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Metodi di progettazione impiegati oggi: caratteristiche e limiti

2. Stato dell'arte delle metodologie di progettazione

2.1. Metodi di progettazione impiegati oggi: caratteristiche e limiti

Il panorama esplorato nel paragrafo 1.4 ha messo in luce, attraverso alcune fotografie dello stato attuale relativo alla diffusione di impianti di cogenerazione per teleriscaldamento, il livello di sviluppo di questi sistemi raggiunto in vari Paesi, che risultano molto diversi tra loro, sia per politica energetica ed economica, sia per condizioni climatiche medie, sia per estensione e conformazione territoriale. Un elemento che molto spesso ha accomunato il percorso che ha portato alla progettazione e alla realizzazione di questo tipo di impianti, tuttavia, è quello legato ai criteri di dimensionamento e alle logiche di esercizio adottate. Andando ad indagare più da vicino alcune applicazioni, si possono individuare gli aspetti che hanno mediamente caratterizzato la progettazione di sistemi CHP-DHN.

Un primo esempio è dato da quegli impianti nati per soddisfare unicamente un'utenza termica tramite teleriscaldamento, immettendo in rete l'energia elettrica prodotta. In tal caso, tutto l'interesse del progettista è stato guidato dalla necessità di garantire all'utenza la fornitura adeguata di acqua calda in qualsiasi condizione di temperatura esterna, e dunque per tutte le stagioni, in particolare quelle più rigide. In questi casi si è assistito a due tipologie di fenomeno:

 una progettazione avente le condizioni stagionali più rigide come parametri nominali di riferimento per dimensionare l'impianto;

 una progettazione riferita ad un carico termico di base, disponibile su tutta la durata di un ciclo di stagioni, in cui le condizioni nominali sono state fate coincidere, in sostanza, con quelle di minimo carico termico.

Il primo di questi ha banalmente comportato un sovradimensionamento dell'impianto, in quanto, se anche con le condizioni meteorologiche più rigide esso è capace di soddisfare il carico con il massimo rendimento energetico, nelle altre stagioni risulta eccedere ampiamente il fabbisogno termico.

Il motivo della scelta di agire in tal modo nel dimensionamento è da far risiedere nella possibilità di effettuare una regolazione in termini di rapporto tra produzione elettrica e termica, nei limiti imposti dalla tecnologia impiegata. Questa logica non è stata semplicemente legata alla necessità di spostare la produzione da termica ad elettrica per allinearsi con il carico termico, ma è stata resa conveniente in termini economici dalla

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possibilità di far funzionare ugualmente l'impianto ad un regime il più possibile vicino a quello nominale ed ottenere un guadagno dalla vendita dell'energia elettrica, guadagno evidentemente maggiore nei periodi con carico termico diverso da quello nominale.

Il secondo fenomeno sopra enunciato ha avuto anch'esso una motivazione prettamente economica, legata in particolare alla possibilità di usufruire di incentivazioni e allo stesso tempo di far funzionare l'impianto per un numero di ore equivalenti annue piuttosto alto, tale da garantire un recupero dell'investimento in tempi brevi (accelerato anche dal ricorso agli incentivi esistenti). La progettazione tarata sul minimo termico si basa su una logica operativa a regime nominale costante, facente uso di un rapporto tra produzione elettrica e termica pressoché fisso, con vantaggi dal punto di vista energetico (rendimento sempre vicino a quello massimo corrispondente a quel dato rapporto) e tecnologico (limitazione dei transitori e delle variazioni di regime con conseguente riduzione degli interventi di manutenzione dovuti ad una frequente variabilità nel funzionamento).

Questo secondo tipo di applicazioni è stato caratterizzato, dunque, dalla necessità di installare delle unità di generazione termica ausiliaria di tipo convenzionale, alimentate con fonti fossili, che hanno di fatto annullato lo scopo insito nella tecnologia CHP, ossia la riduzione delle perdite exergetiche legate alla produzione separata di energia elettrica e termica combinandole in un solo impianto; infatti, in tal modo, la produzione termica effettiva da cogenerazione va a coprire una percentuale limitata dell'intera produzione annua.

