Misure II Pilastro della PAC (2007-2013)
SUOLO COMPATTATO DA UN PASSAGGIO
2.2.3 Le lavorazioni a maggior impatto sul suolo
Aratura convenzionale - Fra le pratiche agricole che contribuiscono mag- giormente alla degradazione del suolo rimangono le lavorazioni del terreno effet- tuate prevalentemente in maniera convenzionale, mediante aratura, e l’attuazione
ancora diffusa di colture intensive, senza il necessario apporto di sostanza organi- ca. Si tratta indubbiamente della lavorazione più conosciuta, importante e diffusa nella pratica agricola. Viene eseguita con l’aratro a vomere e versoio. Con il suo avanzamento nel suolo l’aratro esegue le seguenti principali operazioni: taglio ver- ticale, taglio orizzontale, sollevamento e ribaltamento della fetta di terreno.
La Tabella 2.3 riporta, dal campione RICA 2010, le principali tipologie di at- trezzi per la lavorazione del terreno. Come si vede per l’aratura l’attrezzo più usa- to è l’aratro bivomere. L’aratro monovomere è quello che presenta un’età media maggiore rispetto agli altri tipi di aratro; questo significa che questi aratri mono- vomere, tuttora utilizzati, sono risalenti all’epoca della intensiva meccanizzazione delle aziende agricole, ove si usavano trattrici molto potenti e si lavorava il terreno a grandi profondità (più di 40 cm) seguendo criteri più empirici che scientifici. Tabella 2.3 - Principali attrezzature per la lavorazione del terreno in Italia.
Tipo di attrezzo Numero di attrezzi Età
Aratro bivomere 3.443 18,0
Aratro monovomere 1.799 21,7
Aratro polivo mere 1.862 14,8
Aratro a disco 586 15,4 Erpice a denti 2.138 18,3 Erpice a dischi 2.253 17,3 Erpice rotante 1.632 14,2 Estirpatore 1.799 18,5 Fresatrice 3.270 15,6 Vangatrice 510 17,4 Zappatrice 385 15,8 Ripper-raccoglisassi 172 14,1 Ripuntatore / Scarificatore 570 14,1 Rullo 936 19,7 Sarchiatrice 765 16,4
Fonte: nostre elaborazioni su dati RICA
Nelle ultime due decadi c’è stato un forte dibattito sulla necessità di ridurre la profondità delle lavorazioni che ha portato all’uso di aratri polivomere, come indica la minore età media di questi attrezzi (Tabella 2.3), con conseguente dimi- nuzione della profondità di lavorazione.
Una moltitudine di esperimenti condotti al fine di valutare l'impatto sul suo- lo di diversi tipi di lavorazione in differenti località e situazioni pedologiche hanno chiaramente dimostrato che, nei suoli interessati dalla lavorazione convenziona- le (aratura profonda, > 40 cm), la struttura appariva più compatta e, soprattutto,
mostrava uno strato compatto in superficie (Fig. 2.9) che induceva una riduzione drastica dell’infiltrazione dell’acqua con conseguente aumento dei rischi erosivi; ciò in conseguenza anche della minore stabilità degli aggregati nel suolo lavorato rispetto, ad esempio, a quello inerbito (Fig. 2.10).
Fig. 2.9 - Suolo franco argilloso
TRATTAMENTI
Aratura convenzionale Inerbimento spontaneo
POROSITÀ (%) b a 0 2 4 6 8 10 12 14
Effetto di differenti sistemi di gestione del terreno sulla porosità espressa come percentuale dell’area occupata dai pori maggiori di 50 micron per sezioni sottili. I valori differiscono significativamente quando sono seguiti da lettere diverse al livello di P ≤0.05 impiegando il Test di Duncan.
Fig. 2.10
Macrofotografie di sezioni sottili verticalmente orientate, preparate da campioni indisturbati di suolo prelevati nello strato superficiale (0-5 cm) di terreno a tessitura franco-argillosa interessato da lavorazione convenzionale (sinistra) e da inerbimento spontaneo (destra). Una struttura poliedrica sub-angolare è presente nel suolo inerbito, mentre una struttura più compatta è presente nel suolo lavorato, dove in superficie è evidente una struttura lamellare dovuta alla formazione di una crosta superficiale. I pori appaiono bianchi. Il lato minore misura 3 cm nella realtà.
Il compattamento non è causato esclusivamente dal transito delle macchi- ne agricole; le pressioni operate dagli organi lavoranti possono dare origine alla formazione di strati compatti lungo il profilo, come schematizzato nella Fig. 2.11. Il caso più tipico è rappresentato dalla formazione di uno strato compatto al limite inferiore della lavorazione del terreno con aratro (suola d’aratura) (Fig. 2.12). Fig. 2.11 - Schematizzazione della formazione della suola d’aratura.
Fig. 2.12
Macrofotografia di una sezione sottile verticalmente orientata preparata da un campione di suolo prelevato nello strato 40-50 cm, cioè al limite inferiore della lavorazione di un terreno franco argilloso sottoposto ad aratura conven- zionale continua. Le parti chiare rappresentano i pori; è evidente la loro discontinuità in senso verticale. Il lato minore misura 3 cm nella realtà.
