2. Stato dell'arte delle metodologie di progettazione
2.5. Livello basso: gestione operativa
Sul fronte della gestione operativa degli impianti cogenerativi esistono diversi approcci che presentano pregi e difetti, a causa della complessità del tema della gestione in sé. Combinando alcuni elementi è possibile ottenere anche un'ulteriore complessificazione del funzionamento, in virtù però di una miglioria nel funzionamento.
C'è da considerare che la scelta della tipologia operativa può influenzare anche la struttura stessa dell'impianto in fase di progettazione o riqualificazione. Basti pensare alla presenza di un accumulo termico: esso costituisce certamente un elemento importante nella definizione del tipo di funzionamento del sistema, ma al contempo deve essere correttamente dimensionato per poter essere inserito nell'impianto, in quanto va al di là di una semplice logica di gestione presupponendo una modifica progettuale di rilievo.
Per quanto riguarda le tipologie di gestione, se ne possono distinguere alcune secondo una classificazione già nota in letteratura ([19], [22]):
Electrical Load Tracking (ELT): inseguimento del carico elettrico, ossia l'impianto funziona con l'obiettivo di soddisfare la richiesta di energia elettrica dell'utenza;
Thermal Load Tracking (TLT): inseguimento del carico termico, analogo al precedente ma riguardante la domanda di energia termica;
Hybrid Operation, (HO): è un funzionamento ibrido tra i primi due;
Fixed Point Operation, (FPO): funzionamento costante a piena potenza dell'impianto, indipendentemente dagli andamenti del carico;
Peak Electricity Operation (PEO): funzionamento dell'impianto a piena potenza e soltanto nei periodi in cui la domanda elettrica eguaglia o supera una certa quota di quella di picco in un anno (ad esempio il 40%).
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Fig. 2.4: andamento della potenza da CHP nei vari tipi di gestione operativa per alcuni andamenti di carico assegnati [22].
In tutte le opzioni citate si possono individuare vantaggi in relazione al sistema cui sono applicate. È infatti impensabile definire come migliore in maniera assoluta una logica operativa tra quelle esposte e pensare di standardizzare la scelta gestionale. È tuttavia possibile classificare gli impianti CHP sulla base dei più disparati parametri e giungere, per ciascuna categoria individuata, alla scelta di una logica di gestione che sia realmente ottimale. Un metodo può essere quello di basarsi sulla tipologia di carico: se esso ha predominanza elettrica si adotta l'ELT, e si condivide attraverso un sistema di interconnessione il calore in
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eccesso; viceversa, se è il carico termico ad avere maggior entità, si adotta il TLT, e si immette in rete la quota elettrica in eccesso.
Va osservato che nel primo caso si deve verificare di avere a disposizione un'adeguata utenza che possa far uso del calore in eccesso, e che esista una rete di interconnessione: tale rete può essere addirittura frutto della strategia di gestione scelta in fase di progettazione, se si guarda ad esempio allo studio condotto da Casisi et al. [13]. Quello che gli autori hanno proposto, in tal caso, è un sistema di interconnessione con microgenerazione in più edifici, e dunque si parla di generazione distribuita. In una situazione di questo genere la condivisione di energia esprime molto bene il concetto di energy community, perché si adotta una logica in cui ciò che è in sovrappiù in un edificio può essere trasferito ad edifici in cui si ha una produzione ridotta rispetto alla domanda. Questo passaggio non va trascurato; infatti, un conto è avere un impianto CHP centralizzato di dimensioni medio-grandi che alimenta un gruppo di edifici, e un altro conto è avere più impianti di micro-cogenerazione e prevedere una produzione distribuita con condivisione locale.
Anche altri studi ([18], [15]) hanno preso in considerazione le mutue distanze tra gli edifici da alimentare con un sistema di interconnessione; esse, insieme ad altri parametri, legati sia alle condizioni climatiche tipiche della zona in analisi (e dunque alla domanda termica), sia alla destinazione d'uso degli edifici, influenzano l'operazione di clustering degli edifici stessi e quindi il funzionamento del sistema e la condivisione energetica.
