considera il basso tasso di attività in Italia (nel 2019 il 57,3% tra i 15-74 anni, contro il 70,4% in Germania; Grafico 2.23).
Spesa per politiche attive Spesa per politiche passive
0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 Francia Spagna Germania
Italia Eurozona* Germania Eurozona** Italia Spagna Francia
Grafico 2.23
Italia: bassa la spesa per politiche attive del lavoro
(In % del PIL, 2018)
* Escluse Cipro, Malta e Grecia. ** Escluse Cipro e Malta.
Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati Eurostat.
Allo stesso tempo, la spesa per politiche passive del mercato del lavoro (ossia sostegno al reddito) è relativamente elevato (1,14% del PIL nel 2018, contro lo 0,86% medio nell’Eurozona e lo 0,70% in Germania).
Storicamente, inoltre, in Italia la spesa per politiche attive non è cresciuta quando il tasso di disoccupazione cresceva, mentre in altri paesi (per esem-pio Danimarca e Germania) si documenta una correlazione positiva tra le due variabili. In uscita da questa crisi è invece cruciale che la spesa per le po-litiche attive sia rafforzata, non solo in ragione dell’aumento (anche atteso) della disoccupazione, ma anche alla luce dell’incremento del numero di inattivi (+600mila circa nel 2020 rispetto al 2019), che vanno anch’essi riportati nel mercato del lavoro32.
Tra le politiche attive, rafforzare servizi di training e job placement
Il bilancio italiano per le politiche attive del mercato del lavoro è sbilanciato verso misure che sono più suscettibili di comportare perdite di efficienza eco-nomica (deadweight loss), con oltre la metà del budget dedicato agli incentivi all’occupazione (57,1% nel 2018).
32 Si veda OCSE, “Strengthening Active Labour Market Policies in Italy, Connecting People with Jobs”, 2019, OECD Publishing, Paris.
SPESA DELL’ITALIA
IN POLITICHE PASSIVE
DEL LAVORO, 2018
1,14%
del PILSPESA DELL’ITALIA
IN POLITICHE ATTIVE
DEL LAVORO, 2018
0,42%
del PILSolo poco più di un quarto del budget è dedicato a misure di formazione, e la quasi totalità (91%) sotto forma di riduzioni dei contributi sociali per i pro-grammi di apprendistato. Al contrario, una percentuale bassissima del budget per le politiche attive (sotto al 2% negli ultimi anni) è dedicata a servizi che a livello internazionale hanno dimostrato di essere più efficienti, come il suppor-to all’inserimensuppor-to lavorativo e i servizi correlati. A tisuppor-tolo di confronsuppor-to, i paesi dell’OCSE spendono in media per i servizi di job placement quasi il 10% del loro budget per politiche attive.
L’offerta di formazione deve affrontare la diffusa mancanza di competenze tra gli adulti
La stragrande maggioranza della spesa in formazione in Italia è rivolta a per-sone fino a 29 anni di età, tramite i contratti di apprendistato. Per gli individui dai 30 anni in su, a cui è preclusa la formazione sul posto di lavoro tramite contratti di apprendistato, vi sono tuttavia scarsissime opzioni disponibili di formazione istituzionale rivolte ai disoccupati.
L’indirizzamento e affidamento delle persone in cerca di lavoro alla formazio-ne istituzionale e il relativo finanziamento dei programmi dovrebbero essere aumentati, considerando la diffusa mancanza di competenze tra gli adulti33. La scelta dei programmi di formazione da fornire alle persone in cerca di la-voro dovrebbe, inoltre, essere meglio collegata sia ai fabbisogni professionali dei datori di lavoro (ad oggi, l’indagine Excelsior condotta da Unioncamere è l’unica indicazione periodica sui fabbisogni di manodopera) sia ai risultati dei programmi di formazione, quali i tassi di inserimento lavorativo dopo la parte-cipazione (mentre attualmente non sono disponibili informazioni sull’efficacia dei programmi di formazione).
Per rafforzarne l’efficacia, i programmi di formazione dovrebbero essere re-golarmente valutati. Uno strumento chiamato TrEffeR nel servizio pubblico tedesco per l’impiego fornisce un esempio di regolare valutazione dell’impatto dei programmi, distinti per fornitori, area e tipo di programma. Uno strumen-to simile potrebbe essere introdotstrumen-to in Italia, ad esempio, in collaborazione con INAPP (l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) e/o le università. ANPAL (l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del mercato del Lavoro) lavora, da anni ormai, con le autorità regionali per creare un registro per l’istruzione e la formazione professionale: questo dovrebbe fornire uno de-gli strumenti utili per avere i dati necessari pronti per condurre valutazioni di impatto dei corsi di formazione, ma ad oggi, non si è ancora messo a regime questo tipo di valutazione.
