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I PERSONAGGI DEGLI ENTREMESES NELLA SOCIETÀ

4.2 La nobiltà e la borghesia

La nobiltà era divisa in tre classi: i Grandes de España, ricchi marchesi, conti e duchi, mecenati di artisti e letterati a cui venivano dedicate le opere; i Caballeros, con incarichi militari e amministrativi all’interno del governo grazie ai quali potevano godere di una certa ricchezza e stima; e gli Hidalgos, il rango più basso tra i nobili, tramandato dal conferimento di titoli e meriti alle antiche famiglie durante il periodo della Reconquista e della dinastia degli Asburgo. Quest’ultimi si trascinavano dietro i resti di un passato splendore perché, come abbiamo già visto e detto ne El vizcaíno fingido, la classe nobiliare stava degenerando e decadendo, ormai abbandonata ai vizi mondani, dimenticati gli ideali cortesi e stanca tanto da lasciare ampio spazio di iniziativa al nuovo ceto che si stava insidiando nella società, cioè quello dei borghesi. Questi, lontani dai valori di orgoglio nazionalista e dediti soltanto al commercio e all’industria dell’artigianato, si guadagnarono presto un benessere economico che diede loro un potere e un’influenza molto forti all'interno della società, avvicinandoli alla classe governante e al clero, consentendoli di assumere cariche pubbliche e amministrative, e allontanandoli dalle classi rurali.

4.3 I letterati

Oltre Toledo, Madrid e Siviglia, la vita spagnola pulsava anche nelle città di Salamanca e Alcalá de Henares, le quali

46 offrivano un ambiente vivace e particolare per lo sviluppo di questa quarta classe sociale, quelli dei letterati, che sorse come una fusione tra nobiltà e borghesia durante il Rinascimento, insieme alla fondazione delle Università. Queste istituzioni permisero, anche ai figli della bassa nobiltà, di raggiungere un’adeguata posizione e un decoroso impiego pubblico nel Paese che grazie all’impostazione borghese stava progredendo. Gli studenti che potevano accedervi erano sia ricchi che poveri: i primi erano figli di nobili o di borghesi arricchiti, conducevano una vita appartata ed erano affidati a dei maggiordomi; gli altri, invece, provenivano da famiglie basso-borghesi ed erano costretti, dalla povertà e dalla fame, a prestare servizi servili ai negozianti o ai ricchi proprietari per potersi mantenere. Animavano le città con feste per il conferimento dei titoli, con le elezioni degli organi studenteschi, con processioni e ronde notturne e, particolarmente gli studenti della seconda categoria, si riconoscevano esteticamente perché vestivano in modo molto semplice, ma anche e soprattutto perché erano protagonisti di avventure amorose, risse e contese d’onore e perché conducevano una vita particolarmente più briosa ed esuberante da interessare i commediografi, che li resero stereotipi di una serie di episodi nelle rappresentazioni teatrali.

Infatti, possiamo riconoscere un simile personaggio, giovane, povero, saggio e astuto ne La cueva de Salamanca, in cui lo studente in questione è artefice di quasi tutto l’intermezzo. Si presenta in casa di Leonarda e Cristina come un «pobre estudiante» gentile in cerca di un alloggio per la notte, raccontando le disavventure e le peripezie trascorse. Le donne si lasciano subito commuovere, lo accolgono e cercano di assicurarsi del fatto che sia un testimone fedele e omertoso rispetto a quello che sta per succedere, cioè il tradimento. Si instaura, qui, un

47 dialogo basato sul doppio senso del verbo pelar54, in cui lo studente dice di essere «graduado de bachiller» e dimostra la sua sagacia e abilità nell’eloquenza e nel gioco di parole, di cui darà prova anche nel momento in cui si presenta al sagrestano con un linguaggio tra l’erudito e il picaresco, che induce il barbiere a dire: «Éste más parece rufián que pobre; talle tiene de alzarse con toda la casa»55. È infatti quello che farà, “alzarse con toda la casa”, cioè prendere il potere, imporre la sua volontà, dominare la situazione e risolverla a suo favore, inventando la farsa della cueva di Salamanca sfruttando la credulità di Pancracio, burlandosi dei due amanti e togliendosi la fame con la cena offertagli, alla fine, dalle due donne.

