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Le riflessioni conseguenti alla decisione delle Sezioni Unite

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 130-155)

La Corte di Cassazione, con la decisione riportata, ha finalmente chiarito quando e come il danno non patrimoniale è risarcibile nel nostro ordinamento, elaborando un indirizzo fondato su una ricostruzione dogmatica dell’istituto risarcitorio che idealmente si ricollega a quella enunciata dalle Sezioni Unite del maggio 2003 nn. 8827 e 8828, completando, peraltro, un percorso evolutivo già in precedenza intrapreso con la nota pronuncia ancora a Sezioni Unite n°500/1999.

Non a caso il relatore della sentenza esaminata è lo stesso della pronuncia n°500/1999: ed ossia il Presidente Dott. Roberto PREDEN.

Il principio fondamentale espresso dalle Sezioni Unite si rinviene nell’affermazione del danno non patrimoniale quale categoria unitaria, non suscettibile di sottoclassificazioni se non a titolo meramente esemplificativo. Per cui non è più dato distinguere tra danno morale, danno biologico e c.d. danno esistenziale, essendo siffatte tipologie di pregiudizi tutti riconducibili nell’unica grande categoria del danno non patrimoniale.

Questa impostazione comporta alcune importanti ricadute processuali. In primo luogo il superamento dell’indirizzo interpretativo secondo cui le istanze aventi per oggetto il risarcimento del danno morale, biologico e c.d. esistenziale integrerebbero domande distinte, al punto che la richiesta di un’ulteriore voce di danno in corso di giudizio rispetto a quella originariamente domandata era da giudicare inammissibile in quanto integrante una vera e propria mutatio libelli.

Con la decisione delle Sezioni Unite, infatti, le singole voci di danno non rilevano quali indici di pregiudizi autonomi ed indipendenti gli uni dagli altri, essendo, invece, la domanda genericamente proposta ex art.2059 c.c. da considerare sufficientemente preordinata al risarcimento del danno non patrimoniale in tutti i suoi aspetti. Ne deriva la possibilità di specificare in corso di causa il peculiare pregiudizio non patrimoniale di cui si è genericamente domandato già in precedenza ristoro, atteso che siffatta attività processuale integrerebbe gli estremi di una emendatio libelli, cioè di una mera precisazione.

In secondo luogo occorre precisare che la concezione del danno non patrimoniale quale categoria unitaria consente al Giudice di poter valutare il

nocumento lamentato dal danneggiato in tutti i suoi aspetti, a prescindere dalla qualificazione dello stesso compiuta dall’interessato. Per cui, se ad esempio sia domandato il risarcimento del danno biologico, si potrà comminare anche quello inerente un ulteriore diritto della personalità, o quello afferente al pretium

doloris.

Tuttavia, siffatto potere del Giudice non esime l’attore dall’obbligo di specificare adeguatamente nell’atto introduttivo del giudizio il nocumento del quale si chiede ristoro, non potendosi limitare ad indicazioni generiche, come quelle che si identificano in ambito contrattuale nella mera allegazione dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento, pena la nullità della citazione ex art.164 c.4 c.p.c. per omessa indicazione o assoluta incertezza della cosa oggetto della domanda (art.163 c.3 n°3 c.p.c.).

La pronuncia delle Sezioni Unite ha l’indubbio merito di avere fornito all’interprete un prospetto ermeneutico di riferimento utile a regolamentare l’applicazione di una disciplina particolarmente complessa in un settore ove, peraltro, non si era registrata uniformità di vedute, né in dottrina, né in Giurisprudenza.

Tuttavia, ci si chiede se questa decisione abbia risolto tutti i dubbi connessi alla complessa tematica del risarcimento dei danni non patrimoniali e se lo abbia fatto in modo condivisibile.

5.1 La rivalutazione del danno di cui all’art.2059 c.c. come interesse a seguito dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite

Ripercorrendo i principali passaggi delle motivazione si osserva che la lettura costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c. si fonda sulla interpretazione della nozione di danno, ivi contemplata, in quanto la locuzione “danni non patrimoniali” dovrebbe intendersi come riferita al danno-evento e non ai danni-conseguenza; infatti, la tipicità prevista dalla norma in esame dovrebbe essere concepita quale regola riferibile non ai danni in concreto da risarcire, bensì all’interesse non patrimoniale leso dal fatto illecito.

