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Il danno non patrimoniale da inadempimento sub specie di danno da vacanza rovinata nella concezione del diritto comunitario

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 95-111)

La questione concernente la risarcibilità dei danni non patrimoniali da inadempimento è stata affrontata anche in ambito sovranazionale con riguardo alla tematica del c.d. danno da vacanza rovinata.

91 Se non altro perché ai sensi dell’art.82 c.1 e 2 c.p.c. le parti possono stare in giudizio senza il

patrocinio del difensore nelle cause aventi valore non superiore ad € 516,46 o se sono autorizzate dal Giudice diPace.

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Perché la procedura è molto più snella e veloce rispetto a quella ordinaria contemplata dagli art.163 e ss c.p.c.

Più precisamente, il tema è stato oggetto di una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea resa, ai sensi dell’art.234 TCE, in via pregiudiziale per l’interpretazione di una Direttiva CEE avente per oggetto la disciplina dei servizi inerenti esattamente “i viaggi, le vacanze e i circuiti tutto compreso”.

Il caso era quello della signorina Leitner, di origine austriaca, che aveva acquistato da un’agenzia di viaggi un pacchetto tutto compreso per trascorrere un periodo di vacanza in Turchia, con incluso soggiorno in un centro turistico. Sennonché, una volta giunta a destinazione ella contraeva un’intossicazione di tipo alimentare dovuta alla non genuinità delle vivande offerte dal centro turistico ove temporaneamente dimorava. Quindi, essendosi rimessa dopo alcune settimane, la signorina Leitner chiedeva all’agenzia presso la quale aveva acquistato il suddetto pacchetto turistico un risarcimento danni per un ammontare pari ad ATS 25000. Il giudice austriaco di primo grado accoglieva la domanda soltanto in parte, condannando l’agenzia al pagamento di ATS 13000 per le sofferenze fisiche patite dalla signorina Leitner a causa della intossicazione alimentare contratta durante il viaggio, respingendo la richiesta di risarcimento ulteriore avente per oggetto il danno da mancato godimento della vacanza poiché, trattandosi di pregiudizio qualificabile come danno morale ed essendo la sua risarcibilità secondo le leggi del diritto austriaco subordinata alla sussistenza di una norma che espressamente lo consenta, mancava nel diritto interno un’espressa previsione normativa contemplante siffatta tipologia di danno; pertanto, la domanda doveva essere rigettata. Il giudice austriaco in grado di appello condivideva il ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure dal punto di visto del diritto interno, ma sottolineava che a diversa conclusione si sarebbe potuto pervenire laddove si fosse rivalutato il dettato dell’art.5 Dir. 90/314/CEE. Ed, infatti, il giudice austriaco di appello, richiamando un precedente della Corte di Giustizia (causa C-355/96, decisa con sentenza del 28 luglio 1998), specificava che le direttive, anche se non idonee a creare obblighi a carico di un singolo, devono essere prese in considerazione dal giudice nazionale, poiché costituiscono parametro di riferimento per l’applicazione del diritto interno93. E, cioè, secondo la Corte di Giustizia, i

93 Questo principio è stato ribadito anche dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 16 giugno

2005 (C-105/03) con riguardo al caso Pupino, sebbene in relazione alle decisioni-quadro, che costituiscono fonti normative del terzo pilastro ed hanno caratteristiche similari alle direttive: “Il

giudici nazionali sarebbero tenuti ad interpretare il diritto interno in modo da renderlo, ove possibile, conforme ai principi espressi nelle direttive comunitarie, a prescindere dalla idoneità di queste a produrre effetti diretti (atteso che tali effetti sarebbero comunque verticali, ossia concernenti il rapporto Stato- cittadino, e mai orizzontali, non potendo costituire in capo ai cittadini diritti da poter opporre ad altri cittadini94). Tuttavia, il giudice austriaco, considerando la direttiva non sufficientemente precisa in ordine al profilo riguardante l’affermazione della risarcibilità del danno morale da vacanza rovinata, e quindi, ritenendola apparentemente inidonea ad orientare il giudice nazionale nell’applicazione del diritto interno – essendo il parametro di riferimento interpretativo costituito da un principio che, in realtà, non sarebbe esplicitamente sancito nemmeno dal legislatore comunitario – ha ritenuto necessario sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria alla Corte di Giustizia con riguardo all’art.5 della Dir. 90/314/CEE onde comprendere se tale norma debba essere interpretata nel senso che, in linea di principio, si possa ritenere dovuto l'indennizzo a fronte di domande di risarcimento di danni morali.

