• Non ci sono risultati.

7.1 L'arrivo dei Longobardi in Italia

I Longobardi, originariamente stanziati nella Svezia meridionale (Scania), si erano spostati intorno al I secolo a.C.249 verso sud vivendo in modo itinerante per alcuni secoli con graduali spostamenti periodici che, nella prima metà del V secolo, li portarono in Pannonia e nel Norico, tra i fiumi Danubio e Sava.250

La morte di Teoderico infatti, avvenuta nel 526 d.C., aveva creato una crisi nel regno Ostrogoto, esteso fino all'area Balcanica settentrionale. Venuto meno il protettorato goto i Longobardi, guidati da re Wacone, sottomisero gli Svevi ed entrarono così in quei territori posti sotto la sfera di influenza bizantina.251

Già il suo predecessore e zio, re Tatone, aveva avviato una politica espansionistica molto aggressiva inserendosi nello schieramento politico di Bisanzio, tanto che nel 539 d.C. respinse la proposta di alleanza formulata dal re ostrogoto Vitige, con la motivazione che era già alleato di Giustiniano.252

La politica longobarda, in quegli anni, era in continuo fermento. Alleanze con gli altri popoli germanici venivano tessute e disfatte nel volgere di poche stagioni, a seconda di quanto la situazione mutevole richiedesse. Sempre però la loro posizione si rafforzava.

249 Paolo Diacono, Historia langobardorum (Storia dei Longobardi), I, 7, 10.

250 M. Rotili, I Longobardi: migrazioni, etnogenesi, insediamento, p. 7. S. Rovagnati, I Longobardi, p. 94. J. Jarnut, Storia dei Longobardi, p. 17.

251

"I Longobardi rimasero a nord del Danubio, nelle attuali Moravia e Austria inferiore, in parte fino al 526-527, in parte fino al 546-547. Infatti non abbandonarono del tutto l'area nord danubiana anche se all'indomani della morte di Teodorico nel 526 e della crisi del regno degli Ostrogoti, sottomessi gli Svevi, rimasti privi della tutela del protettorato goto, si trasferirono nelle province del Noricum

ripense e della Pannonia prima in cui avevano preso a infiltrarsi sin dal 510-12, guidati dal nuovo re

Wacone, ultimo sovrano della dinastia letinga che aveva usurpato il trono dello zio Tatone...". M. Rotili, I Longobardi: migrazioni, etnogenesi, insediamento, p. 7.

252 AA. VV. (a cura di D. Comparetti), La Guerra Gotica di Procopio di Cesarea, II, 22; J. Werner, Die

Dopo il 535 d.C. si spostarono in Pannonia Secunda e in Valeria e infine, nel 565 d.C., si sarebbero trasferiti in Savia, tra i fiumi Drava e Sava.253 L'alleanza con Bisanzio rese inevitabile un loro intervento in Italia, nella terribile guerra che goti e bizantini stavano portando avanti da oltre quindici anni,254 che si concretizzò nel 551 d.C. con l'invio di un contingente di 5.500 soldati da parte di re Audoino, padre di Alboino255 Queste truppe si rivelarono determinanti contro il re goto Totila nella battaglia di Tagina (Gualdo Tadino) del 552 d.C., in cui lo stesso perse la vita.256

Non soddisfatti della remunerazione ricevuta dagli imperiali, decisero due anni dopo di schierarsi con i Franchi e gli Alamanni, che nel frattempo erano intervenuti nell'Italia settentrionale a sostegno degli Ostrogoti e contro i bizantini.257

Sconfitti a Capua nel 554 d.C., rimasero in parte nel beneventano. Il comandante bizantino Narsete infatti, li avrebbe lasciati come presidio di foederati, frammentando il contingente tra più guarnigioni per renderne agevole il controllo.258 Il loro comportamento, definito da Procopio indisciplinato, violento e dai costumi indegni,259 spinse Narsete in alcuni casi ad allontanarli dall'Italia.260

Altri loro contingenti, rimasti soprattutto nel meridione d'Italia, risulteranno importanti per favorire l'occupazione di quelli che diverrano i ducati di Spoleto e Benevento, negli

253 "L'acquisizione di questo territorio fu resa possibile nel 547-48, dall'alleanza che Giustiniano strinse con Audoino, padre di Alboino, proclamatosi re dopo la morte di Waltari, il figlio minorenne di Wacone in nome del quale lo stesso Audoino aveva assunto la reggenza alla morte di quest'ultimo intorno al 540". M. Rotili, op. cit., p. 8. Paolo Diacono, Historia Langobardorum, 21-22; Origo gentis

Langobardorum, 4-5.