Sennonché, siffatto indirizzo ermeneutico, se da un lato ha il pregio di salvaguardare la norma da una prevedibile declaratoria di illegittimità costituzionale, dall’altro, però, appare incongruente con alcuni presupposti pacificamente accolti dalla Giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione in

tema di responsabilità. Ed, infatti, secondo un orientamento ormai univocamente accolto sia dalla dottrina che dalla Giurisprudenza, l’art.2059 c.c. non contempla un’autonoma fattispecie di illecito rispetto a quella prevista dall’art.2043 c.c., essendo soltanto quest’ultima norma a descrivere gli elementi costitutivi dell’illecito civile e, quindi, della responsabilità aquiliana. Per cui l’art.2059 c.c., implicitamente rinviando all’art.2043 c.c. per l’identificazione dei presupposti della responsabilità civile, sarebbe da considerare norma di complemento, e cioè quale disposizione destinata ad operare soltanto dopo che sia raggiunta la prova degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano. Ne consegue che anche in caso di lesione di interessi non patrimoniali, il parametro al quale riferirsi sarebbe sempre quello dell’ingiustizia del danno di cui all’art.2043 c.c. per l’affermazione della responsabilità del danneggiante, con successivo rinvio alla disciplina dell’art.2059 c.c. per la selezione dei danni- conseguenza non patrimoniali da risarcire. Se così è sarebbe logico, allora, sostenere che la tipicità di cui all’art.2059 c.c. sarebbe riferibile ai danni risarcibili e non agli interessi dalla cui lesione promana il c.d. danno ingiusto.

Le Sezioni Unite, invece, interpretando in senso costituzionalmente orientato la disposizione dell’art.2059 c.c., forse, giungono a concepire una norma che non sembra potersi desumere poiché appare troppo lontana dall’intento originario perseguito dal legislatore del 1942 per essere considerata conseguenza di mero procedimento ermeneutico. Al riguardo basti considerare che sarebbe difficilmente condivisibile sostenere, come l’indirizzo delineato dalla Cassazione dovrebbe indurre a ritenere, che il legislatore, dopo avere descritto all’art.2043 c.c. gli elementi costitutivi della responsabilità civile, tra i quali rientra anche quello rappresentato dall’ingiustizia del danno, e dopo avere nelle norme successive disciplinato aspetti già presupponenti l’affermazione della responsabilità, come ad esempio i profili concernenti i danni in concreto risarcibili143, torni nuovamente ad occuparsi all’art.2059 c.c. del “danno ingiusto”, ossia di un presupposto della responsabilità. Se, infatti, questo fosse stato l’intento del legislatore sarebbe stato più corretto su un piano di coerenza dell’impostazione normativa della disciplina, collocare, allora, il principio di tipicità del danno-evento derivante dalla lesione di interessi non patrimoniali nello stesso art.2043 c.c., ovvero, in una disposizione autonoma

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Come gli artt.2055 (responsabilità solidale), 2056 (valutazione dei danni), 2057 (danni permanenti), 2058 (risarcimento in forma specifica) c.c.

immediatamente successiva e non, invece, a chiusura del titolo IX, ossia a conclusione della disciplina dei fatti illeciti.

È pur vero che seguendo questo indirizzo critico, l’art.2059 c.c. sarebbe verosimilmente stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, poiché nel limitare la risarcibilità dei danni non patrimoniali alla necessaria sussistenza di una previsione normativa si sarebbe conseguentemente negata tutela ad interessi fondamentali della persona, come, ad esempio, quello alla salute.

Peraltro, occorre precisare che la prospettiva della declaratoria di illegittimità costituzionale era particolarmente preoccupante, non tanto a fronte del timore di una pronuncia di accoglimento secco con conseguente annullamento dell’art.2059 c.c. e creazione di un vuoto normativo, quanto, soprattutto, in relazione alla circostanza che la Corte Costituzionale avrebbe presumibilmente dovuto pronunciarsi con una sentenza additiva, essendo l’illegittimità riscontrabile non tanto con riguardo alla regola in sé prevista nella norma in esame (essendo la stessa espressione di un potere discrezionale dall’ordinamento riconosciuto al legislatore ordinario), quanto, invece, all’ostacolo che la medesima regola frappone alla risarcibilità dei pregiudizi conseguenti alla lesione di taluni interessi, ed esattamente di quelli che assurgono nel nostro ordinamento al rango di diritti fondamentali della persona. In altre parole, ad essere costituzionalmente illegittima non sarebbe la limitazione, in astratto, della risarcibilità dei danni non patrimoniali – atteso che si tratta di una scelta rimessa al potere discrezionale del legislatore – ma l’esclusione del risarcimento per i danni non patrimoniali conseguenti alla lesione di quegli interessi che, in quanto afferenti alla sfera di tutela fondamentale della persona, sono riconosciuti nel nostro ordinamento a livello costituzionale.