Siamo di fronte, dunque, a un personaggio ambiguo, un po’ bachiller e un po’ rufián, versatile, abile, caparbio, audace, astuto, burlone, maestro del linguaggio, saggio ma povero, e che proprio per questi tratti ha conquistato il gusto e la coscienza folkloristica popolare ed è stato tipicizzato come uno dei personaggi di maggior successo nella tradizione teatrale. Da notare, infatti, che nell’entremés il suo nome proprio, Carraolano, viene solo indicato nella didascalia del testo, ma non è mai pronunciato da nessun personaggio per non essere così caratterizzante tanto quanto lo è, invece, lo statuto.

4.4 La milizia

Un’altra classe sociale di cui Cervantes ci riporta uno stereotipo è quella dei militari. Solitamente, a intraprendere la

54 Significa “pelare”, “spennare”, “rubare”, “togliere con l’inganno”, e un pelón è un povero straccione. Non si capisce, allora, se le donne vogliono far “pelare” un cappone allo studente squattrinato, o il marito. Cfr. Molho, M. (2005): De

Cervantes. Editions Hispaniques, Paris, pp. 133-135.

48 carriera militare erano i figli non primogeniti delle famiglie nobili, i borghesi in cerca di avventure e stipendio e chi era incapace di trovarsi un’altra occupazione: «fue una especie de tránsito entre la nobleza, la burguesía y la plebe»56, scrive Pfandl, cioè racchiude uomini di diversa estrazione sociale e con diverse prospettive. La condizione dei soldati, però, si delinea più che altro al ritorno in patria quando, feriti e stanchi, altezzosi e orgogliosi, non riuscivano più a integrarsi con le leggi civili della società finendo per vivere da parassiti o per affiliarsi a delle bande di delinquenti. I soldados che troviamo ne El juez de los divorcios e ne La guarda cuidadosa ricalcano, infatti, quest’andamento: sono oziosi, inoccupati, «sin oficios ni beneficios»57, ridicoli e malinconici, senza presente né futuro. Il primo, afflitto e abbandonato al suo destino, si dedica ai pettegolezzi e al gioco delle carte, senza essere più in grado di mantenere la famiglia, motivi per cui la moglie, disillusa dall’aver sposato «un hombre moliente y corriente»58, lo offende continuamente e ne chiede il divorzio; l’uomo, dimostrando ancora una volta il suo temperamento afflitto, conferma senza ribattere:

Confieso que yo soy el leño, el inhábil, el dejado y el perezoso; y que, por ley de buen gobierno, aunque no sea por otra cosa, está vuesa merced obligado a descasarnos; que desde aquí digo que no tengo ninguna cosa que alegar contra lo que mi mujer ha dicho, y que doy el pleito por concluso, y holgaré de ser condenado59.

56 Pfandl, L.: Op. cit., cap. V, p. 112.

57 Cervantes, M.: Entremeses. Ed. cit., p. 107. 58 Ibid., p. 105.

49 Nel secondo intermezzo il soldato «sale a lo pícaro»60, cioè vestito di stracci, completamente perso nelle sofferenze d’amore per una ragazza che si contende con il sagrestano di cui abbiamo parlato poco sopra, al quale si rivolge con presunzione e aggressività, allo stesso modo in cui parla e scaccia gli altri pretendenti che via via si avvicinano alla porta di Cristina. Ricalca il “miles gloriosus” del teatro latino di Plauto e di Terenzio nella sua frustrazione, nel suo accanimento contro tutti e nel suo orgoglio ormai vittima di scherno. È il tipico soldado fanfarrón che si vanagloria per le sue capacità militari e di galantuomo, ma sia gli spettatori che i lettori possono percepire che Cervantes ce lo mostra come un perdente: nonostante le sue lacrime, i sospiri, le lettere d’amore, la stretta sorveglianza ossessiva e la gelosia frustrata, il soldado non è più un valoroso combattente, non concepisce la nuova realtà sociale, non sa nemmeno vincere un sagrestano per la conquista di una donna, è capace soltanto di lamentarsi e, infatti, perde anche questa battaglia.

4.5 La plebe

Mi sembra opportuno raggruppare nella classe dei contadini e della plebe tutti gli altri personaggi degli Entremeses che non abbiamo incluso nelle precedenti categorie e che non rientrano nella prossima, quella del mundo del hampa.