Fig. 2.5: valutazione delle distanze tra gli edifici (linee punteggiate), scelta delle strutture da interconnettere (linee continue) e posizionamento delle unita di cogenerazione e di generazione ausiliaria per il caso studio di
Bracco et al (E = MCI; GT = turbogas; B = boiler) [18].
Nel TLT, invece, risulta più semplice la gestione dell'energia in eccesso, in questo caso elettrica, poiché qualora non sia presente una rete di interconnessione elettrica con altre
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utenze locali, o nell'eventualità in cui le domande di altri edifici risultino già soddisfatte, è la rete nazionale a fungere da accumulatore. In tali circostanze, tuttavia, entra in gioco un altro fattore: la variabilità del prezzo dell'energia elettrica. Esso, infatti, può rivelarsi una variabile importante ai fini della scelta operativa, poiché far funzionare l'impianto inseguendo la domanda termica con la sicurezza di poter destinare alla rete la quota di energia elettrica in eccesso può risultare sconveniente da un punto di vista economico qualora i periodi di immissione in rete (e quindi di vendita dell'energia) siano proprio quelli in cui il guadagno conseguibile è ridotto.
In entrambi i casi di ELT e TLT, dunque, è immediato riconoscere il potenziale ruolo di un accumulo termico nel sistema. Esso potrebbe fungere da dispositivo di sfasamento tra la produzione e l'utilizzo dell'energia con l'obiettivo di mantenere un funzionamento più continuo ed omogeneo dell'impianto anche a fronte di domande molto fluttuanti, e garantire inoltre un'efficienza complessiva maggiore (in quanto è noto che discostandosi dalle condizioni operative nominali si ha un decadimento delle prestazioni).
Franco e Versace [23] hanno analizzato l'attuale funzionamento di un impianto dell'Italia settentrionale con l'obiettivo di ottimizzarne la gestione, individuando nell'accumulo termico il mezzo di cui usufruire per l'operazione di sfasamento descritta poc'anzi. A spese di un maggior numero di starts-and-stops è possibile, secondo gli autori, ottenere un aumento dello share di cogenerazione e dell'efficienza energetica.
Come mostra la Fig. 2.6, l'effetto dell'accumulo termico non è soltanto quello di uno sfasamento, ma anche di un abbassamento della potenza di picco richiesta all'impianto. In fase di progettazione, dunque, la previsione di un accumulo termico può giocare un ruolo importante anche nella scelta della taglia da adottare effettivamente per una certa applicazione.
Fig. 2.6: esempi di effetti ottenibili dall'impiego di accumuli termici in sistemi CHP-DHN sulla curva di carico (a sinistra) e sulla curva di durata (a destra) [7].
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Sempre in Fig. 2.6 si può osservare un altro effetto che un accumulo termico assume sulla curva di durata del carico: si passa da una curva "teorica", quella costruita partendo dal diagramma di carico annuale, ad una curva "operativa" che fa uso della disponibilità di un sistema di accumulo per distribuire in maniera diversa la potenza richiesta all'impianto cogenerativo nel suo esercizio. L'effetto utile, in termini grafici, si presenta sotto forma di un forte abbattimento del valore assunto dal picco, accompagnato da una diminuzione della sua pendenza media, che comporta dunque un'omogeneizzazione della domanda effettiva percepita dall'impianto a monte del sistema di accumulo.
La Fig. 2.7 mostra il grafico della produzione settimanale di un impianto CHP facente uso di un sistema di accumulo termico: si può osservare l'andamento di carica/scarica dei serbatoi, che consentono un'operatività costante delle due unità cogenerative impiegate (nei periodi in cui esse sono accese) facendosi carico delle fluttuazioni nella domanda.
