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Le fasi della ricerca e le dimensioni d’analis

L’ipotesi orientativa dalla quale ha avuto inizio la presente ricerca è che esista una «specificità» femminile nella partecipazione ad organizzazioni politiche clandestine che richiedono un livello di militanza totalizzante e il fine ultimo è quello di esplorare le implicazioni derivanti dall’essere donna e «rivoluzionario di professione» e comprendere in che misura e in che modo questa scelta abbia condizionato il processo di soggettivazione, l’identità e, in generale, la vita di queste donne non soltanto nel corso della militanza, ma anche a conclusione di un’esperienza sicuramente difficile da elaborare, da raccontare e, soprattutto, da “assimilare” come parte integrante della propria esistenza.

Nella prima fase della ricerca - oltre ad aver intrapreso un’approfondita ricerca bibliografica sul tema della violenza politica e sul caso italiano in modo particolare – ho avviato la ricerca di contatti che mi consentissero di avvicinarmi alle donne che avevo intenzione di intervistare.

È soltanto nel novembre del 2014 che è avvenuto l’incontro preliminare con la prima ex brigatista che ho conosciuto ed è da lei che ho ottenuto i recapiti

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telefonici e/o gli indirizzi e-mail delle altre quattro donne. Dopo svariati tentativi di contatto, ho potuto realizzare la mia prima intervista solo nel marzo del 2015 e le successive tra maggio e giugno dello stesso anno. È evidente che la prima e più importante difficoltà incontrata è stata proprio la realizzazione della parte empirica della ricerca. I tempi per riuscire a comunicare con le ex militanti, per fissare gli incontri preliminari e per realizzare le interviste sono stati, infatti, molto lunghi non soltanto per la difficoltà legata al reperimento dei contatti, ma anche per le fasi precedenti all’intervista vera e propria, nel corso delle quali è stato indispensabile costruire con le intervistate un rapporto di conoscenza reciproca e fiducia che le rendesse poi disponibili a parlare della loro storia.

C’è un’altra importante precisazione da fare ed è relativa alla decisione di intervistare delle ex militanti non pentite e non dissociate e, quindi, delle donne che, pur avendo riconosciuto il fallimento della lotta armata, si sono assunte la responsabilità delle loro scelte senza rinnegarle e senza usufruire di sconti di pena. Decidere di ascoltare esclusivamente le non pentite e non dissociate ha significato interagire – parafrasando una delle intervistate – con ex «rivoluzionarie di professione» che, tuttavia, si considerano ancora rivoluzionarie e che, di conseguenza, continuano a concepire la rivoluzione come l’unica via per la trasformazione sociale. Ciò ha permesso di raccogliere forse delle storie più autentiche, in grado di restituire, quasi intatti, la forza e i tratti dell’ideologia politica che ha guidato la storia dell’intera organizzazione e orientato l’agire di coloro che vi hanno militato, ma, nello stesso tempo, ha implicato una inevitabile reticenza da parte delle ex militanti nel parlare di alcuni specifici argomenti e nel rilasciare dichiarazioni soprattutto in merito alle azioni alle quali hanno preso parte.

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Una volta raccolte e trascritte, le storie di vita sono state, come già accennato nei paragrafi precedenti, sottoposte ad un’analisi comprensiva ed ermeneutica e i primi risultati interpretativi sono stati successivamente sottoposti a un’ulteriore analisi attraverso un confronto con le altre storie di vita e la memorialistica prodotta in Italia nel corso degli anni Novanta e Duemila.

