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Modalità di rilevanza dell’interesse non patrimoniale nel contratto: a) la causa

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 167-200)

Una volta individuato il riferimento normativo idoneo a giustificare in astratto la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, occorre adesso comprendere quando tali pregiudizi siano in concreto riparabili.

Come precedentemente accennato188, l’indagine presuppone la rilevanza contrattuale di un interesse non

patrimoniale, atteso che occorre a monte un danno evento consistente nella lesione di interesse di tale tipo per affermare la risarcibilità a valle dei danni conseguenza non suscettibili di valutazione economica.

Ne consegue la necessità di procedere all’esame delle modalità tramite le quali le parti possono dedurre in contratto interessi non patrimoniali.

In primo luogo, tale obiettivo è perseguibile mediante l’inclusione di interessi non economici nella causa del contratto.

Occorre precisare che la causa, però, non sempre è stata concepita allo stesso modo; infatti, si sono delineate in dottrina due modalità di concepimento, ed esattamente una astratta e l’altra in concreto.

La prima, identificando la causa nella funzione economico-sociale del contratto, rendeva particolarmente difficile ascrivere rilevanza agli interessi propriamente individuali perseguiti dalle parti; e ciò non soltanto laddove tali interessi specifici fossero stati di natura economica, ma anche (per non dire soprattutto) laddove si fosse trattato di interessi non patrimoniali, in quanto la concezione squisitamente patrimonialistica del contratto, allora imperante, influiva inevitabilmente su tutti gli elementi costitutivi richiamati dall’art.1325 c.c., ivi inclusa la causa. Per cui se il contratto assolve ad una funzione sociale e regolamenta soltanto determinati tipi di interesse, dovendosi quest’ultimi identificare con quelli predeterminati dal legislatore nei contratti tipici ovvero con quelli ritenuti dal Giudice meritevoli di tutela nei contratti atipici, l’ambito di operatività dell’autonomia privata risulta significativamente ristretta. Se,

inoltre, si aggiunge che il contratto è definito dall’art.1321 c.c. quale strumento deputato al soddisfacimento di interessi esclusivamente economici, appare evidente che la deducibilità di interessi non patrimoniali rappresentava una prospettiva inammissibile perché estranea alla funzione propriamente economica assolta dal contratto su di un piano sociale prima ancora che giuridico.

Sennonché, la concezione economico-sociale della causa è stata criticata dalla dottrina prevalente in relazione ai seguenti profili: in primo luogo, poiché la nozione di funzione economico-sociale risulta essere descrittiva dell’intero contratto, mentre la causa ne è soltanto uno degli elementi costitutivi, per cui tale concezione sarebbe inappropriata; in secondo luogo, poiché la teoria in esame identificherebbe la causa nel tipo, ossia nello schema astratto con il quale la legge descrive l’operazione negoziale che si compie con la stipula di un determinato contratto, donde la sua non applicabilità ai contratti atipici; infine, poiché identificando la causa nel tipo, la teoria in esame non ammetterebbe la configurabilità di contratti tipici illeciti, atteso che per tali contratti la causa è già prestabilita dal legislatore, donde la conseguente (ed inaccettabile) ammissibilità dell’illiceità della causa soltanto con riguardo ai contratti atipici189.

Tali critiche hanno indotto una parte della dottrina ad elaborare nuove concezioni di causa prodromiche alla rivalutazione in chiave soggettiva dell’interesse concretamente perseguito dalle parti. Si giunge così alla teoria della c.d. doppia causa, secondo la quale ogni contratto se tipico avrebbe una causa astratta identificabile nel tipo ed una causa in concreto rinvenibile nell’interesse pratico perseguito dalle parti, laddove, invece, se atipico avrebbe soltanto una causa in concreto da valutarsi alla stregua del parametro di meritevolezza richiamato dall’art.1322 c.2 c.c.

Tuttavia, a prevalere nella dottrina è stata la teoria della causa c.d. in concreto, ossia quale funzione economico-individuale del contratto. Si tratta di una concezione unitaria di causa (e non duplice come quella poc’anzi descritta) che si distingue nettamente dal tipo. L’affermazione di tale teoria implica

189 Sebbene a questa critica si soleva rispondere che l’illiceità della causa nei contratti atipici

sarebbe stata ugualmente configurabile per quanto in via indiretta, tramite il ricorso all’istituto della frode alla legge disciplinato dall’art.1344 c.c., laddove precisa che la causa è altresì illecita qualora il contratto sia utilizzato dalle parti come strumento per eludere l’applicazione di una norma imperativa.

l’identificazione della causa, tanto nei contratti tipici quanto in quelli atipici, con la ragione pratica dell’affare190, ossia con l’interesse concretamente perseguito dai contraenti191.

