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2. Raggiungere il consumatore postmoderno: esperienze, legami e comunicazione on-line.

2.3 Il ruolo dei Social Media nella costruzione di una strategia di comunicazione

2.3.1 Le caratteristiche delle comunità digital

Si è quindi osservato come le comunità digitali stiano ottenendo sempre maggior rilievo, per lo meno all’interno del sito di social networking più utilizzato al mondo (Statista 2019). La condizione di anomia che Émile Durkheim (1897) descrive come conseguenza della società moderna viene quindi in parte mitigata dalle potenzialità dei mezzi di comunicazione che permettono - in maniera sempre più pervasiva - di trovarsi in un costante stato di connessione (Boccia Artieri 2012) con altri individui e ricostruire le proprie comunità. A contrastare le possibilità positive offerte da questa condizione di connessione molti a molti Robert D. Putnam (1995) osserva che mentre si diventa più mobili e collegati si finisce anche per depotenziare le strutture della comunità e il nostro coinvolgimento per via della mediazione degli schermi e la mancata compresenza fisica. Questo punto di vista viene sottolineato anche da altri studiosi, tra cui Sherry Turkle che nel suo testo Alone Together afferma:

But we have come to a point at which it is near heresy to suggest that MySpace or Facebook or Second Life is not a community. I have used the word myself and argued that these environments correspond to what sociologist Ray Oldenberg called “the great good place.”. These were the coffee shops, the parks, and the barbershops that used to be points of assembly for acquaintances and neighbors, the people who made up the landscape of life. I think I spoke too quickly. I used the word “community” for worlds of weak ties. Communities are constituted by physical proximity, shared concerns, real consequences, and common responsibilities. Its members help each other in the most practical ways. (Turkle 2011, p. 239).

Nella sua critica alla marginalità dei raggruppamenti online la Turkle pone l’accento sulla scarsa qualità di queste relazioni usando una definizione relativa alla teoria delle reti, ovvero “weak ties” cioè legami deboli. Infatti queste comunità, da un punto di vista legato alla teoria

Per approfondire consultare il link: https://www.facebook.com/notes/mark-zuckerberg/a-privacy-focused- 19

delle reti, sono un insieme di nodi, o unità di rete, connessi tra loro. Le connessioni sono date da relazioni e interazioni di vario tipo che si creano attorno a un interesse comune e che danno vita a flussi di conversazioni, condivisioni e alle volte azioni condotte nel mondo fuori dalla rete - es. i meetup (Tuten e Solomon 2014). Queste connessioni possono essere di due tipi: legami forti e legami deboli. I primi sono costituiti dalle relazioni più intime e prossime - gli amici più cari, la famiglia, i colleghi di lavoro preferiti - mentre i secondi sono dati da tutti quei contatti occasionali - i conoscenti, gli amici degli amici, i seguaci dei nostri profili nei social media. Sebbene i primi rappresentino la tipologia di legame su cui si è basata la struttura sociale fino alla postmodernità e l’avvento dei social media, è stato altresì dimostrato (Granovetter 1973; Rainie, Harrigan, Wellman e Boase 2005) che nonostante la narrazione rassicurante che viene fatta rispetto a queste relazioni solide, forti e stabili i legami deboli permettono una maggiore possibilità di accesso alle informazioni e quindi nella società dell’informazione investire in queste relazioni risulta essere più vantaggioso rispetto al solo investimento nei legami forti.

Tuttavia la semplice struttura del network e le sue affordance non sono sufficienti a descrivere l’universo di significati, valori e relazioni che si generano all’interno di questi raggruppamenti. Difatti la comunità è qualcosa di diverso, di maggiore, rispetto alla somma dei suoi collegamenti. Essa sviluppa una cultura di riferimento che comprende riferimenti comuni, interessi, linguaggi, pratiche, regole (Tuten e Solomon 2014). A questo proposito è utile fare riferimento alle caratteristiche attraverso cui Henry Jenkins (2007) descrive le culture partecipative ovvero le forme di aggregazione 1) in cui l’espressività artistica e il coinvolgimento civico sono facilitati; 2) che fanno sentire motivati i partecipanti a condividere i propri contenuti; 3) che presentano una mentorship informale tra i membri più esperti e quelli meno; 4) in cui i partecipanti avvertono l’utilità e la centralità dei propri contenuti; 5) in cui i membri avvertono un senso di appartenenza e prossimità verso gli altri utenti. Queste forme di partecipazione ai social media infatti

aiutano i membri a soddisfare i loro bisogni di affiliazione, di acquisizione - e condivisione - di risorse, di divertimento e di informazione [...] i loro membri partecipano, discutono, condividono e interagiscono fra di loro, oltre a coinvolgere altri membri nella comunità. Il livello di partecipazione dei vari membri può cambiare, ma quanto più è alto, tanto più la comunità è attiva e cresce (Tuten e Solomon 2014, p. 107)

