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CAPITOLO III RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI E

7. La determinazione del danno risarcibile

7.2. Perdita incrementale

Con il passare del tempo tuttavia ha cominciato a farsi strada il criterio del differenziale dei patrimoni netti, per mezzo del quale il danno viene individuato nella differenza tra il patrimonio netto al momento in cui gli amministratori avrebbero dovuto percepire la perdita del capitale sociale e quello esistente al momento in cui la società è stata effettivamente posta in liquidazione, o alternativamente, è fallita, al netto dei costi ineliminabili della liquidazione calcolati secondo un criterio di normalità.

L’autore sopra citato prosegue affermando che, l’inversione di rotta della giurisprudenza ha raggiunto il suo culmine con due sentenze della Corte di cassazione del 2005 (Cass. n. 3032 del 2005; Cass. n. 2538 del 2005), le quali hanno riaffermato, anche in sede fallimentare, i principi civilistici in materia di responsabilità, specie per quanto concerne colpevolezza e nesso di causalità, stabilendo che, il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare rimaneva utilizzabile come criterio presuntivo e salva la prova contraria del minor danno, solo nel caso in cui il curatore si trovi nell’assoluta impossibilità di procedere alla ricostruzione delle vicende societarie per la sostanziale mancanza delle scritture contabili, sempre che sia logicamente plausibile che il comportamento illegittimo degli amministratori, in relazione alle circostanze del singolo caso, abbia potuto provocare un danno corrispondente all’intero sbilancio patrimoniale della società, quale accertato in sede concorsuale.

Tuttavia, il criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare rimane utilizzabile, secondo quanto disposto dalla sentenza di cassazione n 17198 del 2013, ma solo in via residuale, nel solo caso in cui il curatore, in conseguenza dell’accertata mancanza,

originaria o procurata, di scritture contabili attendibili si trovi, oggettivamente, nell’impossibilità (o nell’estrema difficoltà) di procedere alla ricostruzione (anche incompleta e non puntuale) delle vicende societarie e, quindi, nella “effettiva impossibilità

di addivenire ad una ricostruzione (magari non completa e del tutto puntuale, ma almeno sufficientemente approssimativa) degli specifici effetti pregiudizievoli procurati al patrimonio sociale dall’illegittimo comportamento degli organi della società, ciascuno, ove occorra, distintamente valutato” (Cass. n. 11155 del 2012). Resta, tuttavia, salva la

prova del maggiore o minore danno arrecato.

In un'altra sentenza la Suprema Corte ha affermato che: “... il criterio ancorato alla

differenza tra attivo e passivo può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili […] ma, in tal caso, il giudice del merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli […] nonché, nel caso in cui la condotta illegittima non sia temporalmente vicina alla apertura della procedura concorsuale, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto ...” 36

E ancora, ai fini della liquidazione del danno derivante da una gestione della società condotta in spregio dell'obbligo di cui all'art. 2486 c.c., “... il giudice può ricorrere in via

equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all'incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali. La condizione è che tale ricorso sia congruente con le

circostanze del caso concreto e che quindi sia stato dall'attore allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta.” 37

Per tanto, il criterio del deficit fallimentare può comunque costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati in modo analitico al fine di individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli organi sociali; ma, in tal caso, il giudice del merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei convenuti nonché, qualora tale condotta non sia prossima al fallimento, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto (Cass n 17033/2008 e n 16050/2009).

In tal senso, si sono, espresse le Sezioni Unite che, nella sentenza n. 9100 del 2015, hanno osservato come “la pretesa d’individuare il danno risarcibile nella differenza tra passivo

ed attivo patrimoniale, accertati in sede fallimentare, risulta fatalmente priva di ogni base logica non foss’altro perché l’attività d’impresa è intrinsecamente connotata dal rischio di possibili perdite, il cui verificarsi non può mai esser considerato per sé solo un sintomo significativo della violazione dei doveri gravanti sull’amministratore, neppure quando a costui venga addebitato di esser venuto meno al suo dovere di diligenza nella gestione, appunto inquanto non basta la gestione diligente dell’impresa a garantirne i risultati positivi” per cui, in linea di principio, “nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore

della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento”.

Gianfranco Benvenuto, in un articolo nel “sole 24 ore” afferma che con la pronuncia delle Sezioni Unite sopra citata, la cassazione ha affermato che nell'azione di responsabilità promossa dal curatore l'individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, onde possa essere verificata l'esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.38

In tali azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica il risarcimento del danno secondo il criterio del deficit fallimentare, a meno che ne siano indicate le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore.

La Cassazione ha ribadito in alcune circostanze (Cass 832/2018; Cass 2500/2018; Cass 24103/2018, Cass 21662/2018) che il giudice del merito può fare ricorso al criterio del deficit fallimentare, quale parametro per una liquidazione equitativa nel caso in cui ne sussistano le condizioni, ossia l'allegazione di un inadempimento dell'amministratore astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e che vengano indicate le ragioni ostative all'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore medesimo.

38 Gianfranco Benvenuto, liquidazione del danno nelle azioni di responsabilità di amministratori e

Se, invece, per la irregolare o mancata tenuta di una contabilità sociale completa e attendibile (e ciò a prescindere dal fatto che tale mancanza sia imputabile, anche solo per mancanza di vigilanza o controllo, ai convenuti) o per altre ragioni (come nel caso in cui i fatti dannosi sono molto risalenti rispetto al fallimento), è oggettivamente impossibile procedere ad una precisa quantificazione del danno arrecato al patrimonio sociale, secondo i criteri esposti, la liquidazione del conseguente pregiudizio al patrimonio sociale può essere svolta, in via equitativa, in base al criterio della differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (Cass. n. 12966 del 2012), sempre che sia logicamente plausibile, in rapporto alle specifiche caratteristiche del caso concreto, l’imputazione causale alla prosecuzione della gestione dopo la perdita del capitale sociale dell’intero sbilancio patrimoniale della società, quale poi accertato in sede concorsuale (Cass. SU n. 9100 del 2015), e con salvezza, naturalmente, della prova da parte di chi ne abbia.

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