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Le ragioni della riforma della vigilanza bancaria

Se esistesse una classifica delle parole più pronunciate nell’arco di un intero anno, di certo il primo posto andrebbe alla parola “spread”: finita sulla bocca di tutti, dal più piccolo al più anziano, è stata compagna di giornate confuse e impaurite.

L’attuale crisi finanziaria si sostanzia in una sofferenza generalizzata del processo di crescita e di accumulazione del sistema capitalistico, che si è subito riverberato sulle situazioni di squilibrio anomalo dei bilanci dei settori pubblici dei paesi coinvolti1.

Da molti paragonata alla “Grande crisi” del ’29, figlia di una globalizzazione “integrata” e “selvaggia” e dell’ internazionalizzazione delle economie, oltre che a seminare panico, sfiducia, paura, e poi nell’economia reale che la crisi si è tradotta nell’innalzamento della disoccupazione, per lo più giovanile, abbassamento del PIL e nello stesso tempo aumento del debito pubblico.

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Proprio i recenti episodi di crisi del debito sovrano hanno mostrato come rischi di contagio fra sistema finanziario e governi nazionali siano ancora più rilevanti all’interno di un’area economica integrata, quale quella dell’Unione europea, e quella di un’area integrata anche sul piano monetario, quale quella dell’euro2.

Per affrontare tutto questo e per cercare di sventare questo circolo vizioso, da cui ancora oggi si fa fatica ad uscire, ciascun Paese colpito3, in particolare quelli appartenenti all’area-euro, hanno cercato di provvedere in vario modo.

In alcuni casi l’azione pubblica è stata vana, sono noti i casi di default, della Grecia, dell’Argentina, dell’Islanda e di Cipro, negli altri, invece, si sta a galla, in una situazione di equilibrio instabile4.

A livello europeo la crisi ha rappresentato l’occasione per segnare un ulteriore passo verso quel processo di integrazione europea, scandita da grandi trasformazioni, a volte improvvise e potenti come “eruzioni”5,

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I. Visco, La governance economica europea: riforma e implicazioni, disponibile in www.bancaditalia.it, 8 marzo 2011.

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Si veda anche F. Bassan e C. D. Mottura, Le garanzie statali nel sistema europeo di assistenza finanziaria agli Stati, in Mercato concorrenza regole, dicembre n. 3/ 2013, p. 571 ss.

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Per quanto riguarda l’Italia tra i decreti-legge adottati possiamo ricordare: il DL 201/2011 (Salva Italia), DL 1/2012 (Cresci Italia), DL 5/2012 (Decreto Semplificazioni), DL 83/2012 (Decreto Sviluppo), DL 16/2012 (Decreto di semplificazione fiscale, DL 135/ 2012 (spending review). Per un approfondimento si veda E. Barucci, Crisi finanziaria e intervento dello Stato: quale lascito dell’emergenza, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2010, iusse 2, pag. 339 ss.

5 J.H.H. Weiler, Le trasformazioni dell’Europa, in La Costituzione dell’Europa, Bologna, Il Mulino, 2003, pag. 33 ss.

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iniziata ormai tanti anni fa e che ancora non vede la più adeguata conclusione.

I vertici “politici” europei, oltre a dettare misure e costringere gli Stati ad adottare politiche economiche, improntate alla più severa dell’austerity, hanno buttato giù un progetto, sicuramente ambizioso, ma che forse andava già disegnato all’indomani dell’adozione della moneta unica, se non addirittura contestualmente; e di fatto già nel 1992 qualcuno6 scriveva “su un possibile riferimento alla centralizzazione della vigilanza bancaria in capo a un’agenzia specializzata e responsabile per l’intero territorio comunitario: mentre l’attività si va globalizzando, le responsabilità di vigilanza rischiano di rimanere frammentate e di creare esternalità a danno di questo o quel sistema nazionale di supervisione”.

Queste previsioni si sono purtroppo avverate e hanno evidenziato molte lacune del sistema di vigilanza europeo che non ha saputo, per mancanza soprattutto di coordinamento e collaborazione tra le varie autorità di vigilanza, prevenire o quanto meno cercare di salvare il salvabile.

Secondo l’opinione corrente le cause della crisi sono da ricondursi a difetti genetici del sistema europeo, riconducibili alle scelte effettuate fin dal

6 M. Sarcinelli, L’Unione bancaria europea, in Banca impresa società, 2012 n. 3, p. 333 ss.

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momento della sua “ideazione” e confermate anche nell’ultimo Trattato del processo di integrazione europea: il Trattato di Lisbona7.

