelle, ciclostilati, non abbia una voce denominata variamente « Casa e ambiente». Queste voci possono consistere di poche righe descrittive del quartiere, del villaggio, dell’abitazione, o svolgersi in una pagina o più di annotazioni qualificanti le caratteristiche sociologiche e urbanistiche del vicinato, l ’uso dello spazio e anche l’arredamento dell’abitazione.
Questo genere di annotazioni vengono a far parte di tutta una relazione, gene ralmente nota come « inchiesta familiare » , e ohe è la base di partenza per tutti i ragionamenti che seguiranno, dando luogo a suggerimenti sulle possibili soluzioni del caso: non implicano quindi affatto che la situazione di alloggio debba essere di per sé una delle zone di interesse di cui si deve direttamente occupare operativamente l ’assistente sociale (o l ’ente da cui dipende). Ma il problema che qui ci interessa di discutere è: quale uso viene fatto di queste informazioni? che funzione hanno? a che cosa devono servire, e in particolare a chi devono servire?
Per poter rispondere a queste domande, e quindi discuterne l ’effettiva utilizzazione, dobbiamo anzitutto — ci sembra — pensare un momento alle premesse teoriche che costituiscono il quadro di riferimento in base al quale si suppone ohe le notizie siano state selezionate e considerate significative. Dobbiamo poi ripensare anche al quadro istituzionale in cui operano gli assistenti sociali, in quanto esso rappresenta il secondo fattore di orientamento degli operatori sociali che scrivono e descrivono come la gente vive e dove.
L a funzione diagnostica delle notizie su lla casa e su ll’am biente Il fatto che sia utile e necessario dare questo tipo di informazioni e notizie è dato talmente per scontato nella prassi del servizio sociale, che forse può essere utile riprendere un momento le correnti di pensiero Che hanno causato questo tipo di attività. Non c’è dubbio che in un primo momento, alle origini del servizio sociale, la visita in casa avesse una notevole componente di controllo; era una delle basi per distinguere i « poveri meritevoli » , cioè digni tosi, puliti, pazienti, da quelli meno meritevoli cioè pigri, sciattoni, sudici. Se questa prassi è continuata anche molti anni dopo che gli assistenti sociali erano passati a considerare gli assistiti come clienti, e successivamente ancora come utenti di un servizio cui hanno diritto, evidentemente le ragioni a muoverli sono anoh’esse cambiate.
Non vogliamo ora entrare nella questione di quanto assistente sociale e cliente guadagnano nel loro rapporto dal fatto che i loro colloqui avvengano
in casa del cliente anziché in ufficio; le ragioni pro e contro le visite domiciliari sono ampiamente discusse nella letteratura del servizio sociale.2 Pensiamo invece all’esame e quindi alla descrizione che viene data della casa, come uno degli elementi su cui 'basare •— presumibilmente — un giudizio complessivo della situazione.
Ci sembra che si possano ritrovare, sia nella letteratura che nella prassi, almeno tre diverse derivazioni, ciascuna a modo suo distintiva di un certo periodo di evoluzione del servizio sociale, e peraltro ciascuna a suo modo ancora valida, purché certe limitazioni siano chiaramente esplicitate.
