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Il Somerset case e l’inizio della battaglia abolizionista in Inghilterra

I. Il vento sta cambiando: il Somerset case e le origini del dibattito abolizionista

1.5 Il Somerset case e l’inizio della battaglia abolizionista in Inghilterra

Granville Sharp (1735-1813) era figlio di Thomas Sharp, arcidiacono del Northumberland, e nipote di John Sharp, arcivescovo di York. In quanto membro di una importante famiglia ecclesiastica britannica, Granville ricevette una educazione classica nella natale cittadina di Durham, studiando letteratura inglese e i rudimenti della matematica. Successivamente si trasferì a Londra, dove venne preso come apprendista da un mercante di tessuti. Concluso l’apprendistato, Sharp decise di mettersi in proprio,

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ma, non avendo fortuna con gli affari, lasciò perdere quell’attività e trovò lavoro come impiegato all’interno del dipartimento di artiglieria, rimanendovi dal 1758 fino alle sue dimissioni rassegnate nel 1775.139 Così, quando Sharp decise di dedicare la sua vita alla battaglia per la liberazione degli schiavi africani non era che un semplice funzionario pubblico di un dipartimento governativo di secondo piano.

L’impegno di Sharp per la causa abolizionista ebbe inizio nella primavera del 1765. Una mattina, mentre stava uscendo dall’abitazione di suo fratello William, rinomato chirurgo londinese, vide un ragazzo africano che stava aspettando fuori dalla porta per ricevere le cure mediche. Granville, colpito dalle gravi condizioni in cui versava, lo fece entrare nella casa, dove suo fratello di frequente prestava soccorso ai poveri che necessitavano di aiuto, e si fece raccontare quello che gli era successo. Il giovane si chiamava Jonathan Strong ed era uno schiavo da poco arrivato a Londra al seguito del suo padrone David Lisle, un piantatore delle Barbados. Lisle in un eccesso di collera aveva brutalmente percosso il povero Strong, rischiando di fargli perdere seriamente la vista, e alla fine, credendo che lo schiavo avesse perso il suo valore lo gettò fuori di casa. Sharp, colpito dalla storia del ragazzo, decise di aiutarlo: lo portò all’ospedale dove Strong rimase alcuni mesi per ricevere le cure necessarie e in seguito lo affidò ad una famiglia di sua conoscenza, che gli diede un rispettabile impiego come farmacista e con cui visse felicemente per due anni. Un giorno mentre camminava per le strade di Londra venne visto casualmente dal suo precedente padrone, il quale, avendo capito che Strong aveva riacquistato e addirittura lievitato il valore perduto dopo le percosse, pur non impossessandosi di lui, decise di venderlo a sua insaputa per £ 30 a James Kerr, un piantatore della Giamaica. Kerr dichiarò che avrebbe pagato la somma pattuita solamente quando lo schiavo si fosse trovato sulla nave pronta a salpare per

139 Hoare P., Memoirs of Granville Sharp, esq. Composed from his own manuscripts, and other authentic

documents in the possession of his family and of the African institution…, 2 vol., London, H. Colburn,

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Kingston. Così Lisle ingaggiò due ufficiali che catturarono Strong e lo rinchiusero in prigione, dove sarebbe dovuto rimanere fino al giorno della partenza. Avvertito dell’accaduto, Sharp liberò Strong invocando l’Habeas Corpus e puntando sul fatto che il ragazzo nero era stato imprigionato senza alcun mandato. La reazione dei due piantatori, che avevano stipulato il contratto e che vedevano messo in discussione il loro diritto nel portare a termine la transazione, non si fece attendere: Kerr denunciò Sharp, citandolo in giudizio e chiedendogli il pagamento di £ 200 per il danno subito, mentre Lisle lo sfidò a duello, salvo in un secondo momento rinunciarvi per affiancare in tribunale il piantatore giamaicano. Nella battaglia legale che ne seguì, Granville Sharp fece sfoggio di tutta la sua erudizione, presentando un’arringa difensiva che sancì la sua vittoria e confermò l’effettivo affrancamento di Jonathan Strong dal suo precedente padrone.140

