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Tornare ai rudera La nuova edizione di Cumae

Tutte le lingue del mondo, ci suggerisce Sovente, servono a interpretare le infinite voci dell’anima, a dar suono e forma a una realtà che si rivela inesauribile dal momento in cui il soffio della nostra umanità la fa vivere: così ogni volta che una lingua muore è una parte dell’anima del mondo che scompare con essa. Sovente ne è convinto a tal punto che di lingue ne usa tre, diverse ma collegate tra loro da un rapporto di parentela, anzi di filiazione: l’italiano, la lingua della nostra identità nazionale; il dialetto, che è in questo caso un dialetto campano, lingua del nido in cui si sono riconosciute e pronunciate le prime parole colte sulle labbra della madre; il latino, la grande lingua del nostro passato da cui entrambe le altre, anche quella della culla, derivano. Il risultato è una delle espressioni più alte della nostra poesia contemporanea.78

Con questa onorevole motivazione, venne conferito all’unanimità il Premio Viareggio-Rèpaci a Cumae. Era il 29 agosto 199879. Sovente ricordò sempre

con emozione quel riconoscimento, il primo veramente prestigioso della sua carriera di poeta:

Sentirmi protagonista di uno degli eventi culturali più significativi d’Italia mi dava un’emozione indescrivibile, di gioia e di eccitazione, insieme. Il pensiero che prima di me erano stato insigniti di quel Premio, che in conferenza stampa avevo definito il Nobel italiano della poesia, tra gli altri, Saba, Scotellaro, Pasolini, Gatto, mi riempiva di orgoglio (SOVENTE 2012: 8).

Gli anni successivi avrebbero visto, congiuntamente al consolidarsi del nome di Sovente nel panorama poetico italiano, un costante inserimento di testi provenienti dal libro in antologie poetiche80. E tuttavia, colui che abbia a cuore

78 Si cita la motivazione da ILLIANO 2017: 240-241.

79 Il libro venne preferito a L’Attesa di Adolfo Frigessi e La cattura dello splendore di Emilio Jona. Gli altri vincitori del Viareggio di quell’anno furono La neve e la colpa di Giorgio Pressburger (sezione Narrativa) e Occhiacci di legno di Carlo Ginzburg (Saggistica). 80 Una precocissima e abbondante antologizzazione di testi da Cumae è in VITIELLO 2003, che

inserisce (non senza diversi errori di battitura e omissioni) In flatu, Nel fiato, Luna in

circulo adfixa…, Luna in un cerchio fissa…, Ti amai, Prato e naufragio, Tu, Cuma…, Di là,

Acqua mediterranea, Neapolis, Né ci giova. L’anno dopo, una strofa di Le antiche donne

cumane compare in ARAGONA 2004, all’interno di un’antologia tematica curata da Pietro Treccagnoli sulle rappresentazioni letterarie della Sibilla Cumana. Il 2005, anno di pubblicazione delle più importanti antologie di poesia tardo-novecentesca, vede Cumae

una valorizzazione della poesia soventiana, valorizzazione che non sia solo dettata da amicizia o conoscenza (come spesso, ahinoi, accade quando si parla di poesia recente), ma da un discorso critico fondato sulla filologia e metodologicamente serio, non può dirsi soddisfatto della scomparsa di Sovente dai radar dei lettori, e tranne gli sforzi di pochi indomiti esegeti-sostenitori, parlare di Sovente al cosiddetto ‘pubblico della poesia’ lettori (nonostante il suo pretendere di essere tale) vuol dire spesso parlare di un carneade, di una scrittura sconosciuta, di titoli appena uditi nell’oceano della letteratura italiana contemporanea.

È giunta l’ora di tornare ai rudera, rimettendo in circolazione un testo troppo presto svanito dai già rachitici scaffali dedicati alla poesia. La presente edizione propone al pubblico Cumae, ormai fuori stampa da anni, corredandolo di un commento integrale, una ‘buona pratica’ che proprio in Italia ha trovato particolare fortuna e numerosi tentativi di codificazione. Si pongono, ovviamente, e più che mai per i testi contemporanei, alcuni problemi originali e di non sempre facile soluzione. Primo fra tutti, il senso stesso di un lavoro simile. Già Rodolfo Zucco e Sabrina Stroppa hanno individuato nel commento a un’opera particolarmente significativa di autori per i quali non è ancora ipotizzabile una grande operazione critico-filologica (un ‘Meridiano’, per citare la collana di classici per antonomasia) un utile strumento per restituire i testi ai lettori, soprattutto a quelli delle scuole e delle università, e per avviare una ricostruzione della storia poetica recente a partire da raccolte esemplari, meritevoli di una maggiore attenzione critica81. Cumae rappresenta una svolta

nella scrittura di Sovente82, e per molti versi costituisce anche il suo libro comparire in TESTA 2005, che inserisce Aves, Gli uccelli, Neque nobis prodest, Né ci giova e Nun ce abbasta, e ALFANOETAL. 2005, che oltre a presentare Di sbieco, In flatu, Lingua,