254 Vedi quinto capitolo, in particolare paragrafo 5.2. 255

Si trattava di contingenti mercenari che comprendevano anche Gepidi ed Eruli (vedi paragrafo 5.2), nello specifico 2.500 guerrieri e 3.000 ausiliari. M. Rotili. op. cit. p. 32. AA. VV. (a cura di D. Comparetti), op. cit., IV, 26.

256 M. Rotili, op. cit., p. 32. AA. VV. (a cura di D. Comparetti), op. cit., IV, 29 e 32. 257

"L'alleanza fu propiziata dalla politica matrimoniale messa in atto da Audoino che fece sposare suo figlio con Clodosvinta, una figlia del re Clotario". M. Rotili, op. cit., p. 9. J. Jarnut, op. cit. p. 21. Già nel 535 d.C. una prima alleanza su base matrimoniale era stata stipulata tra Longobardi e Franchi, quando il re franco Teodoberto aveva ricevuto in moglie la figlia del re Wacone, Wisigarda. M. Rotili, op. cit., p. 8.

258

Si trattava della "componente di quell'aliquota di Longobardi scesi con Leutari e Buccelino che non aveva ripreso la via del nord dopo la sconfitta di Capua del 554 o una parte dei mercenari longobardi impegnati a Tagina". M. Rotili, op. cit., p. 32.

259

AA. VV. (a cura di D. Comparetti), op. cit., IV, 33. 260 M. Rotili, op. cit., p. 32.

anni successivi.261 Dopo la sconfitta dei goti e dei Franco-Alamanni l'Italia, pur essendo sotto il controllo bizantino, non appariva pacificata. Focolai di rivolta attraversavano la penisola, da sud a nord, accesi soprattutto dal gravoso carico fiscale applicato dal governo imperiale.262 Tale situazione di instabilità, favorite da nuovi equilibri venutisi a creare nella parte settentrionale dei Balcani,263 convinse re Alboino, il 2 aprile del 568 d.C.,264 a varcare le Alpi Giulie attraverso la valle del Vipacco "e le vie romane secondo un itinerario regolare che da Savogna sull'Isonzo, per Forum Iulii si pose sulla via Postumia fino a Verona e da qui, per la via Gallica, raggiunse Milano che fu presa il 3 settembre del 569 d.C.".265

Secondo Paolo Diacono sarebbe stato lo stesso Narsete, entrato in disaccordo con l'Imperatore Giustino II e sua moglie Sofia, ad invitare il popolo Longobardo "ad abbandonare i campi aridi della Pannonia per venire a conquistare l'Italia, piena di ogni dovizia".266 L'esercito longobardo, forte anche di componenti aggregate (Gepidi, Bulgari, Unni, Sarmati, Sassoni,267 Turingi, Svevi e Romani delle province

261 Ibidem.

262 "I Romani chiesero all'Imperatore di rimuovere Narsete dal governo dell'Italia in quanto si stava meglio sotto i Goti che sotto il suo governo, minacciando di consegnare l'Italia e Roma ai barbari". G. Ravegnani, I bizantini in Italia, p. 69. "Era meglio per i romani essere sottomessi ai Goti che ai Greci, dal momento che ci governa l'eunuco Narsete, che costringe noi in servitù, e il nostro piissimo principe ignora queste cose. O tu ci liberi dalle sue mani, o per certo noi affideremo la città di Roma e noi stessi ai barbari". P. Diacono, Historia Langobardorum, II, 5.

