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Le responsabilità professionali nei confronti dell’organizzazione di lavoro

2. Il mandato professionale dell’assistente sociale

2.1 Il Codice Deontologico e le responsabilità professionali dell’Assistente Sociale

2.1.5. Le responsabilità professionali nei confronti dell’organizzazione di lavoro

Il Titolo VI del Codice Deontologico, suddiviso in otto articoli, dal 44 al 51, si sofferma sulle responsabilità dell’assistente sociale nei confronti dell’organizzazione del lavoro.

Il contesto nel quale l’assistente sociale si trova a lavorare rappresenta uno strumento e un oggetto di lavoro82 e per questo è molto influente nell’agire professionale.

L’assistente sociale è parte di un’organizzazione che, secondo una definizione di Bonazzi, “è vista in una prospettiva che ne valorizzi l’aspetto processuale e l’effettiva influenza delle persone, qualunque sia il loro ruolo, che quotidianamente ne interpretano le norme, ne gestiscono le relazioni di potere. Ogni persona contribuisce in maggiore o minore misura e consapevolezza a creare la cultura organizzativa e il clima interno. Da un lato, dunque, è la struttura organizzativa che condiziona l’agire dei soggetti e dall’altra, i soggetti che interpretano l’organizzazione riproducendola e modificandola.”

Come già visto nel primo capitolo, coloro che operano nella pubblica amministrazione, appartenenti quindi a un’organizzazione, sono parte attiva della cultura organizzativa; essi influenzano l’implementazione delle politiche e vengono influenzati a loro volta dalle politiche e dall’organizzazione stessa. L’interpretazione delle norme, i rapporti di potere, gli

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L. q. 328/2000, art. 22 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” 82Filippini S., Bianchi E. (a cura di), Le responsabilità professionali dell’assistente sociale, Carocci Faber, 2013

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spazi di discrezionalità e di autonomia presenti in qualsiasi procedura, modellano e trasformano l’organizzazione.

In corrispondenza a questa osservazione è indispensabile precisare inoltre come il servizio sociale in Italia operi prevalentemente all’interno di organizzazioni di servizi pubblici e l’assistente sociale ricopra così un ruolo nella pubblica amministrazione, dovendo rispettare oltre che il mandato professionale anche il suo mandato istituzionale. Per questo motivo spesso il professionista si trova vincolato, oltre che dal Codice Deontologico, fin qui preso in esame, anche dal Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, dalle leggi regionali e statali e dai regolamenti comunali83.

Questo può quindi far nascere situazioni complesse, dilemmi etici e di comportamento che possono creare confusione, demotivazione e insoddisfazione nel professionista.

In Italia questo fenomeno appare sempre più presente a causa delle linee guida di welfare che, sempre di più, sembrano non coincidere con gli obiettivi del servizio sociale, dei tagli che colpiscono i servizi alla persona e di conseguenza la costante diminuzione di risorse disponibili per creare interventi individualizzati e alternative che permettano alle persone di esercitare il proprio diritto di scegliere, dell’intromissione spesso della politica e di figure politiche in competenze e decisioni professionali, e dell’abbandono del professionista da parte dell’organizzazione stessa, che non lo supporta e lo sostiene. Per questo motivo l’art. 44 stabilisce che “l’assistente sociale deve chiedere rispetto del suo profilo e della sua autonomia

professionale”, aspetto già affrontato nell’art. 10 del Codice, e “la tutela anche giuridica nell’esercizio delle sue funzioni e la garanzia del segreto professionale e del segreto d’ufficio.”

L’assistente sociale, in quanto professionista istituzionalmente riconosciuta, deve chiedere il rispetto della propria autonomia soprattutto nel caso di intromissioni esterne su competenze specifiche professionali, che impedirebbero di svolgere correttamente il proprio lavoro. Deve chiedere alla propria organizzazione un riconoscimento professionale, che le permetta di portare a termine valutazioni tecnico-professionali indipendenti, senza ingerenze o condizionamenti. Si presenta inoltre responsabile dell’azione di tutela ma ne è anche il promotore84 Protegge il proprio ruolo, evitando rischi legali, di abuso di potere, di

intromissioni politiche ed extra-professionali e promuove in maniera autonoma il proprio

83 Ibid.

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intervento, attento alle responsabilità professionali, agli effetti e alle conseguenze delle sue azioni.