Nel risolvere a proprio favore la causa, Sharp aveva dovuto districarsi nella labirintica foresta di sentenze e decisioni legali in materia schiavile, talvolta confliggenti sia sul piano logico che sotto il profilo giuridico, che si erano susseguite in Inghilterra con l’aumento dei servi neri. Furono proprio le contraddizioni inerenti al frammentato ordinamento legislativo inglese sulla condizione e lo status giuridico degli schiavi coloniali al momento del loro approdo sul suolo britannico al seguito dei loro padroni, così come lo scarso interesse dimostrato fino a quel momento da parte dell’opinione pubblica del regno, che spinsero Sharp, superato positivamente il caso Strong, a scrivere un trattato sulla questione. Pubblicato nel 1769 con il titolo di A

Representation of the Injustice and Dangerous Tendency of Tolerating Slavery, l’opera

140 Per ulteriori informazioni riguardo il caso di Jonathan Strong vedere: Hoare P., Memoirs of Granville

Sharp, op. cit., pp. 32-39; Shyllon F.O., Black Slaves in Britain, cit., pp. 17-23; Blackburn R., The Overthrow of Colonial Slavery, cit., pp. 98-99; Thomas H., The Slave Trade, cit., p. 471; Wise S.M., Though the Heavens May Fall: The Landmark Trial that Led to the End of Human Slavery, Cambridge

(Mass.), Da Capo Press, 2005, pp. 21-30; e Brown C.L., Moral Capital: Foundations of British

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del filantropo britannico nasceva con l’ambizione di fare chiarezza sul diritto inglese riguardante la schiavitù, con l’intento di scalfire le posizioni schiaviste e con l’obiettivo di dimostrare l’illegittimità da parte del piantatore coloniale nel rivendicare il diritto di proprietà su un essere umano quando metteva piede in Inghilterra. Sharp prendeva le mosse, criticandola, dall’opinione giuridica espressa da Philip Yorke e Charles Talbot nel 1729, secondo la quale uno schiavo che approdava in Inghilterra manteneva inalterato il proprio status, che il padrone poteva legittimamente costringerlo con la forza a fare ritorno nella piantagione e che il battesimo non avrebbe potuto in nessun modo conferirgli la libertà. Questa “crudele e illegale opinione”, come l’avrebbe definita successivamente uno dei padri dell’abolizionismo britannico, Thomas Clarkson, ebbe una grande risonanza nell’opinione pubblica inglese, grazie ai piantatori e agli schiavisti che la utilizzarono per anni come una giustificazione dell’esistenza legale della schiavitù e ne usufruirono per chiedere la cattura e l’imprigionamento dei servi neri che tentavano la fuga.141 Fu proprio in virtù dell’ampia diffusione avuta dall’opinione espressa dai due giuristi inglesi e per le ragioni precedentemente

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Philip Yorke (1690-1764) e Charles Talbot (1685-1737), rispettivamente Attorney-General e Solicitor-

General, pronunciarono la legal opinion sulla schiavitù in Inghilterra il 14 gennaio 1729. Di seguito il

testo completo: “We are of the Opinion, that a Slave by coming from the West-Indies to Great-Britain or Ireland, doth not become free, and that his Master's Property or Right in him is not thereby determined or varied: and that Baptism doth not bestow freedom on him, nor make any Alteration in his Temporal Condition in these kingdoms. We are also of the Opinion, that his master may legally compel him to return again to the Plantations.” Citato in Shyllon F.O., Black Slaves in Britain, cit., p. 26. Nei due decenni successivi al 1729 la maggioranza delle persone accettò la schiavitù come un’istituzione legale in Inghilterra: vedere su questo Drescher S., Capitalism and Antislavery. British Mobilization in

Comparative Perspective, London, Macmillan Press, 1986, pp. 31 e 187, n. 21; e Walvin J., Black and White: The Negro and English Society, 1555-1945, London, A. Lane, 1973, pp. 111-112. Thomas

