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La legge naturale e la costruzione del linguaggio dei diritti dell’uomo

I. Il vento sta cambiando: il Somerset case e le origini del dibattito abolizionista

1.4 La legge naturale e la costruzione del linguaggio dei diritti dell’uomo

Nel 1767 Nicolas Baudeau, fondatore delle Éphémérides du citoyen, scriveva in

questo modo, dopo aver accolto con favore la notizia dell’abolizione della servitù della gleba nel regno di Danimarca: “E’ evidente che la servitù ripugna la Legge naturale; che ogni attentato contro la libertà personale degli uomini è un crimine detestabile, distruttore di ogni diritto, di ogni giustizia, di ogni società. La terra non può dare frutti

illuministi in merito allo stesso argomento vedere l’importante analisi che ne fa Jean-Paul Doguet, Les

philosophes et l’esclavage, cit., pp. 434-442. Per Doguet, infatti, l’unico abolizionista convinto e

favorevole ad un affrancamento immediato degli schiavi fu Dupont, che in seguito entrò a far parte della

Societé des amis des noirs per continuare la battaglia antischiavista. Successivamente vedremo come

Edward Long si riferì direttamente ad alcuni fisiocratici o proto-fisiocratici per sostenere la legittimità del sistema schiavile.

104 Duchet M., Anthropologie et histoire au siècle des Lumières, cit., cap. 3, L’idéologie coloniale, pp.

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che sotto la mano degli uomini liberi.”105 Condannando l’ordinamento giuridico feudale che legava indissolubilmente i contadini alla terra, abbandonandoli alla mercé dei loro padroni, Baudeau non poteva esimersi dal denunciare la schiavitù: “Come può la Legge

naturale che non vuole che gli uomini bianchi del Nord siano schiavi –“esclaves”-,

permettere che gli uomini neri del Mezzogiorno siano ridotti in servitù –“servitude”- ?”106

Seguendo coerentemente questo discorso possiamo fare due osservazioni. Primo, l’antischiavismo assunse la sua raison d’être in quanto prolungamento naturale della lotta fisiocratico utilitaristica portata in Francia e nel continente europeo per l’abolizione della servitù della gleba e la sua sostituzione con la manodopera libera. Infatti, fu proprio questa profonda convinzione nel superiore vantaggio economico e sociale derivante da un sistema fondato sul libero lavoro salariato, che fece di Voltaire, assiduo lettore delle Éphémérides, un convinto antischiavista, senza per questo rinunciare alla sua posizione poligenista. Secondo, la schiavitù per l’abbé Baudeau non era solamente inutile, immorale ed economicamente sconveniente, ma contraddiceva ontologicamente la “Legge naturale”, violando “la libertà personale degli uomini” e ripudiando quei diritti imprescrittibili dedotti razionalmente dagli individui come parte dell’ordine universale. Il ricorso alla “Legge naturale” delineava la costruzione di un nuovo linguaggio politico capace di portare a piena maturazione il processo di identificazione dell’alterità e di riconoscimento della formale uguaglianza tra gli esseri umani. Le parole pronunciate dai quaccheri all’incontro annuale della Società degli Amici di New York nel 1768, in cui dichiaravano pienamente la loro “idea che i negri, in quanto creature razionali, sono per natura liberi”,107

erano la prova evidente dell’affermazione di una profonda sensibilità e della diffusione di una fiducia

105 Éphémérides du citoyen, Novembre 1767, XI, p. 210. Il corsivo è mio.

106 Ivi, Dicembre, 1767, XII, p. 215. Il corsivo è mio. L’abbé Baudeau aveva condannato la schiavitù

anche in alcune pagine dell’anno precedente delle Éphémérides. Vedi, come suggerisce Dupont nel numero di Agosto del 1771 (p. 77), le “feuilles volantes des 3, 6, 10 & 13 Octobre 1766”.

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incondizionata sulla necessità di un trattamento paritario tra le persone. Tali parole incarnavano perfettamente lo spirito del tempo.

