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Le lingue e lo stile

3.1. Preliminari alla lingua di Sovente

3.1.1. Che il trilinguismo sia alla base dell’interesse finora riscontrato dalla poesia di Sovente, è osservazione addirittura scontata, e non è forse un caso che la maggior parte degli studi e interventi scientifici a essa dedicati siano di impianto essenzialmente linguistico38. La preminenza riservata a questo dato

rischia di portare a una svalutazione dell’originalità dei contenuti, ma è d’altra parte difficile negare il fascino esercitato da una poesia scritta a un tempo in italiano, dialetto e latino, il tutto sul finire di un secolo, il Novecento, che ha impiegato le sue migliori energie nel ragionamento sul rapporto fra le plurime lingue che agiscono nelle esperienze dei singoli e dei popoli, e che finiscono con l’intersecarsi o il sovrapporsi, dando forma a una lingua altra.

Nel delineare il triplice profilo linguistico di Cumae, che è come dire lo stato della ricerca di Sovente a metà del suo percorso letterario, è opportuno ricapitolare le tappe che lo precedono. Dopo una stagione d’esordio ancorata alla sola lingua italiana, è Per specula aenigmatis che inaugura per la prima volta il sistema binario latino-italiano, mentre gli anni successivi vedono la pubblicazione di poesie in vernacolo cappellese su riviste e antologie. Cumae non è il punto d’arrivo dello scavo linguistico di Sovente (si è già ricordato l’ingresso del francese nelle ultime raccolte) ma ne rappresenta sicuramente una prima, determinante stabilizzazione, con l’ufficializzazione dell’uso del latino come lingua della poesia e l’introduzione in un libro compiuto del dialetto. 3.1.2. La discussione sulle lingue adoperate in Cumae impone alcuni chiarimenti sulla poetica complessiva di Sovente. Sarebbe infatti errato ricondurre la sua esperienza a un’ennesima incarnazione di quella linea espressionista tracciata da Contini decenni fa e che trovava nella commistione delle lingue la reazione a una «crisi linguistica [e] nello stesso momento

38 Studi linguistici generali su Sovente sono DE BLASI 2003, TESTA 2005, DE BLASI 2009, DE BLASI 2013; dedicate alla lingua di Sovente sono poi le tesi di laurea di ILLIANO 2015 e COSTIGLIOLA 2016. Un ampio capitolo sull’italiano del tardo Sovente è in ILLIANO 2017; osservazioni puntuali su un aspetto linguistico di Cumae in LIBERTI 2016 (più avanti riprese e rielaborate). Va ricordato inoltre GRASSO 2012, che arrischia prime comparazioni tra le lingue.

gnoseologico-morale»39. Diverso è il programma di Sovente. Egli non è un

plurilinguista, non almeno nel senso che ha assunto il termine nella storia letteraria italiana. Non solo sembra piuttosto disinteressato alle escursioni stilistiche e di registri linguistici, ma evita la combinazione all’interno dello stesso testo di lingue differenti. Le lingue sono dotate di una completa autonomia e di una dignità comunicativa assoluta: non si registra l’opinione bassa ricorrendo al dialetto, né il contenuto esoterico prescrive il ricorso al latino. Quando si verificano effettive commistioni linguistiche, c’è sempre un motivo forte che trascende il gioco letterario o la connotazione socio-culturale del messaggio. In Donna flegrea madre, per esempio, il testo italiano è inframmezzato da versi in latino:

Donna flegrea madre di radici antiche, terra aperta a voci d’acqua, a luci

sul punto sempre di nascondersi in fenditure, in antri, mea

sunt mea suspiria tui et vulnera, [...] curve le vertebre

dove le stagioni a una a una si erano raccolte, ruit perpetuo

fluit dolor tui per mea silentia […] (Donna flegrea madre, vv. 1-6, 20-23) Il latino ‘emerge’ (nel senso letterale del termine) dalle fenditure e dagli antri, per omaggiare le origini antiche della madre del poeta. Ma è, appunto, un episodio circoscritto, come circoscritti sono anche gli altri momenti della quarta sezione di Cumae in cui il testo italiano ospita espressioni o singoli termini in lingua latina. È il caso di Immobilismo e bradisismo, che vede la presenza di «dominae» (v. 6) – a indicare, appunto, le grandi signore dell’età imperiale, per le quali non sono sufficienti i titoli coniati dai posteri –, di un’ombra del passato che «prende a raccontare» esordendo con un «“Olim...”» (ibidem, v. 26) e, infine, di un paio di espressioni fortemente connotate quali il nome già usato dai

39 CONTINI 1977; nello stesso luogo, d’altronde, avvertiva che in generale «la poesia dialettale non contribuisce all’espressionismo […], cioè a un’espressività di crisi, se non in forma polemica» (ibidem). Sarebbe opportuno ricordare le precauzioni del critico all’eccessivo allargamento della categoria di ‘espressionismo’, a scanso di attribuzioni indebite di un’idea di letteratura italiana come unico enorme flusso di autori espressionisti.

Romani per indicare il territorio e un avverbio entrato nell’uso comune: Diletti miei phlegraei campi

infetti dove sine die l’immobilismo

si allea con il bradisismo (ibidem, vv. 29-31)!

Solo più tardi, le lingue condivideranno il medesimo spazio testuale, come accade in uno splendido testo di Bradisismo; ma anche questo caso rimarrà un

unicum (assieme forse a pochissime eccezioni leggibili in Superstiti) nella produzione del Vate flegreo:

C’è un gran sciamare di foglie e farfalle a quattro passi da qui, hora fluit quasi flatus, il solo sporgersi dalla finestra corrisponde a gettare l’occhio oltre le apparenze, longissime, oltre tutta quell’acqua, addò

accumpareno córe ’i luce e se sfrantummano ombre che la dicono lunga, multum et plurima dicunt de absentia, de cupidine et de figuris sepultis,

le visage de l’amour apparaît entre les nuages […] (B, vv. 1-9: 211)

Se non di plurilinguismo si può parlare, altrettanto inesatto sembrerebbe siglare il tutto come un semplice caso di triglossia40, poiché i livelli linguistici

non sono separati e le lingue trattano gli stessi argomenti presentandone, di testo in testo, aspetti e figure differenti. Sarà allora opportuno ricorrere al concetto di co-linguismo. Le lingue adoperate da Sovente sono, per lui, tutte lingue d’uso quotidiano: persino il latino gode di vita propria, affondando le sue radici nei ricordi del periodo trascorso in seminario, in anni in cui la preghiera e le funzioni erano ancora rigorosamente in lingua antiquorum41. Per quanto il

40 Limitatamente ai dialetti, sembra opportuno ricordare, con BREVINI 1999, che nelle aree periferiche del Paese e in alcune regioni come il Veneto e la Sicilia non si verifica ‘microdiglossia’, il dialetto non è cioè marcato come basso (3224).

41 Si ricordi che l’abolizione della messa in latino data al 7 marzo 1965, con l’istruzione Inter Oecumenici, che oltre a introdurre l’uso delle lingua volgare predispone ulteriori cambiamenti nella struttura del cerimoniale religioso. Tuttavia, bisognerà attendere il 1969 per la completa italianizzazione del messale. La svolta si inserisce nel generale moto di rinnovamento che investe la Chiesa cattolica a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, e che trova la sua attuazione nel Concilio Vaticano II, che si pone come obiettivo di approfondire la dottrina della fede ma allo stesso tempo di presentarla in modo che

suo vocabolario non risenta granché degli influssi della liturgia (ma abbiamo visto che non mancano prelievi di quel tipo), la fonte a cui attinge ritmi e schemi rimici è il latino ecclesiastico delle messe frequentate dal popolo, veicolo fondamentale per la sopravvivenza dello stesso e per la sua diffusione, sia pure soggetta a incomprensioni o fraintendimenti, presso i ceti popolari e gli incolti42. Lo stesso vale per il cappellese, dialetto tutt’altro che rimosso o

perduto (per quanto un testo di Carbones racconti di una «léngua sperduta»)43

ma anzi vivissimo come del resto molti altri dell’area flegrea – si pensi al montese o al bacolese44.