Clarkson scrisse in merito all’opinion di Yorke e Talbot: “This cruel and illegal opinion was delivered in the year 1729. The planters, merchants, and others, gave it of course all the publicity in their power. And the consequences were as might easily have been apprehended. In a little time slaves absconding were advertised in the London papers as runaways, and rewards offered for the apprehension of them, in the same brutal manner as we find them advertised in the land of slavery. They were advertised also, in the same papers, to be sold by auction, sometimes by themselves, and at others with horses, chaises, and harness. They were seized also by their masters, or by persons employed by them, in the very streets, and dragged from thence to the ships; and so unprotected now were these poor slaves, that persons in nowise concerned with them began to institute a trade in their persons, making agreements with captains of ships going to the West Indies to put them on board at a certain price. This last instance shows how far human nature is capable of going, and is an answer to those persons, who have denied that kidnapping in Africa was a source of supplying the Slave-trade. It shows, as all history does from the time of Joseph, that, where there is a market for the persons of human beings, all kinds of enormities will be practiced to obtain them.” Vedere Clarkson T., The History of the Rise, Progress and Accomplishment of the Abolition

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menzionate connesse al contesto in cui si era svolto il processo di Strong, che Sharp decise di iniziare il suo trattato sviluppando una riflessione chiara e inequivocabile che aveva come base di partenza tale dichiarazione.

Secondo Sharp “la schiavitù [era] una novità in Inghilterra” essendo “contraria allo spirito e al proposito della costituzione e delle nostre attuali leggi.” In effetti, pur essendoci stati molti esempi di “persone liberate dalla schiavitù”, non esistette mai sul suolo inglese “una legge, né tantomeno un procedimento legale che legittimava un padrone nel rivendicare o nel detenere qualsiasi persona come schiavo” in assenza di un contratto stipulato da un soggetto che, volontariamente e senza alcun tipo di costrizione, decideva di sottomettere sé stesso alla volontà di un altro individuo. Tale sottomissione, tuttavia, aveva dei notevoli limiti, in quanto una persona non poteva disporre autonomamente di un diritto inalienabile come quello della libertà, come affermato anche dal barone di Montesquieu, che Sharp non mancava di citare per conferire maggiore autorevolezza alla propria dissertazione.142 I diritti di un padrone, quindi, derivavano solamente da un contratto, e tale contratto sarebbe stato considerato nullo se privava permanentemente un servo della sua libertà. In base a questo nessuno poteva pretendere la proprietà privata su un nero, alla stregua di un cavallo o di un cane, a meno che non fosse “in grado di dimostrare che uno schiavo negro non è né un uomo, né una donna, né un bambino.” Se i padroni erano incapaci di “spogliare” gli schiavi neri “della [loro] umanità” non potevano certamente pensare di mantenere in schiavitù una persona considerandola come una semplice “chose in action”.143 Tutti gli individui

142 Sharp G., A Representation of the Injustice and Dangerous Tendency of Tolerating Slavery, or of

admitting the least claim of private property in the persons of men in England, London, B. White and R.

Horsfield, 1769, pp. 42, 5, 10. Sharp citava in una nota a p. 10 un passo del libro XV, cap. 2 di Montesquieu: “Il n’est pas vrai qu’un homme libre puisse se vendre.” Il barone di La Brède era citato anche alle seguenti pagine: 78-79, 83. Sull’influenza del philosophe nel pensiero di Sharp vedere l’articolo di Fletcher F.T.H., Montesquieu’s Influence on Anti-Slavery Opinion in England, art. cit., p. 418.

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presenti in Inghilterra, inclusi gli stranieri, continuava Sharp, erano sudditi di sua maestà e in un certo senso “proprietà” del re. In quanto sudditi erano sottoposti alle leggi dell’Inghilterra e avevano il diritto di ricevere la protezione del sovrano, che includeva l’Habeas Corpus Act del 1679, con il quale si sanciva la tutela di ogni individuo di fronte all’imprigionamento arbitrario, alla riduzione in schiavitù o all’essere portati fuori dal regno contro la propria volontà. In questo senso l’importazione o l’esportazione degli schiavi era un’innovazione, non giustificata dalla leggi vigenti così come dagli ordinamenti passati.

