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UN’INDAGINE EMPIRICA SULLE PERFORMANCE DELLE MEDIE IMPRESE FAMILIAR

4.1. Le teorie di riferimento e lo sviluppo ipotes

Le prospettive concettuali presentate e discusse nel precedente capitolo rappresentano il quadro teorico di riferimento in seno al quale vengono sviluppate le ipotesi di ricerca del presente studio.

Nessuna delle teorie illustrate, come già evidenziato da Passeri e Mazzi (2012), si è rivelata in grado di spiegare in modo esaustivo se esista, e quale sia, il nesso che lega le performance dell’azienda al coinvolgimento della famiglia nell’impresa.

Tale incertezza permane anche avendo riguardo alle risultanze empiriche emerse da numerose analisi, tutte caratterizzate da esiti ambigui (O’Boyle et al. 2012).

Tant’è che in ambito scientifico, nonostante il crescente interesse che lo studio della relazione esistente tra performance e coinvolgimento familiare ha suscitato, non si è ancora giunti ad alcuna univoca e condivisa conclusione (Chrisman et al. 2005; Dyer, 2006).

La maggior parte dei lavori, come detto, sono stati condotti con riguardo alle grandi aziende quotate; minor attenzione è stata data alle PMI; tra queste, nessuno studio si è specificamente concentrato sulle imprese di medie dimensioni, intese nell’accezione loro attribuita dalla Commissione Europea ed a cui il presente lavoro aderisce.

Diverse prospettive teoriche possono essere adottate al fine di analizzare la relazione tra governance familiare e performance economiche. Accogliendo i suggerimenti di Le Breton Miller et al. (2011), il framework teorico adottato nel presente lavoro si caratterizza per l’utilizzo complementare, secondo un’ottica multiprospettica delle già illustrate teorie: agency theory; stewardship theory; resource based view.

4.1.1. Proprietà familiare e performance aziendali

In ambito scientifico l’influenza della proprietà familiare sulle performance aziendali rappresenta uno degli argomenti più dibattuti negli ultimi anni (Mazzi, 2012; Basco, 2013; Minichilli et al., 2015).

Secondo la teoria dell’agenzia, il forte coinvolgimento dei membri della famiglia nella proprietà e nel management delle imprese familiari riduce il rischio di comportamenti opportunistici e di problemi derivanti dalla divergenza di interessi tra principale e agente (Berle e Means, 1932; Jensen e Meckilng ). Le imprese familiari, grazie alla concentrazione della proprietà in mano a pochi azionisti ed alla coincidenza tra proprietà e controllo (Jensen, Meckling, 1976; Shleifer, Vishny, 1997), rappresentano quindi un modello di governance più efficiente rispetto a quello delle imprese non familiari (Morck, 1988).

La diminuzione dei conflitti consente alle imprese familiari di dedicare meno tempo e risorse al controllo degli agenti e di promuovere la convergenza degli obiettivi tra manager, famiglia e impresa (Jensen e Meckling, 1976; Fama e Jensen, 1983; Chrisman et al., 2004). Ciò favorisce la creazione di un’unica e condivisa visione dell’impresa, l’efficienza dei processi decisionali ed al contempo riduce le possibilità che gli agenti compromettano gli interessi degli azionisti e mettano a repentaglio le performance dell’impresa (Shleifer, Vishny, 1997).

Alcuni studiosi hanno utilizzato il concetto di altruismo per descrivere la tipica attitudine delle imprese familiari al benessere collettivo, al supporto reciproco ed alla condivisione tra i membri della famiglia di un’unica visione. Da ciò consegue un basso rischio di comportamenti opportunistici e quindi minori costi di agenzia (Jensen e Meckling, 1976; Parsons, 1986; Eisenhardt, 1989; Schulze et al., 2001 e 2003a; Corbetta e Salvato, 2004).

Altri tuttavia ritengono che l’altruismo possa anche mettere a repentaglio le performance dell’impresa sino a pregiudicare il valore delle partecipazioni degli azionisti (Schulze et al., 2001). Ciò in quanto l’altruismo può rilevarsi asimmetrico: i membri familiari potrebbero infatti assumere comportamenti che favoriscono i loro propri interessi a scapito di quelli dell’azienda, ponendone a rischio la sopravvivenza (free riding, opportunistic behaviours, shirking).

