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CAPITOLO 3: Altri strumenti per limitare la forestazione

3.1 Gli interventi alternativi per limitare la forestazione

3.1.2 La Legge Regionale 2 Maggio 2003 n 14

La suddetta normativa ha contestualmente abrogato la precedente Legge Regionale 2 Maggio 2003, n. 14, la quale prevedeva ugualmente dei contributi per favorire la diffusione di colture specializzate e di interventi finalizzati a ridurre lo stato di abbandono di alcuni boschi, e per la quale, invece, i fondi sono stati effettivamente erogati. Tale legge prevedeva un vincolo di 4 anni nell’impegno di imboschimento o di risanamento, una superficie minima oggetto della misura pari a 0,3 ettari, fino ad un limite di 4 per richiedente, ed un aiuto economico direttamente proporzionale ai costi sostenuti ma che in ogni caso non avrebbe potuto superare gli € 2.500 per ciascun soggetto o azienda agricola. I beneficiari, così come sottolineato per la precedente normativa, furono obbligati inoltre a presentare apposita documentazione per comprovare che l’effettivo utilizzo del prodotto legnoso avvenisse all’interno della filiera legno energia, per assicurare che lo scopo di approvvigionamento del legname locale ed il suo contestuale utilizzo raggiungesse gli obiettivi energetici preposti.

Nell’applicazione della Legge Regionale in questione, la Regione Veneto ha disposto cinque bandi, uno per ogni anno dal 2003 al 2008. I dati, raccolti dall’Unità di progetto Foreste e Parchi della Regione Veneto e riportati nella tabella 3.1, dimostrano una discreta partecipazione in quasi tutte le province della Regione: ad esclusione delle zone di Vicenza e di Rovigo, infatti, dove si sono contati all’incirca 30 impianti per ciascuna area nell’arco di tutti e cinque gli anni, le altre province hanno raggiunto tutte risultati decisamente più soddisfacenti, con la punta rappresentata dalla provincia di Padova, la quale ha superato quota 160 impianti istallati. I dati raccolti fanno

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riferimento dunque agli interventi di imboschimento delle superfici agricole, mentre per quanto riguarda le azioni di recupero dei territori boschivi degradati o abbandonati, i risultati ad esso relativi sono stati di più difficile rilevazione.

TABELLA 3.1: Impianti realizzati in Veneto con il contributo della Legge Regionale 14/2003.

FONTE: L’informatore agrario (n. 34/2011) su dati Regione Veneto, Unità di progetto Foreste e Parchi,

2010.

Come dimostrano i dati raccolti dall’Unità di progetto Foreste e Parchi, e pubblicati dalla rivista specializzata “L’Informatore Agrario” in un articolo del Settembre 2011, sono stati realizzati 525 impianti tra il 2003 ed il 2008 nei territori della Regione, che corrispondono a circa 1.295 ettari di superfici dedicate a colture specializzate, per una media di 2,47 ettari per impianto. Si tratta per la precisione soprattutto di pioppi, una coltura molto adatta alle finalità alla base della legge, in quanto caratterizzata da un ciclo di rigenerazione breve e quindi capace di offrire una quantità maggiore di legname, utilizzato poi generalmente come legna da ardere o per altri usi industriali. Per i primi due anni in cui sono stati aperti i bandi, inoltre, l’Unità di Progetto Foreste e Parchi ha predisposto un questionario rivolto ai beneficiari dei contributi con l’intento di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni per capire le condizioni in cui sono state inserite queste azioni, gli interventi realizzati e il raccolto effettivo. In particolare interessante risulta essere il dato relativo alle coltivazioni precedenti

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all’installazione delle colture specializzate, in quanto in questo modo è possibile individuare quali potrebbero essere anche in futuro i soggetti maggiormente interessati ad effettuare questo tipo di interventi ed ai quali sarà dunque più efficace rivolgersi.

TABELLA 3.2: Aziende suddivise in base alla coltivazione precedente l’impianto di ceduo a turno breve

(valore in percentuale, hanno fornito il dato 178 aziende).

FONTE: L’informatore agrario (n. 34/2011) su dati Regione Veneto, Unità di progetto Foreste e Parchi,

2010.

Hanno risposto al questionario 182 aziende agricole, le quali hanno coltivato in totale 219 impianti. Come è possibile osservare dalla figura 3.2, la maggior parte dei soggetti che hanno deciso di impiantare colture specializzate per la produzione di biomassa legnosa, in precedenza, nelle stesse superfici, avevano coltivato cereali (precisamente il 43%). Se poi si considerano anche le leguminose, il dato assume una rilevanza maggiore, pari al 60%. Meno frequenti, invece, sono stati i casi in cui i territori interessati erano destinati precedentemente a barbabietole o a rotazione, mentre discreta rilevanza è assegnata al “set aside”, ovvero un periodo in cui un terreno è lasciato riposare anche per recuperarne la fertilità, il quale era presente nel 25% dei casi.

La ricerca ha potuto constatare come la produttività degli impianti dipendesse da una pluralità di fattori, tra i quali rientrano il tipo di coltura adottato, gli interventi colturali effettuati, l’irrigazione, la piovosità, il tipo di terreno scelto per l’impianto ed altre

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condizioni del suolo nonché quelle climatiche. I risultati ottenuti dagli imprenditori agricoli in termini di raccolto, però, sono stati una variabile direttamente collegata con la scelta di proseguire o meno con questo tipo di utilizzo del suolo. E’ stato riscontrato, infatti, che coloro i quali hanno ottenuto buoni risultati, in termini di quintali di biomassa legnosa raccolta per ettaro, hanno poi proseguito la coltivazione di pioppi anche al termine dei quattro anni, limite minimo di durata dell’impegno imposto dalla legge, mentre altri hanno desistito scegliendo di cambiare la destinazione colturale delle proprie superfici agricole. I risultati ottenuti sono però dovuti, tra le altre variabili, anche alla scelta effettuata da ciascun imprenditore agricolo in riferimento al tipo di suolo dedicato a queste piantagioni. La ricerca ha potuto riscontrare, infatti, che generalmente i risultati migliori in termini di raccolto si sono ottenuti nei casi in cui i pioppi sono stati impiantati su terreni fertili, di buona qualità e precedentemente dedicati ad altre colture come i cereali; all’opposto, nei terreni di più bassa fertilità, i quintali che si sono potuti ottenere per ettaro di superficie non sono stati così numerosi come nel primo caso.