Il tono calmo e deciso delle prime due parti lasciava spazio ad una retorica più aspra e pungente nella terza, in cui Sharp analizzava gli svantaggi del tollerare la schiavitù in Inghilterra, lanciandosi contro il “clandestino e innaturale traffico” degli schiavi, la cui abolizione non avrebbe potuto in alcun modo influenzare negativamente il commercio dello stato.144 Mercanteggiare in vite umane e introdurre nella madrepatria gli schiavi neri, non era solamente ingiusto nei confronti del genere umano, ma anche dannoso dal punto di vista economico e morale. Sulla stessa linea di Montesquieu, Dupont de Nemours e Benjamin Franklin, Sharp sottolineava come le spese relative al vitto, l’alloggio e il trasporto degli schiavi, insieme alle malattie e agli incidenti, rendevano sicuramente più costoso il loro mantenimento rispetto a quello dei liberi servi inglesi, i quali vivevano nell’indigenza a causa della drastica riduzione dei posti di lavoro disponibili. A questo si aggiungeva anche l’animo superbo, voluttuoso, collerico dei padroni di schiavi, perché come tutte le persone che detenevano altri in una condizione di schiavitù, non mostravano nessun riguardo per la libertà civile, tanto da non farsi nessuno scrupolo ad esercitare con rigore il dispotismo e la tirannia quando il capriccio o l’interesse privato lo richiedevano.145

I principali responsabili di questa

144 Ivi, p. 44.

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situazione erano sicuramente i piantatori, “i legislatori” delle colonie, che con il loro “spirito arbitrario, crudele e disumano” avevano creato quello stato “miserabile e abietto” in cui si trovavano a vivere gli schiavi. In una nota Sharp citava con estrema durezza dal testo delle leggi della Giamaica, stampate a Londra nel 1756, un passo nel quale si affermava che se uno schiavo fosse fuggito dal proprio padrone, era lecito che tale schiavo fosse punito con il taglio di uno dei due piedi o infliggendogli una pena corporale che i proprietari ritenevano più opportuna. Per sostenere la veridicità della sua tesi il filantropo inglese chiamava in causa anche Hans Sloane (1660-1753), il più importante naturalista britannico del suo tempo, fondatore del British Museum e che nel 1707 aveva pubblicato la prima parte del suo libro sul suo viaggio in Giamaica, dove era arrivato nel 1687 in qualità di medico, e nel quale descriveva tra le altre cose le terribili punizioni inflitte agli schiavi, rei di commettere qualche reato.146 La schiavitù coloniale, dunque, rappresentava un pericolo anche per la madrepatria, dal momento che i padroni erano soliti portare con sé i loro servi e le pratiche punitive che essi utilizzavano nei territori oltremare.

Le argomentazioni a sostegno dell’inesistenza della schiavitù nell’ordinamento legislativo inglese procedevano di pari passo, nel pensiero di Sharp, con la condanna dell’istituzione schiavile nelle colonie. Le due questioni per lui erano perfettamente legate e così come l’antica “tirannia” della servitù della gleba era da considerarsi “irragionevole, ingiusta e contro natura”, allo stesso modo le “moderne nozioni di schiavitù” erano da ritenersi “assolutamente illegali” e “ripugnanti ai principi del

common law”.147 Non c’era libertà dove non esisteva il rispetto della persona, dove equità e amore sociale erano calpestati dall’ingiustizia e dal disprezzo per lo spirito cristiano di benevolenza nei confronti del prossimo. La pretesa di alcuni individui di

146 Ivi, p. 63-65. Per approfondire la figura di Hans Sloane, su cui ritorneremo successivamente, vedere

Delbourgo J., Collecting the World: The Life and Curiosity of Hans Sloane, London, A. Lane, 2017.

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mantenere in catene uomini, donne e bambini, vittime innocenti della sete di potere di una classe avida di guadagno, significava per Sharp regredire allo stato selvaggio e brutale, rinunciando alla vera libertà.

“La vera libertà protegge il lavoratore così come il suo signore; preserva la dignità della natura umana e raramente fallisce nel rendere una provincia ricca e popolosa. […] una tolleranza della schiavitù è la più alta violazione della virtù sociale e non solo tende allo spopolamento, ma troppo spesso rende le menti dei padroni e degli schiavi completamente depravate e disumane a causa degli odiosi estremi di depressione ed esaltazione.”