In conclusione, secondo la teoria dell'agenzia, anche se il coinvolgimento della famiglia nella proprietà e nella gestione può generare alcuni effetti negativi, in

genere le imprese controllate da famiglie dovrebbero registrare risultati significativamente migliori di quelle non familiari. Ciò, per anche in ragione della coincidenza tra proprietà e controllo che, ad avviso di Carney (2005), genera tre propensioni dominanti: la parsimonia, la personalità e il particolarismo, che differenziano tali imprese dagli altri modelli organizzativi e che consentono di ridurre i costi di agenzia, che poi si riflettono sulle performance aziendali.

Adottando la prospettiva della stewardship, le imprese familiari, in ragione dei legami non solo di natura economica ma anche emotiva (Gomez-Mejia et al., 2007) che le caratterizzano, vengono considerate organizzazioni nelle quali i livelli di fiducia, di rispetto, di collegialità, di altruismo si rivelano alquanto elevati (Sciascia, 2011).

Gli azionisti familiari, infatti, hanno una prospettiva di lungo termine in quanto il loro maggior interesse è quello di assicurare la continuità aziendale (Miller, Le Breton-Miller, 2009).

Come risultato – se confrontate con altre forme organizzative – le imprese familiari soffrono meno della miopia manageriale (Stein, 1988, 1989) e sono meno influenzate da circostanze economiche di breve periodo (Allouche, et al. 2008). Secondo tale prospettiva, l’attitudine dello steward costituisce una fonte di vantaggio competitivo che influenza positivamente le performance delle imprese familiari (Eddleston e Kellermanns, 2007; Miller et al., 2008).

L’approccio resource-based interpreta il coinvolgimento della famiglia nell’impresa come una risorsa fonte di vantaggio competitivo. Attraverso il concetto di familiness, definisce quell’originale insieme di risorse di cui una particolare azienda beneficia per effetto del sistema di interazione fra i suoi subsistemi (famiglia, membri, business). Da tale interazione derivano fattori specifici, definiti come “family factors”, che ne rendono uniche le risorse e le capabilities e che quindi ne influenzano le performance.

Il personale coinvolgimento della famiglia nella proprietà e/o nella gestione, la convergenza di obiettivi tra owner e manager nonché l’elevato grado di commitment reciproco costituiscono circostanze determinanti per la sopravvivenza dell’azienda

anche in contesti economici sfavorevoli (Allouche et al., 2008; Amman e Jaussaud, 2012; Minichilli et al., 2015).

Infatti, diverse ricerche condotte confrontando le performance di imprese familiari e non familiari in periodi di downturn hanno riscontrato nella governance familiare una forma organizzativa più resiliente, meglio in grado di superare – grazie agli aspetti intrinseci che la contraddistinguono - situazioni economiche turbolente e ostili. Nei periodi di crisi le imprese familiari, in misura maggiore rispetto alle non familiari, assumono comportamenti finalizzati a garantire la sopravvivenza dell’impresa al fine di assicurarne la sua continuità per le generazioni future agevolando così il superamento dei conflitti e delle divergenze d’interesse che possono manifestarsi in conseguenza di condotte ispirate dall’altruismo asimmetrico (Macciocchi e Tiscini, 2012).

Sebbene, da un lato, l’influenza della famiglia può generare quella serie di problemi che la teoria ha definito come agency problem II (Villalonga e Amit, 2006), dall’altro la convergenza di obiettivi e d’interessi della famiglia proprietaria (e.g. preservare il controllo familiare per le generazioni future), il comportamento da steward da parte dei membri della famiglia, così come la familiness, consentono di mitigare i costi d’agenzia e conseguentemente favorire le performance aziendali. In ragione di tali considerazioni si ritiene di poter formulare la seguente ipotesi:

H1: la proprietà familiare incide positivamente sulle performance economiche delle medie imprese italiane.

 

4.1.2. Coinvolgimento della famiglia nella governance e performance aziendali

Un altro aspetto del mondo del family business che ha costituto oggetto di approfondita indagine riguarda l’influenza che il diverso grado di coinvolgimento della famiglia nel governo aziendale esercita sui risultati economici dell’impresa (Mazzi, 2012; Basco, 2013).

Gli studi hanno dimostrato che le imprese familiari si caratterizzano in quanto presentano un’ampia varietà di strutture di governance e che tale aspetto può avere rilevanti conseguenze sia sul comportamento che sulle performance (Miller et al., 2007; Miller et al., 2013; Le Bretton et al., 2015). La corporate governance delle

imprese familiari si contraddistingue per l’elevata concentrazione proprietaria ed il diretto coinvolgimento, sia nel consiglio di amministrazione (Cda) che nelle posizioni apicali, dei componenti della famiglia. Le modalità di esercizio dei poteri e delle responsabilità subiscono l’influenza dei vincoli affettivi che legano tali soggetti incidendo, sia positivamente che negativamente, sull’efficienza della gestione e sulle opportunità di crescita (Di Toma e Montanari, 2013).