11 primo filone è quello che vorremmo chiamare medico-sanitario. E’ chiaro ohe certe condizioni dell’alloggio hanno una diretta influenza sulla situazione medico-sanitaria della famiglia: sovraffollamento, mancanza di servizi igienici, mancanza di aria, di luce e sole, umidità, ecc. hanno un loro effetto ad esempio nella diffusione di certe malattie infettive o anche di malattie sociali come la tbe, e — in senso lievemente esteso — possono contribuire al diffondersi di altre malattie sociali, ove subentri il fattore « promiscuità » , così delicatamente accennato in alcuni testi. Non c’è dubbio anche che, in una prima fase del l ’educazione degli assistenti sociali, il peso delle materie medico-sanitarie fosse forse più rilevante di quanto non sia oggi. Vogliamo tuttavia insistere sul fatto ohe i casi in cui questi fattori possono avere una notevole rilevanza rispetto alla diagnosi globale dovrebbero essere in realtà abbastanza precisamente definiti; dovrebbero essere quei casi in cui il cliente (o un suo familiare) è affetto da malattia infettiva, o rischia di contrarla, o rischia di peggiorare la sua situazione sanitaria in ragione di fattori d’ambiente. Presumibilmente il numero massimo di questi casi si dovrebbe trovare in quei tipi di servizi in cui esiste un collegamento diretto fra il lavoro dell’assistente sociale e il lavoro di medici o di équipe medico-ospedaliere, ambulatoriali, eoe. E’ abba stanza facile pensare, ad es., che la decisione di rimandare o no a casa un paziente affetto da reumatismi, o di recente guarito da malattie polmonari, o di inviare in colonia permanente un bambino di una famiglia in cui esistono ammalati di tbc, ecc., possa dipendere da un’accurata descrizione della situa zione fisica dell’alloggio. Il fatto è, tuttavia, che troviamo lo stesso tipo di descrizione in relazioni di assistenti sociali ohe appartengono ai servizi più diversi, sia ohe il problema sia connesso con una situazione di malattia fisica, sia quando non lo è affatto. Sorge il dubbio che il peso dato alla valutazione dei fattori cosiddetti sanitari dell’alloggio, derivi anche in parte da generiche e generalizzate teorie non meglio 'Specificate, ohe attribuiscono alla situazione di « poveri assistiti » un insieme o complesso di elementi negativi, di cui le cattive condizioni sanitarie formano parte integrante. Per un effetto quasi di alone, si genera in parte l’idea ohe la vita in ambienti sanitariamente
defieenti o negativi vada di pari passo con altri fattori socialmente negativi come la delinquenza, la promiscuità sessuale, la scarsa voglia di lavorare, e che piano, piano, le deficienze dell’alloggio diventino non una causa, ma un accompagnamento e quasi una responsabilità delle persone in questione. Quello ohe è meno chiaro, è in base a quali competenze di preparazione specifica l’assistente .sociale dovrebbe essere in grado di .dare un giudizio di tipo medico sanitario sull’agibilità di certe case o alloggi. Ovviamente la baracca di fortuna o lo scantinato umido e senza finestre sono casi limite in cui è sufficiente il buon senso; ma se passiamo all’appartamento semin terrato con gabinetto in comune con altre famiglie, presa d ’acqua nel corri doio, totale assenza di bagno, cucina nella stanza di soggiorno della famiglia (che spesso è anche la stanza da letto di parte dei familiari), in che senso e per quali motivi dovrebbe l ’assistente sociale esser competente a decidere se quella situazione è o no il fattore decisivo nel prender una certa decisione?
Comunque, l’orientamento di tipo medico-sanitario non esiste mai da solo; è in genere accompagnato da altri tipi di ipotesi di riferimento cui ora accenneremo.
Il secondo filone cui ci riferiamo è quello che potremmo chiamare psicologico
psichiatrico. Qui la casa è vista simultaneamente come fattore reale, condizio
nante la possibilità di certi tipi di comportamento, ma anche come fattore espressivo di certe condizioni o stati d’animo, o addirittura orientamenti generali delle persone ohe ci vivono dentro. L ’esame della casa e dell’ambiente si porta quindi in parte su come la casa è, nel senso di quanto tempo richiede, quanto è lontana dal lavoro, quanto si presta a contatti sociali, quanto può influire — per la sua disposizione, uso delle stanze, eoe. — sui rapporti intra- familiari; in parte su come la casa è utilizzata dalle persone che v i abitano. Quali propriamente siano le teorie alla base di queste considerazioni non è sempre molto chiaro, perché non sempre vengono esplicitati i modelli di riferimento. Se ad esempio affermiamo, come isi può leggere in certe inchieste, ohe « il bambino dorme nella camera dei genitori; spesso, in assenza del padre, nel letto matrimoniale; i fratelli e le sorelle aprono i loro letti la sera nella stanza usata nella giornata come cucina-tinello » non siamo affatto certi (in mancanza di precise dichiarazioni in merito) se questo uso sia prevalente nel villaggio o vicinato o casamento; se si tratti di una particolarità peculiare a questa famiglia (peculiare nel senso che questi fatti non si producono nella famiglia dell’assistente sociale?); e nemmeno se le persone in questione conside rino la cosa come normale, o fastidiosa, o desiderabile, o vergognosa.