Anche la Corte di Cassazione192, recentemente, ha condiviso la concezione della causa in concreto, superando un orientamento particolarmente consolidato e favorevole alla considerazione della causa quale funzione economico-sociale.

Appare evidente che il nuovo orientamento interpretativo implica alcuni riflessi in punto di disciplina, soprattutto per quanto concerne l’identificazione dell’ambito di operatività di alcuni istituti connessi alla causa, quali, in particolare, la frode alla legge di cui all’art.1344 c.c., il motivo di cui all’art.1345 c.c. Infatti, estendendo la nozione di causa agli interessi in concreto perseguiti dalle parti, si restringe automaticamente la rilevanza del motivo illecito, nonché dell’intento di raggirare l’applicazione di norme imperative mediante la stipula di taluni negozi che, singolarmente oppure fra loro collegati, consentono alle parti il raggiungimento dello scopo loro vietato dall’ordinamento193.

Tra le ricadute conseguenti all’avvento della nuova concezione di causa, possiamo annoverare anche l’accresciuta rilevanza degli interessi non patrimoniali nel contratto, atteso che ascrivendo rilievo agli scopi concretamente perseguiti dalle parti ben è possibile rinvenire interessi non economici all’interno di un negozio giuridico per definizione preordinato alla regolamentazione di interessi patrimoniali (anche se non in via esclusiva, come dimostrato nei paragrafi precedenti).

Ragione per la quale è possibile affermare che occorrerà valutare di volta in volta se le parti abbiano in concreto inteso soddisfare interessi non patrimoniali ed, in caso di risposta affermativa, in quale misura, onde comprendere quali beni giuridici siano stati o meno lesi dall’inadempimento del debitore. Il che sarà particolarmente semplice in alcuni contratti tipici in cui

190 BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, cit. 191 GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit. 192

Cass. 8 maggio 2006, n°10490: “La causa è la sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare e, dunque, è la ragione concreta della dinamica contrattuale”.

193 Peraltro, secondo una certa dottrina con l’avvento della teoria della causa in concreto

l’art.1344 c.c. sarebbe oggetto di un’interpretatio abrogans, mentre secondo altri residuerebbe un suo ambito di applicazione laddove la frode alla legge sia perpetrata mediante il ricorso a più contratti tra loro causalmente collegati.

l’interesse non patrimoniale è parte costitutiva della causa, come ad esempio quello di lavoro subordinato; mentre, implicherà un’indagine ermeneutica più penetrante in altri casi, con la doverosa precisazione, però, che la possibile inclusione di interessi non patrimoniali nei contratti atipici non costituisce l’unica prospettiva possibile per l’interprete, ben potendo anche tali interessi, tramite la suddetta teoria della causa in concreto, essere dedotti all’interno di contratti tipicamente deputati al soddisfacimento di rapporti propriamente economici come ad esempio la vendita.

Un riconoscimento della correttezza dell’impostazione sin qui delineata si coglie anche nella pronuncia delle Sezioni Unite n°26972 del 2008, già esaminata, nella parte ove si rinvia all’esame della causa, nella sua accezione concreta, l’indagine in ordine alla possibile rilevanza di interessi non patrimoniali in ambito contrattuale.

1.1 L’interesse non patrimoniale del debitore all’adempimento della prestazione

Non manca poi, in dottrina194, chi sostiene la necessità di valutare anche l’ipotetico interesse non patrimoniale del debitore. Coloro i quali condividono questo orientamento muovono le loro riflessioni nell’ambito di un contesto estraneo a quello inerente al concetto di causa, in ordine al quale il parametro di riferimento è costituito dall’interesse del creditore e non da quello del debitore.