Come detto in precedenza, la programmazione e progettazione di un intervento non può prescindere dalla realtà organizzativa in cui il professionista opera; questa attenzione deve essere garantita sia per il benessere dell’utente, il quale ha bisogno di risposte concrete e che apportino un reale cambiamento, ma anche verso l’organizzazione. L’assistente sociale infatti deve impegnare la propria competenza professionale per contribuire al miglioramento

della politica e delle procedure dell’organizzazione di lavoro, all’efficacia, all’efficienza, all’economicità e alla qualità degli interventi e delle prestazioni professionali. Deve altresì contribuire all’individuazione di standard di qualità e alle azioni di pianificazione e programmazione, nonché al razionale ed equo utilizzo delle risorse a disposizione. (art. 45)

Si pone qui l’attenzione su come le competenze professionali debbano essere messe a disposizione per migliorare le procedure e l’organizzazione degli interventi e dei servizi. L’attenzione alle risorse è un aspetto fondamentale: le valutazioni tecniche devono essere coerenti e collegate alla disponibilità di risorse dell’ente e devono poter essere anche strumento per un miglior utilizzo di esse; e il saper creare relazioni e reti con tutti i livelli del sistema organizzativo, saper dialogare ed entrare in contatto con amministratori e dirigenti si mostra indispensabile per l’assunzione di questa responsabilità professionale.

Inoltre fondamentale mettere in gioco le competenze e conoscenze professionali anche per la ricerca di nuove risorse, che in questo momento storico risultano essenziali per l’organizzazione e il professionista stesso. Per far questo il professionista deve assumere un atteggiamento riflessivo e di apertura al contesto, strutturando e ristrutturando quotidianamente l’azione professionale.

Molto importante appare l’art. 46, dove viene, ancora una volta, messo in evidenza come l’autonomia tecnico-professionale e di giudizio dell’assistente sociale debba essere rispettata e fatta rispettare; come i principi, la qualità e gli obiettivi dell’agire professionale debbano essere considerati centrali dal professionista e difesi, attraverso il rifiuto di situazioni non compatibili alle norme etiche e deontologiche. L’articolo dichiara: “L’assistente sociale

non deve accettare o mettersi in condizioni di lavoro che comportino azioni incompatibili con i principi e le norme del Codice o che siano in contrasto con il mandato sociale o che possano compromettere gravemente la qualità e gli obiettivi degli interventi o non garantire rispetto e riservatezza agli utenti e ai clienti.” Inoltre “deve adoperarsi affinché le sue prestazioni

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professionali si compiano nei termini di tempo adeguati a realizzare interventi qualificati ed efficaci, in un ambiente idoneo a tutelare la riservatezza dell’utente e del cliente.” (art.47)

Negli ultimi anni si assiste sempre più al rischio di programmazione e attivazione di interventi esclusivamente assistenzialisti e marginali, volti all’emergenza e mai nella logica di prevenzione. La ricerca di risorse “alternative” sembra presentare il rischio che gli enti pubblici, detentori di responsabilità assistenziali, tendano a nascondere i disagi collettivi del territorio o a deresponsabilizzarsi, giustificati dall’esistenza di altro che può rispondere ad alcune esigenze; la mancanza di risorse reale di molti enti locali e le difficoltà organizzative portano ad affrontare le domande sociali, oggi spesso drammatiche, in maniera passiva, minimizzando le situazioni e chiedendo ai professionisti di lavorare sul singolo, non guardando oltre. Questo entra il forte contrasto con i valori e il mandato professionale del servizio sociale e crea forti situazioni di difficoltà e dilemma negli assistenti sociali.

L’art. 47 si sofferma poi sulla necessità che l’assistente sociale sia messo nelle condizioni di poter svolgere il proprio lavoro in condizioni di benessere, che permettano di creare interventi adeguati, qualificati e nel rispetto dell’utente.