263 Re Alboino, nel 567 d.C., aveva sconfitto i Gepidi uccidendo lo stesso re Cunimondo. Ciò era stato reso possibile dall'alleanza stipulata con gli Avari a cui sarebbe toccato, in caso di vittoria, il regno dei Gepidi posto tra il bacino del Tibisco e la Transilvania. "Stipulato con il Khan avarico un nuovo trattato che garantisse ai Longobardi la possibilità di ritorno nelle province danubiane in caso di insuccesso della migrazione in Italia". M. Rotili, op. cit., p. 11. Paolo Diacono riporta questo passaggio definendo "Unni" gli Avari: " Allora Alboino assegnò le sue terre, cioè la Pannonia, ai suoi amici Unni, naturalmente col patto che se dopo qualche tempo i Longobardi avessero dovuto tornare, avrebbero ripreso di nuovo le loro terre" (op. cit., II, 7).

264 Per alcuni si trattava del 569 d.C. Per i riferimenti bibliografici vedi M. Rotili, op. cit., p. 11. 265 Ibidem.

266 Paolo Diacono, op. cit., II, 5. 267

"Alboino, che si accingeva a calare in Italia con i Longobardi, chiese aiuto ai Sassoni, suoi vecchi amici, per impadronirsi di quel vasto paese con forze maggiori. E i Sassoni vennero, secondo le loro richieste, in più di ventimila, con mogli e figli, per muovere con lui verso l'Italia. Udendo ciò Clotario e Sigisberto, re dei Franchi, stanziarono i Suavi e altre popolazioni nelle terre che avevano

danubiane),268 era seguito dall'intero popolo e da numerose mandrie,269 per un totale, che non raggiungeva le 200.000 unità (con stime attuali che tendono ad abbassare la quota).270

La compagine militare era strutturata su farae, che rappresentavano la sintesi tra gens ed exercitus. Si trattava di gruppi parentali chiusi e coesi, una Fahrtgemeinschaft, o Expedition, ovvero una comunità di viaggio di guerrieri, con familiari al seguito, alla ricerca di nuove patrie.271 Tale comunità si distingueva per la fedeltà dei suoi componenti ad un capo indicato dalle fonti come duca272 (dux).273

I Longobardi, forti anche della debolezza dei bizantini,274 dilagarono nelle Venezie senza trovare ostacoli.275 Caduta Milano, venne posto l'assedio a Pavia, che resistette per ben tre anni.276 Nel frattempo vennero mandati corpi di spedizione in tutta la Penisola, seguendo la dorsale appenninica. Si espansero ovunque, eccetto Roma, Ravenna e alcune fortezze che erano poste sulle rive del mare.277

Nel 572 d.C. entrarono in Benevento278 e, quasi contemporaneamente, cadde anche Pavia. In realtà la penetrazione longobarda in Italia fu rapida ma irregolare. I gruppi di guerra (farae) si spostavano rapidamente, conquistando le zone lasciate più esposte o con poche difese dai bizantini, tralasciando invece quelle difese da compagini militari

268 Paolo Diacono, op. cit., II, 26. 269

Paolo Diacono, Historia..., op. cit., II, 7; Origo..., op. cit., 5. 270

M. Rotili, op. cit. p. 11. 271 M. Rotili, op. cit., p. 13.

272 Per duca si intende il Capo di un corpo di spedizione, che assunse in seguito giurisdizione territoriale. G. Gasparri, I duchi Longobardi. In Storia dei Longobardi (a cura di C. Leonardi-S. Cassanelli), nota 137. p. 351.

273 Dopo la presa di Cividale (Friuli), Alboino volle dare il comando di quelle terre a Gisulfo, il quale rispose che "non avrebbe assunto la guida di quella città e di quel popolo se non gli fossero state assegnate quelle fare dei Longobardi, cioè quelle stirpi e quei gruppi di famiglie che egli stesso avrebbe voluto scegliersi. Ciò fu fatto, col consenso del re, ed egli ricevette, perché rimanessero con lui, le principali casate dei Longobardi, come aveva desiderato. E così ottenne i titoli e gli onori di duca". Paolo Diacono, op. cit. II, 9.

274 Da lì a poco sarebbe morto anche Narsete, lasciando l'apparato difensivo bizantino in Italia nel disordine. Sulla sua morte vedi Paolo Diacono, op. cit., II, 11.