L’interesse del debitore, invece, al quale si allude allorché si intende rivalutare la posizione debitoria è quello all’adempimento della prestazione; ossia, la pretesa di liberarsi dall’obbligazione tramite l’adempimento, o più precisamente, l’interesse a dimostrare la propria solvibilità mediante l’adempimento della prestazione dovuta. Siffatto comportamento, infatti, può soddisfare o l’interesse patrimoniale a dimostrare la disponibilità di risorse economiche tali da poter garantire sicurezza ai propri creditori (così da poter in futuro accedere a nuovi crediti o concludere nuovi affari nel settore del mercato ove si opera), ovvero, più semplicemente, l’interesse non patrimoniale della propria onorabilità, con l’adempimento volendo dimostrare di essere persona capace di rispettare gli impegni assunti.

Si tratta di un tema molto dibattuto in dottrina poiché sembra dubbio che la predetta pretesa debitoria possa costituire l’oggetto di un corrispondente diritto. Sul punto molti autori195 si sono espressi in senso non favorevole, escludendo la possibile configurazione nel nostro ordinamento di un corrispondente diritto in capo al debitore, atteso che ne mancherebbe un presupposto fondamentale, ossia un sicuro riferimento normativo, non potendo lo stesso rinvenirsi nelle norme disciplinanti la mora del creditore, essendo le medesime soltanto preordinate a consentire la liberazione del debitore in caso di mancata collaborazione del creditore. Rilievo, questo, decisivo perché l’adempimento presuppone inevitabilmente la collaborazione del creditore, cioè una precisa condotta che non può essere coattivamente imposta se non direttamente dalla legge, in ossequio anche al combinato disposto degli artt.13 e 23 Cost. nella parte ove prevedono la riserva di legge a tutela della libertà personale. Infatti, l’art.13 Cost. attiene alla libertà di movimento e, dunque, alla libertà in senso fisico, riferibile, pertanto, anche alla condotta materiale dovuta dal creditore in sede di adempimento consistente in quel comportamento genericamente collaborativo dovuto col rendersi disponibile a ricevere la prestazione; l’art.23 Cost., attiene alla libertà in senso giuridico, atteso che soltanto la legge può imporre prestazioni personali o patrimoniali costituenti l’oggetto di determinati obblighi, con la conseguenza che in assenza di un’esplicita previsione legislativa non può rinvenirsi in capo al creditore un’obbligazione specifica la cui prestazione sarebbe costituita dal dovere di ricevere l’adempimento da parte del debitore. Ragione per la quale, mancando siffatta previsione normativa, si deve desumere la sussistenza in capo al creditore di una libertà. D'altronde, è proprio a fronte di tale libertà che il legislatore del 1942 ha predisposto un apposito istituto (cioè la mora credendi) al fine di consentire la liberazione del debitore in caso di illegittimo rifiuto a ricevere la prestazione opposto dal creditore.

Sennonché, la tesi favorevole al riconoscimento in capo al debitore di un diritto all’adempimento è giustificata, da coloro i quali la sostengono, alla stregua di ragioni esistenzialiste connesse ai diritti costituzionali tramite i quali si svilupperebbe la personalità del singolo individuo196. In tal senso si esprime LIBERATI laddove precisa che: “Talvolta, infatti, la prestazione

195

GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p.551 e 552.

contrattualmente prevista, a causa della sua natura costituisce per il debitore un evidente ipotesi di interesse personale alla effettività della prestazione. Si pensi, ad esempio, all’attore che abbia un accordo per la recita di una determinata parte in un’opera teatrale. La prestazione non costituisce un mero interesse patrimoniale per il debitore, ma anzi, rappresenta – eventualmente anche in considerazione dell’importanza dell’evento culturale – un’occasione di soddisfazione personale. L’impossibilità di conseguire il proprio desiderio di realizzazione professionale, il quale, magari, può essere stato accompagnato dalla rinuncia ad altre parti prestigiose o, comunque, necessarie per la crescita professionale, può dunque costituire un danno per il debitore. Il debitore, perciò, avrà un interesse personale allo svolgimento effettivo della prestazione e, laddove tale interesse venga compromesso, egli subirà un danno di natura esistenziale consistente nella compromissione della propria attività (realizzatrice) professionale di attore”.

Tuttavia, tali argomentazioni non sembrano condivisibili.

Anzitutto, occorre sottolineare che l’interesse in questione può trovare soddisfazione soltanto laddove il creditore collabori a tal fine, e poiché tale risultato non può essere coattivamente perseguito, è inutile discutere di un diritto avente per oggetto la liberazione tramite l’adempimento.