Tale discontinuità lungo il profilo altera il drenaggio e può generare condi- zioni di anossia, con effetti negativi sulle produzioni, sul ciclo dei nutrienti, sulla ricostituzione della riserva idrica e sulle emissioni di gas a effetto serra (Horn et al., 2000; Pagliai et al., 2000). I problemi connessi con la presenza di tale strato compatto si sono accentuati in seguito alla eccessiva specializzazione avvenuta in agricoltura. Soprattutto nei suoli a tessitura fine, lavorazioni continue alla stessa profondità possono causare la formazione di uno strato compatto, spesso fino a 10 cm, in cui la macroporosità misurata con l’analisi micromorfometrica scende al di sotto del 5%. Il ricorso a lavorazioni che operano un’azione di taglio del terreno, quali la discissura con ripper o chisel, si è rivelato appropriato per garantire buo- ne condizioni strutturali e una porosità uniformemente distribuita lungo il profilo colturale (Pagliai et al., 2004).
Il problema della formazione della suola d’aratura è drammaticamente sot- tovalutato. A questo proposito si evidenzia che, nell’autunno-inverno 2008-2009 e 2009-2010, in Maremma, ad esempio, non è stata possibile la semina del grano a causa delle abbondanti piogge. L’andamento climatico è stato senz’altro determi- nante, ma è dipeso anche dalla degradazione del suolo, sotto forma di compatta- mento, il quale, come già sottolineato, non è solo causato dal traffico delle macchi- ne agricole, ma anche dall’azione degli organi lavoranti che formano la suddetta suola d’aratura al limite inferiore della lavorazione nei terreni interessati da con- tinue arature tradizionali. Tale strato compatto, largamente diffuso nelle pianure alluvionali coltivate con monocolture, è responsabile delle frequenti sommersioni che si verificano, appunto, in occasione di piogge intense concentrate in un bre- ve periodo, perché la presenza di detta suola d’aratura interrompe la continuità dei pori (Figura 2.12) riducendo drasticamente il drenaggio. L’adozione di sistemi di lavorazione del terreno, alternativi alle tradizionali arature, quali la discissura, sono capaci di ridurre la formazione di questo strato compatto e, proprio nell’ottica delle suddette strategie tematiche europee, pratiche colturali più idonee per la protezione del suolo sono raccomandate nella nuova PAC, con lo scopo di attuare un’agricoltura sostenibile capace di salvaguardare la risorsa suolo a beneficio del- le future generazioni.
Sicuramente la presenza di questa suola d’aratura nella pianura nel sud della Maremma ha contribuito ad accentuare la disastrosa alluvione del 2012. E’ evidente che anche i cambiamenti climatici possono accentuare o accelerare que- sti processi degradativi. Al di là della varie opinioni e ipotesi sulla natura di tali cambiamenti, sulle quali abbiamo assistito recentemente ad un riaccendersi del dibattito attraverso i mass media, un fatto è certo: alcuni di questi cambiamenti
sono tangibili e i loro effetti sul suolo sono talvolta eclatanti come, ad esempio, l’aumento documentato della frequenza con cui si verificano eventi piovosi di for- te intensità concentrati in un breve periodo con conseguente aumento dei rischi erosivi. Si è verificato cioè un aumento dell’aggressività delle piogge nei confronti della superficie del terreno. Un altro esempio può essere rappresentato dall’au- mento della frequenza dei periodi di siccità e della loro lunghezza; aspetto questo che comincia a creare problemi alle nostre foreste (Pagliai, 2009b).
Fresatura - Con questo termine si intende il lavoro di frantumazione e rime- scolamento del terreno compiuto da strumenti caratterizzati da organi lavoranti montati su un asse orizzontale e comandati secondo un movimento rotativo (fre- satrici e zappatrici).
Questi strumenti servono principalmente per eseguire, con un unico pas- saggio, la preparazione del letto di semina in sostituzione dell’aratura e degli in- terventi preparatori complementari. A fronte di questo vantaggio, questo tipo di lavorazione è oggetto di forti discussioni in quanto provoca una eccessiva fran- tumazione del terreno accompagnata da polverizzazione; dopo il passaggio della macchina il terreno si presenta eccessivamente soffice ma poi tende rapidamente a compattarsi e a formare una crosta superficiale.
