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Le malattie professionali in Sicilia nel 2011

Nel documento Rapporto Annuale Regionale 2011 Sicilia (pagine 52-57)

TERZA PARTE

5. Le malattie professionali in Sicilia nel 2011

L’evoluzione dei dati di patologia professionale nel territorio regionale, alla luce dell’applicazione delle normative sulla sicurezza dei lavoratori e dell’emanazione delle nuove tabelle di M.P. (DM 9 aprile 2008).

L’esame dei dati dell’ultimo quinquennio, relativo alle M.P. in Sicilia, evidenzia un progressivo incremento dei casi denunciati, dai 1.009 casi del 2007 ai 1.522 casi del 2011.

(tav.1)

ANNO DI MANIFESTAZIONE

GESTIONE 2007 2008 2009 2010 2011

Industria e Servizi 941 956 1.015 1.321 1.338

Agricoltura 52 66 75 112 158

Conto Stato

Dipendenti 16 18 11 30 26

TOTALE 1.009 1.040 1.101 1.463 1.522

Tav. 1

Il dato, che in valore assoluto farebbe esprimere non pochi elementi di preoccupazione circa le misure di prevenzione adottate nel corso degli anni negli ambienti di lavoro, fin dall’emanazione dei decreti 277/91 e 626/94, pur sottolineando che in tema di salute e sicurezza dei lavoratori non si debba comunque “abbassare la guardia”, se analizzato più approfonditamente consente di rilevare sia quanto si sia fatto in tema di prevenzione delle M.P., sia quanto ancora debba essere messo in campo.

E’ evidente dal concetto stesso di M.P. che quanto oggi denunciato, ed eventualmente indennizzato, sia da ascrivere a rischi concretizzatisi in un passato più o meno lontano e sui quali difficilmente si può incidere oggi, a meno di trovarsi di fronte a rare evenienze di aziende ancora oggi esistenti e che non abbiano mai modificato l’ambiente di lavoro, adeguandolo sia allo sviluppo tecnologico, sia alle normative sulla sicurezza.

Tuttavia, è proprio la “lettura” dei fenomeni passati che ha portato, da un lato il legislatore, dall’altro il mondo del lavoro, a prendere coscienza di determinati rischi ed a tentare di ridurli se non azzerarli.

L’approfondimento dell’analisi dei dati attuali, dunque, differentemente dal passato, dovrà portare inevitabilmente a sottolineare l’emergenza di alcuni rischi che si affacciano prepotentemente sulla scena, e dovrà conseguentemente indurre a modifiche tecnologico – organizzative, tali da prevenire l’esplosione di alcuni quadri morbosi, che oggi tendono a soppiantare le M.P storiche, come l’ipoacusia da rumore.

Ci si riferisce in particolare a tutte le patologie professionali da c.d. “sovraccarico biomeccanico” ed ai tumori professionali.

L’esame della tav. 2 , relativa alle MP manifestatesi nel 2011 e denunciate all’INAIL per gestione, tipo di malattia (principali) e territorio, riguardante tutte le gestioni, evidenzia che parallelamente, tanto in ambito nazionale, che regionale, le malattie osteoarticolari e muscolo tendinee, in termini di denunce, hanno, ormai, effettuato il “sorpasso”

dell’ipoacusia da rumore.

Approfondendo l’analisi dei dati relativi ai casi denunciati (Tav. 3), si rileva, infatti, come a fronte dei 5.636 casi di ipoacusia denunciati in ambito nazionale, di cui 310 nel territorio regionale siciliano, nell’anno 2011 sono state complessivamente denunciate in Italia 30.550 casi di malattie osteoarticolari e muscolo tendinee, con 624 casi in Sicilia.

I dati consentono di distinguere nel complesso di tali patologie una, seppur lieve, preponderanza di denunce relative ad affezioni dei dischi intervertebrali rispetto al gruppo identificato grossolanamente con il termine di tendiniti (rispettivamente 11.101 casi contro 10.157).

Nel territorio siciliano si accentua sensibilmente la differenza tra i due gruppi di patologia a tutto vantaggio delle patologie della colonna vertebrale, rispetto il gruppo delle tendiniti, con 349 casi per le prime e 119 per le seconde.