La Corte di Giustizia, prima di pronunciarsi sulla questione pregiudiziale interpretativa sottoposta alla sua attenzione, ha proceduto ad un esame dei vari indirizzi delineatisi sul punto. In particolare, le soluzioni ermeneutiche prospettate con riguardo alla risarcibilità del c.d. danno da vacanza rovinata, nella sua componente morale, erano esattamente quattro.

La prima, sostenuta dalla signorina Leitner, muoveva dalla considerazione che la Dir. 90/314/CEE era preordinata al riavvicinamento delle legislazioni nazionali in modo da garantire agli operatori turistici pari possibilità di proporre in tutti gli Stati membri condizioni di viaggio identiche. Per cui, essendo quello della risarcibilità del danno morale un aspetto di differenziazione dei vari ordinamenti interni e dovendosi uniformare il regime anche della responsabilità degli operatori del settore turistico in ambito comunitario, il

giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione le norme dell’ordinamento nazionale nel loro complesso e ad interpretarle, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della detta decisione quadro”.

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La Corte di Giustizia ha affermato il suddetto principio poiché la direttiva è un atto normativo destinato agli Stati membri e non ai cittadini. Quest’ultimi, infatti, possono beneficiare di eventuali effetti diretti soltanto laddove la direttiva imponga agli Stati membri obblighi a fronte dei quali si possono configurare in capo ai singoli individui diritti precisi e, soprattutto, incondizionati, ed ossia, il cui riconoscimento ed ambito di operatività non sia rimesso al potere discrezionale del legislatore nazionale.

danno da vacanza rovinata non poteva che essere considerato dalla Direttiva. Conseguentemente, l’art.5 n°2 c.4 della Dir. citata, nella parte ove prevede la possibilità di limitare contrattualmente il risarcimento dovuto dall’operatore turistico, doveva essere interpretato in senso onnicomprensivo, ed ossia tale da includere anche il danno morale.

La seconda posizione ermeneutica era quella sostenuta dai Governi austriaco, francese e finlandese. Secondo siffatto indirizzo la Direttiva in esame si limiterebbe a stabilire un complesso di regole preordinate a definire soltanto un livello minimo di tutela per i consumatori che acquistano pacchetti turistici “tutto compreso”, essendo rimessa, pertanto, alla discrezionalità degli Stati membri la disciplina di tutti gli altri aspetti non espressamente regolamentati, tra i quali rientrerebbe anche quello della responsabilità civile dell’operatore turistico. Per cui non potrebbe cogliersi alcun riconoscimento implicito in ordine alla risarcibilità del danno da vacanza rovinata nell’art.5 n°2 c.4 della Dir. 90/314/CEE laddove menziona genericamente il tema della responsabilità dell’operatore turistico e, quindi, del risarcimento del danno. Se, dunque, questo era l’orientamento interpretativo da seguire, il risarcimento del danno morale da vacanza rovinata sarebbe stato rimesso alla disciplina contemplata dal diritto interno dei singoli Stati membri, con la conseguenza che nei Paesi (come il nostro) ove il danno morale non è risarcibile in mancanza di un espresso riconoscimento normativo, continuerebbe a non esserlo nonostante l’intervento del legislatore comunitario.

La terza prospettiva ermeneutica era sostenuta dal Governo belga e muoveva dalla considerazione della nozione di danno richiamata dall’art.5 n°2 c.4 della Dir. 90/314/CEE quale espressione volutamente generica in quanto destinata a comprendere qualsiasi tipologia di nocumento, ivi compreso quello morale, subito dal consumatore che abbia acquistato un pacchetto turistico “tutto compreso”. Questo indirizzo si soffermava, in particolare, sulle peculiari conseguenze che sarebbero derivate per gli ordinamenti nazionali dall’interpretazione della Direttiva nel senso specificato; ed, infatti, a differenti conclusioni si sarebbe pervenuti secondo che la legislazione interna dei singoli Stati membri avesse consentito o meno, di per sé, il risarcimento del danno morale da vacanza rovinata, in quanto, mentre nei Paesi ove il diritto interno ammetteva la risarcibilità di siffatti pregiudizi la Direttiva avrebbe attribuito al

legislatore nazionale la facoltà di apporre un limite al risarcimento secondo determinati criteri, nei Paesi ove il danno morale sarebbe risarcibile soltanto a fronte di un’espressa previsione normativa, in carenza di siffatto requisito il diritto interno escluderebbe il risarcimento del danno da vacanza rovinata, così, ponendosi in contrasto con i principi sanciti dal legislatore comunitario nella Direttiva.