In sostanza, chiosava duramente Sharp: “A toleration of slavery is, in effect, a toleration of inhumanity” – “Una tolleranza della schiavitù è, effettivamente, una tolleranza della disumanità” -.148 Certo della bontà della sua causa e fermo sulle sue posizioni, il filantropo britannico rivendicava in modo risoluto il riconoscimento della libertà e dei diritti alle persone nere, ridotte ingiustamente alla sottomissione. Sharp ricevette personalmente le congratulazioni di Blackstone in una lettera inviatagli il 25 maggio 1769 e venti manoscritti dell’opera circolarono nei diciotto mesi successivi alla sua pubblicazione tra i giurisperiti londinesi, desiderosi di conoscere il giudizio di una persona che stava acquistando velocemente grande notorietà come l’avvocato difensore degli schiavi neri condotti e detenuti illegalmente in Inghilterra dai loro padroni bianchi.149

148 Ivi, pp. 104-105, 79. Per un’analisi del trattato di Sharp vedere Shyllon F.O., Black Slaves in Britain,

cit., pp. 24-39.

149 Wise S.M., Though the Heavens May Fall, cit., pp. 56-57. Il Monthly Review dedicava alcune pagine

all’analisi del trattato di Sharp: The Monthly Review, 1769, vol. 41, pp. 30-35. Sull’abolizionismo di Sharp vedere: Lascelles E.C.P., Granville Sharp and the Freedom of Slaves in England, Oxford, Oxford University Press, 1928; Wise S.M., op. cit., cit., pp. 31-43. Sui casi giudiziari di cui si interessò il filantropo inglese, giocando un ruolo spesso determinante per la risoluzione finale, vedere Lyall A.,

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Tre anni dopo che A Representation of the Injustice aveva visto la luce e cinque anni dopo la conclusione del processo che aveva avuto come protagonista Jonathan Strong, un altro caso contribuì a scuotere le coscienze del popolo britannico, con l’obiettivo, secondo molti contemporanei, di trovare definitivamente una soluzione all’annoso problema della schiavitù sul suolo inglese. Il primo ottobre 1771 James Somerset, uno schiavo nero arrivato in Inghilterra due anni prima al seguito del suo padrone, il capo doganiere di Boston Charles Steuart, fuggì a Londra. Steuart, dopo averlo trovato, lo catturò e tentò di costringerlo con la forza a imbarcarsi su una nave diretta verso le Indie occidentali, dove sarebbe stato venduto e condannato a trascorrere il resto dei suoi giorni lavorando in una piantagione. A dicembre, tuttavia, Granville Sharp si interessò del caso, fece ricorso all’Habeas Corpus e diede avvio al procedimento legale attraverso il quale Steuart doveva dimostrare i suoi diritti nel trasportare Somerset fuori dalla Gran Bretagna contro la sua volontà. Il processo che ne seguì ebbe una grandissima risonanza in tutto il regno. Il giudice capo della Court of King’s Bench di Londra, William Murray, conte di Mansfield (1705-1793), dopo mesi di studio delle carte processuali e di infiammanti arringhe riguardanti lo status civile di Somerset pronunciate sia dagli schiavisti che dai ferventi sostenitori della libertà del povero nero, il 22 giugno 1772 emise la sentenza. La dichiarazione di Lord Mansfield, letta in un’aula di tribunale in cui erano presenti decine di neri liberi che si erano fatti carico delle spese processuali per la difesa dello schiavo fuggito, sancì l’affrancamento di Somerset, stabilendo che “lo stato di schiavitù […] è così odioso che non può essere chiamato in causa niente per sostenerlo, tranne che la legge positiva”, e che nessun uomo poteva essere costretto con l’uso della forza e contro la sua volontà ad abbandonare l’Inghilterra.150 Lord Mansfield, il primo scozzese a ricoprire una carica

150 Di seguito il passo più significativo della sentenza di Lord Mansfield: “The state of slavery is of such a

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così importante come quella della più alta magistratura del regno, nell’emanare tale sentenza dovette affrontare il conflitto legale che esisteva tra schiavitù e proprietà all’interno del regno britannico: riconoscere la libertà del nero significava violare i diritti di proprietà dello schiavista; riconoscere il diritto di proprietà dello schiavista significava violare la libertà naturale dell’essere umano. Mansfield nutriva un forte, profondo e costante interesse nello sviluppare e razionalizzare il diritto commerciale, prestando particolare attenzione alla regolamentazione delle norme economiche e al loro rispetto del diritto politico e civile esistente in Inghilterra, senza per questo violare gli