• Non ci sono risultati.

Responsabilità per danni diversi da quelli alla persona.

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 111-119)

Le parti contraenti possono convenire in forma scritta, fatta salva in ogni caso l'applicazione dell'art. 1341, secondo comma, del codice civile, limitazioni al risarcimento del danno, diverso dal danno alla persona, derivante dall'inadempimento o dall'inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico.

La limitazione di cui al comma 1 non può essere, a pena di nullità, comunque inferiore a quanto previsto dall'art. 13 della convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio (C.C.V.), firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970, resa esecutiva con legge 29 dicembre 1977, n. 1084. In assenza di specifica pattuizione, il risarcimento del danno è ammesso nei limiti previsti dall'art. 13 della convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio (C.C.V.), firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970, resa esecutiva con legge 29 dicembre 1977, n. 1084 e dall'art. 1783 e seguenti del codice civile.

Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in un anno dal rientro del viaggiatore nel luogo di partenza.

Al riguardo, si dovrebbe escludere che il danno in esame possa essere riconducibile alla categoria dei danni alla persona, come, in effetti si sarebbe, invece, dovuto concludere laddove lo si fosse qualificato come danno biologico o come danno esistenziale o come danno conseguente alla lesione di un autonomo diritto della personalità. Peraltro, la riconduzione del danno da vacanza rovinata nell’ambito della categoria dei danni alla persona avrebbe comportato il superamento del limite al risarcimento.

Per cui, trattandosi di danno promanante dalla lesione di un interesse contrattuale, lo si deve ricondurre alla categoria dei danni diversi da quelli alla persona e alle cose, con conseguente soggezione dell’obbligazione risarcitoria ai limiti previsti dalla disciplina di riferimento.

Si potrebbe, tuttavia, sostenere che il superamento di siffatti limiti risarcitori sarebbe possibile, in forza dell’art.25 CVV, laddove al fatto dell’inadempimento dell’operatore turistico possa ascriversi rilievo anche extracontrattuale, atteso che la norma citata esclude l’operatività di limitazioni al risarcimento dei danni conseguenti a fatti costituenti fonti di responsabilità extracontrattuale per l’operatore ogniqualvolta costui abbia agito con da dolo o colpa grave.

Sennonché, una parte della dottrina critica siffatta evenienza muovendo dal presupposto che determinante il tal senso risulterebbe essere “sia il silenzio

della legge che – in mancanza di diversa pattuizione delle parti – non circoscrive in nessun caso l’operatività dei limiti risarcitori, sia la ratio stessa che sottostà alla fissazione di tali limiti, previsti allo scopo di bilanciare la responsabilità “oggettiva” dell’operatore turistico e quindi per evitare una sua esposizione ad un rischio che sarebbe altrimenti imprevedibile”113.

Peraltro, il suddetto tentativo di superamento dei limiti risarcitori implicherebbe la necessità di ricorrere alla teoria del concorso di azioni ed a tutte le problematiche alla medesima connesse.

113

M. CAVALLARO, Prassi applicativa e sistema nel “danno da vacanza rovinata”, in

3.2 Il danno non patrimoniale da inadempimento ed i possibili riflessi favorevoli del diritto comunitario

Un’ulteriore considerazione merita ancora la citata sentenza con la quale la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha risolto la questione pregiudiziale sollevata da un tribunale austriaco in relazione alla risarcibilità del c.d. danno morale da vacanza rovinata.

L’aspetto che in questa sede appare di significativa pregnanza attiene non tanto alla soluzione adottata dalla Corte con riguardo al caso di specie, quanto agli spunti interpretativi che da questa pronuncia appare possibile desumere in ordine alla concezione comunitaria dell’istituto risarcitorio in generale.

La Corte di Giustizia, nella motivazione della decisione in parola, si sofferma su passaggio particolarmente importante nella parte ove accenna alle diversità delle discipline nazionali degli Stati membri in punto di danno morale, poiché l’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario con l’emanazione della direttiva 90/314/CEE sarebbe anche quello di uniformare il regime risarcitorio al fine di favorire la circolazione dei servizi turistici114. Infatti, la presenza negli Stati membri di discipline differenti con riguardo al danno morale avrebbe potuto pregiudicare il perseguimento del suddetto obiettivo, atteso che gli operatori turistici sarebbero stati ragionevolmente indotti ad investire in Paesi ove più semplicemente il danno non patrimoniale da inadempimento non è risarcibile, ovvero lo è in misura inferiore rispetto a quanto sia dato riscontrare in altri ordinamenti. Al riguardo, nel passaggio della motivazione al quale si accennava si distinguono le discipline nazionali degli Stati membri in due tipologie: da un lato, quelle contraddistinte da un danno morale risarcibile sulla base di regole generali di diritto comune, e, dall’altro, quelle ove il danno morale necessita di un’apposita previsione normativa che ne affermi la risarcibilità.

