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Si è già ricordato che ormai da tempo organizzazioni non governative, parti sociali, governi, istituzioni e via dicendo, sottolineino l’esigenza di stabilire un effettivo con- trollo sull’operato delle imprese multinazionali per ampliare lo spettro delle responsa- bilità di questi nuovi attori verso le comunità ospitanti, l’ambiente e la collettività nel suo complesso.

Tuttavia, dalle considerazioni espresse si è potuto osservare che, allo stato attuale, oltre al diritto di derivazione statale, anche il diritto internazionale continua a non of- frire validi ed efficaci strumenti giuridici in materia di responsabilità sociale d’impresa. Infatti, non esistono ancora norme davvero efficaci che a livello internazionale impon- gano direttamente in capo alle multinazionali obblighi di tutela in materia di diritti so- ciali, e ciò in primo luogo in quanto da un punto di vista giuridico le suddette società transnazionali non possono essere qualificate come dei soggetti di diritto internazio- nale 114. Inoltre, i destinatari principali delle norme finora adottate nell’ambito del di- ritto internazionale sono gli Stati, da cui dipende anche tutta quella serie di interventi integrativi finalizzati ad assicurare l’osservanza da parte delle imprese multinazionali delle disposizioni ratificate. Di conseguenza, ciò comporta la mancanza di una respon- sabilità diretta delle imprese transnazionali per eventuali violazioni commesse con il loro operato.

Peraltro, come già rilevato, gli strumenti predisposti a livello pubblicistico in tema di responsabilità sociale d’impresa che potrebbero contribuire ad un’efficace regola- mentazione delle imprese multinazionali, appartengono tutti al diritto soft, ossia non hanno carattere giuridicamente vincolante. Più in particolare, si sono prese in conside- razione le Linee Guida dell’OCSE, la Dichiarazione Tripartita dell’OIL, il Global Com-

pact delle Nazioni Unite e la posizione assunta dall’Unione europea in materia di poli-

tiche di corporate social responsibility, i quali rappresentano, allo stato attuale, i più impor- tanti strumenti volti a disciplinare la condotta delle imprese transnazionali nel pano- rama internazionale.

114 F.SALERNO, Natura giuridica ed effetti dei codici di condotta internazionali per imprese multinazionali,

Tuttavia, gli atti appena ricordati si caratterizzano anche per alcuni limiti sostan- ziali, riconducibili essenzialmente al loro carattere di “compromesso politico”. L’inos- servanza degli obblighi di tutela dei diritti umani ivi contemplati, infatti, non è accom- pagnata da alcuna sanzione, né civile, né penale, né sociale: le Linee Guida OCSE, la Dichiarazione Tripartita dell’OIL ed il Global Compact non contengono alcun riferi- mento alla possibilità di comminare sanzioni in capo alle imprese multinazionali o alla possibilità che le stesse possano essere l’oggetto di una qualche forma di pubblica de- nuncia.

In aggiunta, ulteriori elementi di debolezza risiedono negli strumenti di monito- raggio in essi previsti, e nella circostanza per cui i diritti contemplati sono spesso espressi in termini troppo vaghi e generici, in alcuni casi persino rinviando ad altri strumenti convenzionali adottati in materia 115.

Inoltre, dalle considerazioni che sono state espresse finora emergono nel com- plesso anche una serie di limitazioni e criticità anche in relazione all’adozione su base volontaria dei codici di condotta da parte delle stesse imprese multinazionali, ravvisa- bili innanzitutto nell’assenza di un monitoraggio esterno ed indipendente e nel loro carattere non vincolante. Inoltre, non essendoci molto spesso un consenso unanime sulla loro interpretazione, risulta ancora più difficile desumere da tali atti gli obblighi concreti alla cui osservanza sarebbero tenute nello specifico le compagnie transnazio- nali.

In ogni caso, si ritiene che nell’ambito delle politiche aziendali di corporate social

responsibility troppa enfasi viene data all’auto-normazione ed al carattere volontario dei

codici di condotta come mezzi per indurre le multinazionali al rispetto delle condizioni di lavoro di quanti sono coinvolti, direttamente o indirettamente, nelle loro attività commerciali di produzione e/o distribuzione. L’impressione è che per tale via i diritti

115 In aggiunta, è stato altresì rilevato che “i codici di condotta OCSE e dell’OIL disciplinano alcuni

profili comuni dell’attività delle imprese multinazionali, con il rischio di una loro concreta sovrapposi- zione. Gli strumenti in questione non hanno prefigurato (né avrebbero potuto farlo, data la loro natura formalmente volontaria) un criterio formale di reciproco coordinamento, del tipo, ad esempio, della clausola di subordinazione che viene talvolta inserita in un trattato per limitarne l’applicazione in modo compatibile con gli obblighi posti da altri strumenti pattizi”. Cfr. F.SALERNO, Natura giuridica ed effetti dei

sociali non siano più diritti, dal momento che il rispetto degli stessi sembrerebbe de- mandato alla libera scelta di autoregolarsi delle imprese multinazionali e non invece ad un confronto basato su di un dialogo effettivo con gli stakeholders.

In altre parole, quando presi in esame in relazione alla condotta delle compagnie transnazionali si ha la percezione che il rispetto degli standard di lavoro sia quasi l’og- getto di una mera concessione da parte delle imprese multinazionali, andando così a perdere il loro carattere di diritti alla cui osservanza tutti sarebbero tenuti, in qualsiasi circostanza. Un tale approccio, quindi, è inevitabilmente destinato a fallire in assenza di un comportamento delle imprese davvero impegnato a rispettare i diritti e le garanzie in materia di lavoro, circostanza che può verificarsi solo attraverso il recupero di quella “precondizione necessaria” del concetto di corporate social responsibility basata sull’avvio di veri e propri rapporti di cooperazione e negoziazione con le parti sociali, aventi ad oggetto, in particolare, il riconoscimento di tali diritti 116.

Peraltro, con riguardo all’imposizione di obblighi di condotta in capo alle imprese multinazionali, a quanto già rilevato si aggiunga infine l’ulteriore considerazione per la quale, allo stato attuale, anche qualsiasi approccio che confidi eccessivamente o esclu- sivamente sulla sola volontà ed intervento degli Stati, tende con il tempo a rivelarsi inefficace, eccessivamente oneroso e controproducente 117.

116 Un tale impostazione trova la propria conferma nei modelli emergenti di regolazione della con-

dotta delle multinazionali che negli ultimi anni hanno iniziato ad attirare una certa attenzione in dipen- denza della loro capacità di rispondere alle preoccupazioni causate dalla globalizzazione. Il riferimento è gli accordi collettivi internazionali, di cui si tratterà più ampiamente nel prossimo capitolo, negoziati tra le federazioni sindacali globali ed un numero crescente di società transnazionali. Con questi accordi, in particolare, entrambe le parti hanno convenuto la necessità riconoscere le norme fondamentali del lavoro e le forme di dialogo sociale a livello internazionale.