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2. Stato dell'arte delle metodologie di progettazione

2.3. Livello alto: approccio sistemico

Come accennato sopra, l'approccio di sistema è quello meno utilizzato nella fase iniziale di progettazione. Al contrario, se ne dovrebbero tenere in considerazione le potenzialità: seppur avendo la caratteristica di non partire da un dato predefinito come la taglia dell'impianto o il carico da soddisfare, esso consente una visione d'insieme di partenza in base alla quale determinare, in maniera opportunamente combinata, tipologia e taglia impiantistiche e tipo di domande elettrica e termica associate.

Ghadimi et al. [19] hanno effettuato uno studio volto alla selezione del sistema CHP migliore integrando il dimensionamento con la scelta della strategia di gestione ottimale. Questo si avvicina a ciò che dovrebbe caratterizzare la progettazione: partire da una visione integrata, prendendo in considerazione diversi aspetti, non singolarmente, ma in maniera congiunta. Ad

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esempio, gli autori nel loro caso studio ottengono una taglia abbinata ad una strategia operativa, tramite un'ottimizzazione che prende in considerazione l'obiettivo economico, quello ambientale e quello energetico. Evidenziano tuttavia come la scelta sia di compromesso, nel senso che, come si varia l'obiettivo, cambiano le soluzioni ottimali.

Esistono tipologie di studio che, seppur non avendo basi di partenza del tutto generali, possono essere classificate nella categoria del livello di sistema: ad esempio, quelle in cui è fornito un carico costituito da più edifici, in cui si vuole prevedere una generazione distribuita. In tal caso, se è vero che il lato utenza è già determinato, è vero anche che l'ottimizzazione ha ancora ampio spazio per quanto riguarda la scelta di numero, collocazione, tipologia e taglia delle unità cogenerative, oltre che, ovviamente, dei dispositivi termici ausiliari, dei sistemi di accumulo e dell'andamento operativo. Tuttavia, anche lato utenza si dispone ancora di una certa libertà: infatti, un numero di edifici assegnato non comporta necessariamente un carico complessivo determinato, ma può essere visto come un insieme di sottogruppi caratterizzati da domande di energia termica distinte, funzionali in maniera più adeguata all'impiantistica da implementare.

In merito a quest'ultimo aspetto, molti studi hanno mostrato come la scelta di aggregare vari tipi di edifici sotto un'unica domanda elettrica e/o termica conferisca vantaggi consistenti all'operatività degli impianti cogenerativi. In particolare, alcuni di essi hanno preso in considerazione un certo numero di edifici assegnati, ma senza avere informazioni sul numero di unità CHP da posizionarvi. In tali casi, è possibile eseguire un'ottimizzazione basata su diversi parametri e scelte progettuali, che fornisca in output il numero di unità CHP in ciascun edificio e le corrispettive taglie. In alcuni casi, si può anche spingere l'analisi più a fondo introducendo varie tipologie di combustibile e di tecnologie impiegabili, ed eventualmente specificando i limiti di funzionamento di ciascuna di esse, come ad esempio il minimo tecnico legato al calo di rendimento lontano dalle condizioni di funzionamento nominali.

Bracco et al. [18] hanno ottenuto, ad esempio, un numero di unità CHP pari ad 8 da distribuire nei 4 diversi edifici oggetto del loro studio. Per quanto riguarda le unità termiche convenzionali (boiler) previste, è interessante notare come, pur essendo 4, esse non siano equamente distribuite tra gli edifici; anzi, soltanto due di essi ospitano caldaie tradizionali. Questo per evidenziare come, nella logica della energy community, la condivisione sia non solo energetica, ma anche impiantistica.