Si riprende questo aspetto con l’art. 48, in cui si obbliga l’assistente sociale a segnalare alla propria organizzazione l’eccessivo carico di lavoro. Per molti professionisti spesso i casi, i progetti e le attività amministrative risultano un numero superiore rispetto al tempo a disposizione, non garantendo all’utenza la giusta attenzione e rischiando di lasciare più spazio agli aspetti amministrativo-burocratici che alla componente sociale. Il tempo si presenta spesso insufficiente e i tempi di valutazione non adeguati, creando sensi di colpa tra i professionisti che sentono di non riuscire a tutelare i diritti dell’utenza e neanche di rispettare i propri compiti professionali.

Importante, inoltre, citare per questo lavoro l’art. 50 del Codice Deontologico.

“Il rapporto gerarchico funzionale tra colleghi risponde a due livelli di responsabilità: verso la professione e verso l’organizzazione e deve essere improntato al rispetto reciproco e delle specifiche funzioni. Nel caso in cui non esista un ordine funzionale gerarchico della professione, l’assistente sociale risponde ai responsabili dell’organizzazione del lavoro per gli aspetti amministrativi, salvaguardando la sua autonomia tecnico professionale.”

Come già detto, l’assistente sociale occupa un posto di confine tra responsabilità tecniche e responsabilità decisionali. Spesso, all’interno della pubblica amministrazione, non ricopre un ruolo decisionale, ma come si è appena visto, il suo mandato professionale le affida il compito e la responsabilità di incidere e orientare i processi decisionali, soprattutto

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su temi di specifica competenza. Il professionista deve infatti partecipare alla strutturazione dell’organizzazione ma rispettando le funzioni del proprio ruolo.

E’ proprio la gestione del rapporto gerarchico con questi due diversi livelli di responsabilità che crea situazioni di complessità: le ingerenze sul piano tecnico-professionale da parte di politici, responsabili, dirigenti si presentano sempre più frequenti nelle realtà dei servizi sociali, con il pericolo che si assista ad un irrigidimento o a un atteggiamento passivo del professionista; in entrambi i casi con il crearsi di condizioni non favorevoli allo svolgimento etico e deontologico della professione.

Questo avviene più facilmente quando un progetto o un intervento professionale richiede un impegno economico da parte delle amministrazioni: le responsabilità tecnico professionali e decisionali possono entrare in conflitto, paralizzando l’intervento volto al benessere dell’utente. La responsabilità decisionale può prevalere completamente su quella professionale, bloccando l’intervento, o può chiedere al professionista di ripensare all’intervento, intervenendo così, più o meno volontariamente, nella responsabilità tecnico- professionale dell’assistente sociale. Il confine quindi tra professione e istituzione è molto sottile e il rapporto gerarchico di difficile gestione. Il professionista, come visto nel primo capitolo, è detentore di competenze specifiche, che seppur a volte non riconosciute, garantiscono all’assistente sociale un forte potere all’interno dell’organizzazione e influenzano le scelte organizzative e istituzionali.

Proprio tra questi due livelli di responsabilità trova molto spazio il tema dell’autonomia, fin qui già preso in esame, e della discrezionalità. Per questo nel prossimo paragrafo si cercherà di affrontare alcune criticità e caratteristiche della professione. Queste due componenti svolgono infatti un forte ruolo nell’interpretazione e attuazione delle responsabilità fin qui descritte.

L’analisi critica di alcuni Titoli del Codice Deontologico riporta l’attenzione sull’importanza che l’assistente sociale conosca il Codice e lo utilizzi come strumento per leggere le dinamiche che coinvolgono i singoli, le comunità e l’organizzazione.

L’urgenza di operare non più solo per il singolo ma per la comunità deve essere riconosciuta come priorità dalla comunità professionale: è necessario che i professionisti si pongano come professionisti eticamente chiamati ad essere promotori di un movimento

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culturale, che deve tendere ad attivare processi di miglioramento delle politiche e della organizzazione sociale85.

Il Codice deve quindi guidare un “fare riflessivo” dell’assistente sociale, ponendo questo aspetto come elemento costante nell’agire quotidiano; deve essere punto di riferimento della professione, orientando le azioni professionali e creandone anche dei confini precisi.

85.Spisni L., Il codice deontologico. Uno dei primi atti dell’ordine, in Assistente Sociale. La professione in Italia. www.cnoas.info

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