• Non ci sono risultati.

LA LINGUA DEGLI ENTREMESES CERVANTINI Avendo letto le trame e concepito il sottofondo ideologico su

5.4 Lessico particolare

Oltre ai volgarismi, al lessico arcaizzante e a quello derivante dalla paremiologia, i personaggi degli Entremeses spesso ricorrono anche a un lessico particolare attinente al mondo religioso, a quello militare e a quello riferito alle attività ricreative popolari, come il gioco delle carte, la scherma, il calcio, la corrida e i balli.

Se Cervantes voleva riprodurre fedelmente quella che era la lingua della strada, non poteva non badare, infatti, anche a questo

123 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 157. 124 Testa, E.: op. cit., p. 30.

125 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 173. 126 Ibid., p. 129.

88 tipo di lessico. Giustamente, nessun termine utilizzato è lasciato al caso perché rientra in un contesto appropriato, arricchendo di senso ludico e realistico una cornice entremesil.

L’intermezzo che presenta il lessico più variegato e forse anche il più elaborato è il Retablo de las maravillas; qui troviamo riferimenti al lessico militare con i termini “tercio” e “carga” (rispettivamente, “reggimento” e “attacco”), che non rimandano direttamente al mondo bellico funzionando, in realtà, da espediente linguistico nel gioco di parole per prendere in giro la bassa statura di Rabelín, comparata a no más de un tercio de una carga128. Anche il lessico religioso interviene con un senso

profanato, a differenza di quello più tecnico 129 riferito dal sagrestano della guarda cuidadosa: viene usato, infatti, da Chirinos e da Repollo, l’uno per chiedere se i soldi erano stati versati in corbona130, cioè nella borsa per la raccolta delle offerte, come da accordo, e l’altro per burlarsi in modo giocoso, ancora una volta, del musico Rabelín richiamando l’espressione liturgica abrenuncio come formula per rinunciare e rifiutare qualcosa; frequenti sono, anche, le esclamazioni eufemistiche per “corpo di Cristo” in ¡cuerpo del mundo! e ¡cuerpo de nosla!. Altre espressioni religiose, insieme al lessico del torero e ai nomi dei balli, invece, entrano nel testo accompagnando le scenette teatrali magiche: ecco, allora, che quando appare il leggendario toro di Salamanca si grida ¡húcho ho! per incitarlo e si ricorre a comparazioni con i termini hosco e bragado131, tipiche della caratterizzazione fisica dei toros bravos, mentre per l’entrata in scena della ballerina Erodiade vengono fatti riferimenti alla Bibbia

128 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 229. 129 Ibid., p. 181.

130 Ibid., p. 237. 131 Ibid., pp. 240-41.

89 e alle feste liturgiche, come quella della fiesta de cuatro capas132. In questo clima giocoso, si richiamano anche i termini di alcuni balli popolari come la zarabanda e la chacona, ma per la peculiarità di questa terminologia dobbiamo tornare indietro a quando, nel Rufián viudo, i musici elencano i nomi dei balli più in voga all’epoca nel festoso banchetto nuziale e liberatorio finale: la gallarda, el canario, el rastreado, las gambetas, el villano, la Zarabanda, el Zambapalo, el Pésame dello e il rey don Alonso el Bueno133. Rifacendoci alle pagine di Pfandl134 e alle note di Spadaccini al testo di riferimento, comprendiamo che la maggior parte di questi sono balli popolari e rusticani, animati con movimenti audaci e lascivi, molto conosciuti dai musici che ne fanno un numero spettacolare negli entremeses e nelle jácaras, accompagnando la musica e il canto alle coreografie; la gallarda e il rey don Alonso, invece, erano tipici balli da palazzo e da nobili cortigiani, anche se nell’entremés sopracitato è un altro genere di re a ballarlo, cioè il re dei rufianes Escarramán. È significativo che, sempre in questo intermezzo, si rintraccino termini legati al lessico della scherma e del gioco della palla, sintomo della visione ribaltata di questo mondo e delle categorie sociali, che più volte Cervantes ci trasmette, dato che i giochi e gli sport all’aria aperta, come l’equitazione, la caccia, la scherma, il tiro col fucile e il gioco della palla erano considerate arti proprie dei nobiluomini, tramite cui potevano dimostrare la loro prestanza, agilità, destrezza e valore virile nella conquista di una dama o nel consenso delle classi sociali. Qui, invece, è Vademecum che ricorre all’espressione colloquiale «dar quince y falta»135, alludendo al gioco della palla

132 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 245. 133 Ibid., pp. 144-145.

134 Pfandl, L.: op. cit., cap. X, pp. 250-257. 135 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 128.

90 per esaltare eccessivamente i meriti di qualcuno, in questo caso riferendosi ironicamente alla profondità della tristezza del pianto di Trampagos. Il rufián viudo, inoltre, sin dalla prima pagina si presenta conoscitore del lessico della scherma, chiedendo al suo servo se ha portato le spade (las morenas) e lo scudo (el broquel), volendo praticare una levada o una treta con Chiquiznaque per sfogare il suo dolore.