Anche Casisi et al. [13] hanno eseguito uno studio di questo tipo. Un aspetto interessante che emerge dal loro lavoro è che da un processo o algoritmo di ottimizzazione, applicato ad un

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gruppo di edifici assegnati con l'obiettivo di interconnetterli ed alimentarli tramite un sistema di generazione distribuita, si può ottenere una configurazione che non solo non connette tra loro tutti gli edifici a livello di rete elettrica locale, ma che può anche essere costituita da sottogruppi di alimentazione (oppure addirittura edifici impiantisticamente isolati) dipendenti da unità di cogenerazione distinte ed indipendenti tra loro. Questo aspetto ci mostra come anche la combinazione degli edifici da alimentare possa in realtà essere condizionata dai criteri di ottimizzazione adottati; in certi casi, dunque, il clustering (termine con cui si definisce l'aggregazione dei dati di più domande sotto un unico carico) può in realtà ostacolare il corretto dimensionamento ed è opportuno individuarne i limiti e valorizzarne nel modo corretto le potenzialità.

Piacentino et al. [14] hanno definito una metodologia per la scelta della configurazione impiantistica ottimale con logica di generazione distribuita, implementandola in un tool da essi realizzato. Anche in questo caso gli autori hanno considerato le mutue distanze tra gli edifici e valutato i diversi raggruppamenti possibili; inoltre, hanno indagato l'influenza dell'andamento dei rendimenti elettrico e termico al variare del livello di carico e hanno considerato, a differenza dei succitati studi, la presenza di accumulo termico. Piacentino e Barbaro [15], in un articolo che riprende e completa il lavoro del precedente, hanno applicato la metodologia ad un caso studio. Anche se in questi casi gli autori hanno preso come parametro di valutazione finale il VAN (Valore Attualizzato Netto), riconducendo la scelta ultima alla migliore dal punto di vista economico, il raggiungimento dell'obiettivo è vincolato ad alcune condizioni di tipo energetico, e il metodo risulta piuttosto completato (e complesso), perché considera, dal punto di vista impiantistico, buona parte delle variabili reali in gioco. La Fig. 2.3, in linea con quanto osservato poc'anzi, fornisce un esempio pratico di realizzazione attraverso l'analisi di diverse ipotetiche configurazioni impiantistiche adottabili per un sistema di edifici utilizzatori dato.

Si possono far rientrare nel livello alto anche casi in cui si abbia un impianto esistente di tipo tradizionale destinato a sola produzione elettrica, sul quale si voglia operare una modifica rendendolo cogenerativo. In tal caso infatti, pur con limiti superiori sulla potenza impiantistica, si ha piena libertà nella scelta di tipo ed entità delle utenze da alimentare.

Uno studio che ricalca in parte questa situazione è quello di Tehrani et al. [16], che hanno analizzato la possibile conversione di due impianti turbogas per la semplice produzione elettrica in impianti a ciclo combinato cogenerativi. Essi hanno imposto anche il vincolo di dover soddisfare l'intera domanda termica di una nuova città nei pressi di Teheran, ma questo

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si può ritenere un vincolo non restrittivo, in quanto le grosse taglie in gioco hanno consentito agli autori non solo di poter garantire l'alimentazione della totalità del carico, ma anche di inserire il bottom cycle a vapore, che ha avuto un duplice scopo:

 incrementare il rendimento di impianto ottenibile rispetto al caso in cui il recupero termico si fosse limitato soltanto all'energia richiesta per il teleriscaldamento (visto che la logica gestionale scelta è quella di inseguimento della domanda termica);

 utilizzare il ciclo a vapore per affrontare la questione della non omogeneità della domanda, mantenendo costante la quota di energia termica recuperabile tramite HRSG, ma destinandola in proporzioni variabili al teleriscaldamento e alla produzione elettrica dal bottom cycle in base all'andamento del carico.

Se si vuole, il secondo punto è interpretabile come una strategia di progettazione e gestione di impianti CCGT-CHP-DHN, dove l'inserimento di un bottom cycle svolge un ruolo analogo a quello dell'inserimento di un sistema di accumulo termico previsto negli impianti CHP-DHN.

Fig. 2.3: esempi diversi di raggruppamento degli stessi edifici. Negli schemi a) e b) sono rappresentate due possibili soluzioni con generazione distribuita; lo schema c) riporta un esempio di generazione distribuita e sottoraggruppamenti tra loro indipendenti (evidenziati in colori diversi); il caso d) è quello di produzione da un

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