Le comunità online quindi hanno al loro centro le relazioni e le interazioni, ovvero le conversazioni che si svolgono online quotidianamente negli spazi deputati. Il gruppo si sviluppa grazie alla comunicazione che avviene tra gli utenti: queste conversazioni avvengono in alcuni casi come scambi pubblici e in forme multimodali - testo, video, foto, ecc. - poiché la comunità cresce attraverso una base di comunanza tra i membri che viene comunicata anche verso l’esterno. La costituzione del gruppo stesso deriva dalla necessità, dal desiderio di condividere le proprie passioni con persone che le capiscono, che vengono percepite come affini e con le quali interagire.

Al fine di mantenere la comunità è quindi importante che un numero cospicuo di membri sia attivo, che partecipi producendo contenuti, interagendo. In questo modo infatti viene data nuova ‘linfa’ alla comunità per poter innescare discussioni, confronti e interazioni impedendo all’attenzione e al ‘traffico’ di scemare.

Tuttavia, la partecipazione online come dimostrato da diversi studi è un concetto peculiare. Infatti, la maggioranza degli utenti è generalmente composta da individui che osservano senza mai prendere parte, magari seguendo quotidianamente le attività ma senza partecipare producendo contenuti (Forrester 2011). Questo può intaccare il capitale sociale costruito dalla comunità proprio perché tali affiliazioni permettono ai membri affiliati di fare scorta di risorse relazionali, come informazioni e occasioni di vario tipo (Coleman 1988). Quindi più la community è attiva più accumula capitale sociale che la rende appetibile per l’aggregarsi di nuovi utenti. Ad esempio una forma di capitale sociale è rappresentato dal supporto emotivo fornito dalle interazioni all’interno della comunità e viene chiamato capitale sociale di coesione e online può realizzarsi facilmente per via della moltitudine di persone con cui si è in contatto che possono facilitare la risoluzione di una vasta gamma di problemi pur a distanza (Tuten e Solomon 2014).

Grazie a un’elevata attività partecipativa alcuni utenti delle community online riescono a diventare power user, ovvero riescono a ricavare potere e prestigio tra i membri in quanto quest’ultimi li riconoscono come esperti, utenti affidabili. Le posizioni di leadership vengono quindi ottenute grazie a un’estesa, interessante e continua attività di produzione di contenuti all’interno di una comunità (Keller e Berry 2003) e fanno sì che le opinioni e le informazioni che passano da questi utenti vengano valutate come credibili e da seguire.

In un certo senso queste figure rappresentano per le loro comunità degli opinion leader essendo in grado di influenzare atteggiamenti e comportamenti d’acquisto (Rogers 1983).

Gli opinion leader arrivano a ricoprire una posizione di potere per via delle competenze e conoscenze che hanno, così come per la cura per le attività nelle comunità di appartenenza nelle quali ottengono riconoscimento della propria posizione di ‘dominio’. Nonostante il loro avere in genere uno status sociale o livello di istruzione superiore rispetto agli altri membri, poiché fanno parte della stessa comunità i leader d’opinione sono ritenuti convincenti poiché omofili.

Nella struttura tradizionale relativa all’opinion leadership il modello secondo cui fluisce l’informazione viene chiamato modello a due fasi del flusso di influenza. Secondo questa lettura la diffusione di informazioni avviene attraverso un ristretto numero di persone con una posizione di potere sociale che ha impatto su un alto numero di altri individui. In realtà:

[...] l’influenza è guidata meno dalle persone influenti e in misura maggiore dall’interazione tra le persone che vengono facilmente influenzate. Queste persone si passano le informazioni in modo convincente e partecipano a un dialogo bidirezionale con l’opinion leader come parte di una rete di influenza. Queste conversazioni creano cascate di informazioni, che si verificano quando una porzione di informazioni attiva una sequenza di interazioni (Tuten e Solomon

2014, p. 111)

Continuamente si recepiscono e diffondono informazioni all’interno delle proprie cerchie di amici e se negli anni Cinquanta Lazarsfeld e Merton parlano di “omofilia” relativamente alla formazione delle relazioni amicali, oggi in rete il termine ha a che fare con l’incontro con contenuti incapaci di produrre differenze rispetto al nostro modo di pensare: la socialità tende a conformarsi secondo un principio per cui è la somiglianza a generare connessione (Boccia Artieri 2012). Di conseguenza se una nuova informazione viene condivisa da persone all’interno di una community online che frequento poiché omofilica, questa risuona con punti di vista e valori condivisi. Allo stesso modo se un opinion leader della comunità promuove un’informazione, come un consiglio circa dei prodotti o una fake news sarò propenso a fidarmi e diffondere questa informazione.