2.1: Le conseguenze dell’esperienza di Darién
Darién aveva lasciato l’economia scozzese in uno stato miserevole, che il mancato sostegno di re William rese ancora più difficile da superare: il suo rifiuto di riconoscere come legale l’insediamento coloniale era motivato dal desiderio di non inimicarsi la Spagna, tuttavia era controbattuto dal fatto che l’operazione scozzese aveva rispettato i termini dell’”Act of Patent”27. Quando, nel 1701 fu preteso che il re accordasse un risarcimento per le perdite monetarie subite dalla Scozia sulla base che la colonia di Darién fosse stata fondata legalmente, egli trovò il momento adatto per proporre un compromesso che prevedesse una possibile unione tra i due stati. La guerra con la Francia intrapresa per il controllo dell’impero spagnolo nel 1702 rendeva particolarmente problematica la possibilità che la Scozia, così economicamente e politicamente indebolita, finisse con il dare voce alle frange estreme e il procedere ferocemente a difesa della propria indipendenza, andando forse a rinverdire l’antica alleanza con il nemico d’oltremanica. Lo svantaggio militare nei confronti di un eventuale avamposto francese nel nord avrebbe generato una situazione minacciosa per la stabilità dell’Unione delle Corone e dell’Inghilterra, perciò neutralizzare il parlamento scozzese e garantire contemporaneamente un successore protestante al trono divennero gli obiettivi del piano di William e Anne, nella speranza di portare nuova stabilità in un contesto dove la disparità tra l’Inghilterra e la Scozia era ormai oltre ogni possibilità di lasciare le cose immutate.
All’inizio del diciottesimo secolo, la popolazione scozzese constava di un quinto di quella inglese, e, nonostante la geografia poco avesse da offrire oltre a zone da pascolo per quasi due terzi del territorio, era molto meno concentrata in aree urbane come Glasgow, Edimburgo e Dundee o zone fertili come le Lowlands di Aberdeen e Angus rispetto come lo sarebbe stata nei secoli seguenti. La società
27 Lang A., A Short History of Scotland (Hamburg: Tredition Classics, 2012), chapter XXVIII. Retrieved online on 1/3/2013 at
era suddivisa in aree abitate da comunità separate, legate internamente da forti tradizioni, e tutte accomunate da un generale stato di ruralità basata sulla produzione e distribuzione di pelli, carbone, lana, grano e lino. A livello urbano si vedeva un costante flusso migratorio nelle città, che portò centri come Edimburgo e Dundee a raggiungere rispettivamente 30.000 e 10.000 abitanti verso i primi anni del secolo, il doppio rispetto al primo 1600. Al confronto, un’ampia maggioranza di borghi a malapena superava i 1000 abitanti, anche se in alcune zone, come le rive del Forth, i villaggi nascevano e crescevano fino a formare delle reti urbane di notevole densità complessiva. Il sistema urbano, già dalla metà del secolo precedente, dipendeva molto dall’export di limitate varietà di prodotto: granaglie e aringhe verso i mercati baltici, e abbondanti quantità di carbone (di cui, nel decennio 1680-‐90, erano cariche quasi metà delle navi che partivano dalla Scozia) per l’Olanda, l’Irlanda e Londra28. Giacché tali esportazioni erano molto suscettibili alle fluttuazioni di domanda, in quel periodo l’economia scozzese era dominata da insicurezza, scarsa mobilità, poca iniziativa.
La devastante esperienza di Darién aveva lasciato lo stato più che mai povero, già privo di risorse materiali come prodotti dell’agricoltura o dell’allevamento, in intere regioni appena sufficienti per la sussistenza dei contadini. I “seven ill years”, periodo in cui il protezionismo francese e una congiuntura climatica che causò quattro anni di raccolto povero, avevano generato severi cali della popolazione, per morte o emigrazione. Masse di gente abituata a spostarsi di poche miglia, tra le fattorie dei loro proprietari o verso la città in cerca di opportunità, affrontavano ora spostamenti molto più ampi, diretti principalmente da una parrocchia all’altra per ricevere assistenza (che poteva venire per iniziativa degli abitanti, come successe a Edimburgo, o non venire concessa a causa dell’elevato numero di poveri già presente, come avvenne a Glasgow). Vi fu inoltre una forte corrente di emigrazione all’estero, verso Inghilterra, America e Ulster, alla ricerca di opportunità lavorative e per sfuggire alla crisi economica e alimentare. La mancanza di un efficace sistema di scambi commerciali e culturali con l’estero aveva portato a una scarsa diffusione della
28 Brown R., Society and Economy in Modern Britain 1700-‐1850, (London: Routledge, 2007) p.101
conoscenza e a un avanzare molto lento delle abilità tecniche, indispensabili per sviluppare competenze in campo militare o meccanico. Di fronte a tutto ciò si era posta a William la questione se muovere guerra alla Scozia allo scopo di conquistarla o proporre uno schema di unione, dove la prima ipotesi avrebbe avuto delle implicazioni capaci di rendere lo scenario ancora più incerto e difficoltoso: non solo la Scozia non sarebbe stata capace di resistere, rendendo quindi gli investimenti militari largamente inutili, ma non si sarebbero risolti problemi chiave, come la successione al trono. Quando gli ultimi eredi di William, il giovanissimo duca di Gloucester e l’ultima dei diciotto figli di Anne, morirono prematuramente, il regno si trovò senza un diretto discendente della corona. Con il prospetto che Anne avrebbe lasciato l’Inghilterra senza un erede, il parlamento londinese temette che il trono sarebbe passato al parente più prossimo, il cattolico esiliato James Edward Stuart, figlio di James VII e II, già “legittimato” dal re di Francia Louis XIV. Senza informare gli scozzesi della decisione, il parlamento inglese passò, nel 1701, un “Act of Settlement” che individuava come successore di Anne l’anziana Sophia, Electress of Hanover, erede di un casato protestante e nipote di James I, ignorando il diritto che il parlamento scozzese aveva preteso nel 1689 riguardo la determinazione di un successore al trono. Quando William morì l’8 marzo 1702, la corona passò alla cognata Anne. I cambiamenti alla costituzione seguiti alla Glorious Revolution, avevano sancito l’abolizione della “Commission of Articles” e dato vigore all’indipendenza del parlamento scozzese. Per questa ragione, oltre all’avversione contro gli inglesi per il trattamento subito dalla Company of Scotland e la stagnazione dell’economia, la Scozia fu un difficile interlocutore nelle prime discussioni riguardo una possibile unione dei due regni. L’occasione per aprire i negoziati arrivò durante una sessione aperta il 9 giugno 1702, senza rispettare un atto del 1696 che prevedeva la sua apertura entro 20 giorni dalla morte del re. La supposta illegalità della seduta, che spinse 74 membri ad abbandonare la camera, permise a James Douglas, duca di Queensberry e rappresentante della Corona nel parlamento scozzese (con il titolo di “High Commissioner to the Parliament of Scotland”), di ottenere consensi sufficienti per nominare dei commissari per trattare con l’Inghilterra.