Rispetto ai 1522 casi complessivi di MP denunciate in Sicilia, le patologie osteoarticolari e muscolo tendinee rappresentano dunque oltre 1/3 delle denunce, mostrando un trend in continuo aumento in particolare a decorrere dal 2009.

Tav. 2 - MALATTIE PROFESSIONALI manifestatesi nel 2011 e denunciate all'INAIL per gestione e territorio

Gestione AG CL CT EN ME PA RG

Tav. 3 - MALATTIE PROFESSIONALI manifestatesi neL 2011 e denunciate all'INAIL per gestione tipo di malattia e territorio

Malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee di

cui: 53 97 91 143 108 49 21 26 36 624 30.550 - Affezioni dei dischi intervertebrali 27 54 49 108 55 17 11 9 19 349 11.101 - tendiniti 13 13 15 21 25 12 5 6 9 119 10.157 Malattie del sistema nervoso e degli organi di

senso 42 75 29 41 51 36 10 25 20 329 6.341

TOTALE 156 257 165 272 281 149 50 113 79 1.522 46.558

PA RG SR TP SICILIA ITALIA

TUTTE LE GESTIONI

Tipo di malattia AG CL CT EN ME

La lettura del fenomeno va inquadrata sicuramente in relazione alla pubblicazione delle nuove tabelle di MP, emanate con il DM del 9 aprile 2008, che ha inserito tra le patologie tabellate, alle voci 77, 78, 79 rispettivamente l’ernia discale lombare, le patologie da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore e quelle del ginocchio nella tabella dell’industria ed alle voci 22 e 23 della Tabella dell’Agricoltura l’ernia discale lombare e le malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.

Tuttavia, considerato il rapporto intercorrente tra le tabelle di MP ed il D.M. riportante l’elenco delle MP soggette ad obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 139 del T.U. (ultimo aggiornamento 11 dicembre 2009), in relazione al quale le malattie appartenenti alla lista 1

sono quelle che, opportunamente vagliate e studiate dalla medicina del lavoro, finiscono per alimentare le nuove tabelle, se ne deve implicitamente dedurre che l’ingresso di queste malattie tra le patologie professionali tabellate, trovi comunque riscontro in un crescente numero di quadri morbosi relazionabili a fattori di rischio biomeccanico che finiscono, attraverso un sovraccarico non sostenibile dal distretto anatomofunzionale coinvolto, per determinare l’insorgenza di ben precise malattie.

Si veda, infatti, l’inquadramento nosografico dettagliato che è stato effettuato nelle nuove tabelle di MP, per ogni singola voce, tale che la patologia professionale tabellata per il rachide in atto è soltanto l’ernia discale lombare.

Ciò vuol dire, in ultima analisi, che per le ernie discali di altri distretti, come il tratto cervico dorsale, ad oggi non esistono sufficienti elementi per essere considerate di sicura origine professionale.

Tutto questo è legato essenzialmente al fatto che alcuni rischi sono ormai comuni agli ambienti di vita e di lavoro, risultando spesso impossibile distinguere il peso effettivo che ciascuno di essi ha avuto nell’insorgenza della malattia, non avendo quest’ultima connotazioni clinico- strumentali differenti se provocata da fattore lavorativo o extralavorativo.

L’incertezza, pertanto, non permette di estendere la tutela privilegiata fornita dall’Istituto alla globalità dei casi denunciati, richiedendo elementi precisi e concordanti per l’ammissione all’indennizzo, attraverso un iter metodologico rigoroso sotto il profilo medico legale che, frequentemente, viene disatteso nell’iter di riconoscimento dei casi di MP in corso di contenzioso giudiziario previdenziale, soprattutto nella fase dimostrativa dell’esistenza del rischio professionale, in qualche caso ancora oggi affidato a semplici prove testimoniali.

Tale riflessione conduce ad argomento ben più delicato quale quello del riconoscimento dei Tumori di origine professionale, in cui la ricostruzione retrospettiva del rischio, risalente anche a decenni prima, e la “particolarità” della stessa patologia, per la quale non è assolutamente inquadrabile il momento topico della trasformazione cellulare in cellula neoplastica, rendono particolarmente ardua l’ammissione all’indennizzo.