Nel Settecento, infatti, emerse una riflessione etica, filosofica e giuridica che ebbe come principale protagonista Montesquieu. Il barone di La Brède, come abbiamo visto, determinò una svolta significativa per quanto riguarda la questione della schiavitù, contribuendo in maniera determinante alla presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica del problema schiavile. Egli affermò l’unitarietà del genere umano davanti a certi inalienabili diritti, che in quanto naturali gli uomini erano chiamati a rispettare e a tutelare attraverso la creazione di specifiche norme. Le leggi positive, per Montesquieu, dovevano essere fatte a immagine e somiglianza delle leggi naturali e, dal momento che esse vietavano la schiavitù, anche gli ordinamenti politico-costituzionali creati artificialmente dagli uomini dovevano renderla illegale ed eventualmente combatterla con ogni mezzo. Le argomentazioni utilitaristiche, morali e giuridiche apportate da Montesquieu a sostegno della causa contro l’oppressione degli schiavi neri, le confutazioni con le quali scalfì l’architettura schiavista, frutto di secoli in cui il dogma aristotelico non era mai stato messo in discussione, e la notorietà che ottenne in seguito all’ampio successo ottenuto dalla diffusione delle sue opere, gli fecero guadagnare la simpatia di un vasto pubblico. Montesquieu era colui che aveva deriso la filosofia classica in materia schiavile; costruito una nuova retorica in grado di rivendicare la piena dignità umana indipendentemente dall’alterità culturale, linguistica, religiosa o razziale; influenzato molti intellettuali, che sulla base del suo esempio trassero ispirazione per l’elaborazione di nuove argomentazioni a sostegno della causa abolizionista. Montesquieu aveva senza dubbio segnato un’epoca.

In tal senso emblematico fu l’omaggio che rese Dupont de Nemours all’autore dell’Esprit des lois nel 1771 nelle pagine delle Éphémérides: “Montesquieu, i cui tratti

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successivi, rapidi e brillanti sembrano delle frecce infuocate, ha attaccato per primo con l’ironia i pretesi ragionamenti, non meno assurdi quanto atroci, che gli oppressori dei negri impiegano per giustificarne la schiavitù.”108 Dupont gli attribuiva il ruolo di iniziatore nella lotta contro la schiavitù degli africani, cogliendo l’ironia del capitolo V e riconoscendo alla retorica utilizzata dal barone di La Brède, con la potente immagine delle fleches enflammées, una incredibile carica distruttiva. Dupont citava altri tre autori che si erano particolarmente distinti nella lotta antischiavista: l’abbé Baudeau, il marchese di Saint-Lambert, autore dello Ziméo, un racconto di impianto negrofilo recensito dal periodico francese, e il cavaliere Louis de Jaucourt.109 Quest’ultimo in

particolar modo giocò un ruolo importante nell’elaborazione, nel rafforzamento e nella diffusione delle idee antischiaviste di Montesquieu.

Louis de Jaucourt (1704-1780), appartenente ad una delle famiglie ugonotte più antiche del regno di Francia, fu un intellettuale dalla cultura cosmopolita. Studiò filosofia e teologia a Ginevra, matematica e scienze naturali a Cambridge, medicina e anatomia a Leida. La sua formazione multiforme, la vastità e la diversità delle sue conoscenze, gli permisero di entrare in contatto con Denis Diderot, che lo introdusse nell’ambiente dell’Encyclopédie, di cui divenne un prezioso collaboratore e uno dei più prolifici scrittori, contribuendo a circa 17000 voci, quasi il 28% dell’intera opera, e trattando degli argomenti più disparati, dalla politica all’economia, dalla legge alla religione, dalla chimica alla botanica per finire alla letteratura.110 Jaucourt fu il diretto

108 Éphémérides du citoyen, Agosto, 1771, VIII, p. 76.

109 Ivi, pp. 76-77. L’analisi di Ziméo ou de l’esclavage des nègre di Jean-François de Saint-Lambert

(1716-1803) si ha nel seguente numero delle Éphémérides, Giugno, 1771, VI, pp. 178-216.