114

Corte di Giustizia Sez. VI, 12 marzo 2002, causa C-168/00: “17 Il governo belga sostiene che l'impiego generalizzato e senza limitazioni del termine «danni» all'art. 5, n. 2, primo comma, della direttiva comporta che ne sia data l'interpretazione più ampia, in modo tale che ogni tipo di danno dovrebbe in linea di principio venir coperto in forza della normativa che traspone la direttiva. Negli Stati membri che riconoscono la responsabilità per danno morale in forza del diritto comune la direttiva attribuirebbe la facoltà di porvi un limite secondo determinati criteri. Negli Stati membri in cui la responsabilità per danno morale è subordinata all'esistenza di un'espressa disposizione in tal senso, la mancanza di una siffatta disposizione andrebbe considerata tale da impedire del tutto il risarcimento del danno morale, il che sarebbe contrario alle disposizioni della direttiva”.

Da quanto premesso è possibile desumere che il diritto comunitario potrebbe avere un’influenza significativa nella risoluzione del dibattito intorno alla risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, atteso che ogni profilo disciplinare del diritto nazionale idoneo a pregiudicare la creazione di uno spazio economico comune europeo, ponendosi in contrasto con il diritto comunitario, deve essere esaminato e risolto dai Giudici nazionali in via interpretativa prima ancora che mediante la formulazione ed il rinvio alla Corte di Giustizia di una questione pregiudiziale comunitaria ai sensi dell’art.234 TCE. Ed, infatti, secondo i principi sanciti dalle pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità Europee le direttive non self executive e le decisioni- quadro, pur essendo atti normativi inidonei a produrre c.d. effetti diretti, costituiscono parametro di interpretazione del diritto interno per i Giudici nazionali, di guisa che essi dovranno interpretare le norme interne in modo da renderle, ove possibile, conformi al diritto comunitario. Lo stesso criterio, invero, potrebbe essere seguito anche con riguardo ai principi generali del diritto comunitario. Per cui, anche a prescindere dalla sussistenza di una fonte normativa di diritto comunitario derivato (regolamenti, direttive, decisioni) preordinata alla regolamentazione di uno specifico settore come quello dei contratti di acquisto di pacchetti turistici “tutto compreso”, laddove sia avvertita l’esigenza di superare la rigidità di discipline interne idonee a creare ostacoli alla concorrenza ed all’affermazione di ulteriori e diversi principi fondamentali per l’ordinamento comunitario, il Giudice nazionale dovrebbe intervenire in via ermeneutica, ove possibile, per conformare il diritto interno ai principi comunitari.

Se, dunque, il differente regime risarcitorio può costituire un ostacolo alla creazione di un’area economica europea comune al punto da indurre le Istituzioni Comunitarie ad intervenire normativamente nei singoli settori di interesse, occorre comprendere se, in generale, la differente disciplina nazionale in punto di risarcibilità del danno non patrimoniale possa di per sé costituire un fattore ostativo rispetto a quel processo di uniformazione degli ordinamenti giuridici interni al quale è preordinato il diritto comunitario per la creazione all’interno degli Stati membri di un mercato comune europeo.

Con riguardo alla tematica della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento si dovrebbe pervenire alla suddetta conclusione, trattandosi

di un profilo disciplinare riconducibile all’ampio settore della responsabilità contrattuale che, a sua volta, è connesso a quello, ancora più ampio, delle relazioni commerciali, essendo il contratto lo strumento fondamentale tramite il quale operare e concludere affari nel mercato secondo i principi generali della nostra economia.

La questione si presenta, in concreto, ogniqualvolta venga in rilievo la lesione di un diritto riconosciuto dall’ordinamento comunitario, occorrendo, infatti, in tali casi comprendere quali danni siano risarcibili: ed ossia, se soltanto quelli patrimoniali o se anche quelli non patrimoniali e se nella scelta fra l’una o l’altra soluzione prospettata incida in qualche maniera sul diritto interno dei singoli Stati membri.

In simili circostanze sarebbe opportuno concentrare l’attenzione dapprima sull’interesse e poi sul danno. L’interesse costituente oggetto del diritto comunitario leso, infatti, ci consente di capire quale sia l’ambito di operatività della situazione giuridica soggettiva prevista dall’ordinamento comunitario e quale sia lo scopo dalla medesima perseguito.