Nel 2011 in ambito regionale risultano denunciati, per tutte le gestioni, 84 casi di tumore (Tavola 5 : 2 Agricoltura; 80 Industria; 2 Dipendenti conto Stato) di cui 27 casi correlabili all’esposizione ad amianto.

Pur non trattandosi di numeri particolarmente elevati, i casi di neoplasie denunciate presentano difficoltà notevoli di trattazione, specie laddove le aziende a cui viene riferita l’esposizione a rischio, hanno cessato l’attività da molti anni.

Per i tumori professionali c.d. “tipici “ correlati ad esposizione professionale a polveri o fibre in comparti produttivi ad attività nota, come la cantieristica navale o la metalmeccanica, il percorso di ricostruzione del rischio, anche se non agevole, riesce a mettere in evidenza elementi utili alla definizione dei casi.

Diversa è la situazione relativa ai tumori da agenti chimici, dove la particolare tipologia di attività, le innumerevoli reazioni e la formazione, nei processi chimici, di intermedi anch’essi potenzialmente cancerogeni, permettono con estrema difficoltà di risalire alla noxa patogena effettivamente responsabile dell’insorgenza della neoplasia.

Il quadro è ulteriormente complicato dall’ubiquitarietà di alcuni cancerogeni, basti citare l’esempio degli idrocarburi policiclici aromatici, presenti nel fumo di sigaretta, nell’aria come inquinanti derivati dai gas di scarico del traffico veicolare e dalle emissioni di alcuni impianti di riscaldamento degli immobili.

Attribuire, dunque, la responsabilità della genesi di una malattia grave come un tumore, o di minore gravità come nelle patologie da sovraccarico biomeccanico, ad un fattore lavorativo, richiede, sempre, estrema attendibilità e rigore.

Questo, non in ragione di valutazioni di natura meramente economica, anche queste comprensibili in un periodo congiunturale grave, bensì allo scopo di indirizzare gli strumenti della prevenzione là dove effettivamente se ne individua la necessità.

L’analisi approfondita del fenomeno MP consente di evitare una dispersione di risorse verso ambienti che, a parte un costante monitoraggio dell’efficacia delle misure di prevenzione adottate, non necessitano di ulteriori interventi, per indirizzarle in maniera mirata verso settori dove l’obiettivo dell’abbattimento del rischio comporta anche la necessità di sorveglianza continua, ricerca ed innovazione tecnologica.

Se in alcuni procedimenti lavorativi, proprio per la tipicità del ciclo produttivo, risulta particolarmente difficile introdurre modifiche che abbattano rischi ormai noti da tempo, diversa è la situazione relativa alle patologie da sovraccarico biomeccanico.

In queste patologie, modifiche delle postazioni lavorative, degli strumenti e dell’organizzazione di lavoro possono realmente ridurre o addirittura azzerare il rischio.

Non è da dimenticare, inoltre, che settori quali ricerca ed innovazione tecnologica orientati alla riprogettazione di postazioni e strumenti di lavoro, che inducano ad una sensibile riduzione del rischio e della conseguente patologia ad esso correlata, possono a loro volta costituire un volano di crescita e sviluppo.

Anche settori lavorativi complessi, potenzialmente generatori di gravi patologie come quelle neoplastiche, sono comunque modificabili in senso migliorativo, rispetto tanto i rischi per la salute dei lavoratori quanto i rischi per l’ambiente extralavorativo.

Da più parti, a livello imprenditoriale, è stato continuamente lamentato l’elevato costo degli interventi relativi alla “prevenzione e sicurezza”, i quali graverebbero incisivamente sulla redditività dell’azienda e sulla concorrenzialità dei prodotti.

Tale corrente di pensiero, fondata in genere su osservazioni di breve – medio periodo, non regge al vaglio di un lungo periodo di osservazione.

Infatti, senza alcuna necessità di ricorrere a motivazioni “etiche” per la tutela della salute dei lavoratori, basti pensare al costo complessivo che tanto le aziende, quanto l’intera collettività, vengono a sostenere, nel momento in cui salute dei lavoratori e salubrità dell’ambiente, lavorativo e non, vengono irrimediabilmente compromessi.

I costi complessivi per giornate lavorative perdute, spesa sanitaria, indennizzi per danni anatomo – funzionali derivati, bonifiche ambientali, finiscono per essere di gran lunga più elevati rispetto ai cosiddetti “costi della prevenzione” e finiscono per investire l’intero sistema- paese.