110 Tra i suoi articoli più rilevanti ci sono: Conscience, Cruauté, Culte, Démocratie, Despotisme, Égalité

naturelle, Esclavage, France, Gouvernement, Guerre, Liberté naturelle, Liberté civile, Liberté politique, Loi fondamentale, Mélancolie religieuse, Monarchie absolue, Monarchie limitée, Paris, Patrie, Peuple, Préjugé, Presse, République, Superstition, Tolérance, Traite des Nègres, Unigénitus, etc. Per uno studio

della figura di Jaucourt, della ricchezza e dell’eclettismo del suo pensiero, e del suo importantissimo ruolo all’interno del movimento illuminista si consiglia di vedere Morris M.F., Le chevalier de Jaucourt : un

ami de la terre, 1704-1780, Genève, Droz, 1979; il saggio di Georges A. Perla, La philosophie de Jaucourt dans l’“Encyclopédie”, in « Revue de l’histoire des religions », vol. 197, n. 1, 1980, pp. 59-78;

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prosecutore del pensiero montesquieuiano, facendosi interprete del suo messaggio antischiavista, rielaborandolo in una forma per certi versi più radicale, conferendole un senso più logico e modificandone complessivamente l’impianto teorico, con l’intento di imprimere maggiore forza al significato ed evitare, così, le ambiguità di cui era stato accusato lo stesso Montesquieu.111 Questo si vede soprattutto nell’articolo Esclavage

(Droit naturel, Religion, Morale), apparso nel 1755. Compito di Jaucourt era quello di

redigere una voce enciclopedica. Per trattare “l’origine, la natura e il fondamento” della schiavitù, decise di prendere in prestito “molte cose dall’autore dell’Esprit des lois”, senza per questo modificare “la solidità dei suoi principi”, dal momento che, per sua stessa dichiarazione, non poteva “aggiungere niente alla sua gloria.”112 Jaucourt scelse così di seguire Montesquieu, individuando nell’opera del barone di La Brède la riflessione più avanzata ed esaustiva in materia, capace di delineare perfettamente le ragioni antischiaviste di cui lo stesso encyclopédiste si faceva portavoce.

e i più recenti Haechler J., L'"Encyclopédie" de Diderot et de Jaucourt : essai biographique sur le

chevalier Louis de Jaucourt, Paris, H. Champion, 1995 ; e Barroux G. e Pépin F. (a cura di), Le chevalier de Jaucourt : l’homme aux dix-sept mille articles, Paris, Société Diderot, 2015. Sul ruolo avuto

dall’Encyclopédie nella riflessione illuministica dei diritti dell’uomo e della schiavitù coloniale si consiglia di vedere: Delia L., Esclavage colonial et droits de l’homme dans l’Encyclopédie, in Delia L. e Hoarau F. (a cura di), L’esclavage en question. Regards croisés sur l’histoire de la domination, Dijon, Centre Georges Chevrier, 2010, pp. 43-63.

111 Jameson ritiene che Jaucourt abbia conferito maggiore rigore logico al pensiero montesquieuiano,

mettendo al centro il diritto e in secondo piano l’aspetto geografico e ambientale. Vedere Jameson R.P.,

Montesquieu et l’esclavage, cit., pp. 345-347. Biondi pensa che ci sia un leggero cambiamento tra il testo

di Montesquieu e l’interpretazione che ne da l’enciclopedista, il quale tuttavia si riavvicina ad esso non facendo menzione alcuna della schiavitù coloniale. Vedere Biondi C., Ces esclaves sont des hommes, cit., p. 161. Più in generale, su Jaucourt interprete di Montesquieu vedere Zamagni G., Jaucourt interprete

(originale?) di Montesquieu per l’Encyclopédie, in Felice D. (a cura di), Montesquieu e i suoi interpreti, 2

voll., Pisa, ETS, 2005, I, pp. 109-129; Spector C., Y a-t-il une politique des renvois dans l’encyclopédie ?