Per cui, era più che ragionevole ritenere che la Consulta si sarebbe molto probabilmente orientata nel senso di limitarsi a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art.2059 c.c. nella parte ove non prevede la risarcibilità, ad esempio, del danno alla salute, ecc…

Sennonché, proprio siffatta prospettiva destava più di una perplessità poiché, se da un lato, poteva risolversi nella pronuncia di un’unica sentenza esplicativa del principio secondo cui la lesione dei diritti fondamentali, in generale, della persona deve essere risarcibile in tutti i suoi aspetti, patrimoniali

e non, dall’altro avrebbe potuto comportare, invece, il rischio di una molteplicità di pronunce additive tante quanti sono i diritti della personalità costituzionalmente rilevanti e se si considera che la genericità del testo normativo dell’art.2 Cost. consente il riconoscimento (sebbene implicito) di sempre nuovi diritti fondamentali della persona si comprende chiaramente la portata della problematica che si sarebbe presentata dinanzi alla Corte Costituzionale. Si comprende agevolmente, pure, che la configurabilità dell’una o dell’altra prospettiva sarebbe dipesa molto dalle concrete modalità tramite le quali i Giudici a quo, sollevando la questione incidentale di incostituzionalità, avrebbero formulato il quesito di illegittimità da sottoporre al giudizio della Consulta; sennonché, potendo i Giudici sollevare tale questione soltanto in relazione alle norme che, in concreto, devono applicare per la soluzione della controversia rimessa al loro sindacato, sembrava di gran lunga più probabile la seconda delle due prospettive descritte.

Quest’ultima possibilità, peraltro, era avvertita come una problematica di allarmante attualità poiché nel nostro ordinamento si era già concretizzata un’esperienza simile quella prospettata, esistendo, infatti, una norma nei cui riguardi sono state emesse decine di sentenze additive da parte della Corte Costituzionale: si tratta dell’art.34 c.p.p., che, disciplinando l’incompatibilità c.d. funzionale tra magistrati, è stata oggetto di un molteplicità di pronunce di illegittimità con le quali è stato ridefinito l’ambito di operatività delle regole ivi previste. E peraltro in tal senso sembrava essere particolarmente indicativa anche l’esperienza giurisprudenziale sin li maturata, atteso che molte erano state le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dai Giudici in relazione all’art.2059 c.c. ed anche in ordine all’art.2043 c.c.

Per questi motivi la Suprema Corte di Cassazione avrebbe preferito la soluzione adottata nelle decisioni delle Sezioni Unite del 2008, ricorrendo allo strumento dell’interpretazione costituzionalmente orientata, così risolvendo in via ermeneutica una complessa problematica che, diversamente, non sarebbe stata di agevole risoluzione per la Consulta, stante il suddetto rischio rappresentato dalla necessità di un suo reiterato intervento sull’art.2059 c.c. tramite la pronuncia di una molteplicità indefinita di sentenze additive a fronte del continuo evolversi dei diritti fondamentali della persona nonché in

conseguenza del costante avvento di sempre nuovi diritti della personalità ai quali si riconosce rilievo nel nostro ordinamento attraverso l’art.2 Cost.

5.2 Rilievi in ordine all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c.

Queste, dunque, le ragioni che avrebbero indotto la Corte di Cassazione a ricorrere all’interpretazione costituzionalmente orientata del’art.2059 c.c. nel senso chiarito con la pronuncia in esame delle Sezioni Unite del 2008.

Sennonché, al riguardo, appare opportuna ancora qualche riflessione, soprattutto, laddove ci si soffermi sulle tre distinte modalità tramite le quali sarebbe risarcibile il danno non patrimoniale nel nostro ordinamento.