Ne è un esempio la vicenda ILVA di Taranto dove, al di là delle controversie circa i dati relativi all’incidenza della patologia nella popolazione lavorativa e nella popolazione comune, la mancata attuazione nei decenni passati di un modello produttivo in grado di contenere nella massima misura possibile i danni all’ambiente, alla popolazione e alle maestranze, determina, oggi, in un quadro congiunturale estremamente grave, la necessità di impegnare ingenti risorse economiche non per incrementare produttività e competitività aziendale, o un sensibile miglioramento della condizione economica del territorio, ma soltanto nel tentativo di ripristinare la situazione “quo ante” l’insediamento industriale.

A sua volta, il circolo vizioso creato dalla mancata attuazione di idonee misure di prevenzione e tutela dei lavoratori e dell’ambiente, generante il fermo tecnico delle attività produttive, condiziona un ulteriore danno economico per azienda e lavoratori, che allontana, ancor di più, la possibilità di destinare risorse, sia alla tutela della salute e sicurezza dell’ambiente e dei lavoratori, sia alla stessa competitività aziendale.

Quest’ultima, infatti, non dipende soltanto da fattori facilmente intuibili, quali costo delle materie prime e dell’energia, costo del lavoro e oneri correlati, ma è strettamente legata anche a fattori fortemente “etici” quali salute e sicurezza.

La perdita di giornate lavorative discendenti da infortuni o M.P., infatti, penalizza fortemente la produttività aziendale e incrementa i costi di produzione, sia per la necessità di ricorrere a eventuali sostituzioni del o dei lavoratori infortunati o tecnopatici, sia per le necessità di adeguata formazione degli eventuali “sostituti” i quali, soprattutto nelle attività altamente specialistiche, difficilmente possono raggiungere la piena produttività entro breve termine.

I sintetici elementi, precedentemente elencati come momenti di riflessione sull’etica del lavoro, in uno scenario produttivo ormai globalizzato, dove gli unici fattori guida sembrano essere diventati “profitti “ e “costi di produzione”, non possono tuttavia far passare in secondo piano la necessità di supporto che organismi scientifici nazionali e internazionali devono fornire “obbligatoriamente” ai decisori delle politiche di prevenzione, attraverso studi e ricerche mirate e coordinate, finalizzate a chiarire quelli che sono gli effettivi rapporti tra “lavoro e patologia”.

Senza il supporto del “dato epidemiologico”, ottenuto attraverso studi in grado di valutare l’effettivo peso che fattori lavorativi ed extralavorativi hanno nella genesi di una qualunque patologia, in particolare in un’epoca in cui tali fattori tendono ad una sempre maggiore commistione, il rischio è che ingenti risorse vengano impegnate in versanti la cui influenza, sulla prevenzione di infortuni o patologie, è scarsa o addirittura nulla, mentre ne vengono contestualmente trascurati, altri in cui la prevenzione può veramente “fare la differenza”.

Gli studi non dovranno più essere mirati, o almeno non soltanto, al singolo fattore di rischio, bensì dovranno essere condotti in modo tale da riguardare l’intero contesto produttivo, potendo così mettere in evidenza l’eventuale nocività non solo della noxa, ma anche di tutti gli altri fattori organizzativi e relazionali che possano agire da “concausa” nel determinismo tanto di infortuni sul lavoro quanto di M.P. , non ultimi quelli relativi all’ambito dello “stress lavoro correlato”.

I processi di analisi dei rischi e di raccolta dei dati da questi derivati, finalizzati all’adozione di idonee misure di prevenzione, necessitano tuttavia di una standardizzazione internazionale che li renda fruibili in ogni ambito, consentendo di modulare gli interventi prevenzionali sulle caratteristiche del singolo contesto lavorativo e della relativa realtà organizzativa.

Tutto questo presuppone che a partire dalle massime organizzazioni quale l’OMS, ad Agenzie ed Uffici quali IARC, ILO – BIT, fino alle Società Scientifiche Nazionali ed Internazionali ed ai Servizi Sanitari Nazionali, si stabilisca sulle tematiche relative alla Medicina ed Igiene del lavoro, un rapporto molto stretto, volto a rendere, quanto più possibile, omogenei i percorsi metodologici di analisi e raccolta dati inerenti rischi lavorativi, infortuni e soprattutto M.P.