Sul piano degli interessi occorre brevemente accennare all’evoluzione dell’ordinamento comunitario, da sistema giudico originariamente nato per il soddisfacimento di relazioni soltanto squisitamente economiche, a sistema giuridico deputato alla tutela anche dei diritti fondamentali della persona. Come noto, le tre Comunità Europee della CECA, della CEE e dell’EURATOM erano state istituite al solo fine di creare un mercato unico europeo115, mentre nessun riconoscimento era contemplato nelle versioni originarie dei relativi Trattati Istitutivi con riguardo ai diritti della personalità, e ciò in ossequio alle preoccupazioni sul punto espresse da più Stati membri in ordine alla salvaguardia delle prerogative proprie della sovranità di ciascuno di essi, atteso che l’introduzione anche di un settore così ampio e dai confini così incerti come quello citato tra le competenze delle Istituzioni Comunitarie avrebbe potuto condurre ad una significativa e financo costante riduzione di fatto delle sovranità nazionali, al punto da comprimerla più di quanto fosse voluto e

115

Anche per evitare che le questioni economiche potessero essere foriere di conflitti armati, come la storia ci ha tramandato con riguardo, ad esempio, alla zona Ruhr e della Saar, spesso contesa tra Francia e Germania a causa dei ricchi giacimenti di carbone ed acciaio ivi presenti. Le Comunità Europee, quindi, dovevano assolvere alla funzione quasi di camera di compensazione per mediare e risolvere le possibili divergenze politiche degli Stati membri sul piano economico.

necessario. In seguito alle importanti pronunce della Corte di giustizia, i diritti fondamentali della persona vengono considerati giuridicamente rilevanti in quanto, essendo espressione di tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, assurgono al rango di principi generali del diritto comunitario. Quindi, il Trattato di Maastricht e il trattato di Lisbona (che ha recepito la Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea) hanno segnato le ulteriori fasi dell’iter evolutivo della questione.

Ne consegue che in caso di lesione di un diritto comunitario preposto alla tutela di interessi non patrimoniali come quelli afferenti alla persona, il risarcimento dovrebbe essere integrale, dovendo avere per oggetto tutti i pregiudizi causalmente connessi. Sul punto non si rinvengono discrasie fra l’ordinamento comunitario e quello interno, poiché la Giurisprudenza Italiana è già da tempo pervenuta a siffatta conclusione, cin considerazione della circostanza che i diritti della personalità cui si dovrebbe avere riguardo secondo il diritto comunitario sono già rilevanti per il nostro ordinamento in quanto valori espressamente riconosciuti nella Costituzione, al pari di quanto è dato riscontrare anche in altri ordinamenti; ed infatti, tali diritti sono stati ritenuti rilevanti in ambito comunitario dalla Corte di Giustizia anche perché costituenti oggetto di vere e proprie tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, come è stato affermato nella sentenza Hauer del 13 dicembre 1979, nella parte ove si precisa che “i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei

principi generali del diritto, di cui essa garantisce l’osservanza; nel garantire la tutela di tali diritti essa è tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri e non potrebbe, quindi, ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalle costituzioni di tali stati; i trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo, cui gli stati membri hanno cooperato o aderito, possono del pari fornire elementi di cui occorre tenere conto nell’ambito del diritto comunitario”.

La problematica, allora, si potrebbe presentare non tanto in caso di lesione di un diritto della personalità conseguente all’inadempimento di un’obbligazione contrattuale, avendo la giurisprudenza italiana in tal senso provveduto in via interpretativa (sebbene con l’articolata teoria del concorso di azioni), quanto piuttosto in ordine a quegli interessi non patrimoniali non riconducibili alla categoria dei diritti della personalità e che sono rilevanti per il

diritto comunitario in quanto componenti integranti la causa del contratto destinato ad operare in un settore di rilevanza comunitaria.

Sennonché, in questi casi occorrerebbe rifarsi a quanto statuito dalla Corte di Giustizia in tema di rapporti fra diritto interno e diritto comunitario, nella parte ove si precisa che le situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto comunitario devono essere tutelate secondo le normative nazionali purché nel rispetto dei principi di non discriminazione e di effettività, occorrendo, cioè, da un lato, che ai diritti comunitari non sia applicata una disciplina differente da quella prescritta per i diritti interni di analogo contenuto, e, dall’altro, che agli stessi sia garantito un regime di tutela effettivo tale da assicurare al relativo titolare la possibilità concreta di agire per far valere la propria pretesa sebbene fondata su norme di matrice comunitaria. Donde, l’interrogativo in relazione all’applicabilità dell’art.2059 c.c. o delle teorie restrittive in punto di risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla lesione di diritti comunitari.