Le condizioni del popolo erano piuttosto misere e quando venivano presentate nelle commedie alludevano all’ignoranza di linguaggio, all’agire grezzo e alla villania. Queste caratteristiche, nel loro stato più rustico e autoctono, si riflettono nei protagonisti

50 de El juez de los divorcios, de La elección de los alcaldes de Daganzo, de El retablo de las maravillas e de El viejo celoso. Alcuni di questi intermezzi sono circoscritti in uno spazio urbano, altri in un ambiente rurale, ma da tutti risultano figure comiche e stravolte dalla tirannia e falsità del sistema sociale. Abbiamo già indagato alcuni di questi soggetti e i temi di vita quotidiana su cui si esprimono e si confrontano, come l’istituzione del matrimonio, la politica locale, la difesa dell’onore e della stirpe, temi che fondamentalmente girano tutti intorno alla denuncia della patria potestà; ma non abbiamo ancora chiarito che i conflitti tra i diversi ceti e le trasformazioni sociali che ne emergono non vengono risolti negli Entremeses: l’intento di Cervantes è solo quello di mostrarceli e ridicolizzarli; non ne fa una parodia, semplicemente prende quel potere istituzionale poco sul serio e se ne burla.

Difatti, nelle parole dei personaggi dei giudici, dei procuradores e dei sindaci, si avverte quella tensione fra classi sociali e l’idea che i villani siano intellettualmente inabili, soprattutto ad amministrare la giustizia. Questo concetto viene mostrato principalmente nell’entremés politico sull’elezione dei sindaci di Daganzo:

En La elección de los alcaldes de Daganzo, tanto en la construcción de los personajes de los regidores como en la de los candidatos a alcalde, a excepción quizá de Pedro Rana, se juega con el tipo del aldeano cómico, del campesino ridículo e ignorante61.

61Miguel y Canuto, J. C. (1990): «Los moldes de la tradición oral en los personajes y antropónimos de los Entremeses cervantinos». Actas del II

Coloquio Internacional de la Asociación de Cervantistas, Anthropos, Barcelona,

51 I quattro candidati a sindaco appartengono a una realtà per cui ogni tipo di sapere risulta dannoso: affermano con orgoglio, effettivamente, di non aver mai imparato a leggere, e si vantano di meriti rustici e inopportuni come saper recitare quattro orazioni, tirare con l’arco e distinguere i vini, convinti siano già abbastanza per ricoprire il ruolo di sindaco, anzi Humillos azzarda pure la pretesa a quello di senatore romano. Anche negli altri tre intermezzi che abbiamo citato per questa parte l’immagine dei cittadini del popolo risulta grottescamente stravolta, sia nei toni dell’alterco e del linguaggio colorito durante le richieste di divorzio, sia nell’ansia paurosa di dimostrare la legittimità della stirpe, sia nella vivacità e nel dinamismo con cui vengono soddisfatti i piaceri annoiati della moglie del vecchio geloso.

Ma a essere più finemente attaccato è chi ha causato questo divario. È per questo che Cervantes dà un’idea di puro immobilismo del sistema legale e giuridico, considerandolo soltanto un’illusione e un inganno per la società: i divorzi non vengono concessi, l’alguacil che interviene quasi sempre ha solo il compito di ristabilire l’ordine iniziale senza trovare migliori soluzioni, i rappresentanti stessi del potere cercano di parlare con un linguaggio più sostenuto, spesso usano il latino ma lo declassano con volgarismi e frasi proverbiali, sono mostrati come ridicoli e finiscono per mescolarsi con il popolo, doppiamente ingannati, nella rappresentazione del teatrino delle meraviglie, tagliante satira di tutto il sistema.

Anche l’onomastica che li riguarda, in questo caso, è molto caratterizzante. I nomi dati loro da Cervantes sono ridicoli e degradanti, talvolta presi dal mondo animale o vegetale: il primo ignorante candidato a sindaco, superbo e presuntuoso, si chiama Humillos (da humo, “fumo” o humos, “arroganza”); il secondo Jarrete, “stinco”; il quarto Rana; le autorità si chiamano Pesuña