Sovente prende esplicitamente le distanze da «chi chiama ‘lingue morte’ il latino e il dialetto»:

Nulla di più falso e anticulturale, soprattutto in poesia, dove ciò che conta è l’energia inventiva, la densità delle immagini, la capacità dei suoni di arrivare alle zone più profonde della psiche, e non il puro e semplice pregiudizio di comunicare e di capirsi (SOVENTE 1992b).

In un solo caso Sovente sembra disposto ad accettare tale dicitura; ma è appunto per sottolineare come «l’intreccio o interazione tra latino, dialetto, italiano» esaudisco il «desiderio più profondo» di «infrangere le barriere tra lingue morte e lingue vive, tra lingue alte e lingue basse, tra lingue del privato e lingue del pubblico» (SOVENTE 2002: 102). Vedremo in dettaglio questo scarto

risponda alle esigenze del presente. Tra i numerosi argomenti affrontati durante il Concilio figura proprio la riforma liturgica, volta a «superare il senso di estraneamento sempre più avvertito dai fedeli di fronte ai riti in latino, con il rischio [...] di un sempre più rapido allontanamento dalla frequenza [della liturgia]» (TURBANTI 2003: 524-525). Sull’argomento si veda anche TRANIELLO 1993: 835-842.

42 Si spiega, in questo modo, l’assenza – spesso lamentata dai lettori occasionali – del greco antico, che pure rientrerebbe tra le ‘voci’ del territorio napoletano. Il greco, però, non si eleva dalla sua condizione di lingua di studio, non rientra nelle esperienze dirette del poeta; per di più, il greco ginnasiale è una lingua arcaica della cui evoluzione Sovente non aveva sufficienti conoscenze, al punto che il neo-greco risulta spesso incomprensibile anche ai migliori grecisti. Per quanto idioma fondante della realtà storica flegrea, la sua eventuale immissione nel dettato poetico sarebbe risultata davvero una forzatura. Sul latino ecclesiastico, il suo rapporto con i ceti subalterni e l’influenza che ha esercitato sull’espressività popolare, è ancora insuperato il lavoro di BECCARIA 2002.

43 È espressione tratta da Ca, Cóse sta léngua sperduta....

44 Per i quali sono particolarmente utili MILANO 1999, SORNICOLA 1999, DE BLASI 2009, SORNICOLA 2013.

dalle lingue ‘morte’ dei versi di altri novecenteschi; basti per ora ribadire, con De Blasi, la netta distanza tra Sovente, per il quale «sono lingue palpitanti sia l’italiano, sia il dialetto di Cappella, [...] sia il latino, percepito come vivente nei paesaggi archeologici e vulcanici dei Campi Flegrei», e un altro trilinguista contemporaneo, il vicentino Fernando Bandini, forse obiettivo polemico del Nostro, che «vede ugualmente distanti, come lingue morte, sia il dialetto, sia il latino classicheggiante e metastorico dei suoi poemetti» (DE BLASI 2010). 3.1.3. Se latino e dialetto sono lingue assolutamente contemporanee e legittimate nell’utilizzo dalla stessa biografia di Sovente, non di meno condensano nelle loro sonorità quel quanto di ancestrale, davvero di eccedente dalla stasi del quotidiano che traduce in suono e parola la presenza delle alterità che animano la sua poesia:

Ecco perché il latino non è frutto di un’operazione umanistica di ricongiungimento con un modello, non è cioè l’espressione di un poëta doctus; ed ecco perché il dialetto presenta i caratteri non dei grandi capolavori che hanno punteggiato la letteratura napoletana tra Seicento e Novecento, ma è invece un dialetto geograficamente e anzi geologicamente “situato”, radicato nel territorio flegreo.45