La quarta prospettiva ermeneutica, infine, era quella enunciata dalla Commissione e si fondava su considerazioni di più ampio respiro, ossia, non limitate soltanto all’interpretazione del testo della Direttiva, essendo, invece, volte ad esaminare anche le diversità caratterizzanti il diritto interno dei singoli Stati membri onde rinvenire la sussistenza o meno di margini di operatività tali da favorire un concreto riavvicinamento delle legislazioni nazionali in specifici settori. E con riguardo a quello dei servizi turistici, la Commissione osservava, anzitutto, che, da un lato, la nozione di danno richiamata nella Direttiva in esame era volutamente generica in quanto non contraddistinta da limitazione alcuna nel suo significato, e, dall’altro, che in caso di vacanza rovinata il consumatore subirebbe danni anche diversi da quelli corporali, ossia concernenti la sfera della sua incolumità psico-fisica. Questi due elementi potrebbero essere, infatti, indicativi della consapevolezza del legislatore comunitario in ordine alle conseguenze che potrebbero derivare dall’inadempimento degli obblighi degli operatori turistici ai danni dei consumatori, potendosi anche sostenere che la genericità della nozione di danno contemplata nella Direttiva sia stata volutamente adoperata in quanto preordinata a coprire qualsiasi tipologia di pregiudizio, incluso quello morale. La Commissione, precisava, poi, che in tutti gli Stati membri, in misura minore o maggiore, il danno morale è risarcibile, e se, inoltre, si considera che in tutti gli ordinamenti democratici si ascrive un’importanza sempre crescente alle vacanze e, più in generale, al periodo di riposo dall’attività lavorativa espletata durante l’anno, si dovrebbe concludere nel senso di non ritenere escluso il danno morale dal novero dei pregiudizi risarcibili secondo quanto stabilito dall’art.5 n°2 c.4 Dir. 90/314/CEE.

La Corte di Giustizia, esaminati i suddetti indirizzi, precisa che la Direttiva è preordinata al riavvicinamento delle legislazioni nazionali al fine di garantire condizioni paritarie di accesso al mercato dei servizi turistici in tutti

gli Stati membri e fra le misure idonee al perseguimento di siffatto scopo l’art.5 n°2 c.1 espressamente richiama la necessità di predisporre strumenti atti ad assicurare che l’organizzatore risarcisca i danni arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto.

La Corte, quindi, si sofferma su due fondamentali aspetti della questione: e, cioè, il rilievo ascrivibile alla risarcibilità del danno morale quale profilo rilevante ai fini della regolamentazione della concorrenza, e l’importanza dell’interesse non patrimoniale del consumatore a godere del beneficio connesso a quel rilassamento per il cui conseguimento era stato acquistato il pacchetto turistico.

Con riguardo al primo profilo, la Corte di Giustizia chiarisce che l’affermazione della risarcibilità del danno non patrimoniale costituisce un aspetto decisivo per il rispetto della concorrenza, atteso che laddove le discipline nazionali divergenti sul punto rimanessero inalterate, gli operatori turistici avrebbero convenienza ad esercitare la propria attività imprenditoriale in quei Paesi ove il danno morale non sarebbe risarcibile, soprattutto in considerazione della circostanza che tali danni sono particolarmente frequenti nel settore dei viaggi, come sottolineato opportunamente dalla Commissione. Ragione, questa, per la quale è necessario garantire uniformità di disciplina in tema di risarcimento del danno morale onde evitare il pericolo di “distorsioni di

concorrenza notevoli”.

In ordine, poi, alla seconda questione, è indubbio che nei contratti aventi per oggetto viaggi e pacchetti turistici tutto compreso l’interesse non patrimoniale dello svago e del divertimento costituisca una componente fondamentale della causa contrattuale.

Dovendosi, dunque, interpretare la Direttiva in esame alla stregua delle suddette considerazioni, la Corte conclude nel senso di ritenere risarcibile il danno morale da vacanza rovinata, in quanto pregiudizio da doversi intendere implicitamente compreso nella nozione di danno richiamata dall’art.5 n°2 c.1 e n°2 c.495.

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Corte di Giustizia (sesta sezione) 12 maggio 2002 (C-168/2000): “[…] 19 Si deve ricordare che l'art. 5, n. 2, primo comma, della direttiva impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché l'organizzatore di viaggi risarcisca «i danni arrecati al consumatore dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto».