Si è perseguita la creazione di una moneta unica senza preoccuparsi di dotarla delle necessarie strutture di sostegno. Il governo della moneta è rimasto separato da quello dell’economia: centralizzato il primo a livello europeo, riservato il secondo alla competenza degli Stati. La gestione della politica monetaria è stata affidata ad una istituzione, la Banca centrale europea (BCE), priva in campo monetario e finanziario di tutte quelle prerogative che caratterizzano tradizionalmente le banche centrali; per il coordinamento delle politiche economiche nazionali sono stati previsti meccanismi di soft law, di dubbia efficacia sul piano giuridico e pratico; quanto alla disciplina di bilancio, norme rigorose sono state bensì dettate per prevenire disavanzi eccessivi, ma si è rimessa la loro applicazione alle logiche discrezionali, e poco affidabili, di un organo politico e intergovernativo come il Consiglio8.

Anche Jacques Delors, il padre dell’euro, lo aveva detto chiaramente e lucidamente; l’euro-la moneta unica- non è che un ponte gettato verso la federazione europea in attesa che qualcuno vi ponga sotto i pilastri. I pilastri sono la politica economica decisa a livello comune per tutti gli Stati dell’eurozona, senza la quale il ponte è a rischio di crollo.

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Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, è entrato in vigore il primo dicembre del 2009.

8 G.L. Tosato, L’integrazione Europea ai tempi della crisi dell’euro, in Rivista di diritto

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Le principali lacune che hanno caratterizzato l’attuale complessivo assetto istituzionale del sistema di governo europeo possono essere ricondotte essenzialmente nei seguiti profili: sfasamento temporale e mancato effettivo coordinamento tra la definizione delle priorità e degli obiettivi di politica economica individuati a livello europeo e l’attuazione dei conseguenti impegni assunti, a livello nazionale, nelle relative decisioni di politica economica e di bilancio; inadeguatezza delle attuali regole di bilancio europee; insufficienza della sola disciplina di bilancio a garantire la convergenza delle economie e degli Stati membri dell’euro; assenza di meccanismi di intervento; fragilità complessiva del sistema europeo di supervisione finanziaria9.

“Nell’ambito del suo mandato, la Banca Centrale Europea è pronta a salvaguardare l’euro con ogni mezzo. E credetemi, sarà sufficiente”: sono queste le parole rimbalzate sui siti internet di tutto il mondo pronunciate a Londra il 26 luglio 2012 dal Presidente della Banca Centrale Europea10.

Il “mezzo” assume contorno definito il 2 agosto a Francoforte sul Meno, quando il Direttivo della BCE annuncia il programma di “operazioni definitive monetarie” (Odm), arricchito di dettagli tecnici con il provvedimento del 6 settembre 201211.

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L. Alla, Verso una nuova governance economica della UE, in Amministrazione in Cammino, Novembre 2011, pag. 1- 40.

10 La versione integrale dell’intervento di Mario Draghi alla Global Investment

Conference può essere letta sul sito della Bce.

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Già nel maggio del 2010 la BCE aveva varato un programma di operazioni straordinarie, Securities Market Programme12, che ha suscitato non poche discussioni e critiche.

In attuazione di questi programmi la Bce ha acquistato debito sovrano dagli Stati euro più esposti sul mercato finanziario; ha effettuato altresì finanziamenti alla banche di importi crescenti e con scadenze via via più estese.

Si è sostenuto che la Bce abbia ecceduto i limiti del suo mandato perché si sarebbe fatta carico di problemi di politica di bilancio che non le competono; avrebbe esposto l’euro a rischi di inflazione, in contrasto con il suo compito primario di assicurare la stabilità dei prezzi; avrebbe favorito l’azzardo morale di governi e banche, forti del soccorso in ultima istanza della Bce, e tutto questo in aperta violazione della fondamentale regola del

no-bail out13, che si oppone a trasferimenti di passività dai singoli Stati membri all’Unione e da quest’ultima agli altri Stati membri.

Ma se queste sono le critiche maggiormente sollevate esse trascurano il fatto che tali interventi si collocano nel quadro di una situazione di emergenza, in cui ad essere in pericolo è lo stesso sistema euro.

La crisi finanziaria e poi dell’economia reale ha dato centralità alla domanda su chi governa la finanza pubblica in Europa, con quali strumenti e con quali obiettivi.

12 Decisione della Banca Centrale europea del 14 maggio 2010, in G.U.C.E. 2010 L 124. 13

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La crisi, infatti, non ha riguardato solamente le sfere della finanza e dell’economia ma ha coinvolto pienamente la dimensione istituzionale, ossia le caratteristiche strutturali e funzionali dell’Euro sistema, che difficilmente resterà quello che abbiamo fin qui conosciuto dopo la crisi14.