275 Paolo Diacono, op. cit., II, 9. 276 Paolo Diacono, op. cit., II, 26. 277

Ibidem.

organizzate. L'intero territorio divenne una pelle di leopardo. Quello che poi diventerà l'Esarcato (territorio di Ravenna), il Ducato di Roma, l'area contigua ad Ancona (poi Pentapoli) e le zone costiere (Genova e Liguria sino a Luni, la laguna di Venezia, Napoli e Costiera, Puglia e Calabria) rimasero per lungo tempo ai bizantini e, in alcuni casi, non furono mai conquistate dai Longobardi.279

Alboino regnò solo per tre anni e mezzo, vittima di una congiura ordita dalla moglie Rosemunda.280

Gli successe Clefi, nel 572 d.C., ma il suo regno fu ancora più effimero e si concluse dopo un anno e mezzo, vittima di un servo del suo seguito che lo uccise insieme alla moglie Masane.281 Egli si contraddistinse per le feroci repressioni contro i romani, che riteneva responsabili di aver ordito la cospirazione di cui Alboino era rimasto vittima.282 Seguirono dieci anni di anarchia, in cui i trentacinque duchi che regnavano sulle varie città e circoscrizioni esercitarono il loro potere in autonomia e talvolta con estrema crudeltà nei confronti delle popolazioni italiche. Riporta Paolo Diacono che "In questo periodo molti nobili romani furono uccisi per cupidigia delle loro ricchezze. Gli altri, spartiti tra i conquistatori, furono resi tributari e dovettero pagare ai Longobardi la terza

279

A riguardo vedi anche Storia dei Longobardi (a cura di C. Leonardi-S. Cassanelli), nota 205. p. 352. 280

La vicenda ha il sapore, per certi versi, di quello che oggi verrebbe definito genere horror. Alboino infatti, durante la guerra con i Gepidi, aveva ucciso il loro re Cunemondo, mozzandogli il capo e facendo poi ricavare una tazza dal suo cranio (Paolo Diacono, op. cit., I, 27). Tra i molti prigionieri vi fu anche la figlia del re ucciso, Rosemunda, che Alboino volle in moglie. L'odio della donna verso il marito crebbe a dismisura dopo che lui, durante un banchetto a Verona, ebbro oltre il lecito, ordinò che alla regina fosse dato da bere del vino nella coppa che si era fatto fare col cranio di suo suocero e la invitò a bere lietamente in compagnia del padre. Rosemunda, folle di rabbia per tanto spregio, ordì una congiura insieme all'amante Helmechis. Per convincere il forte Peredeo a eseguire il delitto giacque con lui facendo credere al giovane che si trattasse di una cameriera al seguito della regina e con la quale lui intratteneva una relazione. Vistosi ormai oggetto di ricatto da parte di lei, che minacciava di dirlo al marito, fu costretto ad ucciderlo, affrontandolo mentre lui si trovava in camera a letto. Ogni difesa fu vana, perché la moglie, la sera precedente, aveva legato la spada del re in modo che lui non potesse nè prenderla nè sguainarla. I due amanti, dopo il delitto, fuggirono a Ravenna, sotto la protezione dei Bizantini, portando con loro tutto il tesoro dei Longobardi. Paolo Diacono, op. cit., II, 28-29.

281

parte dei loro raccolti283 Per opera di questi duchi, nel settimo anno dopo la venuta di Alboino e di tutta la sua gente, spogliate le chiese, uccisi i sacerdoti, rase al suolo le città, sterminate le popolazioni, che erano cresciute come le messi, gran parte dell'Italia, escluse quelle regioni che aveva conquistato Alboino, fu occupata e posta sotto il giogo dei Longobardi".284 In realtà l'Italia, come abbiamo visto, era occupata solo parzialmente, ma ciò favoriva e generava un latente e costante stato di belligeranza di cui le vittime principali erano le popolazioni civili. Le città, poste in larga misura sotto il controllo longobardo, divennero il centro del potere dei numerosi duchi, ognuno dei quali, come un piccolo re, esercitava un controllo totale e dispotico sui sottoposti, soprattutto gli autoctoni, spodestati di ogni bene, anche della stessa libertà personale. Un elemento caratterizzante della politica longobarda fu proprio la sostituzione del ceto degli arimanni a quello dei possessores romani,285 che si trasformarono gradualmente nei vari manentes e massari dei nuovi insiemi di fondi rustici, cioè quelle entità economico agrarie in cui venne suddiviso il tessuto rurale attraverso la riunione dei fundi romani in masseriae e massae.286

