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LA LINGUA DEGLI ENTREMESES CERVANTINI Avendo letto le trame e concepito il sottofondo ideologico su

5.5 Lenguaje de germanía

Il termine germanía, abbiamo detto al capitolo 4.6, si usa per riferirsi all’insieme dei delinquenti e malfattori che formavano una parte della società spagnola dei Secoli d’Oro; designa, però, anche il linguaggio stesso di questi tipi emarginati, che avevano bisogno di ricorrere a un gergo specifico per scampare da eventuali problemi con la giustizia.

L’etimologia risale al latino germānus, “hermano” e, inizialmente, il termine indicava una confraternita valenciana che combatteva il potere nobiliare, come ci dice lo studio critico di Elena di Pinto:

A principios del siglo XVI la germanía era la 'hermandad formada por los gremios de Valencia y Mallorca que promovieron una guerra contra los nobles'; a partir de Valencia, ciudad en que se había desarrollado enormemente la mala vida, el término se extiende como uso traslaticio para designar a la gente del hampa y su jerga. Y desde Valencia los "hablantes" se esparcieron por la geografía española hasta alcanzar la Meca del hampa: Sevilla145.

La studiosa, dunque, ci chiarisce che il termine andò espandendo il suo significato fino a designare il gruppo della hampa, diffuso soprattutto tra Valencia e Siviglia. Effettivamente, per la caratterizzazione lingua/personaggio, è lecito pensare che «el jaez de los personajes que hablan así, pues jaques y putas,

145 Di Pinto, E. (2006): «Cervantes y el hampa: paseo por la lengua de los bajos fondos». Culturas Populares, Revista Electrónica 2 (mayo-agosto 2006), p. 1.

94 dan poco lugar a versos duros, sacerdotales y exquisitos»146. Il Diccionario de la lengua española della RAE147 riporta quattro definizioni per “germanía”: una si riferisce al suddetto regno valenciano (en el antiguo reino de Valencia, hermandad o gremio), una classifica a livello colloquiale una folla di ragazzi (tropel de muchachos), un’altra concentra quest’aggregazione in bande di ruffiani (clase de rufianes) e l’ultima, quella che qui ci interessa, indica:

jerga o manera de hablar de ladrones y rufianes, usada por ellos solos y compuesta de voces del idioma español con significación distinta de la verdadera, y de otros muchos vocablos de orígenes muy diversos.

A notare l’affinità tra burla e marginalità nel Siglo de Oro, tanto da formularci uno studio lessicale approfondito, è stato José Luis Alonso Hernández, i cui lavori sono fondamentali per la stesura di questo paragrafo. Nell’articolo «Burlas y marginalidad en los Siglos de Oro»148 spiega che la prima volta che si accorse della relazione tra burla e marginalità e del fatto che la marginalità potesse celare degli scherzi, fu nel trovare in diversi testi letterari, con notevole frequenza e molteplicità di accezioni, il termine Coime nel significato comune di “Dios”, che considera potesse essere l’appellativo attribuito a un vecchio rufián molto rispettato e influente nella società dell’epoca. Il caso successivo che lo interessò particolarmente fu nell’occasione di «clasificar las casi

146 Di Pinto, E.: «Cervantes y el hampa». Cit., p. 2.

147 Cfr. Link al sito web nella “Sitografia” in fondo alla tesi.

148 Huerta Calvo J., Peral Vega E. J., Ponce Cárdenas J. (2001): Tiempo de

burlas: en torno a la literatura burlesca del Siglo de Oro. Verbum, Madrid, pp.

95 trescientas denominaciones que recibían las ejecutantes del periodísticamente conocido como el oficio más viejo de la humanidad»149.