Montesquieu lu par Jaucourt, in « Corpus, revue de philosophie », n. 51, 2006, pp. 215-247 ; e Delia L., Crime et châtiment dans l’Encyclopédie. Les enjeux de l’interprétation de Montesquieu par Jaucourt, in

«Dix-huitième siècle», vol. 41, n. 1, 2009, pp. 469-486.

112 Jaucourt L. de, Esclavage (Droit naturel, Religion, Morale), in Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné

des sciences, des arts et des métiers, par une société des gens de lettres, cit., vol. XII, pp. 990-999, cit., p.

990. Montesquieu è menzionato esplicitamente altre quattro volte: pp. 992, 993, 996, 998. E altrettante volte nomina direttamente l’Esprit des lois, citando numerosi passi. Ehrard in uno schema illuminante attua un’analisi comparata tra l’articolo di Jaucourt e l’opera di Montesquieu. Vedere Ehrard J., Lumières

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Come Montesquieu e l’abbé Baudeau, Jaucourt riteneva che la schiavitù fosse una diretta continuazione della servitù della gleba. Essa veniva presentata come “l’istituzione di un diritto fondato” su un rapporto di forza ineguale, che rendeva “un uomo talmente soggetto ad un altro uomo”, da essere “il padrone assoluto della sua vita, dei suoi beni e della sua libertà.”113

Dopo un excursus storico, in cui passava in rassegna tutti i popoli mostrando come questa “antica ingiustizia” fosse stata “esercitata con più o meno violenza su tutta la faccia della terra,” Jaucourt alternava la voce del moralista e del giurista con l’intento di scardinare le tesi schiaviste, delineando il suo particolare contributo.114 Tale contributo si articolava da un impianto giusnaturalista fondato sull’intangibilità del diritto alla libertà e sull’uguaglianza assoluta fra gli esseri umani, che radicalizzava il libro XV in senso universalista, pur non rinunciando alle riflessioni relativiste in esso contenute. La condanna era espressa in maniera chiara, decisa, inequivocabile. Dannosa moralmente e svantaggiosa economicamente, la schiavitù non poteva trovare alcun tipo di giustificazione: “né dal diritto della guerra, come pensavano i giureconsulti romani, né dal diritto di acquisizione, né da quello della nascita, come alcuni moderni hanno voluto convincerci; in una parola, niente al mondo può rendere la

schiavitù legittima.”115 A tali parole seguiva un coerente discorso antischiavista, che era quasi esclusivamente composto da passi citati dall’Esprit des lois concatenati tra loro in modo rigorosamente sistematico. Tuttavia Jaucourt diede alle sue parole un tono più duro e a tratti sprezzante, che si distaccavano leggermente dalla moderatezza di Montesquieu. Il cavaliere “accusava la pretesa carità” di chi riduceva in schiavitù il

113 Ivi, p. 990. Più avanti scriveva: “La schiavitù non è solamente dannosa per colui che la subisce, ma per

l’umanità stessa che è degradata.” p. 997.

114 Ivi, p. 991. L’articolo di Jaucourt era diviso in due parti: la prima dal paragrafo 3 al 32, comprendente

la storia della schiavitù fino al XV secolo, in cui evidenziava analogie e differenze tra la schiavitù antica e quella moderna (pp. 990-995); la seconda dal paragrafo 33 al 60, in cui si aveva un’analisi giuridica e morale dell’istituzione (pp. 995-999). Bisogna notare che Jaucourt in questo articolo si rivolse esclusivamente alla schiavitù europea, non menzionando mai quella coloniale, dimostrando in questo una linea di continuità con Montesquieu.

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nemico di guerra, paragonandolo a “un brigante, che si vanta di aver risparmiato la vita a coloro che non ha ucciso.” Condannava chi era introdotto nel “traffico degli schiavi” per trarre un “vile guadagno” dal mercanteggiare le persone “come bestie selvagge.” Si scagliava contro Aristotele e l’idea della schiavitù naturale, definendola una assurda teoria sostenuta dai “pregiudizi dell’orgoglio e dell’ignoranza,” che indurivano gli animi portando gli individui a “rinunciare all’umanità”.116

Per quanto il suo lavoro sia stato sottovalutato o passato sotto silenzio, bisogna dire che la collaborazione di Louis de Jaucourt all’Encyclopédie fu essenziale per il buon esito del capolavoro editoriale e per la diffusione del pensiero antischiavista di stampo montesquieuiano, a cui il chevalier diede un timbro visibilmente più radicale.