Ciò nonostante, non siamo di fronte a un poeta ingenuo, che accoglie sic et

simpliciter le lingue del passato privato e collettivo. Sovente lavora alacremente sulle sue lingue, compiendo una rastremazione lessicale e adeguando le grammatiche ai dettami della poesia contemporanea, che è (o dovrebbe essere) discorso ‘altro’ dall’esistente. L’ossessione autoriale per la questione della lingua si spiega con una precoce avversione per la «separazione generalizzata» generata tra le altre cose dall’imbarbarimento linguistico proprio della società spettacolare:

La poesia traffica più con gli spectra, con i fantasmi, con gli specula, gli specchi i riflessi, piuttosto che con lo spectaculum. Non vale l’argomentazione che in

45 ALFANO 2010: 13. Sembra pienamente consonante con il lavoro di Sovente la ‘ricerca di alterità’ che TESIO 2008 indica tra i segni evidenti dell’uso del dialetto in poesia, preferibile all’ipotesi di una ricerca di identità in quanto «non consiste tanto in un radicamento ambientale antropologicamente determinato ma piuttosto nella dichiarazione di un ascolto che sta a testimoniare una crisi profonda» (52).

questo modo più persone si avvicineranno al culto delle Muse. Si avvicineranno, è vero, ma a cosa? C’è ancora qualcuno che crede che si possa scoprire Beethoven per per averne ascoltato un frammento come ritornello di una marca di brandy? (FRANCO 2003)

È proprio della società dei consumi, d’altra parte, quell’«appiattimento culturale che è innanzi tutto perdita della propria lingua nativa e dunque della memoria»46. Discorso sulla lingua e argomento della poesia si intersecano: le

possibilità espressive del suono predominano su quelle della vista, come si può facilmente intendere riflettendo sulla stessa prassi di affrontare uno stesso tema attraverso metri, ritmi e sonorità diverse; né avrebbe senso separare l’esperimento trilinguistico dalle altre componenti della poesia, la memoria e la crisi della Storia essendo difatti due dei temi principali di Cumae, certamente tra quelli su cui si insiste con più decisione.

3.1.4. Nei prossimi paragrafi, si propongono dei profili linguistici volti a illustrare non solo fonti e modelli delle lingue di Cumae, ma anche quei procedimenti comuni, sebbene in grado e misura difforme, che denotano una deviazione dalla norma e che si configurano dunque come peculiarità della ‘lingua poetica’ del Nostro. Molta poesia secondo-novecentesca ha adottato strategie lessicali e sintattiche per salvaguardare una certa specificità formale dall’immissione comunque inevitabile del parlato nel suo corpo linguistico47, e

46 ANCESCHI 1996: 202, che contestualizza il recupero straordinario della dialettalità in letteratura nonostante la preponderanza delle forze, istituzionali e di mercato assieme, che lavorano all’appiattimento linguistico. Lo studioso osserva che «tuttavia, pure in un contesto del genere che ha visto per l’ennesima volta uno dei luoghi privilegiati della cultura come la scuola essere sacrificato alle esigenze di una struttura di potere costituzionalmente truffaldina abilissima nello sfruttamento dei grandi mezzi di comunicazione, per loro natura fra l’altro inevitabilmente totalizzanti, si è ugualmente attivato un processo di recupero di tante realtà dialettali e delle loro lingue credute già morte sulle ribalte ormai spente dell’avanspettacolo» (ibidem).

47 Come scrive SERIANNI 2005, sin dal XVI secolo la lingua poetica appare «un organismo fortemente strutturato, dotato non solo di un suo lessico ma soprattutto di una sua ben riconoscibile grammatica» (20). La crisi dell’Ottocento, che BOZZOLA 2016 definisce con eleganza ‘l’autunno della tradizione’, supera molte delle convenzioni pregresse, che il primo Novecento provvede – con prepotenza in qualche caso, con cautela in molti altri – ad archiviare del tutto; sul tema si veda anche BOZZOLA 2013. Detto questo, anche nel XX secolo, e ancora nella poesia degli anni più recenti, persistono costanti, abitudini e specificità linguistiche che legittimano un discorso sulla lingua poetica contemporanea.