Naturalmente, non si pone affatto in discussione qui che certe condizioni di alloggio siano realmente e concretamente negative per moltissime persone, per quanto riguarda sia la possibilità di rapporti personali entro la famiglia
ohe per quanto concerne la possibilità di rapporti con l ’esterno. Quello ohe si vuole discutere è il salto mentale dal considerare una certa condizione come « patologica » o « potenzialmente patogena », all’attribuire alle persone ohe la vivono una loro patologia. E’ possibile che sia così, ma non è necessario, e non nella stessa misura o grado per tutti. Anche l’altro aspetto è spesso discutibile, sempre per mancanza di modelli chiari di riferimento: affermazioni come « la donna dedica alla casa delle cure chiaramente ossessive, e ¡sembra averne fatto il ¡centro ¡della sua esistenza, forse come difesa da... » eoe., oppure che « lo stato di sporcizia e incuria dell’appartamento denotano e confermano chiaramente lo stato di ¡depressione della sig.ra G. » , sono difficili da valutare, dato che quel che a una certa persona può apparire una cura ossessiva, può sembrare ad un'altra il minimo standard decente di vita, e quel che appare come incuria può essere dovuto a moltissime ragioni pratiche ohe rendono difficile la ¡cura, oltre che alla depressione. Senza una esplicita descrizione del modello di riferimento, queste affermazioni restano affermazioni; con questo non si nega ohe una donna che, letteralmente, passi tutta la giornata a lucidare vetri mobili e maniglie, non presenti — se veramente l ’investimento emotivo in queste attività è alto — dei tratti ossessivi; e neppure ohe una persona depressa tenda a trascurare sia il proprio aspetto che quello della casa. Soltanto, vogliamo notare il fatto che diverse persone, di diverse classi sociali, abitudini e culture valutano in modo diverso l’importanza di certe attività, e le sentono diversamente.
Non vogliamo mettere in dubbio che il vedere come una casa è tenuta, come è utilizzata, non rappresenti un dato significativo anche di certi stati d’animo, aspirazioni sociali, modo di interpretare o sentire la vita di rapporto dentro e fuori la cerchia della famiglia. Il problema, qui, ci sembra che stia nel fatto che una vera e propria « diagnosi differenziale » diventa possibile quando si hanno dei modelli o quadri di riferimento che permettono di collocare le peculiarità di casi individuali nel contesto sociale e culturale delle persone in questione. E’ pur vero ohe anche volendo, questa collocazione non sarebbe facile per l’assistente sociale ohe volesse tentarla, perché non si può dire che esistano ¡molti studi dettagliati su questo argomento, che ci diano un quadro abbastanza esatto. In questo stesso fascicolo, vediamo ad esempio l’enorme utilità ohe avrebbero studi come quello di Amalia D ’Ayala, quando fossero chiaramente indicativi di temi culturali ohe si manifestano attraverso l ’uso della casa. Ma per quante regioni d ’Italia e per quante situazioni sociali sono stati fatti studi di questo genere?
E questo ci conduce al discorso del filone più propriamente sociologico
antropologico. Il contributo che le scienze sociali hanno dato al lavoro del
laggio, quartiere, zona urbana) è stato uno degli strumenti usati alla luce delle varie teorie configurate in quella che viene chiamata « ecologia sociale » . L ’interesse per l’interazione fra fattori sociali e ambientali, e l ’insieme di valori, motivazioni, atteggiamenti, sia alla luce della sociologia che dell’antropologia, è arrivato come ultimo nell’evoluzione del pensiero professionale, e anche la utilizzazione delle conoscenze socio-antropologiche è arrivata con un certo ritardo nel tempo rispetto alle altre due già menzionate. Comunque, accanto alle descrizioni pure e semplici del quartiere o della zona, si trovano a volte degli accenni a quelle ohe possono esserne le caratteristiche socio-culturali; così si passa da « la famiglia B. vive in un piccolo appartamento di un complesso di edilizia popolare ai margini della città » , a « la vita della famiglia B. si svolge prevalentemente nella zona di abitazione, dove peraltro i contatti sociali sono difficili a causa delle caratteristiche sociali della zona. I B. infatti, im m igrati
nella città da un piccolo villaggio del meridione e totalmente privi di conoscenze nella zona, considerano con diffidenza le abitudini di vita della popolazione locale e tendono ad evitare contatti con persone che ritengono in genere poco desiderabili; l ’anonimato del grande casamento in cui abitano fornisce poche occasioni d’incontro per la sig.ra B., mentre il sig. B. lavora ad una grande distanza da casa. Specialmente per quanto riguarda i giovani, la zona offre poche risorse, e comunque i B. tendono a proteggere i figli e specialmente le figlie da una vita di quartiere che disapprovano » , ecc. eoe.