Nescit Minotaurus, Lepri, Insetti e sottopassaggi, Donna flegrea madre, Acqua

mediterranea, Neque nobis prodest, Né ci giova e Nun ce abbasta propone una ricca selezione di testi dalle altre raccolte (valorizzando anche i lavori in italiano editi da Vallecchi). La piccola antologia di testi campani contenuta in DE BLASI 2009 propone invece Nun ce abbasta come exemplum di poesia neo-dialettale (sono leggibili anche

Neque nobis prodest e Né ci giova, ma in corpo minore e su rigo continuo). Ulteriori informazioni bibliografiche sono consultabili nell’apposito paragrafo del Profilo bio-

bibliografico in appendice.

81 Le considerazioni di ZUCCO 2016a sono sintetizzate e discusse in STROPPA 2016: 174. 82 Mi sembra tuttavia interessante far notare che Zucco individua in un’altra opera di Sovente,

e cioè in Per specula aenigmatis, il libro che potrebbe rappresentare Sovente in un’ipotetica collana di raccolte poetiche contemporanee commentate (cfr. ZUCCO 2016a: 200-201). La

‘esemplare’, quello in cui sono già contenute tutte le figure e le tematiche che si riverbereranno nella produzione successiva; allo stesso tempo, rientra probabilmente tra i libri che dovranno essere tenuti in considerazione in una futura ricostruzione della poesia italiana degli anni Novanta.

Oltre al ‘perché commentare Cumae’, si pone il dilemma del ‘come farlo’. Il presente commento si organizza in questo modo: ogni lirica è introdotta da un ‘cappello’ nel quale si dà conto della storia compositiva-editoriale del testo e si traccia una prima panoramica di contenuti e motivi che lo caratterizzano; segue una nota metrico-stilistica dedicata principalmente all’individuazione di costanti ritmiche nella versificazione, di stilemi ricorrenti nel testo e ancora di figure di suono o retoriche; alla poesia seguono le vere e proprie note di commento, volte a chiarire i passaggi più complessi, i rapporti intertestuali, con particolare riferimento ai richiami interni alle opere edite e non di Sovente stesso, e a discutere i processi d’intervento sul testo. Tale organizzazione, che rispetta in fondo il più che collaudato modello di Dante Isella, non funziona nei casi di coppie e triadi testuali in più lingue. La soluzione prevista per questi testi, che costituiscono d’altronde il fulcro di Cumae, prevede un cappello introduttivo unico per quelli tematicamente affini, che illustri – anche a costo di una notevole lunghezza – tutti i riferimenti e le scelte stilistiche comuni; a questo, seguono cappelli metrici specifici per ogni componimento e note di commento che diano conto delle differenze formali, contenutistiche o, più sottilmente, semantiche, che intercorrono tra gli stessi83. L’obiettivo è quello di dimostrare

l’autonomia dei testi in lingue diverse di Sovente, che non andranno considerati ‘traduzioni’, ma espressioni diverse di uno stesso contenuto. Rimane, questa,

proposta dello studioso ha una sua ragion d’essere: indubbiamente l’opera del 1991 si configura tanto come un punto di svolta epocale (è pur sempre la prima prova bilingue di Sovente) quanto come un’opera affascinante, di difficile comprensione ma in grado di attrarre il lettore per mezzo dei suoi artifici linguistici e delle sue combinazioni figurali. Rimaniamo però dell’avviso che sia Cumae, in quanto raccolta maggiormente conosciuta di Sovente e prima a contenere le tre lingue maggiore della sua poesia, a meritare la ‘palma’ del commento.