In quella fase confusa le zone montane e di difficile accesso, insieme ai porti saldamente sotto il controllo bizantino, rimasero fuori portata dal controllo longobardo, esercitato sui maggiori centri di origine romana e sulle campagne circostanti.287

7.2 Lucca Longobarda

Nel capitolo precedente abbiamo visto come Lucca, nella seconda metà del VI secolo, si presentasse con i caratteri di una città dal tessuto urbano frammentato, in cui i nuovi

283 Si trattava del diritto di Hospitalitas, introdotto da Odoacre e poi portato avanti dai Goti, per il cui approfondimento rimando al V capito, paragrafo 5.1, nota specifica.

284

Paolo Diacono, op. cit., II, 32. Sulla drammatica condizione delle popolazioni italiche in questo periodo vedi Gregorio Magno, Dialoghi, III, 38.

285 Storia dei Longobardi (a cura di C. Leonardi-S. Cassanelli), nota 214. p. 352. 286

Vedi, nel capito IX, la voce massa ed i relativi toponimi. 287 Sull'argomento vedi VI capitolo e paragrafo 6.3.

simboli del potere cristiano si erano sostituiti ormai da tempo a quelli dell'antico mondo romano, rappresentando fattori aggreganti di un nuovo tessuto abitativo.

L'area del vecchio Foro aveva perso il suo ruolo istituzionale svestendo gli edifici pubblici della loro funzione originaria, mentre il quartiere intorno alla cattedrale Cristiana e al complesso episcopale aveva invece gradualmente aumentato la sua funzione catalizzante, insieme alle zone contermini alle quattro porte urbiche, con gli edifici di culto cristiano sorti presso ognuna di esse.288

L'arrivo dei Longobardi a Lucca viene attestato fin dal 570 d.C.289 Costituendo l'asse meridionale, insieme a Firenze e Fiesole, di un "quadrilatero" il cui asse settentrionale si completava in Parma e Faenza e che consentiva il controllo dei passi appenninici tosco- emiliani, fu subito oggetto di penetrazione da parte di quelle farae che, durante l'assedio di Pavia, vennero inviate a sud della catena montuosa per penetrare nelle province dell'Italia appenninica.290

La penetrazione in Pianura Padana da parte longobarda, come visto nel precedente paragrafo, aveva infatti trovato scarse resistenze, tra popolazioni stremate dalla estenuante guerra goto-bizantina291 e una presenza imperiale poco incisiva e spesso invisa alle comunità locali.292 Fu quasi naturale quindi seguire quei vettori di penetrazione costituiti dal percorso già utilizzato da Narsete nella sua strategia contro i Goti e che lo aveva portato, nel 553 d.C., ad utilizzare la via appenninica e i due poli

288 Su tale tema vedi il V capitolo, con il paragrafo 5.3.1 e relative note. Vedi in particolare G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica..., op. cit., p. 69.

289 Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 26. Per approfondimenti sull'argomento vedi S.M. Collavini, L’espansione longobarda in Tuscia: vecchi dati e nuove interpretazioni. G. Ciampoltrini,

Gli anni di Frygianus/Frediano, vescovo della chiesa di Lucca, p. 19. Vedi anche VI capitolo e

paragrafo 6.1.

290 Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 26.