Sovente non si sottrae a questa pratica, tutto sommato condivisibile se si tiene conto delle ambizioni culturali dell’autore; più interessante, invece, è osservare che fenomeni già individuati dalla critica come caratteristici dell’italiano di Sovente sono riscontrabili, in misura diversa, anche nelle altre lingue.

3.2. L’italiano

3.2.1. Lingua principale della poesia soventiana, come conferma anche la sua preponderanza in Cumae stesso, l’italiano funge anche, inevitabilmente, da trait

d’union con la tradizione del Novecento. Due aspetti complementari che si realizzano nell’adozione di un italiano che è «lingua della comunicazione colloquiale, dove la colloquialità non conduce a una sua possibile consunzione, ma ad una raffinata e pacata essenzialità» (DE BLASI 2013: 99). La dimensione del colloquio rimanda a una comunità di individui che si confrontano, ponendo dunque l’italiano semplice in una posizione divergente da quello isterilito e contaminato della comunicazione di massa. Va detto che è con Cumae che questo italiano comincia a farsi di grande intelligibilità lessicale e grammaticalmente piano, abbandonando le pose neo-barocche degli Specula e certi vezzi ribellistici delle prime raccolte – un esempio per tutti, l’uso della lettera minuscola a inizio assoluto di testo o frase, che se poteva sembrare eversivo negli anni Settanta è ormai consuetudine della poesia anche solo vagamente sperimentale48. Si ricordi infatti che i primi due libri, L’uomo al

naturale e Contropar(ab)ola, sono sì interamente in italiano, ma in un italiano che aderisce a quella «vulgata poetica media d’“avanguardia”»49 che adotta,

senza spingerne oltre gli esiti, le soluzioni formali e destrutturanti della sperimentazione avanguardistica.

Sull’argomento si vedano in particolare TESTA 1999: 135-157, AFRIBO 2007 e ZUBLENA 2013.

48 Cfr. AFRIBO 2007, che rincara la dose attribuendo quest’uso a «ogni agenzia di grafica pubblicitaria, anche la più provinciale» (21). Vero è che l’uso della minuscola a inizio assoluto tornerà in alcuni libri successivi, soprattutto in Bradisismo; ma sarà compito dell’editore critico verificare se quei testi non risalgano ad anni precoci del percorso soventiano.

49 La definizione è di KRUMM 1997: «Si ha in sostanza e per assurdo una nuova fissazione a quanto era avvenuto intorno agli anni trenta, ma legata ora a un fenomeno di massa. Confluiscono in questo “poetichese” tendenze diversissime: dalla beat generation al “selvaggio”, dal vissuto sentimental-narcisistico al “raffinato” iperformalismo» (p. 988).

Nel suo studio su Controluce, il generoso corpus di testi (ben 342!) pubblicati tra il 2004 e il 2011 sul «Mattino», e dunque posteriore a Cumae di almeno sei anni, Marianna Illiano ha individuato alcuni fenomeni caratteristici dell’italiano di Sovente:

Un fenomeno proficuo dal punto di vista lessicale è sicuramente la suffissazione: numerosi infatti i casi di frequentativo in -io [...] il ricorso all’uso di verbi parasintetici soprattutto in funzione espressiva o espressionistica: abbiamo dunque molte formazioni con in- [...] e in s- [...]; i pronomi soggetto sono espressi con lui e lei e non si registrano le forme egli o ella; frequente è l’iterazione in funzione avverbiale che ricalca l’uso dialettale [...] i suffissi diminutivi che «contribuiscono ad accrescere il livello di affabilità» e a conferire una «grana affettiva», espressi soprattutto con -ino […] (ILLIANO 2017: 248-

250).