In secondo luogo, il riferimento all’art.2 Cost. non è di per sé sufficiente a limitare la libertà personale del creditore, in quanto la norma citata, essendo contraddistinta da un’accentuata genericità, non può comportare la compressione di libertà espressamente sancite dalla Costituzione in specifiche norme fondamentali di riferimento, soprattutto laddove quest’ultime, espressamente riconoscendo diritti garantiti dalla previsione di apposite riserve di legge, ammettono limitazioni soltanto nelle ipotesi tassativamente individuate dal legislatore ordinario.

Infine, occorre rilevare che la fonte dell’obbligazione assume un ruolo fondamentale nel dipanare alcuni dubbi interpretativi in relazione alla rilevanza o meno di taluni interessi. In tal senso, riprendendo l’esempio riportato da coloro i quali propendono per la soluzione favorevole al riconoscimento del suddetto diritto all’adempimento, il contratto con il quale l’artista si impegna ad eseguire una prestazione professionale, sia se oneroso sia se gratuito, comprende già nella causa l’interesse ad eseguire la prestazione, poiché tramite

l’esibizione l’artista soddisfa quanto meno due interessi: quello patrimoniale, identificabile nel mostrare al pubblico la propria abilità e così pubblicizzare le proprie capacità artistiche, e quello non patrimoniale avente per oggetto l’appagamento conseguente alla soddisfazione personale di esibirsi. Oppure si pensi all’ipotesi dell’artista che accetta di esibirsi per un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello che sarebbe giusto pagargli secondo il mercato. In entrambi i casi si tratta di interessi rilevanti perché funzionalmente connessi alla ragione pratica dell’affare.

Dall’altro lato, però, se un diritto all’adempimento non esiste nel nostro ordinamento, non è vero che il correlativo interesse non sia meritevole di tutela; infatti, l’interesse del debitore a liberarsi, per qualsiasi ragione (patrimoniale o meno)197, mediante l’adempimento dell’obbligazione è espressamente riconosciuto dal Codice Civile attuale nella parte ove consente il rifiuto della remissione del debito. È soltanto a questi fini che l’ordinamento tutela un simile interesse, sebbene occorre precisare trattarsi di un riconoscimento limitato al fine suddetto, atteso che il creditore rimane sempre libero di ricevere o meno la prestazione dovuta.

Un’ulteriore fattispecie nella quale è dato cogliere una certa rilevanza dell’interesse debitorio all’esecuzione della prestazione promessa si rinviene nella disciplina concernente l’adempimento del terzo. Come noto, l’art.1180 c.c. prevede che il creditore non possa opporsi all’adempimento offerto da un terzo a meno che non abbia uno specifico interesse all’esecuzione della prestazione da parte del debitore (fattispecie, questa, che ricorre nelle ipotesi in cui la prestazione abbia caratteri talmente personalistici da poter condizionare il soddisfacimento dell’interesse creditorio all’adempimento dell’obbligazione da parte della persona del debitore e soltanto da costui, non essendo l’attività di quest’ultimo fungibile con quella di altro; si pensi alle prestazioni artistiche). Sennonché, il comma 2 della disposizione citata prevede, inoltre, che il creditore possa rifiutare l’adempimento del terzo se il debitore gli abbia manifestato la sua opposizione. Ed infatti l’interesse del debitore, in questi casi, potrebbe essere duplice, atteso che egli opponendosi all’adempimento del terzo

197 Ragioni patrimoniali potrebbero rinvenirsi nell’interesse a dimostrare la propria solvibilità in

modo da non pregiudicarsi la conclusione di futuri affari a seguito della pubblicità non positiva conseguente all’accettazione della suddetta modalità estintiva non satisfattiva dell’obbligazione. Ragioni non patrimoniali, invece, potrebbero essere costituite dall’intento di tutelare la propria onorabilità e reputazione.

potrebbe intendere evitare una novazione soggettiva della posizione creditoria – prospettiva, questa, possibile tramite la surrogazione del terzo nei diritti vantati dal creditore nei riguardi del debitore – nonché, per quanto di più specifica pertinenza in questa sede, il suo interesse a liberarsi dall’obbligazione tramite l’adempimento. Tuttavia, anche con riguardo a quest’ultimo profilo non si ravvisano elementi sufficienti a configurare un vero e proprio diritto in capo al debitore, atteso che la sua opposizione determina l’unico effetto di rimettere al potere discrezionale del creditore l’accettazione o meno dell’adempimento offerto dal terzo.