Dagli anni ‘50 del Settecento gli argomenti di Montesquieu furono ripetuti, sviluppati e propagati dai dotti del mondo illuminista, superando i confini nazionali, diffondendosi in tutta Europa e in Nord America, e avendo una forte presa su tutti coloro che, rompendo con il passato, decisero di sostenere una posizione decisamente abolizionista, ricorrendo alla certezza delle leggi, al loro carattere inequivocabile, indiscutibile e performativo. L’Esprit des lois divenne immediatamente un caso editoriale, tanto che nel gennaio 1750 Montesquieu poteva scrivere in una lettera indirizzata al duca di Nivernais, che 22 edizioni dell’opera erano sparse sul continente europeo. Il testo ottenne un ampio successo ed ebbe un impatto fondamentale in particolar modo nel contesto anglofono. L’editore Thomas Nugent lo tradusse integralmente in inglese nel 1750 con il titolo The Spirit of Laws e una copia francese venne riedita nello stesso anno a Edimburgo. Hume stesso ne aveva patrocinato la traduzione di due capitoli nel 1749, venendo ringraziato personalmente dal barone di La Brède. Negli anni seguenti il numero delle edizioni continuò a crescere

116 Ivi, pp. 997-998. Jaucourt criticava la schiavitù riferendosi anche a diversi passi biblici. In ordine i

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vertiginosamente.117 Adam Ferguson, James Beattie, Adam Smith e altri illustri pensatori della scuola illuministica scozzese videro nel philosophe un punto di riferimento da cui partire e con cui dialogare per la riflessione politica, sociale, giuridica e filosofica. L’opera ottenne un grande successo anche nel continente nordamericano, diventando nella seconda metà del secolo il libro più citato dopo la Bibbia e influenzando profondamente il pensiero politico dei padri fondatori dei futuri Stati Uniti d’America. Benjamin Franklin e John Adams avevano edizioni inglesi e francesi di Montesquieu. Thomas Jefferson, James Madison e Alexander Hamilton avevano ricevuto un’istruzione universitaria studiando sui testi del barone di La Brède. D’altra parte passi antologizzati delle opere montesquieuiane si trovavano sparsi in diversi testi letterari, nei trattati, ma anche nei giornali, i periodici, le gazzette e, come abbiamo visto nel caso di Benezet, anche in numerosi libelli e pamphlet, molto più accessibili al pubblico sia per la prosa che per il costo.118

Se la vasta circolazione dell’Esprit des lois coincise con l’irruzione nello spazio pubblico europeo e coloniale della questione schiavile, fu proprio nel mondo anglosassone che il capolavoro di Montesquieu trovò terreno fertile, influenzando profondamente la cultura giuridica britannica e stimolando un forte interesse per quella parte dell’umanità sottomessa al giogo del servilismo.119

Un giovane giurista scozzese

117 Sebastiani S., L’Esprit des lois nel discorso storico dell’Illuminismo scozzese, in Felice D. (a cura di),

Montesquieu e i suoi interpreti, cit., I, pp. 211-245.

118 Casalini B., L’Esprit di Montesquieu negli Stati Uniti durante la seconda metà del XVIII secolo, in

Felice D. (a cura di), Montesquieu e i suoi interpreti, cit., I, pp. 325-355; e Lutz D.S., The Relative

Influence of European Writers on Late Eighteenth-Century American Political Thought, in « The

American Political Science Review », vol. 78, n. 1, 1984, pp. 189-197. Il pensiero del barone di La Brède ebbe un impatto fondamentale, diventando un caposaldo della cultura illuministica e influenzando tutti i maggiori intellettuali occidentali. Sulla ricezione e le riflessioni delle opere di Montesquieu in Italia, e in particolar modo per l’analisi del libro XV, vedere Tuccillo A., Il commercio infame, cit., pp. 87-187.