52 (“zoccolo”), Estornudo (“starnuto”), Panduro (“pan duro”) e Algarroba (“carruba”). Stessa cosa si può dire per i nomi attribuiti ad alcuni personaggi del Retablo, su cui Maurice Molho ha condotto uno studio accurato: Chanfalla sembrerebbe derivare da chanfana (un utensile deteriorato) o da chanfaina (un gruppo di rufianes) o da chanfallón, “incurante”, cioè in poche parole va a designare un falso imbroglione; Chirinos viene da chirinola, che può significare una discussione accesa oppure un insieme di ladruncoli; il nome Rabelín del musico potrebbe venire giustamente da rabel, uno strumento musicale pastorale a forma di liuto che, però, non era tipico utilizzare nelle rappresentazioni teatrali dell’epoca, per cui si suppone che il nome abbia più attinenza con la forma colloquiale che si usa tra ragazzi per riferirsi al fondoschiena; il suffisso accrescitivo –acho di Capacho suscita, in realtà, un senso sminuito, come fa –illo in Gomecillos; i cognomi Castrado/Castrada si possono ben intendere, e quelli di Repollo/Repolla seguono la stessa linea, cioè vogliono alludere a un sistema di valori ribaltato in cui un maschio è impotente e una femmina è mascolina (polla equivale a “pene” e re- è un prefisso intensivo), rovesciando il mondo della sessualità e alludendo all’illegittimità famigerata.

4.5.1 El vizcaíno

Sebbene questo personaggio compaia una volta sola negli Entremés nella figura di Quiñones de El vizcaíno fingido, merita riservargli attenzione in quanto è un altro dei personaggi-tipo tra i più sviluppati nel teatro comico dell’epoca. Per la prima volta fu stilizzato nella commedia Tinelaria (1517) da Torres Naharro, e non da Lope de Rueda come si potrebbe dedurre dal prologo

53 cervantino; a partire da qui, poi, fu ripreso da molti autori del Secolo aureo, come Quevedo, Lope de Vega, Tirso de Molina e, appunto, da Cervantes, sia nel teatro che nella prima parte del Quijote con il personaggio dell’hidalgo Don Sancho de Azpeitia.

L’appellativo vizcaíno designava genericamente qualsiasi persona che parlava la lingua basca. Nella trattazione letteraria questo personaggio era caratterizzato da un’attitudine comportamentale orgogliosa e arrogante, a metà tra un miles gloriosus e un pícaro, ma soprattutto veniva riconosciuto grottescamente per l’incapacità di parlare in modo corretto il castigliano, cosa che provocava una grande ilarità negli spettatori.

Il regno di Navarra rimase, infatti, a lungo estraneo alla cultura, alla tradizione e alla lingua del resto della Spagna, perciò si percepiva tra gli uni e gli altri una sorta di reciproca estraneità. Quando, dopo la conquista per mano dei Re cattolici, si cercò di unificare il Paese anche a livello linguistico, per accedere a degli incarichi amministrativi divenne obbligatorio conoscere e saper parlare il castigliano, per cui la lingua quasi imposta ai cittadini di habla vasca non entrò naturalmente a far parte della loro coscienza linguistica e ne scaturì, a teatro, questo tipicità buffa e ignorante.

Enrico Testa, nel suo studio sulla simulazione e i fenomeni dell’oralità62, ci dice che tre sono le varianti utilizzate nei testi letterari per produrre l’effetto del “parlato”, tra cui una di queste è proprio quella relativa al tipo geografico interregionale, imperniata sulla coppia città/regione. Particolarmente, i vizcaínos confondevano le prime e le seconde persone verbali, non concordavano la morfologia nominale e si esprimevano con

62 Testa, E. (1991): Simulazione di parlato. Fenomeni dell’oralità nelle novelle

54 numerosi solecismi; la loro cadenza dialettale, inoltre, veniva facilmente riconosciuta appena entravano in scena. Nell’entremés Quiñones imita, infatti, la particolare sintassi della lingua basca, facendosi mal intendere dalle donne e implicando l’intervento di Solórzano che spiega, in castellano corretto, le sue distorte espressioni, come possiamo leggere dal testo di riferimento:

QUIÑONES. Vizcaíno, manos bésame vuestra merced, que mándeme.

SOLÓRZANO. Dice el señor vizcaíno que besa las manos de vuestra merced y que le mande.

BRÍGIDA. ¡Ay, qué linda lengua! Yo no la entiendo a lo menos, pero paréceme muy linda.

CRISTINA. Yo beso las del mi señor vizcaíno, y más adelante.

QUIÑONES. Pareces buena, hermosa; también noche esta cenamos; cadena quedas, duermes nunca, basta que doyla.

SOLÓRZANO. Dice mi compañero que […].63

Probabilmente Cervantes non voleva solo contrapporre il personaggio di Solórzano in qualità di revisore di Quiñones, come si può dedurre da una prima lettura del passo, ma sembrerebbe porlo anche a difesa della tradizione linguistica e, in questo senso, può ricordare Don Quijote nei frequenti momenti in cui corregge Sancho per il suo linguaggio ricco di prevaricaciones, incorrezioni e volgarismi. L’autore si inserisce, cioè, anche in questo caso, nella questione della lingua in elogio della purezza linguistica del castellano, che vedremo meglio nel prossimo capitolo.