83 È doveroso segnalare che non è stato possibile rispettare la mise en page originale dei testi bilingue. Per impaginare il testo a fronte completo delle note di commento, sarebbe stato necessario adoperare programmi di videoscrittura specializzati, così come plug-in appositamente progettati per le edizioni di classici della letteratura greca e latina; purtroppo, limitate competenze informatiche hanno impedito la realizzazione di questa soluzione editoriale. Ci scusiamo con i lettori.

nient’altro che un’ipotesi di lavoro, resa applicabile dalla disposizione dei testi propria di Cumae, ma che risulterebbe già impraticabile per i testi in più lingue di Carbones, in quanto distribuiti a distanza l’uno dall’altro, a ulteriore certificazione della loro indipendenza. Il risultato è dunque una fusione delle due tipologie di organizzazione del commento più fortunate o comunque più adoperate per la poesia contemporanea: quella ‘raccontata’, adoperata da curatori come Andrea Afribo, Laura Gatti e Sabrina Stroppa, in cui alla tripartizione canonica si predilige un discorso unitario in cui si mettono in rilievo argomenti, rilievi lessicali e caratteristiche metriche comuni, e quella modellata nel tempo da Contini e Isella, che nel caso di Cumae si rileva molto utile per segnalare le divergenze tra loci testuali e le loro specificità.

Si è cercato di sciogliere molte delle figure e dei simboli adoperati da Sovente. Rimangono con ogni probabilità margini di incomprensione, ma è stato scritto che il commento alla poesia contemporanea è destinato a scontare la fondamentale ‘oscurità’ della stessa, così spesso di taglio privato e difficilmente intendibile84. A meno di non voler ricorrere a facili impressionismi

volti a sostituire l’esigenza di chiarezza con richiami alla ‘magia della parola’ o al ‘mistero della poesia’, occorre talvolta doversi fermare, nella speranza che col tempo emergano ulteriori materiali o giungano a compimento studi utili allo scioglimento di cruces interpretative. Va detto, in effetti, che la quantità di lavori critici sui quali si è potuto fondare il nostro commento è stata, ed è tutt’ora, molto ridotta. A ciò, si aggiunga che, rispetto ad altri autorevoli commenti, non è stato possibile confrontarsi direttamente con l’autore. Sovente ha lasciato questo mondo nel 2011; non c’è stato tempo per interrogarlo su possibili allusioni a testi della tradizione, né sollecitare chiarimenti nel corso di un’intervista. Il ‘corpo a corpo’ che si ingaggia con la sua opera non può che essere in absentia, da condurre esclusivamente sulle carte e sui versi dell’autore, potendo tutt’al più contare sulle dichiarazioni rilasciate in articoli

84 Cfr. STROPPA 2016: 177-179. Più avanti, nello stesso saggio, si legge che «se già per i testi canonizzati il commento deve essere periodicamente ripensato, e dunque storicizzato, in relazione alle diverse competenze di lettura del pubblico, nonché al progredire degli studi su un autore o un’opera, nel caso della poesia contemporanea deve anche confrontarsi con testi spesso programmaticamente oscuri perché ‘privati’, e in quanto tali sommamente resistenti a operazioni di esegesi o di parafrasi» (ivi: 187). Proprio per questo, si è evitato, tranne in casi eccezionali, di proporre parafrasi che poco o nulla potrebbero aggiungere alla comprensione dei passaggi, preferendo soffermare l’analisi sugli aspetti retorico-formali che complicano il testo.

precedenti la scomparsa.

La speranza, s’intende, è che questa nuova edizione possa favorire una (ri)scoperta dell’opus phlægreum di Sovente. Se lo strumento del commento avrà aiutato anche un solo lettore a penetrare più a fondo nella scrittura di Sovente, sollecitando magari il confronto con gli altri suoi testi, questo lavoro non sarà stato vano.

Il primo e maggiore ringraziamento va a Luigi e Marco Sovente, fratello e nipote del poeta, per la disponibilità e la gentilezza con la quale hanno accolto il progetto di riedizione di Cumae e lasciato consultare i materiali mano-dattiloscritti dell’archivio del loro parente, e a Nestore Antonio Sabatano, presidente dell’Associazione “Michele Sovente”, per l’aiuto dato nell’entrare in contatto con la famiglia Sovente.

Era l’11 ottobre del 2010 quando, alla fine del primo giorno del primo anno del corso di laurea triennale in Lettere Moderne, un professore di Filologia prestato alla cattedra di Letteratura italiana ci rivelò che esistevano ancora poeti in grado di scrivere in latino, come un tal Michele Sovente. Quel professore era Andrea Mazzucchi, primo sostenitore di questa tesi; il mio debito con lui non è neppure quantificabile.

Si ringraziano infine coloro che hanno letto, discutendoli, passaggi o capitoli della tesi: Giancarlo Alfano, Nicola De Blasi, Eleonora Lima, Matteo Palumbo, Franco Pierno.

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