Un altro aspetto del compattamento del suolo è, infatti, rappresentato dalla formazione di croste superficiali, le quali rappresentano anch’esse un pericoloso aspetto di degradazione del suolo e si formano in seguito all’azione battente delle piogge che, in conseguenza ai su richiamati cambiamenti climatici, causano la di- struzione meccanica degli aggregati, i quali, in seguito alla diminuzione del conte- nuto di sostanza organica perdono, come conseguenza, la loro stabilità. Le particel- le disperse possono essere traslocate dallo scorrimento superficiale delle acque e nel successivo processo di essiccamento la loro deposizione causa la formazione di uno strato compatto (Fig. 2.13). Questo strato contiene pochi pori e, generalmente, i sottili strati di particelle solide sono intercalati da pori allungati orientati paralle- lamente alla superficie del terreno, non continui in senso verticale e quindi nulli ai fini dell’infiltrazione dell’acqua. Altri tipi di pori rappresentati in questo strato sono i pori sferici (vescicole) formati da bolle d’aria rimasta intrappolata durante il proces- so di essiccamento (Fig. 2.14). La presenza di tali pori, che formano una struttura vescicolare, rappresenta un indicatore di una struttura instabile e transitoria indotta da una bassa stabilità degli aggregati. La presenza di croste superficiali riduce dra- sticamente l’emergenza del seme, gli scambi gassosi suolo-atmosfera e soprattutto l’infiltrazione dell’acqua, con conseguente aumento del ruscellamento superficiale.
I risultati di prove sperimentali hanno evidenziato che la somministrazione al terre- no di materiali organici e la riduzione delle arature convenzionali possono contribu- ire a ridurre la formazione di croste superficiali (Pagliai e Vignozzi, 1998).
Fig. 2.13
Sezioni sottili verticalmente orientate dello strato superficiale illustranti la struttura del suolo interessato da fresatu- ra prima (sinistra) e dopo (destra) un evento piovoso. Il lato minore misura 3 mm nella realtà.
Fig. 2.14
Macrofotografia di una sezione sottile verticalmente orientata preparata da un campione indisturbato prelevato alla superficie di un terreno franco argilloso interessato da continue lavorazioni di fresatura. Il lato inferiore misura 5 cm nella realtà. E’ evidente la formazione di una crosta superficiale formata da strati compatti di terreno intercalati da pori sferici isolati nella matrice del terreno e da sottili pori allungati orientati parallelamente alla superficie e non continui in senso verticale tanto da impedire l’infiltrazione dell’acqua, originando così o il ruscellamento superficiale o il ristagno idrico a seconda della giacitura del terreno.
Oltre ad aumentare i rischi di erosione, le croste superficiali, talvolta, osta- colano fortemente l’emergenza del seme, tanto da costringere l’agricoltore a di- spendiose operazioni di risemina.
La Tabella 2.3 indica che queste attrezzature sono largamente usate in agri- coltura, specialmente nel settore orticolo e frutticolo; anche in questo caso la loro età media è considerevole.
Vangatura - Le vangatrici sono costituite da un certo numero di pale capaci di imitare abbastanza bene il lavoro della vanga manuale. Il tipo di lavoro è carat- terizzato da un perfetto rovesciamento della fetta del terreno, senza distruggerne troppo la struttura e soprattutto evitando, rispetto all’aratura, il compattamento al limite inferiore della lavorazione.
La Tabella 2.3 evidenzia però che la loro affermazione nella pratica agricola non è stata tale da sostituire l’aratro anche se, negli ultimi tempi i modelli più per- fezionati hanno cominciato ad interessare maggiormente soprattutto gli agricolto- ri che operano in terreni di medio impasto (franchi). La profondità di lavorazione è intorno ai 15-20 cm.
Livellamenti e scassi - A causa della gestione non sempre corretta del terri- torio, l’erosione, come già sottolineato, rimane il principale aspetto della degrada- zione del suolo e supera mediamente di 30 volte il tasso di sostenibilità (erosione tollerabile) e ci sono pochissimi studi a livello italiano ma anche europeo sulla stima del danno economico causato in seguito alla perdita del suolo e alla degra- dazione morfologica del paesaggio.
Proprio a questo proposito si sottolinea che altri aspetti molto dannosi di degradazione del suolo in ambiente collinare sono rappresentati dall’erosione in seguito ai livellamenti e agli scassi. Il livellamento viene generalmente effettuato in terreni ondulati per migliorare l’efficienza dell’uso delle macchine e dell’irriga- zione. I bulldozer sono anche usati per rimuovere la vegetazione di vecchie pian- tagioni al fine di preparare il terreno per i nuovi impianti. Nei bacini mediterranei i livellamenti e sbancamenti sono veramente frequenti per ottenere pendici uni- formi più facili da coltivare. Inoltre, queste operazioni sono effettuate nel periodo estivo o autunnale, cioè nel periodo in cui sono frequenti i violenti temporali con altissima erosività. Dopo i livellamenti, le pendici preparate per i nuovi impianti, in particolare vigneti e oliveti, sono caratterizzate dalla presenza di grandi quantità di materiale incoerente accumulato durante le operazioni di rimodellamento. In que- ste condizioni di alta vulnerabilità, è sufficiente un solo evento di intensa piovosità
per causare la perdita di oltre 500 tonnellate/ha/anno di terremo (Bazzoffi e Chisci, 1999; Bazzoffi, 2007), che si configurano come veri e propri movimenti di massa (Fig. 2.15). Inoltre, i livellamenti e le successive ingenti perdite di suolo causano drastiche modificazioni del paesaggio.
Fig. 2.15
Erosione catastrofica in un terreno interessato da livellamenti e scasso per la piantagione di un uliveto.