20 A tale riguardo va rilevato che dal secondo e terzo considerando della direttiva risulta che essa ha per scopo, in particolare, l'eliminazione delle divergenze accertate tra le normative e le

3.1 L’orientamento seguito dalla giurisprudenza italiana in tema di danno da vacanza rovinata

La decisione della Corte di Giustizia ha affermato che il danno morale da vacanza rovinata deve essere risarcibile, ma non ha, del pari, chiarito come detto principio debba essere applicato dai giudici nazionali, soprattutto in quegli ordinamenti, come il nostro, ove il diritto interno subordina la risarcibilità del danno non patrimoniale ad un espresso riconoscimento normativo.

I Giudici italiani, al riguardo, hanno ammesso il risarcimento del danno da vacanza rovinata seguendo, in sostanza, due indirizzi fondati su distinti percorsi argomentativi, in quanto, l’uno presuppone il ricorso all’art.2059 c.c., e, l’altro, invece, lo esclude.

Il primo indirizzo rinviene nell’art.2059 c.c. la norma di riferimento per la disciplina del danno da vacanza rovinata, in quanto nocumento di natura non patrimoniale, giungendo ad ammettere il risarcimento di siffatto pregiudizio in forza del disposto dell’art.13 della Convenzione internazionale di Bruxelles sul contratto di viaggio (CCV)96. Questa disposizione esattamente prevede che l’organizzatore di viaggi sia chiamato a rispondere di “qualunque pregiudizio” connesso alla mancata o inesatta esecuzione del contratto97. Secondo l’indirizzo

prassi nei diversi Stati membri in materia di viaggi «tutto compreso» e atte a generare distorsioni di concorrenza tra gli operatori stabiliti nei diversi Stati membri.

21 Orbene, è pacifico che nel settore dei viaggi «tutto compreso» l'esistenza di un obbligo di risarcire i danni morali in taluni Stati membri e la sua mancanza in altri avrebbe come conseguenza delle distorsioni di concorrenza notevoli, tenuto conto del fatto che, come osservato dalla Commissione, si rilevano frequentemente danni morali in tale settore.

22 Si deve inoltre rilevare che la direttiva, più particolarmente il suo art. 5, mira a offrire una tutela ai consumatori e che, nell'ambito dei viaggi turistici, il risarcimento del danno per il mancato godimento della vacanza ha per loro un'importanza particolare.

23 E' alla luce di tali considerazioni che si deve interpretare l'art. 5 della direttiva. Se quest'articolo si limita, nel suo n. 2, primo comma, a rinviare in modo generale alla nozione di danni, si deve rilevare che, prevedendo al suo n. 2, quarto comma, la facoltà per gli Stati membri di ammettere che, per quanto riguarda i danni diversi da quelli corporali, l'indennizzo sia limitato in virtù del contratto, a condizione che tale limitazione non sia irragionevole, la direttiva riconosce implicitamente l'esistenza di un diritto al risarcimento dei danni diversi da quelli corporali, tra cui il danno morale.

24 Si deve perciò risolvere la questione sollevata dichiarando che l'art. 5 della direttiva dev'essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio «tutto compreso»”.

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La Convenzione internazionale sul contratto di viaggio è stata firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970 ed è stata ratificata dallo Stato Italiano con legge 27 dicembre 1977, n°1084. La Convenzione è entrata in vigore il 4 ottobre 1979.

97 In tal senso Trib. di Roma, 6 ottobre 1989, in Responsabilità civile e previdenza, 1991, p.512,

con nota di C. VACCÀ, Inadempimento contrattuale e risarcimento del danno non

in esame il rinvio all’art.13 CCV (o più propriamente alla legge interna che ha dato esecuzione al trattato internazionale) sarebbe sufficiente a soddisfare la riserva di legge contemplata dall’art.2059 c.c. e, dunque, a consentire il risarcimento del danno da vacanza rovinata relativamente alla sua componente morale.