Alcuni dei tratti precedentemente enumerati possono essere riscontrati già nella raccolta del 1998; diremmo anzi che la lingua di Controluce porta a compimento un processo di raffinamento dell’italiano che prende le mosse dai primi anni Novanta e che trova nella raccolta marsiliana la sua prima sistematizzazione ufficiale: sono presenti ‘lui’ e ‘lei’ con funzione di soggetto, come nei casi di «il mare, lui può / tradire sempre impunito» (Passa una voce..., 10-11) o «batte ora alla porta lui / il sornione dolore il maldamore» (Quella

luna, 11-12). Si riscontrano diminutivi in ‘-ino’, come «fanalini» (Quella luna, 4), «pantaloncini» (Suoni leggendari, 9), «dentini» (Cucciolo, 7), «vocine» (Al

buio, 108); diminutivi in ‘-etto’, come «collinette» (La mente, 5), «vecchietto» (Tanti secoli fa, 16), «zampette» (Antinomie, 9) e «sferette» (Al buio, 106); accrescitivi in ‘-one’ come «nebbione» (Non sa il Minotauro, 5) e «saccosaccone» (Il gatto e il sacco, 10). Compaiono, inoltre, frequentativi come «brusio» (C’è un brusio, 7; Ti amai, v. 12), «turbinio» (Ti amai, v. 4; Un mondo

incantato, 10), «luccichio» (Neapolis, 3).

Quel che è più interessante, e che proprio parole come «luccichio» e «brusio» suggeriscono, è che Cumae inaugura anche quel Lexicon su cui si fondano i libri successivi. Non è questa la sede adeguata a una ricostruzione del ‘vocabolario d’autore’ ragionato, anche perché sarebbe probabilmente necessario tenere conto dell’opera omnia dell’autore, e adoperare ulteriori strumenti – primo fra tutti, quello delle concordanze. È il caso però di notare che, tra gli elementi che rendono coeso il libro, c’è proprio il tornare continuo

di parole identiche o quanto meno afferenti a una stessa area semantica. Ricercato senza essere aulico né altisonante, l’italiano di Sovente si fonda su un vocabolario piuttosto essenziale e ricorrente50, per quanto non manchino

sublimazioni di prelievi settoriali operati nelle passate prove poetiche. L’utilizzo di termini di provenienza scientifica svolge però un ruolo speculare a quello del latino e del cappellese, che in qualità di lingue paritarie mettono in risalto aspetti diversi di una figura o una scena, non immediatamente percepibili nel testo italiano, e i tecnicismi concorrono adesso alla rappresentazione di uno spazio ‘altro’ in cui trovano posto ectoplasmi e ombre, cioè elementi presenti ma intangibili, esattamente come le «cellule» de I pianeti roventi del buio o la «nebulosa» di C’è un brusio51. Rimane, ed è fondamentale, la scelta attenta e

puntigliosa delle parole da adoperare, e in questo schierarsi per una lingua «storicamente connotata, tecnica, concreta e moderna, ma anche scelta ed essenziale: […] plurilinguistica e aperta al mondo moderno, ma anche monostilistica e compatta» (MAZZONI 2005: 188), più che nelle citazioni dirette, sta forse il maggior lascito dei modelli di Montale e di una ‘linea lombarda’ che ha nell’amico Giovanni Raboni il suo riferimento centrale. 3.2.2. Dal punto di vista stilistico, le poesie di Sovente presentano perturbazioni nella struttura sintattica, e sono soggette in particolare a fenomeni di inversione e di scompaginamento dell’ordine della frase52. Impostandosi come lingua

‘altra’ da quella dei media, l’italiano poetico esibisce una libertà disposizionale nuova, forse ispirata proprio dal latino, senza che questo implichi il rispetto pedissequo delle posizioni dei lessemi corrispondenti o affini nelle diverse strutture. In qualche caso, come ne L’invernale silenzio, il calco è abbastanza

50 Si potrebbe dire che l’alta selezione lessicale denunci un debito ‘petrarchesco’, nella misura in cui si possa ricondurre a Petrarca «qualsiasi processo di decantazione della complessità del reale per estrarne delle levigate essenze primarie, tali da riassumere in sé, sublimandolo,

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