Ed, invero, in ordine alla prima ipotesi, ossia quella più tradizionale, ogniqualvolta l’illecito civile costituisca anche reato, secondo le Sezioni Unite, sarebbero risarcibili i danni non patrimoniali conseguenti alla lesione di qualsiasi interesse non patrimoniale, ivi inclusi quelli privi di copertura costituzionale. Questa impostazione sembra riprendere indirettamente quella originaria concezione sanzionatoria del danno non patrimoniale concepita (dapprima) dalla Giurisprudenza penalistica, poiché dal combinato disposto di cui agli artt.2059 c.c. e 185 c.p. sarebbe desumibile una maggiore propensione dell’ordinamento a riconoscere tutela agli interessi non patrimoniali in genere, non essendo rilevante, ai fini risarcitori, il loro riconoscimento a livello costituzionale.

Tuttavia, per poter adeguatamente valutare la portata di siffatta riflessione occorre confrontare l’ipotesi dell’illecito costituente reato con quella della risarcibilità dei danni non patrimoniali affermata da previsioni normative diverse da quella contemplata dall’art.185 c.p.

Si tratta della seconda ipotesi presa in considerazione dalle Sezioni Unite. Ed, infatti, laddove l’illecito civile sia privo di rilevanza penale e sia previsto espressamente da una norma come fonte di risarcimento anche di danni non patrimoniali, saranno risarcibili, secondo la Suprema Corte, soltanto quei pregiudizi immediatamente e direttamente conseguenti alla lesione di quello specifico interesse non patrimoniale preso in considerazione dalla normativa di riferimento.

Le Sezioni Unite, sul punto, hanno richiamato a titolo di esempio la disciplina della privacy e della discriminazione personale, puntualizzando che gli interventi del legislatore volti ad ampliare l’ambito di risarcibilità dei danni non patrimoniali sono preordinati a tutelare diritti fondamentali della persona. Il che avrebbe potuto condurre alla conclusione che l’art.185 c.p., in realtà, conserverebbe la sua originaria natura sanzionatoria, soprattutto, dopo che le Sezioni Unite hanno precisato che in caso di reato il risarcimento si estende a tutti i danni conseguenti alla lesione anche di interessi non patrimoniali privi di rilievo costituzionale.

Sennonché, le stesse Sezioni Unite hanno precisato che se, da un lato, è vera la preordinazione delle ipotesi normative, diverse dall’art.185 c.p., attualmente statuenti la risarcibilità dei danni non patrimoniali alla tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, dall’altro, però, è anche vero che il legislatore ben potrebbe introdurre ipotesi normative differenti laddove la risarcibilità dei pregiudizi non suscettibili di valutazione economica sia affermata quale conseguenza della lesione di interessi non patrimoniali privi di rilievo costituzionale.

Ed invero, nell’affermare siffatta prospettiva sembra che la Cassazione, nell’ambito dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c., si sia spinta al punto da esplicare una funzione più prossima a quella del Giudice delle leggi, piuttosto che del Giudice del diritto, essendo il principio espresso nella sentenza in esame spesso rinvenibile in molte pronunce della Consulta con riguardo all’art.3 Cost. ed al rapporto tra principio di ragionevolezza e potere discrezionale del legislatore ordinario.

Tuttavia, la riconosciuta possibilità per il legislatore di introdurre ipotesi normative preordinate alla tutela di interessi non patrimoniali privi di rilievo costituzionale dovrebbe indurre ad escludere il riconoscimento di una natura sanzionatoria all’ipotesi contemplata dall’art.185 c.p., essendo, infatti, quest’ultima introdotta nel nostro ordinamento in un’epoca in cui l’assetto costituzionale di riferimento degli interessi e dei valori della società era differente.

Infine, per quanto concerne la terza ipotesi di risarcibilità dei danni non patrimoniali, le Sezioni Unite prevedono che in assenza di un espresso riconoscimento normativo occorrano tre requisiti, quali la lesione di un diritto

inviolabile della persona, la gravità della lesione (identificabile nel superamento di quella soglia minima di tolleranza desumibile dai doveri di solidarietà sociale di cui all’art.2 Cost.) e la rilevanza del danno (consistente nella non futilità del pregiudizio patito).

Al riguardo, occorre sottolineare che la scelta di limitare la risarcibilità ai soli danni conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona appare coerente con l’evoluzione del pensiero giurisprudenziale in tema di danni non patrimoniali da illecito.