Si potrebbe addirittura obiettare che le crisi rappresentano il vero test della capacità di un ordinamento giuridico, nel caso di specie quello “composito” dell’Unione europea, di corrispondere alle aspettative degli operatori economici e di coloro ai quali essi si rivolgono, proponendo diversi impieghi per i capitali disponibili15.

Ecco allora che si è sentita la necessita di procedere dall’unione economica e monetaria verso quella politica, con la necessaria gradualità, passando per la riforma della governance economica, per l’unione bancaria e fiscale16.

E proprio come si fa quando si cerca di mettere al proprio posto i singoli pezzetti di un puzzle, l’Europa ha risposto dapprima in modo provvisorio alle richieste di aiuto degli Stati e poi ha cercato, e sta ancora cercando, di predisporre strumenti e meccanismi volti a sventare successive catastrofi finanziarie.

14 G. Pitruzzella, Chi Governa la Finanza pubblica in Europa, in Quaderni costituzionali, marzo 2012 n. 1, pag. 9 e ss.

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G. Della Cananea, L’ordinamento Giuridico dell’Unione europea dopo i nuovi accordi intergovernativi, in La Comunità Internazionale, 1/2012, p. 3-12.

16 I. Visco, Intervento del Governatore della banca D’Italia durante la Giornata mondiale del Risparmio, 2012.

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Il puzzle che si è cercato di costruire non sempre ha dato un’immagine limpida e chiara, i punti di domanda sono tanti e gli esiti della crisi incerti.

Il percorso tratteggiato dall’Europa è un percorso a tappe, si è passati dall’unione doganale al mercato unico, e dal mercato unico all’unione monetaria, ora dall’unione monetaria si va verso l’unione fiscale, l’unione bancaria.

Ci si chiede se gli interventi intrapresi siano sufficienti ad arginare la crisi; certo è che, se ogni anno o addirittura ogni mese le istituzioni europee sentono la necessità di re-intervenire, studiando misure ad hoc per tappare di volta in volta i buchi neri che si vengono a creare via via, creando un groviglio di strumenti che finiscono per sovrapporsi l’uno all’altro, qualcosa che non va ci deve essere: o siamo di fronte alla crisi più spaventosa che si sia mai abbattuta sul mondo, annientandoci completamente, o si commettono continuamente errori e siamo diventati troppo miopi per riuscire ad evitarli.

Ciò che è certo è che, l’esplosione della crisi ha trovato impreparati sia l’Unione sia gli Stati, non solo istituzionalmente ma anche culturalmente. L’una e l’altra non avevano a disposizione strumenti giuridici e finanziari per prestare soccorso ai Paesi bisognosi17.

17 G. Napolitano, L’incerto futuro della nuova governance economica europea, in

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L’area dell’euro si trova oggi di fronte a un fondamentale crocevia. La sua stabilità finanziaria si deve fondare certamente sulla stabilità dei prezzi e la disciplina di bilancio, ma ha altrettanto bisogno di un terzo pilastro che è quello della crescita economica. O l’Europa trova i modi per tornare a cresere o il suo disegno di integrazione rischia il fallimento18.

D’altronde lo ha scritto di recentemente l’Economist: come una vecchia coppia disamorata, l’Europa è ormai tenuta assieme soltanto dai costi della separazione. Non è certo la migliore premessa per un’unione serena. Al contrario, la convivenza forzata non fa che esasperare gli animi. Crescono la diffidenza reciproca e lo spirito di rivalsa. I comportamenti devono essere regolati da norme sempre più intricate. I rapporti si contrattualizzano. I gradi di libertà si restringono. Una volta avviato il calcolo costi-benefici, arriva il momento in cui, a qualcuno se non a tutti, pare conveniente piuttosto separarsi19.

A seguito della crisi l’Europa è vista sempre più come qualcosa, non solo di estraneo alla vita comune dei cittadini, ma addirittura come qualcosa di ostile, che impone vincoli e sacrifici senza garantire un futuro migliore e più sicuro. È quindi tempo di cambiare, mettendo in piedi rapidamente

18 P. Guerrieri, Due scenari per l’Euro, in AffarInternazionali, 12/05/2010.

19 L. Fantacci e A. Papetti, Il debito dell’Europa con se stessa. Analisi e riforma della

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nell’area euro un piano di sviluppo per rilanciare l’economia e l’occupazione europea20.

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