Più coordinamento tra servizi pubblici locali
In un sistema come quello italiano, dove la competenza per la gestione delle politiche attive sul lavoro è decentrata (in capo alle Regioni), un fattore proble-matico e che va risolto per l’implementazione di politiche attive efficaci è la mancanza di uniformità dei servizi offerti, che oggi variano molto in quantità e qualità tra territori. In primo luogo, è necessario aggiornare il decreto sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che risale al 2018, e garantire il riallineamen-to delle aree del Paese nelle quali i Lep in materia di politiche attive del lavo-ro non sono rispettati, anche mediante interventi di gestione diretta da parte dell’ANPAL. L’Agenzia è formalmente autorizzata a monitorare e valutare la gestione e le prestazioni fornite dai centri dell’impiego sui territori, e persino a gestire direttamente i centri per l’impiego che non soddisfano gli standard minimi di servizio, ma questo strumento non è mai andato a regime.
33 Pellizzari M., Fichen A., “A New Measure of Skills Mismatch: Theory and Evidence from the Survey of Adult Skills (PIAAC)”, OCSE Social, Employment and Migration Working Papers n. 153, 2013, OECD Publishing, Paris.
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Rimane il fatto che l’inefficacia delle politiche attive in Italia deriva largamente dall’eccessiva frammentazione delle Istituzioni che se ne dovrebbero fare ca-rico: Regioni ordinarie, Regioni a Statuto speciale e Province Autonome, Mini-stero del Lavoro, ANPAL. Questa frammentazione crea inevitabilmente ritardi se non conflitti di attribuzione. È cruciale, dunque, intervenire per individuare un unico regolatore del sistema delle politiche attive che sappia efficacemen-te coordinare a livello centrale gli inefficacemen-terventi delle varie istituzioni, valorizzando altresì l’apporto delle agenzie per il lavoro, che vanno considerate un attore essenziale in un sistema efficiente di politiche attive. In attesa di un auspicato accentramento delle competenze in materia di politiche attive, l’obiettivo di ar-monizzazione del sistema in una logica top-down non può prescindere dall’in-troduzione di un sistema informatico unico (pur previsto dall’art. 13 del Dlgs n. 150/2015, ma ancora non realizzato), che accentri il flusso di informazioni relative ai destinatari delle misure di politica attiva e formazione. Ciò rendereb-be possibile il coordinamento degli interventi e ne aumenterebrendereb-be l’efficacia. Inoltre, coinvolgendo in tale sistema anche l’INPS, in quanto ente erogatore degli strumenti di sostegno al reddito, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa e di disoccupazione, si renderebbe più agevole l’intro-duzione e il rispetto del principio di effettiva condizionalità degli strumenti di sostegno al reddito.
Sempre in attesa di una riforma più organica della governance delle politiche attive del lavoro, gli sforzi dovrebbero concentrarsi a realizzare una maggiore cooperazione tra Regioni. Il focus potrebbe, dunque, essere orientato a tro-vare buoni metodi di lavoro che possano essere applicati in tutte le Regioni, rendendo possibile allo stesso tempo implementare le migliori pratiche già in uso e creare le condizioni per un ulteriore sviluppo e innovazione del sistema delle politiche attive.
Una maniera per favorire la cooperazione tra centri per l’impiego è imparare dal metodo del PES network europeo (European network of Public
Employ-ment Services), impleEmploy-mentato anche in Spagna, dove il sistema delle politiche
attive è decentrato: la performance dei servizi per l’impiego viene monitorata per consentire l’individuazione delle migliori pratiche e condividerle tra territori. Andrebbe anche incoraggiata la concorrenza a livello locale, con un sistema di gestione delle prestazioni e incentivi adeguati. Questo elemento è fondamen-tale in qualsiasi sistema di servizi pubblici per l’impiego, ma diventa ancora più critico in un sistema decentralizzato in cui le unità locali hanno maggiore flessibilità per definire il proprio metodo e modello di business. Ad esempio, la performance di sistema dei servizi per l’impiego decentralizzati, quali quelli di Danimarca e Spagna, è migliorata con successo grazie alla trasparenza e agli incentivi finanziari. Un sistema che premi, con maggiori finanziamenti, i servizi territoriali che ottengano un miglioramento delle prestazioni potrebbe essere fattibile anche in Italia.