Un altro esempio di applicazioni cogenerative poco virtuose è quello di impianti che, in assenza di un carico termico, oppure con carico termico non sufficientemente elevato, sono state fatte funzionare in solo elettrico o con rapporti elevati tra produzione elettrica e termica. In poche parole, si parla di quegli impianti che hanno ottenuto e sfruttato gli incentivi per l'installazione di impianti CHP, ma che di fatto hanno funzionato e funzionano in alcuni periodi come semplici impianti termoelettrici, riducendo drasticamente il rendimento energetico ed annullando, anche qui, i vantaggi insiti nel concetto di cogenerazione.

Altri casi in cui è rilevabile un'anomalia nel funzionamento effettivo rispetto a quello atteso sono quelli di impianti che basano il tipo di operatività e gli starts-and-stops sul prezzo di mercato dell'energia elettrica. Infatti, spesso si osservano delle logiche di gestione trainate dall'economia legata a tale mercato, e quindi si hanno spegnimenti o riduzione della produzione elettrica al minimo in quei casi in cui la remunerazione ottenibile dalla sua vendita sia bassa.

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La Fig. 2.1 mostra il grafico di funzionamento lato termico di un sistema CHP-DHN esistente costituito da 3 impianti di cogenerazione collegati ad una rete di teleriscaldamento di grosse dimensioni. La parte di grafico occupata dalle aree nelle tre sfumature di azzurro è quella rappresentativa della quota di energia termica prodotta in cogenerazione e distribuita in DH. Si può osservare che in una fascia oraria, che va dalle 12 alle 15 circa, si ha la caduta a zero della produzione termica da parte di uno dei tre impianti cogenerativi. Questa caduta è dovuta al fatto che l'impianto è convenzionato con il GSE per i servizi di dispacciamento, per cui in quella fascia oraria all'impianto è stato richiesto di spostare la produzione sul massimo elettrico per soddisfare la richiesta di potenza elettrica da immettere nella rete nazionale. Un funzionamento in tal senso comporta una riduzione del rendimento dell'impianto, in quanto si produce solo energia elettrica, però chi gestisce l'impianto percepisce una remunerazione da parte del gestore abbastanza elevata da ripagare, in termini economici, la perdita che si ha in termini energetici.

Fig. 2.1: produzione termica di un sistema CHP-DHN di grandi dimensioni costituito da tre impianti cogenerativi (la cui produzione è rappresentata dalle aree in sfumature di azzurro) e facente uso di sistemi di

accumulo (la cui fornitura termica è rappresentata dalle aree in sfumature di arancio); in verde è mostrato l'andamento del prezzo dell'energia elettrica secondo il Mercato del Giorno Prima [35].

Infine, in maniera più generale, si possono individuare difetti nella gestione di sistemi CHP- DHN legati alla scarsa modulazione apportabile alle unità cogenerative per limiti tecnologici, oppure ad una logica di regolazione troppo grossolana. In queste condizioni si è, di fatto,

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assistito ad un funzionamento qualitativamente scadente, nonostante la fase di dimensionamento e progettazione fosse stata condotta in modo opportuno.

Si può dunque individuare, in termini generali, una tendenza a progettare questi sistemi secondo criteri diretti troppo spesso alla valutazione dei dettagli, mirati allo studio dei singoli aspetti ma povera di una visione d'insieme. Infatti, laddove la fase di dimensionamento non ha tenuto conto delle logiche di gestione ed operatività attuabili, si è caduti in un comportamento del sistema di scarsa qualità al di fuori dalle condizioni nominali. Viceversa, laddove si è tentato di mettere in atto un sistema di regolazione piuttosto fine e di modulare in funzione di carichi diversi da quello nominale, ci si è trovati ostacolati da un sistema rigido dal punto di vista impiantistico e tecnologico che ha reso limitati i risultati conseguibili dal punto di vista del funzionamento.

In entrambe le situazioni si è generato un sistema complessivamente sbilanciato che ha portato ad un'operatività effettiva lontana dalle condizioni ottimali potenzialmente ottenibili dal punto di vista sia energetico che economico. Ciò che è mancato è quindi una destrutturazione del problema, ossia una declinazione della progettazione su vari livelli, ed un'assenza di integrazione tra di essi.

Nel paragrafo 2.2 si esegue un'analisi di quelli che sono stati i tentativi, individuabili in letteratura, di fornire dei criteri di progettazione volti al raggiungimento di obiettivi di vario genere, tra cui quello di evitare fenomeni come quelli appena descritti.