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Per l’influenza di Montesquieu sul pensiero anglosassone si consiglia il datato ma ancora interessante articolo di Frank Thomas Herbert Fletcher, Montesquieu’s Influence on Anti-Slavery Opinion in England, in «The Journal of Negro History», vol. 18, n. 4, 1933, pp. 414-425, che rende conto dell’importanza della riflessione montesquieuiana per la critica della schiavitù in Gran Bretagna, nonostante le diverse convinzioni filosofiche di autori come Granville Sharp, Adam Ferguson, James Beattie, Edmund Burke. Vedere anche Fletcher F.T.H., Montesquieu and English Politics, 1750-1800, London, E. Arnold, 1939, in cui, oltre ad essere presente l’articolo precedentemente menzionato, viene analizzato l’impatto più generale avuto dalla riflessione montesquieuiana in Inghilterra.

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di nome George Wallace si mise particolarmente in luce nella valorizzazione del pensiero del filosofo francese. Figlio del reverendo presbiteriano Robert Wallace, famoso per la sua diatriba sulla popolazione con Hume, George era un membro rispettabile dell’élite sociale e intellettuale di Edimburgo, che proprio in quegli anni si stava affermando come uno dei massimi centri culturali d’Europa. Nel System of the

Principles of the Law of Scotland (1760), un trattato giuridico in cui si analizzava in

maniera sistematicamente rigorosa la legislazione scozzese prendendo a modello il metodo e lo stile di Montesquieu, un intero capitolo venne dedicato al problema della schiavitù.120 Wallace vi asserì che “ogni uomo [era] nato uguale ad ogni altro”, che la libertà era una “facoltà naturale”, che la schiavitù era “contraria alla natura” e che tale istituzione, comunemente accettata nel mondo antico, appariva “così terribile e contraria ai sentimenti dell’umanità da non poter concordare con la Legge della Scozia”, da cui era stata “totalmente abolita” se non addirittura mai riconosciuta.121

La schiavitù – “crudele, disumana, illegale” – contraddiceva ontologicamente la libertà dell’individuo: un diritto inalienabile, il cui possesso “inestimabile” e il valore “infinito” non era in nessun modo oggetto di contrattazione. Le parole pronunciate da Wallace erano estremamente chiare: “gli uomini e le loro libertà non sono in commercio; essi non sono acquistabili o vendibili.” E rivolgendosi direttamente al traffico degli schiavi dichiarava senza mezzi termini: “Se questo commercio ammette una giustificazione morale o razionale, ogni crimine, anche il più atroce, potrebbe essere giustificato.”122

Il mercanteggiare la vita delle persone, il sottomettere gli individui al dominio dei loro

120 Sull’importanza che ha avuto l’Esprit des lois di Montesquieu, e in particolare il libro XV, sul pensiero

antischiavista di George Wallace vedere Fletcher F.T.H, Montesquieu’s Influence on Anti-Slavery

Opinion in England, art. cit., pp. 416-417; Anstey R., The Atlantic Slave Trade and British Abolition, cit.,

pp. 112-113; e Thomas H., The Slave Trade: The History of the Atlantic Slave Trade, 1440-1870, London, Picador, 1997, p. 468.

121 Wallace G., A System of the Principles of the Law of Scotland, I, Edinburgh, G. Hamilton and J.

Balfour, 1760, libro III, titolo 2, p. 89.

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padroni, esponendoli a insulti, torture e maltrattamenti di ogni tipo, era vietato, proibito, negato dai dettami della ragione, dal sentimento di umanità e dalla legge naturale, che aveva dichiarato gli uomini liberi e uguali sin dalla nascita. Era opportuno che la legge positiva coincidesse con la legge di natura, affinché le istituzioni degli uomini, spesso mosse dall’arbitrio e dall’arroganza, non violassero i diritti inalienabili dell’individuo. Prima di inserire i capitoli tre, quattro e cinque del libro XV dell’edizione francese dell’Esprit des lois, ribadendo la propria ammirazione per “il più grande e più umano