Liquidazione giudiziale e liquidazione controllata

La liquidazione giudiziale è la procedura che sostituisce il fallimento ed è finalizzata a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente, ripartendo il ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti.

L’art. 121 del Codice della crisi e dell’insolvenza definisce i presupposti soggettivi ed oggettivi per l’accesso alla procedura di liquidazione giudiziale.

Vi deve essere un presupposto soggettivo, ovvero la procedura di liquidazione giudiziale è applicabile agli imprenditori commerciali, vale a dire a coloro che esercitano, anche non a fini di lucro, un'attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici, così come si evince da quanto disposto dall’art. 1 del Codice.

Sono invece escluse dalla liquidazione giudiziale:

- l’impresa minore caratterizzata dal mancato superamento delle soglie dimensionali previste dall’art. 2, comma 1, lett. d) del Codice del crisi e dell’insolvenza , vale a dire: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro € 300.000 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro € 50.000;

- l’impresa agricola

Oltre al presupposto soggettivo deve esistere anche un presupposto oggettivo. L’apertura della liquidazione giudiziale richiede altresì, da un punto di vista oggettivo, la sussistenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore, così come definito dall’art. 2, comma 1, lett. b), del Codice.

Lo stato di insolvenza si può manifestare attraverso inadempimenti od altri fatti esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

La liquidazione controllata, destinata a prendere il posto della procedura di liquidazione dei beni ex art. 14-ter ss. L. n. 3/2012 risente di importanti novità. La legittimazione non è più riservata solamente al debitore, ma l’iniziativa è concessa anche ai creditori, anche in presenza di procedure esecutive e, nell’ipotesi in cui il sovraindebitato sia un imprenditore, anche al P.M.

Altra novità importante riguarda l’apertura della procedura: in piena discontinuità non solo con la L. n. 3/2012 ma anche con le altre due procedure di sovraindebitamento disciplinate nel Codice della crisi torna sulla scena il Tribunale in composizione collegiale, che con la sentenza di apertura della procedura nomina il giudice delegato (art. 270 CCII). Da un punto di vista sistematico tale scelta si connota per una distonia con la chiusura della procedura, dove riemerge la figura del giudice monocratico.

La sentenza di apertura della procedura nomina il giudice delegato e il liquidatore. Rispetto alla procedura di liquidazione dei beni di cui agli artt. 14-ter ss. L. n. 3/2012 viene meno termine di durata minima di quattro anni, come attualmente previsto dall’art. 14-novies, comma 5, L. n. 3/2012. L’art. 275, comma 3, codice della crisi e dell’insolenza prevede, infatti, che il liquidatore, terminata la liquidazione, presenti il rendiconto al giudice.

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