La Corte, tuttavia, ha precisato che la riserva di legge di cui all’art.2059 c.c. può essere soddisfatta dalla Costituzione ma non dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, poiché, pur essendo senza dubbio qualificabili come fondamentali i diritti ivi contemplati, a quest’ultimi «non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell’art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, né può essere parificata, a tali fini, all’efficacia del diritto comunitario nell’ordinamento interno». Da questo passaggio della motivazione si coglie l’esigenza, da un lato, di evitare una proliferazione dei diritti inviolabili della persona, soprattutto in virtù dell’ampia portata della norma generale di riferimento, ossia, l’art.2 Cost., e, dall’altro, di escludere che il rinvio a fonti internazionali, come quella in esame, comportando la qualificazione come fondamentali di una molteplicità di diritti non propriamente riconducibili alla sfera a-reddituale della persona (tra i quali si possono citare anche la sicurezza e la proprietà), possa determinare un’estensione della responsabilità civile al punto di ammettere senza limitazione alcuna la risarcibilità dei danni non patrimoniali derivanti dalla lesione di diritti dal contenuto squisitamente patrimoniale144.

144 FACCI, Il danno non patrimoniale nelle relazioni familiari dopo le sentenze delle sezioni

unite dell’11 novembre 2008, in Famiglia e diritto, 2009, II, p.127: “Da tale passaggio, appare evidente la volontà di evitare una proliferazione di diritti inviolabili della persona, in assenza di un preciso riferimento normativo nonché di impedire che diritti quali, ad esempio, la «proprietà» o la «sicurezza» (13), se lesi, possano determinare una protezione senza limitazioni anche a livello non patrimoniale”; in nota si richiamano alcuni importanti arresti

giurisprudenziali: “Con riferimento alla sicurezza, Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3284, riguardante il caso in cui l’istante lamentava la responsabilità della p.a., per aver posto un palo portante una lampada di illuminazione pubblica (lampione) nell’immediata vicinanza della facciata del palazzo nel quale abitava, a distanza tanto ravvicinata dal suo appartamento da renderne possibile l’accesso a qualunque malintenzionato, così pregiudicando il suo diritto «alla salute ed alla sicurezza della persona», tanto più in relazione ai possibili pericoli connessi alla

Qualche riflessione in più merita, poi, il presupposto della gravità della lesione, che, per vero, sembra riprendere il pensiero di chi in dottrina145 ne aveva teorizzato l’importanza sin da tempi precedenti, sebbene ai soli fini della quantificazione del danno non patrimoniale, atteso che la gravità del fatto inciderebbe anche sulla gravità dell’offesa.

Questo peculiare requisito, tuttavia, sembrerebbe richiamare la concezione sanzionatoria del danno non patrimoniale, essendo la gravità della lesione, in pratica, identificabile nella gravità dell’offesa arrecata al bene giuridico tutelato. Circostanza, questa, che, peraltro, rinvia ai principi fondamentali della responsabilità penale, laddove la punibilità del fatto storico dipende dal rispetto dei principi fondamentali che governano la comminazione della pena, occorrendo che esso sia tipico, materiale, colpevole e, soprattutto per quanto di maggiore interesse in questa sede, offensivo, ossia, tale da arrecare al bene giuridico protetto dall’ordinamento una lesione apprezzabile.

Lo stesso si potrebbe, infatti, sostenere anche per il danno non patrimoniale, atteso che la gravità dell’offesa è un presupposto richiesto per la configurabilità dell’ingiustizia del danno.

Tuttavia, l’interpretazione costituzionalmente orientata sancita dalla Suprema Corte si presterebbe anche ad una diversa lettura che escluderebbe in effetti qualsiasi rinvio alla concezione sanzionatoria del danno non patrimoniale, potendosi a siffatto esito pervenire sulla base di una valutazione

sua qualità di magistrato. Nel caso di specie, si è affermato che lo stress psicologico da timore è solo una conseguenza della lesione di un possibile interesse protetto, il quale va tuttavia previamente individuato perché possa anche solo venire in considerazione il danno derivante dalla lesione dello stesso; e, per altro verso, che né la serenità né la sicurezza costituiscono, di per sé, diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, la cui lesione consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale. In questo senso anche le sezioni Unite dell’11 novembre 2008: «in tal senso, per difetto dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata, è stato correttamente negato il risarcimento ad una persona che si affermava “stressata” per effetto dell’istallazione di un lampione a ridosso del proprio appartamento per la compromissione della serenità e sicurezza, sul rilievo che i menzionati interessi non sono presidiati da diritti di rango costituzionale (sent. n. 3284/2008)»”.

145 BIANCA, La responsabilità, cit., p.174: “Il danno non patrimoniale deve essere liquidato in

via equitativa , ma tale determinazione non deve tenere conto dei fattori di probabile incidenza

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 130-155)