Nella sezione 4.6.2 di questa tesi abbiamo affrontato parte della numerosa terminologia attribuita alle prostitute e, in questo contesto, possiamo specificare che ad appartenere al lessico della germanía sono gli appellativi mujer errada (riferito alla donna del Ganapán del juez de los divorcios150), moscovita151 e ninfa: questa, in particolar modo, compare sia nell’entremés del rufián viudo che nel vizcaíno fingido152 a significare, appunto, una prostituta, com’è registrato nel dizionario Tesoro de villanos153. Questo contiene tutti i termini utilizzati da Cervantes nel suo componimento, con l’etimologia e le definizioni corrispondenti; intorno a questa lessicologia dedicata alle prostitute, infatti, possiamo trovare anche godeña, registrata nei significati di “ricco, nobile” e “prostituta”, coerentemente col contesto del vizcaíno fingido in cui si trova, riferito alla condizione delle due donne, e lanternas/lumbres, considerate come delle metafore germanesche per “occhi”; è tipico di questo linguaggio, come afferma già la definizione citata prima, attribuire alle parole un significato diverso dall’originario.

149 Huerta Calvo J., Peral Vega E. J., Ponce Cárdenas J.: op. cit., pp. 14-15. 150 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 111.

151 Alonso Hernández, J. L. (1979): El lenguaje de los maleantes españoles de

los siglos XVI y XVII: la germanía (introducción al léxico del marginalismo). Ed.

de la Universidad de Salamanca, p. 59, cit.:«La moscovita es un tipo de prostituta de difícil definición a no ser que se tratara de un simple genérico. Es un formado a partir de mosca, como mosca significa dinero […]».

152 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., rispettivamente p. 145 e 204.

153 Chamorro, M. I. (2002): Tesoro de villanos. Diccionario de germanía. Lengua

de jacarandina: rufos, mandiles, galloferos, viltrotonas, zurrapas, carcaveras, murcios, floraineros y otras gentes de la carda. Herder, Barcellona, p. 608, s.v.

“ninfa”: ramera, mujer pública, manceba; < lat. nympha ‘novia’, ‘dama’, ‘desposada’, ‘doncella’, ‘deidad del agua o del bosque’ ”.

96 Anche per quanto riguarda gli appellativi dei rappresentanti maschili del mundo del hampa la varietà è notevole. I rufianes154, ad esempio, nell’intermezzo del ruffiano vedovo vengono talvolta chiamati con l’abbreviazione rufos o jayán (dal lat. gigas, -antis, è passato al francese come jayant “hombre de estatura y fuerza notable”, da cui il castigliano jayán preso dalla germanía nel senso di “rufián respetado por todos los demás”)155, o cuyo, cioè padrone (dal latino cuius, il pronome che indica la possessione e la proprietà di qualcuno), oppure sor/so, forme sincopate di señor, così come avviene con vuestra merced, ridotta a voacé. La derivazione volgare dal latino e la sincope sono, infatti, i tratti tipici del habla de germanía, così come lo è quello della suffissazione di cui Alonso Hernández ci riporta una studio accurato156, ma in riferimento al quale, nel testo, non abbiamo precisi esempi.

Altre forme lessicali utilizzate da Cervantes negli Entremeses, comunque, sono garlar per “parlare, esclamare, gridare, parlottare”, che il dizionario di Chamorro ci dice provenire dal latino garrulare, essere passato al catalano nel senso di “chiacchierare, sparlare” e da qui ripreso dalla germanía valenciana157; colar, “bicchiere di vino”, metonimia per l’effetto di bere molto, da cui la composizione di colambre, “colar+hambre”, cioè “avere voglia di bere vino”158; e gura/gurapa159, la prima nell’accezione di “giustizia” e la seconda di “galera”, correlate dall’origine araba gurâb, “navío, galera” che designava le galere e

154 Chamorro, M. I.: Tesoro de villanos. Diccionario de germanía, p. 721, s.v. “rufián”: chulo que trae mujeres para ganar con ellas y riñe sus pendencias. 155 Ibid., p. 745, s.v. “jayán”.

156 Alonso Hernández, J. L.: El lenguaje de los maleantes españoles. Op. cit., pp. 265-268.

157 Chamorro, M. I.: Tesoro de villanos. Diccionario de germanía, p. 437, s.v. “garlar”.

158 Ibid., pp. 253-254. 159 Ibid., pp. 476-477.

97 la pena di remare a cui si condannavano i delinquenti e i cristiani catturati dai mori.