1.2 “Ingiustizia del danno” e “meritevolezza degli interessi”

Secondo una parte della dottrina198, il giudizio sull’ingiustizia del danno sancito dal’art.2043 c.c. per le fattispecie aquiliane, sarebbe sostituito in ambito contrattuale dal giudizio di meritevolezza dell’interesse concretamente perseguito dai contraenti previsto dall’art.1322 c.2 c.c. per i contratti atipici, ovvero dalla stessa tipizzazione legislativa per i contratti tipici.

Ne conseguirebbe che la causa, dovendo costituire la sintesi di interessi meritevoli di tutela, sarebbe di per sé indicativa della meritevolezza dell’operazione negoziale posta in essere, nonché degli eventuali interessi non patrimoniali perseguiti; rilievo, questo, che in conseguenza dell’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt.1218 e ss. c.c. consentirebbe la risarcibilità dei danni non patrimoniali da inadempimento.

Sennonché, questo indirizzo si presta ad una critica fondamentale nella parte in cui presuppone la sussistenza di una relazione di specialità fra la responsabilità aquiliana e quella contrattuale che difficilmente appare sostenibile, soprattutto a fronte della fondamentale differenza che intercorre tra

le due discipline con riguardo al danno ingiusto, essendo quest’ultimo, infatti,

requisito imprescindibile per la responsabilità extracontrattuale ed, invece, requisito non richiesto per la configurabilità della responsabilità da inadempimento.

Ed, infatti, diversamente opinando si perverrebbe alla inaccettabile conseguenza di considerare sempre possibile il concorso di responsabilità sulla base della mera circostanza che l’inadempimento si tradurrebbe sempre in un

danno ingiusto in quanto lesivo di un diritto di credito e, quindi, dell’interesse sottostante, da considerare meritevole di tutela ex art.1322 c.c. in quanto elemento integrante la causa di un contratto valido per l’ordinamento.

Come noto, la Giurisprudenza si è orientata diversamente, richiedendo per l’applicazione della teoria del concorso di responsabilità che l’inadempimento abbia anche i caratteri del “danno ingiusto”. Rilievo, questo, di per sé sufficiente a precisare che inadempimento ed ingiustizia del danno sono tra loro assolutamente distinti, in quanto caratterizzati da presupposti talmente differenti da escludere la sussistenza di una relazione di interdipendenza unilaterale, tale che laddove sussista il primo si possa e si debba considerare sempre ed automaticamente configurabile anche il secondo.

Il giudizio di meritevolezza, che secondo l’indirizzo riportato sarebbe esplicativo del medesimo giudizio che l’interprete è chiamato ad eseguire per la valutazione dell’ingiustizia del danno, sembra molto più complesso e articolato di quanto ad una prima considerazione non si possa ritenere. Al riguardo, basti pensare che a distanza di quasi settanta anni dall’entrata in vigore del codice ancora non si rinviene unanimità di opinioni in ordine alle valutazioni che il Giudice dovrebbe effettuare per sindacare la meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti dalle parti con la conclusione del contratto.

Ed, infatti, nei primi anni successivi all’emanazione del Codice Civile vigente, l’ideologia dirigista imperante nel nostro Paese in epoca fascista induceva l’interprete a rinvenire nel giudizio di meritevolezza una valutazione della utilità sociale del contratto atipico. In tal senso deponeva anche la Relazione al Codice Civile nella parte ove precisa che la causa – intesa quale funzione economico-sociale del contratto – avrebbe dovuto consentire di verificare se il risultato che le parti intendono perseguire sia ammesso dalla coscienza civile e politica, dalla economia nazionale, dal buon costume e dall’ordine pubblico. Donde, la considerazione che l’ordine giuridico non appresta tutela al mero capriccio individuale, tutelando, invece, soltanto le funzioni utili, tali dovendosi ritenere quelle che garantiscono lo sfruttamento di una certa ricchezza in modo da trarre le maggiori utilità, e più in generale quelle capaci di assicurare il progresso e l’evoluzione dell’intera economia

nazionale199. Con questa impostazione il legislatore del 1942 aveva inteso socializzare la causa, riconoscendo efficacia soltanto a quei contratti che si ponevano in aderenza e conformità con gli “interessi corporativi” del periodo fascista. Per cui, i contratti c.d. inutili, come ad esempio quelli aventi per

Nel documento Il danno non patrimoniale da inadempimento (pagine 167-200)