• Non ci sono risultati.

Il dibattito online

4.2. L'etichetta africano: punti di vista

4.2.3. Il lavoro del curatore

Il successivo argomento riguarda l'incarico e il ruolo assunto dal curatore nell'acquisto delle opere: Chris Spring racconta quello da lui utilizzato al British Museum. Innanzitutto, i curatori appartenenti ai vari Dipartimenti formano un Modern Museum Acquisition Group, nel quale ognuno di loro avanza delle proposte agli altri gruppi e se la maggioranza di essi è d'accordo la proposta può essere suggerita ad altri gruppi, dentro e fuori al museo. Se non si ottiene una decisione favorevole, si ritorna nuovamente dai colleghi appartenenti al proprio gruppo al fine di convincerli definitivamente. È necessario tutto questo procedimento poiché, in questo tempo in cui le risorse finanziare sono notevolmente scarse, bisogna considerare la spesa di un'opera molto accuratamente sotto tutti i punti di vista, in quanto non è un problema riguardante il solo Dipartimento, bensì l'intero museo. Inoltre, i Dipartimenti collezionano spesso lavori che possono interessare anche ad altri colleghi, perciò, così facendo, i curatori di discipline diverse hanno modo di collaborare insieme per

154

l'acquisizione della suddetta opera. In ogni caso si deve sempre considerare «how much the artist's voice is heard and how much the curator dictates what is heard and how it is interpreted by the public» (Spring, 1 Maggio 2011).

La voce dell'artista assume una rilevanza considerevole nel lavoro del curatore, deve sempre essere ascoltata, in quanto è cortesia professionale rivolgersi a lui/lei. Laurie-Ann

Farrell propone l'esempio di una discussione svoltasi nel 1999 al Museum for African Art,

che includeva artisti come i sudafricani Mbongeni Richman Buthelezi, Samson Mnisi e Brett Murray. Nel bel mezzo di essa uno spettatore chiese agli artisti invitati: «if the Metropolitan Museum could acquire one work from each artist on this panel where would they like to see their work exhibited? In the galleries dedicated to African art, or 20th century art?» (Farrell, 3 Maggio 2011). Essi senza nessuna esitazione risposero nelle gallerie del ventesimo secolo. Gli artisti stessi dunque si riconoscono come artisti internazionali, non solo esclusivamente africani, e tali vogliono essere valutati.

Okeke-Agulu, a proposito della voce dell'artista e sul proprio pensiero relativo

all'installazione dei lavori in un museo per un'esposizione, chiede ai partecipanti cosa accade se, accidentalmente, l'opinione dell'artista si pone in conflitto con quella del curatore e se è in conclusione l'artista stesso a scegliere il contesto in cui essere esposto. Per Okeke-Agulu è tutto uno specchio della visione del curatore e meno dell'artista.

Alla richiesta di quest'ultimo risponde il curatore del British Museum Spring, il quale sostiene di non aver mai esibito un lavoro di un artista in un modo da quest'ultimo non approvato: «I have always entered into long discussions over exactly how and where works would be displayed and what other works of art would be in close proximity» (Spring, 3 Maggio 2011). Il confronto con l'artista è uno dei metodi utilizzati per definire una galleria dinamica, ossia come un luogo di dibattito e non di pura sottomissione alle idee curatoriali. Se questo legame viene meno la galleria diventa una finzione, quest'ultima rappresentata dalle esposizioni itineranti o dalle pubblicazioni nelle quali il curatore presenta o riproduce dei lavori di artisti di una collezione museale.

Anche Laurie-Ann Farrell condivide con Spring l'importanza di dialogare con l'artista e di rispettare la sua visione d'idee. Recentemente Farrell ha collaborato con l'artista franco- algerino Kader Attia nell'installazione di un video per un'esposizione in Dubai nel 2010: l'artista, molto chiaro e pignolo, ha preteso, ed ottenuto giustamente dai curatori, che fossero rispettate delle linee guida ben precise. Ciò nonostante, la decisione finale deve

155

comunque spettare al curatore, il quale dispone l'opera in uno spazio e in un modo ben definito. Difatti, non tutti gli artisti sono a conoscenza dell'impatto che il proprio lavoro procura con la struttura, con l'idea della mostra e con l'ambiente, perciò frequentemente tutte queste condizioni dipendono dalla tipologia del luogo: se concerne una mostra temporanea o una galleria permanente o un sito specifico. La soluzione fondamentale risiede nel riuscire ad individuare le affinità che accomunano tra loro le opere d'arte per giungere a trascendere i nazionalismi e la gerarchia geografica.

Clive Kellner indaga, invece, due prospettive diverse: il curatore indipendente e il

curatore proprio del museo che si occupa degli oggetti della collezione. A suo avviso, il curatore indipendente, sottoposto comunque a numerosi ostacoli (mancanza di salario e di un posto fisso), è maggiormente associato all'idea di appartenenza a quel gruppo di curatori internazionali presenti soprattutto sul mercato e sulle pagine delle riviste d'arte poiché pianificano l'organizzazione di grandi esibizioni e delle biennali. Il loro ruolo è vitale per la visibilità dell'arte africana contemporanea ed è importante riconoscerlo ed apprezzarlo. Kellner propone l'esempio del curatore africano Okwui Enwezor: ha pubblicato diversi articoli, ha diretto esposizioni importanti come Documenta 11 di Kassel del 2002 e ha concesso la giusta attenzione e rilevanza all'Africa in Europa e in America. Oltre all'impegno dei curatori, anche il ruolo dei musei si è modificato:

«the traditional role of museums as collection-centred is being revisited to the extent that museums are more orientated towards entertainment complexes with high turnovers of high profile exhibitions that in turn feed into media, visitor numbers, ticket sales, merchandise and donors» (Kellner, 3 Maggio 2011).

I curatori indipendenti godono della capacità di saper ringiovanire gli spazi museali attraverso dei progetti espositivi originali, anche se tuttora sono sempre più ricercati dalle istituzioni private e dalle collezioni. In definitiva, Kellner afferma che:

«the museum curators is working within a pre-defined framework institutionally and on a more sustained series of exhibitions that relate back within the institution and in turn on audience development and to some degree on growing the collection, whereas an independent curator while contributing knowledge has a form of mobility that while having may be less sustainable» (Kellner, 3 Maggio 2011).

156