Vediamo, dunque, come anche questo sia un linguaggio vivo, derivato da diverse lingue e forme proprie dell’oralità; fissarlo in letteratura è stata una conseguenza, probabilmente, della diffusione che ebbe e della frequenza con cui si poteva ascoltare per le strade. È lecito pensare, infatti, che Cervantes, attento alla cultura popolare, lo abbia appreso da lì e, probabilmente, anche dal carcere durante gli anni di reclusione a Castro del Río (Cordova) nel 1592 e a Siviglia nel 1597. L’autore avrebbe fatto, dunque, dell’esperienza di vita un elemento della sua formazione e creazione poetica, intrecciando trame e linguaggi più vissuti che inventati; inoltre, il fatto che ne abbia scelto come mezzo di rappresentazione il teatro breve, risponde alla volontà di trasmettere la potenza espressiva e burlesca che questo particolare tipo di gergo aveva, unitamente agli altri espedienti linguistici che hanno contribuito alla sua stima.

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CONCLUSIONE

Come ha scritto Molho, leggere Cervantes vuol dire saper camminare per le strade insieme ai personaggi di quella civiltà aurea che abbiamo descritto, vuol dire immergersi in quel mondo unico, accettarne le ambivalenze e condividerne la filosofia tanto volgare quanto naturale e tradizionale.

Da qui è partito il mio interesse e il mio lavoro, che si è espresso sotto diversi profili: riprendendo dalla parte finale, sotto il punto di vista linguistico abbiamo visto come l’esemplarità di Cervantes si è dimostrata nell’aver saputo adottare e adattare diverse possibilità espressive, toni e stili differenti, in un unico testo che, seppur breve e di genere minore, è riuscito a sancire il suo peculiare intervento anche in questo contesto letterario. Dalla struttura dialogica al lessico, tra paremie, volgarismi, linguaggi particolari e realismo espressivo, richiamando un ideale stilistico basato sulla naturalezza e sulla semplicità d’espressione, notata la relazione tra lingua e coscienza colletiva, si risale al piano sociale in cui abbiamo riscontrato che la tendenza umanista e realista di Cervantes si configura nella più verosimile rappresentazione di un mondo concreto a lui ben noto; l’autore, infatti, ha fatto della dimensione umana un elemento caratterizzante e distintivo della sua penna: non ha delineato soltanto una categoria sociale, una tipologia di persone, una storia, un unico piano d’azione per gli avvenimenti, ma ha abbracciato l'interezza del fenomeno umano nelle sue multiformi espressioni culturali; dalla classe più bassa e umile fino al tentativo di elevazione sociale, tra storie d’amore sbagliate, di difesa dei valori della società civile e nel ribaltamento degli stessi, Cervantes ha approfittato degli entremeses per costruire un

99 mondo non soltanto del tutto farsesco e di facile intrattenimento, ma risevole nella sua profonda lucidità. Nel contesto storico, infine, Cervantes si è distinto ancora una volta con la sua maestria nell’aver arricchito e portato quasi a perfezione un genere sottovalutato, essere andato contro i tempi ed essersi affermato anche nel teatro breve, creando qualcosa di nuovo, unico nella sua originalità e intriso di una filosofia atemporale ed universale che ne sancisce, tuttora, la modernità. Cervantes, infatti, raccontando la realtà e gli uomini, facendo dialogare voci diverse e discordi, senza pregiudizi e critiche ma solo con la curiosità e il desiderio di mostrare la società spagnola del Siglo de Oro racchiusa negli Entremeses, ha dimostrato che soltanto con la concezione, seppur ludica, di tutti questi diversi aspetti, si può arrivare alla conoscenza di ciò che ci circonda.

E lui stesso lo ha provato sulla sua pelle: dedicandosi all’osservazione delle sfaccettature della società e di chi la popola, alimentato da queste diversità, quando pensava che ormai il tempo avesse segnato il suo limite, che il pubblico si fosse abbandonato a un altro stile, quando pensava che tutto fosse finito, deciso a sfidare con orgoglio e fierezza il suo destino, consapevole del suo accurato lavoro, distinse la sua penna e fece in modo che tutto iniziasse e si eternizzasse.

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