La soluzione andrebbe ricercata, quindi, ancora una volta nei principi generali delineati dalla Corte di Giustizia con riguardo all’istituto risarcitorio, atteso che per il diritto comunitario non vi è differenza di disciplina alcuna fra danno patrimoniale e non patrimoniale, rilevando soltanto la meritevolezza dell’interesse e l’effettività della tutela apprestata dall’ordinamento nazionale, che, con riguardo alla tematica in esame, si identifica nella conseguente riparazione integrale del danno sofferto, ivi incluse le sue eventuali componenti non patrimoniali. Il che induce a ritenere possibile che il Giudice nazionale debba ricorrere ad un’interpretazione comunitariamente conforme per superare gli eventuali ostacoli frapposti dalla normativa interna alla piena risarcibilità del danno non patrimoniale. Prospettiva, questa, possibile laddove si rivaluti il dettato dell’art.1174 c.c. e non si ritenga ostativa la collocazione sistematica dell’art.2059 c.c. Tale soluzione ermeneutica, pertanto, consentirebbe il riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento ogniqualvolta il contratto abbia per oggetto diritti di matrice comunitaria preposti alla tutela di interessi anche non patrimoniali.

Se così è, allora, si potrebbe affermare che gli indirizzi interpretativi provenienti dall’ordinamento comunitario sembrano avvalorare la tesi favorevole alla risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento,

atteso che, se nei settori di rilevanza comunitaria siffatti pregiudizi dovrebbero essere risarcibili, un’eventuale disparità di trattamento rispetto agli inadempimenti lesivi di diritti rilevanti soltanto per l’ordinamento interno potrebbe non essere più giustificabile alla stregua del principio di ragionevolezza, atteso che l’ampiezza dello strumento risarcitorio dipenderebbe esclusivamente dalla fonte, comunitaria o interna, del diritto leso.

Pertanto, condividendo siffatto indirizzo si potrebbe sostenere che i Giudici Italiani sarebbero tenuti ad interpretare le norme del Codice Civile in modo tale da rendere ammissibile il risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento in modo da uniformare il nostro sistema risarcitorio a quello previsto nei Paesi membri più garantisti in punto di disciplina la riguardo (in quanto non subordinanti la risarcibilità dei pregiudizi non economici ad espresse previsioni normative). E se siffatto obiettivo deve essere raggiunto la soluzione più rapida, in attesa di un’eventuale intervento legislativo, è senza dubbio quella ermeneutica che, superando il dettato dell’art.2059 c.c. e la teoria del concorso di azioni che ne applica la disciplina, rivaluta il testo dell’art.1174 c.c. nella parte ove richiama l’interesse anche non patrimoniale del creditore quale fattore giustificante la doverosità della prestazione promessa e, più in generale, l’intero rapporto obbligatorio. Ed, infatti, l’art.1174 c.c. dovrebbe essere considerato quale norma esplicativa di una regola applicabile tanto ove l’interesse non patrimoniale sia di matrice comunitaria, quanto ove lo stesso sia più semplicemente rilevante per il diritto interno.

Per cui, in conclusione, si potrebbe sostenere che, alla stregua delle considerazioni esposte, siffatta norma debba essere reinterpretata in modo da ascriverle un significato più ampio ed identificabile nella regola secondo cui: «la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore, purché rilevante per l’ordinamento giuridico in

quanto fondato sul diritto interno116o perché riconosciuto e disciplinato dal diritto comunitario», laddove il richiamo al diritto interno ed a quello

comunitario vuole specificare la necessità di garantire quel processo di

116 La rilevanza per il diritto interno si identifica, ovviamente, nella meritevolezza degli interessi

perseguiti dalla parti con la stipula del contratto, atteso che la carenza di siffatto requisito condurrebbe ad un giudizio di illiceità della causa e, conseguentemente, alla nullità del contratto ai sensi del combinato disposto degli artt.1343 e 1418 c.2 c.c.

uniformazione del primo ai principi del secondo in modo da eludere il rischio di disparità di trattamento in base alla fonte di provenienza della situazione giuridica soggettiva. Ne consegue che il criterio interpretativo al quale i Giudici nazionali dovrebbero avere riguardo è destinato ad operare in entrambi in una duplice direzione e cioè non soltanto al fine di assicurare ai diritti comunitari il medesimo grado di tutela garantito dagli ordinamenti nazionali ai diritti interni di analogo contenuto, ma anche al fine di garantire ai diritti interni quel più ampio grado di tutela eventualmente previsto per i diritti di matrice comunitaria dalle fonti del diritto comunitario.

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 111-119)