L’incertezza sui dati, rilevata in troppi casi nel nostro Paese, dalla vicenda amianto a quella più attuale dell’ILVA, rischia di vanificare gli sforzi compiuti dai settori più avanzati della medicina ed igiene del lavoro, in tanti decenni di attività.

Non vi è dubbio che l’emanazione della L. 626/94 prima e del D. L.vo 81/2008 successivamente, al di là delle critiche avanzate su aspetti soprattutto connessi ad obblighi prettamente burocratici, abbia consentito, attraverso la stesura dei documenti di valutazione rischi e le attività di sorveglianza sanitaria, di avere maggior contezza del rapporto rischio – patologia, ma è altrettanto vero che restano ancora fuori dal sistema complessivo di analisi e valutazione dei rischi, larghe fette di attività lavorative, quali quelle svolte dalle piccole/medie imprese soprattutto a carattere artigianale, dove i fattori di nocività possono continuare ad agire sull’organismo dei lavoratori, generando malattia, senza che vi siano adeguate azioni di contrasto ai rischi lavorativi.

Considerato, dunque, il trend in ascesa che le malattie da sovraccarico biomeccanico ed i tumori di sospetta origine professionale stanno assumendo, tanto nella regione, quanto sull’intero territorio nazionale, l’auspicio è che tanto il SSN, attraverso i suoi Servizi di Prevenzione, quanto l’INAIL, attraverso le sue componenti, unitamente alle Società Scientifiche di Medicina ed Igiene del Lavoro, in maniera coordinata e reciprocamente sussidiaria, concentrino i loro sforzi verso un cammino comune, che li porti ad uno studio approfondito dei rischi, lavorativi ed ambientali, che è presupposto imprescindibile per un’idonea opera di prevenzione.

Le strategie che le Istituzioni sopra menzionate devono porre in essere per raggiungere gli obiettivi propri di ogni processo preventivo, non possono fondarsi esclusivamente su modelli di tipo sanzionatorio per violazione di obblighi normativi, ma devono essere basate principalmente su processi educativi che sviluppino appieno la “cultura della prevenzione”.

In tal senso l’INAIL, in questi anni, si è adoperato attraverso modalità diverse, con campagne pubblicitarie, corsi di formazione rivolti, soprattutto alle piccole e medie imprese, incentivi per i datori di lavoro che investono in sicurezza, per cercare di diffondere quanto più capillarmente possibile un modello culturale che tende a prevenire i rischi, piuttosto che semplicemente indennizzare i danni, assumendo non più la vecchia connotazione di Istituto Assicuratore, ma una veste nuova di promotore dello stato di salute e benessere, negli ambienti di vita e lavoro, in linea con quanto sancito dalla stessa OMS.

L’incorporazione dell’ISPESL all’interno dell’INAIL, come struttura di ricerca relativamente alle tematiche connesse ai rischi presenti negli ambienti di lavoro, così come l’incorporazione dell’IPSEMA, che porta ad un ulteriore ampliamento della platea di lavoratori gestiti dall’Istituto, con la presa di coscienza di tutta una serie di rischi connessi alle attività marittime, testimoniano la concretezza della volontà di istituzione del “Polo Salute e Sicurezza”, come struttura in grado di affrontare, in maniera organica, le tematiche relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ma, soprattutto, delle M.P., che, per le loro caratteristiche intrinseche, richiedono uno sforzo unitario di tutti i soggetti interessati, tanto nell’ambito della ricerca epidemiologica e tecnologica, quanto della formazione, dell’educazione continua alla salute, fino alla tutela sanitaria e previdenziale . Pur con inevitabili lentezze e difficoltà, il modello proattivo messo in campo dall’INAIL, attraverso un dialogo continuo con tutti gli attori della “Prevenzione”, dalle rappresentanze sociali, ai lavoratori e datori di lavoro, alle Istituzioni interessate, consentirà, nel tempo, non solo, la piena realizzazione del “Polo Salute e Sicurezza”, ma riuscirà progressivamente a concretizzare una “effettiva tutela” dei cittadini in quanto tali ed in quanto lavoratori.

Nel documento Rapporto Annuale Regionale 2011 Sicilia (pagine 52-57)