Anche prima del diffondersi delle conoscenze più professionalmente qualifi cate di sociologia, esistevano comunque accenni all’ambiente, che spesso veniva dato come semplicemente « buono » o « cattivo » , con giudizi di valore, relativi alla presenza o meno delle cosiddette « cattive compagnie » — in genere identi ficabili con la presenza di bande di ragazzi semi-delinquenti, prostitute, o gruppi di adulti notoriamente dediti ad attività contrarie -alla legge. Questi ingenui giudizi non si leggono ora più con tanta facilità, ma sorge spesso il dubbio che essi siano ancora sottostanti a descrizioni di quartieri e di ambienti espresse con un vocabolario più ricercato.
Comunque, una cosa è certa: per cavare un senso da -tutte queste annotazioni è necessario — se non si vuol solo fare del colore — un consenso da -parte di ohi scrive e di chi legge, sul quadro di riferimento -teorico in base al quale certi dati e non altri sono stati registrati come significativi. E per quanto concerne questi quadri di riferimento, ci sembra necessario dire che — al di là di semplici osservazioni di buon senso — non esista una così straordinaria ovvietà per quanto riguarda questo consenso. Il registrare delle osservazioni è comunque -un processo di selezione fra gli innumerevoli dati possibili; il catalogare una serie di dati che mentre possono essere significativi in un certo quadro non lo sono di necessità in un altro, è un esercizio che presenta certi rischi.
Normalmente, il punto di riferimento per l ’assistente sociale ohe scrive è quello del problema presentato dal cliente: si potrebbe dunque desumere che le voci sull’ambiente e sulla casa vengano date in riferimento al particolare problema, rispetto al quale esse diventano significative. Quindi ad esempio, dove il problema sia di natura strettamente familiare, indicazioni sulla casa in quanto permetta o renda più complessi i normali processi di rapporto nella famiglia e con l’esterno sono sensati; come pure possono esserlo delle osser vazioni che indichino un particolare uso della casa — quando sia chiaro che questi dati sono collocati in un quadro socio-antropologico ohe permetta di cogliere la maggiore o minore « normalità » rispetto alla cultura di appar tenenza di certe situazioni. Dove il problema abbia implicazione psichiatriche, non solo i dati precedenti, ma anche dati più specifici rispetto all’uso parti colare e al modo di abitare possono avere un senso. Dove il problema sia anche modico, le condizioni igieniche sono specialmente rilevanti — e così via.
Ma, come abbiamo detto prima, le cose nella realtà non sono strettamente così. Moltissimi dati vengono forniti senza che abbiano una stretta correlazione con il problema presentato, o — in altri casi — sono così .scarni ohe non possono fornire nessuna indicazione particolare oltre quella di un censimento.
A questo punto, occorre dunque riflettere al fatto che le inchieste familiari sono scritte per essere lette, e che il consenso sulla significatività dei dati dovrebbe essere condiviso da almeno due attori: chi scrive & la persona ohe leggendo dovrebbe poter dare una valutazione, pertinente al caso, di questi fattori.
A chi servono i dati
Veniamo dunque a discutere ora chi sono le persone reali ohe dovrebbero operare questa delicata misurazione e valutazione dei fattori d ’ambiente.
Questo ci induce inevitabilmente a discutere la struttura degli enti di servizio sociale e la loro organizzazione, dato che la situazione è abbastanza diversa quando si tratti di assistenti sociali che lavorino per così dire in proprio — cioè in un ente di servizio sociale retto e organizzato da altri assistenti sociali con simile preparazione, o per un dipartimento relativamente autonomo; oppure del caso in cui gli assistenti sociali lavorino in conto terzi, cioè in un servizio sociale secondario rispetto ai fini primari dell’istituzione.
Diciamo subito che il primo caso è relativamente raro nel panorama assi stenziale italiano; gli enti privati sono pochi, e quelli paragovemativi e governativi raramente concedono grande autonomia ai servizi sociali.
in genere da altri professionisti: medici, psichiatri, giudici, amministrativi di vario tipo. Si può dire che in questi casi l ’assistente sociale funge da « occhio » di queste altre persone, che pur essendo spesso quelle ohe prendono le decisioni, non vedono che in certi casi gli utenti del servizio (o addirittura mai), e certo non entrano nelle case. Perché queste persone desiderano essere informate di questi particolari dettagli su come vive la gente? (Dobbiamo immaginare che lo desiderino, dato che non si è mai sentita una loro obiezione a ricevere queste descrizioni). Le ragioni possono essere molte, e cercheremo di accennarne qualcuna (non esiste, infatti, per quanto ci risulta, nessuna ricerca sul parere