A occuparsi particolarmente del lessico cervantino è stato anche J. M. González Calvo che, nell’articolo «Notas sobre léxico cervantino»136, pone l’attenzione su alcuni vocaboli di quei testi che non sono stati ulteriormente documentati. Tra questi, due si possono riconoscere negli Entremeses e sono il verbo «almodonear»137 usato dal vejete e l’espressione «caballo de Ginebra»138 nella guarda cuidadosa. In riferimento al primo, lo studioso riconosce che «Cervantes juega con los vocablos, los deforma para provocar asociaciones fonéticas que conducen a diversas evocaciones significativas, expresivas, pretendidamente imprecisas»139 e, aiutandosi con varie edizioni del testo, dizionari e ulteriori studi critici lessicali, commenta che il verbo almodonear può stare a significare due concetti diversi ma, allo stesso tempo, inerenti al contesto, cioè “gridare” (da almoneda che rimanda ad almonedear, foneticamente simile) o “insistere, tornare su un argomento” (da almodón, una farina lavorata e maneggiata più volte). Sul caballo de Ginebra il rimando è al gioco delle carte e alla religione e si può intendere solo nel contesto, insieme alla battuta precedente e alla successiva:

136 Criado De Val, M. (1981): Cervantes, su obra y su mundo: actas del I

Congreso Internacional sobre Cervantes. EDI-6, S. A., Madrid, pp. 103-123.

137 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 99. 138 Ibid., p. 180.

91 SOLDADO. Pues ven acá, sota- sacristán de Satanás.

SACRISTÁN. Pues voy allá, caballo de Ginebra.

SOLDADO. Bueno: sota y caballo; no falta sino el rey para tomar las manos. […]140

Le figure che vengono menzionate (sota, caballo e rey) appartengono al lessico del gioco delle carte e, a riguardo, ho preso in considerazione il saggio di Jean-Pierre Étienvre sulla poetica letteraria dedicata al gioco delle carte. Prima di tutto, lo studioso ci dice che le carte erano il gioco per antonomasia nella cultura del XVI e XVII secolo e che, in letteratura, è soprattutto nel teatro «donde más abiertamente se desenvuelve este juego. Pero, fuera del escenario, los mejores escritores no dejaron de jugar con el léxico naipesco»141, sia rappresentato che non. Negli entremeses, Cervantes interviene con questo lessico particolare nella Guarda cuidadosa, come dicevamo, e nel Juez de los divorcios. Nel primo caso non abbiamo dei veri e propri giocatori come nel secondo con il personaggio del soldado, marito di Doña Guiomar. Il sagrestano e la guarda cuidadosa ricorrono a questo linguaggio per insultarsi: la sota (l’equivalente del fante italiano nel mazzo di carte) è la figura più bassa, con meno valore, che solitamente il giocatore scarta per prima; per quest’accezione dispregiativa viene evocata dal soldato contro il sagrestano; questo, poi, torna a usare il termine insieme al caballo e al rey para tomar las manos, sottintendendo una precisa conoscenza delle figure delle carte e delle espressioni del gioco come “essere di mano”. Nel pronunciare «caballo de Ginebra», invece, il

140 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., pp. 179-180.

141 Etienvre, J. (1990): Márgenes literarios del juego: una poética del naipe,

92 sagrestano instaura un doppio senso sia sulla figura del cavallo, che può significare tanto la carta, come abbiamo detto, quanto “un tahúr que juega mucho”, sia su Ginebra, dalla doppia accezione di “casa de juego” e città degli eretici.

Nell’entremés del juez de los divorcios è il vejete a evocare il lessico del naipe142, comparando la sua buona salute passata a

quella di chi juega a las pintas, uno dei tanti giochi di carte, accennando all’appagamento provocato da questo passatempo; in particolare, la pinta, spiega Étienvre143, era un segno posto sul bordo superiore e inferiore delle carte tramite cui i giocatori più abili riuscivano a riconoscerle; anche la moglie Mariana dimostra di avere dimestichezza con tale lessico dicendo: «[…] no por brújula, como quínola dudosa»144 per reclamare la libertà delle sue emozioni e voglie, significando brujulear proprio l’azione di coprire e tenere nascoste le carte per non far riconoscere la pinta. Nella coppia di coniugi successiva, invece, nel soldato riconosciamo la figura del mirón, cioè colui che guarda giocare a carte nelle casas de juego, nelle bische, e consiglia le mosse a un giocatore, di solito sotto ricompensa di un real de barato, che lui in realtà nemmeno ottiene, provocando nuove ire alla moglie che lo considera, ancora una volta, un vero inetto e buono a nulla.

Cervantes, dunque, dà prova di conoscere questo umile passatempo, se non addirittura di essere un abile giocatore, per la frequenza con cui usa questo lessico sia negli Entremeses che in altri testi, ma soprattutto dimostra nuovamente l’attenzione che pone verso la lingua viva in tutti i suoi aspetti e campi.

142 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 103. 143 Etienvre, J.: ivi, p. 304.

93

Documenti correlati