Focalizzando l’attenzione sui frammenti pertinenti e significativi all’interno di ciascun racconto di vita, sono stati individuati i nuclei tematici affrontati più di frequente e sviluppati più approfonditamente dalle ex brigatiste. A partire da questi nuclei tematici ho ricavato le seguenti otto dimensioni d’analisi che hanno rappresentato le coordinate delle mie interpretazioni e delle mie osservazioni finali:

1) La rivoluzione e la questione della violenza politica

2) L’ingresso nell’organizzazione e la scelta della clandestinità; 3) La vita quotidiana e i ruoli delle donne all’interno

dell’organizzazione;

4) L’omicidio politico, il rapporto con le armi e il rapporto con la morte;

5) Maternità e militanza; 6) L’arresto e il carcere: 7) Il ritorno in società;

8) L’elaborazione del vissuto e il suo “racconto”;

In linea generale, le singole dimensioni saranno presentate immaginando di tracciare, attraverso esse, il percorso di soggettivazione delle ex rivoluzionarie; un percorso che inizia, appunto, con la percezione di una

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«situazione esplosiva» (Faranda, documentario Bianconi 1997) in cui «non si parlava altro che di rivoluzione» (Balzerani, documentario Bianconi 1997) e «c’era una domanda di potere e di trasformazione» (Intervista a G.) tale da rendere inevitabile l’emergere di un «dibattito sull’uso della lotta armata» (Balzerani, documentario Bianconi 1997) e sulla necessità della violenza politica.

Attraverso la seconda dimensione d’analisi si cercherà poi di far luce sulle «riflessioni personali e collettive» (Russo, archivio DOTE, p.15)5 che hanno

indotto queste donne a compiere la scelta di entrare a far parte delle Brigate Rosse e le implicazioni derivanti da una vita vissuta in clandestinità. Con la terza dimensione d’analisi si entrerà nella vita quotidiana del gruppo organizzato «come partito armato» (Intervista a C.) in cui «c’era una disciplina necessaria» (Intervista a G.) e «le donne sparavano come gli uomini» (Balzerani, documentario Bianconi 1997).

Si passerà, successivamente, ad esplorare il significato attribuito da queste donne all’omicidio politico e a considerare il loro rapporto con le armi e, soprattutto, il «rapporto di assoluta astrazione con la morte» (Russo, archivio DOTE, p.62 ). La quinta dimensione d’analisi si concentrerà sulla difficile, se non addirittura impossibile, conciliazione tra la scelta della rivoluzione e quella della maternità, considerando sia le testimonianze delle militanti che hanno vissuto «la scelta di avere figli come scelta di vita» (Russo, archivio DOTE, p.56) sia le testimonianze di ex brigatiste che, pur vivendola come «un peso, un’amputazione» (Intervista a G.), hanno compiuto la scelta di non avere figli né durante la militanza né dopo semplicemente perché «se tu fai la guerriglia non fai figli!» (Intervista a G.).

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Con l’arresto si conclude l’esperienza della militanza, ma inizia una nuova fase, quella del carcere, dell’istituzione totale la cui «vera sofferenza, torsione dell’anima» consiste nel fatto che «tu non decidi della tua vita!» (Intervista a C.) e di cui «rimane il segno profondo […] che comunque ti connota in maniera molto precisa rispetto agli altri» lasciandoti «una quota di emarginazione che uno continuerà comunque a portarsi dietro» (Balzerani, documentario Bianconi 1997). Arriviamo così alla settima dimensione d’analisi; quella in cui si cercherà di comprendere in che modo le ex militanti hanno affrontato il ritorno in società, costruito (o ricostruito) amicizie, legami familiari e sentimentali e se sono riuscite nella «sfida di […] tenere almeno un filo che leghi l’esperienza passata a questo presente» (Ronconi, documentario Bianconi 1997).

L’uscita dal carcere e il ritorno in società implicano l’elaborazione di un vissuto non semplice, di una parte di storia «che è consegnata a ciascuno di noi, con cui ciascuno fa i conti» (Balzerani, documentario Bianconi 1997). L’ottava dimensione d’analisi si concentrerà, quindi, sul racconto di sé, della propria storia e di «un passato che non è comunicabile» (Balzerani, documentario Bianconi 1997).

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3. Donne e Violenza Politica in Italia: il caso