Fig. 2.7: esempio di possibile gestione della produzione settimanale di un impianto CHP in funzione della domanda termica, attraverso l'uso di un sistema di accumulo (impiego di due MCI da 2 MW) [20].
In merito all'accumulo termico, diversi altri studi, come quello di Ren et al. [54], hanno sottolineato i benefici ed hanno tentato di fornire criteri di dimensionamento, che tengano conto della fattibilità, dei costi e delle perdite termiche inevitabilmente ad esso associate. In taluni casi è possibile prendere in considerazione accumuli di tipo stagionale [21], anche se risulta abbastanza ovvio che i costi e le complicazioni impiantistiche aumentano.
La HO è un'opzione interessante in quanto consente di utilizzare a vantaggio della gestione la presenza di due domande distinte (elettrica e termica) con picchi e valli non necessariamente temporalmente concomitanti. Ad esempio, in un ipotetico caso in cui la domanda elettrica veda un picco nelle ore centrali della giornata, mentre quella termica abbia entità maggiore nelle ore mattutine e serali, con avvallamento nella fascia intermedia, è possibile attuare un
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inseguimento di tipo TLT-ELT-TLT nell'arco delle 24 ore. Ciò garantirebbe di soddisfare sempre la domanda predominante, e dunque garantire al contempo anche la fornitura energetica al carico di entità minore. Inoltre, si conferirebbe all'operatività dell'impianto un carattere più uniforme ed un'efficienza meno variabile e più vicina a quella nominale. È quindi evidente che il funzionamento ibrido consente di ottenere vantaggi in maniera condizionata dalla variabilità del carico.
La FPO è la modalità di funzionamento che garantisce ad un impianto il massimo numero di ore equivalenti di funzionamento mantenendone elevato il rendimento complessivo. Tuttavia, esercire l'impianto ad una potenza operativa fissa e pari a quella nominale va certamente in contrasto con la non omogeneità temporale della domanda, e ciò, nei casi estremi, può porre di fronte a due situazioni limite:
la potenza nominale dell'impianto è superiore a quella di picco predominante tra elettrica e termica richiesta dall'utenza, e dunque per gran parte del tempo si produce molta energia in eccesso, di entrambe le forme (il sistema è in sostanza ampiamente sovradimensionato);
la potenza nominale dell'impianto è tale da soddisfare il minimo della domanda più bassa, è ciò porta ad avere soltanto una copertura della domanda di base da parte del CHP con la necessità di un consistente apporto elettrico dalla rete nazionale e della presenza di un dispositivo di generazione termica convenzionale di taglia percentualmente rilevante (il sistema CHP risulta fortemente sottodimensionato). Come si vede, in entrambe le situazioni si guadagna in termini di efficienza e di numero di ore equivalenti di funzionamento del CHP. Tuttavia, nel primo caso si perde il senso di avere un sistema ad alta efficienza perché si produce molto di più di ciò che è richiesto, mentre nel secondo caso è percentualmente poco rilevante il contributo fornito dal CHP all'energia totale consumata dall'utenza. Inoltre, nel primo caso entra nuovamente in gioco la questione della necessità di un'utenza termica addizionale nelle vicinanze dell'impianto. Si tenga presente, infatti, che qualora l'energia termica in eccesso non venga destinata ad una seconda utenza, essa non può che essere smaltita, con un conseguente forte calo del rendimento complessivo. Si ha, infine, la possibilità di optare per la modalità PEO, che riprende i vantaggi legati ad un funzionamento a piena potenza caratteristica della precedente, ma si avvicina di più alla logica di gestione mirata all'inseguimento di un carico, in quanto consente di limitare l'operatività dell'impianto ai soli periodi in cui l'entità della domanda sia maggiore di un certo valore minimo, contenendo quindi il fenomeno di sovrapproduzione tipico dell'opzione FPO.
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