Sennonché, questo orientamento deve essere rivisto alla luce dell’emanazione del D. lgs. 111/1995 che ha dato attuazione alla richiamata Direttiva n°90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso. Ed, infatti, particolarmente controversi sembrano essere i rapporti tra le normative sovranazionali in tema di servizi turistici, atteso che non è ancora chiaro se la disciplina contemplata dalla Convenzione internazionale di Bruxelles sul contratto di viaggio debba intendersi o meno abrogata da quella introdotta dal citato Decreto legislativo98. Si tratta di una questione, peraltro, resa ancora più complessa dalla riserva apposta dallo Stato Italiano in sede di recepimento della Convenzione internazionale sul contratto di viaggio, in quanto si è voluto espressamente limitarne l’ambito di operatività ai soli

giugno 1998, in Contratti, 1999, p.39, con nota di E. GUERINONI, Il danno da vacanza

rovinata; Trib. di Bologna, 15 ottobre 1992, in Contratti, 1993, p.327.

In dottrina la qualificazione del danno da vacanza rovinata quale pregiudizio non patrimoniale sembra condivisa da F. D. BUSNELLI, Interessi della persona e risarcimento del danno, in Riv.

trim., 1996, p.14, secondo il quale la tutela degli interessi fondamentali della persona assicurata

dall’art.13 CCV, sarebbe, da un lato, adeguatamente garantita dall’affermazione della risarcibilità dei danni non patrimoniali, e, dall’altro, bilanciata dalla previsione di strumenti preordinati a limitare l’entità del risarcimento.

98 Sul punto si vedano le attente riflessioni di M. CAVALLARO, Prassi applicativa e sistema

nel “danno da vacanza rovinata”, in Rassegna di Diritto Civile, 2002, 1-2, p.25 in nota: “È noto come l’art.2 d. lgs. 111/95 fissi all’applicabilità della onte di derivazione comunitaria un doppio limite: uno di carattere oggettivo e uno di carattere soggettivo.

Il limite oggettivo richiede la combinazione all’interno del “pacchetto” di almeno due servizi fra quelli indicati dalla stesa disposizione, e prevede altresì la durata minima del viaggio, che non può essere inferiore alla ventiquattro ore, ovvero deve includere al suo interno almeno una notte. Ne consegue che restano esclusi dalla sfera di applicazione del d. lgs. 111/95 alcuni rapporti (per esempio la c.d. gita di un giorno o il soggiorno di studio) i quali non presentano gli estremi richiamati, laddove la CCV (art.1), pur includendola prestazione del trasporto fra i presupposti di operatività della disciplina, non pone limiti di durata minima del viaggio e finisce così col godere, almeno sotto questo profilo, di un ambito di applicazione più ampio del d. lgs. 111/95.

Sotto il profilo soggettivo, poi, secondo quanto sancito dall’art.3, la disciplina attuativa troverebbe applicazione solo con riferimento a determinate categorie di operatori, laddove la CCV è suscettibile di essere estesa a chiunque di fatto (anche abusivamente o occasionalmente) organizzi o venda pacchetti turistici.

La questione è controversa, posto che il legislatore non ha dettato una norma transitoria destinata a regolamentare la materia, stante, però l’accennata diversità di ambiti (oggettivi e soggettivi) di applicazione delle due fonti, la soluzione che appare più in sintonia col sistema delineato nel suo complesso è quella che prevede un coordinamento fra le due normative al fine di consentire l’estensione della disciplina più “garantista” della posizione del turista prevista dal d. lgs. 111/95 anche alle ipotesi che continuano ad essere disciplinate dalla CCV”.

contratti internazionali di viaggio. Sennonché, anche su siffatto profilo sono state sollevate perplessità dovute alla efficacia della suddetta riserva, atteso che la medesima sarebbe stata apposta secondo modalità differenti da quelle previste dalla Convenzione stessa.

Per superare le difficoltà insite alla risoluzione della questione richiamata, coloro i quali propendono per l’orientamento volto ad avvalersi dell’art.2059 c.c. onde affermare la risarcibilità del danno da vacanza rovinata rinvengono nella nuova disciplina introdotta dal D. lgs. 111/1995 il fondamento normativo al quale doversi avere riguardo. In particolare, secondo questo indirizzo, la riserva di legge di cui al’art.2059 c.c. sarebbe soddisfatta mediante il rinvio all’art.13 c.2 D. lgs. citato nella parte ove, in tema di recesso ingiustificato del consumatore ed annullamento del servizio imputabile alla sfera di controllo dell’organizzatore, prevede il diritto del turista ad essere risarcito “di ogni ulteriore danno” derivante dalla mancata esecuzione del contratto, nonché mediante il rinvio all’art.16 del D. lgs. citato, che, infatti, pur disciplinando il diverso profilo concernente i limiti del risarcimento dovuto dall’operatore turistico, a sua volta richiama l’art.13 CCV, così recependone il

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 95-111)