55

4.5.2 Le donne

Prima di individuare i personaggi della hampa, sempre sotto la categoria dei popolani mi sembra necessario dedicare un paragrafo ai personaggi del mondo femminile. Dice Pfandl:

La mujer es, pues, esclava o reina en aquel ambiente social: o vive en la servidumbre y sumisión, o impera por la sensualidad y la avaricia64. Abbiamo già specificato che la costrizione di una donna a sposarsi per ragioni economiche e in tenera età, senza possibilità di scelta, è un tema ricorrente in Cervantes, così come il tradimento e la ribellione nei confronti del marito e, in senso lato, del sistema maschilista che ne scaturisce. Tendenzialmente, la donna era idealizzata nella modestia, nella riservatezza, nella religione e nel ritiro domestico, usciva soltanto per ricorrenze e festività religiose o per rappresentazioni teatrali, ma mai sola; era destinata dal padre e dal fratello a un futuro sposo da loro scelto oppure, in casi estremi, alla vita da monaca. Di quest’ultima condizione non abbiamo esempi negli Entremeses, ma di donne sposate infelici ne abbiamo un repertorio: Mariana, Guiomar, Aldonza de Minjaca, Cristina, Leonarda, sono alcuni dei nomi delle donne che compaiono e che, in un modo o nell’altro, cercano di ribellarsi a questa situazione.

L’altro esemplare femminile è, infatti, quello opposto della “donna di mondo”, libera, allegra, disinvolta, che si dedicava a conversazioni piccanti e avventure amorose. Nel testo possiamo riconoscerne alcune, con diverse attitudini: andando per gradi,

56 intanto è lecito includere quelle moglie ribelli che, facendosi degli amanti o chiedendo la separazione, forse cercavano di raggiungere questo stato; poi c’è la coppia di Cristina e Brigida, le “ninfe” a caccia di uomini prestigiosi per le grandi città; il trio delle rameras composto dalla Repulida, dalla Pizpita e dalla Mostrenca, invece, appartengono a un rango più infimo essendo le compagne di rufianes e vagabondi; nel personaggio di Ortigosa, infine, riconosciamo l’alcahueta celestinesca che, entrando con degli stratagemmi nelle case, riesce a combinare incontri e tradimenti.

Inoltre dal testo emergono, probabilmente in modo non casuale, quattro donne con lo stesso nome, Cristina, tipico appellativo da criada65. Tutte hanno qualcosa in comune. La prima

è la servetta de La guarda cuidadosa che, dopo essere stata disonorata dal sagrestano in pubblico, finisce per sposarlo. La sua scelta, in realtà, non è costretta dai suoi padroni come si penserebbe usuale, ma viene comunque indotta dagli stessi che la spingono a pensare non ai sentimenti, bensì all’interesse e al guadagno che può assicurare; non è, dunque, la vergine innocente che potremmo pensare. La Cristina vittima del finto biscaglino ci pone, invece, di fronte a una situazione opposta ma, alla fine, reciproca: non è una criada, ma una “ninfa”; a differenza della precedente che può scegliere, in un certo senso, con il suo libero arbitrio, lei è protagonista di una disavventura causata da due nullafacenti furfantelli, da cui esce completamente beffata. La terza Cristina, quella della Cueva, è anche lei una domestica come la prima, ma stavolta ha un ruolo attivo e partecipe in quanto accompagna l’azione di tutti i personaggi e, soprattutto, quella della sua padrona Leonarda della quale è complice

65 Lo si ritrova nella commedia La entretenida, nuovamente attribuito a una domestica.

57 nell’adulterio del marito, il padrone di casa; inoltre, Cristina sfrutta questa situazione a suo favore e ne approfitta per incontrarsi col suo amante, il barbiere Nicolás, in cui possiamo leggere un chiaro richiamo al Quijote per la relazione di Antonia Quijana con un uomo dallo stesso nome. Con questo romanzo, l’entremés condivide anche altri personaggi: nel barbiere Roque e nel sagrestano amante di Leonarda possiamo rivedere le figure carnevalesche e rovesciate dell’amico e del cura di Don Quijote; nell’estudiante, invece, Sansón Carrasco, entrambi provenienti da Salamanca e che assumono il ruolo di risolutori della situazione

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