I managers e consiglieri familiari tendono ad identificarsi maggiormente con l’impresa ed assumono comportamenti che apportano benefici all’organizzazione; tale atteggiamento si ripercuote positivamente sulla continuità aziendale così generando familiness (Zellweger et al., 2010).

Tali effetti non sono stati ancora compresi appieno, anche perché i risultati empirici ottenuti si sono rivelati spesso confliggenti (O’Boyle et al. 2012).

Secondo la teoria dell’agenzia, gli interessi che persegue un CEO familiare coincidono con quelli degli shareholders di cui egli è diretta espressione. Tanto consente una chiara minimizzazione dei costi di agenzia che si manifestano quando delegato e delegante non coincidono (Chrisman, Chua e Litz 2004).

Infatti, la partecipazione diretta dei familiari al governo e alla gestione dell’impresa costituisce un fattore di sviluppo dell’efficienza in quanto per la famiglia risulta più agevole controllare i comportamenti dei manager esterni, così riducendo il rischio che gli stessi possano intraprendere iniziative non remunerative oppure appropriarsi di benefici e risorse (Audretsch et al., 2013).

Si può quindi affermare che, quando la famiglia è anche coinvolta nel Cda e nel management, si riscontra un consolidamento dei benefici che derivano dal fatto che essa ne è anche la proprietaria: altruismo; orientamento di lungo periodo; stewardship; condivisione dei fini (Sciascia 2011).

Tuttavia, diversi studi hanno rilevato che anche i Ceo estranei alla famiglia possono contribuire alle performance dell’impresa in quanto possono limitare il potenziale dirompente che le emozioni familiari possono generare (Blumentritt, Keyt, & Astrachan, 2007; Klein & Bell, 2007; Miller et al., 2013) tanto che dall’incremento del coinvolgimento familiare nella leadership aziendale potrebbe conseguire un decremento delle performance, in quanto i membri della famiglia tenderebbero ad

agire esclusivamente nel proprio interesse trascurando i bisogni dell’impresa.

Per Klein et al (2005), Andres (2008), Barotini e Caprio (2006) ciò non dovrebbe accadere in quanto la relazione tra la presenza nel consiglio di amministrazione di membri estranei alla famiglia proprietaria e le performance aziendali sarebbe negativa.

Secondo Carney (2005), peraltro, la famiglia proprietaria è maggiormente prudente nel gestire la propria azienda rispetto ai soggetti ad essa estranei. Sebbene si stimi che tale tendenza possa generare risvolti negativi - ad esempio, al fine di evitare di mettere a repentaglio il patrimonio familiare nuove iniziative di business potrebbero non essere adeguatamente perseguite – si è comunque sostenuto che tale atteggiamento può rivelarsi determinante in periodi di turbolenza economica, quando il proprietario/manager, in ragione del diretto coinvolgimento personale nelle vicende aziendali, è maggiormente indotto a non avviare iniziative innovative dai ritorni incerti, al fine di evitare di pregiudicare tutto o parte del proprio patrimonio (Gallo e Villanseca, 1996).

Ad avviso di Minichilli et al. (2015) i legami familiari, quindi, possono rappresentare una significativa risorsa anche durante i periodi di crisi. I proprietari-manager, specialmente quando rivestono ruoli apicali, assumono - come l’AT sostiene - impegni di lungo termine verso le proprie imprese (McConaughy, 2000), ed adottano - come rilevato dalla stewardship theory – un atteggiamento da steward (Corbetta e Salvato, 2004). Gli stessi, peraltro, condizionati dall’interesse alla conservazione del patrimonio familiare, rivelano una spiccata propensione alla parsimonia, al personalismo ed al particolarismo (Carney, 2005). Tutto ciò peraltro producendo effetti anche sulla capacità di creazione di valore nell’impresa.

Quanto detto consente di poter affermare che il coinvolgimento della famiglia nella gestione dell’impresa incide positivamente sulle performance aziendali.

Alla luce di quanto argomentato, si formula la seguente ipotesi:

H2: Il maggior grado di coinvolgimento della famiglia nella governance influenza positivamente le performance economiche.