291 "Non sarebbe fuor di luogo sospettare che dalle vaste lande della Pianura Padana occidentale, devastata da decenni di guerre e pestilenze, alluvioni, deportazioni in massa di popolazioni e occupata quasi senza contrasto - se si esclude la tenace resistenza opposta da Pavia - schiere di Longobardi abbiano subito seguito l’itinerario militare che portava a Lucca per aprirsi una via verso il sud, e, comunque, acquisire terre e bottino". G. Ciampoltrini, Gli anni..., op. cit., p. 19

strategici posti alle sue estremità, di cui Lucca era il terminale meridionale.293

Un percorso antico, che già i consoli romani avevano utilizzato durante le campagne militari contro Apuani e Friniati, tra il 187 e il 175 a.C.,294 e che come conseguenza aveva portato l'area della valle del Secchia a essere in qualche modo sottoposta alla nuova entità coloniaria lucense, attraverso forme mediate e foriere di larga autonomia amministrativa verso i soggetti locali.295 Appare arduo oggi voler ricostruire con criterio analitico e con metodo scientifico una fase della nostra storia di cui allo stato attuale rimangono scarse tracce, nelle fonti296 e nell'archeologia.297 Una cornice storica che può essere definita "fluida", così "come fluidi furono per decenni i confini fra quel che rimaneva dell’Italia bizantina e gli spazi in cui si muovevano consorterie longobarde perennemente oscillanti fra il rispetto dell’autorità del re e la sensibilità all’oro imperiale, seguendo le scelte dei loro duces".298 Le farae longobarde discesero in Garfagnana attraverso boscose montagne,299 incontrando le due piazzeforti su cui si

293 Sulla campagna di Narsete nel 553 d.C. vedi V capitolo e paragrafi 5.2 e 5.3. Vedi inoltre Agathias Scolastico, op. cit, I, 17, 1-7; 18, 1-8

294

Si tratta nello specifico delle campagne condotte dai consoli Marco Emilio Lepido e Gaio Flaminio contro Friniati e Apuani nel 187 a.C. (T. Livio, op. cit., XXXVIII, 42, 8-10; XXXIX, 1, 2-8; 2), di quelle relative ai consoli Aulo Postumio Albino Lusco e Quinto Fulvio Flacco nel 180 a.C. (T. Livio, op. cit., XL, 41), durante le operazioni tese a deportare i Liguri Apuani nel Sannio, di quelle del console omonimo Quinto Fulvio Flacco nel 179 a.C. (T. Livio, op. cit., XL, 36) e infine del console Quinto Petillio Spurino nel 176 a.C. (T. Livio, op. cit., XLI, 18). Tutte le campagne condotte in questa area dal 188 fino al 175 a.C. (ma anche successivamente), pur se non esplicitate espressamente dalle fonti, hanno avuto comunque come obiettivo il controllo dei passi appenninici, soprattutto di quelli che collegavano la valle del Secchia alla Garfagnana e alla Lunigiana, e si sviluppano ogni volta contestualmente dal versante Padano e da quello Tirreno, convergendo sulla testata appenninica e, quando possibile, attraversandola. Dal nord le basi di partenza sono Mutina (Modena) e Placentia (Piacenza), dal sud Pisa, Luca e, successivamente, Luna. Tale strategia riporta abbastanza fedelmente a quella perpetuata da Narsete nel 553 d.C.

295 A tale riguardo è indicativo il fatto che il territorio municipale Velleiate fosse contermine a quello lucense, come attestato in diverse parti della Tabula Alimentaria di Velleia. Sull'argomento vedi anche F. Baroni, Viabilità e Ospedali nella valle del Serchio, p. 2. Sull'appartenenza della valle del Secchia al territorio della colonia latina di Luca vedi paragrafo 1.3 e nota 60.

296 In particolare alcuni passi di Paolo Diacono (op. cit., II, 5) e dell'Epistolario di Papa Gregorio Magno. G. Ciampoltrini, Gli anni..., op. cit., p. 19.

297 Vedi a riguardo W. Kurze-C. Citter, La Toscana, in Città, castelli, campagne nei territori di frontiera, G. Ciampoltrini, Gli anni..., op. cit., p. 19.

298

G. Ciampoltrini, Gli anni..., op. cit., p. 19. L'argomento viene approfondito in S.M. Collavini,

L’espansione..., op. cit., p. 39.

299 La zona, ancora oggi, si distingue per l'integrità dell'ambiente naturale. La comunità di Sillano, fino dal 1451 (atto rogato il 28 luglio), menava in occasione delle festività natalizie, ogni anno, un orso a Modena per donarlo al duca, in quanto il territorio su cui insisteva era l'unico, in tutto l'Appennino,

Documenti correlati