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Lucca e Luni nel periodo bizantino

6.2 Luni sotto l'Impero

Quello che si aprì per Luni con la resa alle truppe di Narsete nell'autunno del 553 a.C. fu un periodo tutto sommato di ripresa, sia economica che sociale. Il porto sembrava nuovamente svolgere la sua funzione di collegamento verso le province che si affacciavano sul Mediterraneo,191 mentre nella città, divenuta centro della Provincia Maritima Italorum,192 si era ormai definito un riposizionamento dei centri di potere, trasferitisi intorno alla cattedrale, mentre l'area del Foro e dei luoghi istituzionali del passato erano abbandonati e in disuso. La popolazione, notevolmente diminuita, si

lettura attraverso l'archeologia dell'architettura, p. 127.

188 "La ripresa dell’attività di costruzione di chiese - o un restauro, celebrato però come ‘fondazione’ dall’iscrizione di dedica - attestata a San Macario, poteva andar di pari passo con la ricomposizione delle strutture produttive compromesse dalla guerra - come ipotizzava Ranilo potesse essere accaduto per le sue massae, o con il consolidamento delle mura". G. Ciampoltrini, La città di San Frediano... op.cit., p. 18.

189 E. Abela, op.cit., p. 30.

190 La carestia seguì gli abbondanti raccolti del 561 d.C. (L. Cracco Ruggini, op. cit., pp. 478 e ss.). G. Ciampoltrini, La città di San Frediano... op.cit., p. 18.

191

F. Bandini, op. cit., p. 16

192 Luni, alla fine della guerra greco-gotica (Agathias, op. cit., 11, 6), viene menzionata come polis, insieme a Firenze, Pisa, Volterra, Centum Cellae, Lucca. F. Bandini, op.cit., p. 16. Sulla Maritima

Italorum, provincia nata in seguito alla conquista di Giustiniano, vedi P. Greppi, Provincia Maritima

accentrava solo in determinate aree, come quella della nuova basilica cristiana.193 Luni appariva sempre più un luogo che ospitava le cariche del potere, religioso e civile, ma non una città dotata di vita autonoma. Forse non lo era mai stata, incuneata fin dalla sua fondazione in un tessuto demografico ostile e basato sul concetto di comunità sparse e borghi diffusi. I simboli del passato, il Capitolium, il Grande Tempio, il Teatro, l'Anfiteatro, l'Acquedotto, non erano più stati restaurati dopo l'evento sismico successivo al 366 d.C. e apparivano adesso decadenti e in parte diruti. Le colonne spezzate nell'area del Capitolium mai rialzate, facevano da specchio al Foro, che aveva perso la sua funzione aggregatrice per venire addirittua occupato da edifici adibiti a civile abitazione.194 Si trattava di un mondo che aveva cambiato le prospettive trasmutandole. Il risultato fu, proprio durante la dominazione bizantina, la costruzione di una basilica a tre navate, con abside orientato in senso est-ovest, a sostituire la precedente domus ecclesiae. L'edificio, intitolato al Nome di Cristo, rimane testimonianza di come vi fossero ancora committenti in grado di finanziare maestranze capaci di produrre opere edilizie e artistiche di grande pregio.195 Demoliti i muri perimetrali, le navate furono ricostruite di minore ampiezza, mentre nel presbiterio venne eretto un secondo muro circolare che delimitava un deambulatorio. La cattedrale presentava al suo interno modifiche nell'area presbiteriale e il rialzamento del livello pavimentale, rivestito di mosaici. Un'epigrafe rinvenuta nel pavimento della navata di sinistra riporta anche il nome del committente, tale Geronzio, che avrebbe donato il mosaico per sciogliere un voto. E' interessante notare come, tra i sette vescovi scismatici della Tuscia Annonaria

193

Come già descritto nei paragrafi precedenti, la cattedrale era stata eretta sul sito dell'originale domus

ecclesiae, a sua volta ricavata, dalla fine del IV secolo d.C., da un riadattamento della domus di

Oceano, un lussuoso edificio di età imperiale di gran pregio architettonico. F. Bandini, op. cit., pp. 13- 16.

194 F. Bandini, op. cit. p. 14. 195

"La sostituzione della originaria domus ecclesiae con un impianto basilicale presuppone delle condizioni economico-sociali che restituiscono l’immagine di una città tardoantica ancora in grado di rispondere alle diverse ed accresciute esigenze della comunità cristiana, sollecitando costruzioni di tipo monumentale per esprimere il prestigio raggiunto e il ruolo della gerarchia episcopale." S.

nominati in una lettera a papa Pelagio del 557 d.C., figurasse proprio un Geronzio.196 Una città che si stava gradualmente spopolando proiettando verso l'esterno le sue funzioni, pur mantenendo al suo interno, ad esempio, una comunità ebraica che conviveva difficilmente con quella cristiana.197

Vennero fondati nuovi edifici religiosi di cui non possediamo documentazione archeologica per mancanza di indagini, sia in città che nel suburbio, nelle aree dove erano presumibilmente localizzati.198 Si trattava di un monastero femminile, la cui consacrazione emerge dalla corrispondenza tra papa Gregorio Magno e il vescovo Venanzio,199 mentre parrebbe dell'epoca anche la fondazione di una chiesa intitolata a San Pietro, fuori dalle mura settentrionali e presumibile basilica cimiteriale.200 Un'altra chiesa forse dedicata a San Marco è documentata dentro il perimetro urbano a sud- ovest.201

6.3 Il territorio lunense in epoca bizantina

Luni, in epoca bizantina, era ancora il punto di riferimento di una vasta regione, corrispondente probabilmente a quella dell'antico municipio/colonia, a cui sembrerebbe essersi sovrapposto l'ambito della diocesi, istituzionalizzata nel corso del V secolo d.C.202 Un territorio ampio e complesso da governare, perché in larga parte montuoso e abitato comunque da popolazioni a lungo avverse al riconoscimento della città come

196 F. Bandini, op. cit., p. 16. 197

F. Bandini, op. cit., p. 17. 198 Ibidem.

199 Gregorio Magno, I reg. ep. II, VIII, 5; I, IV, 21 (F. Bandini, op.cit., p. 17). 200 In realtà la prima citazione risale solamente al 997 d.C. F. Bandini, op.cit., p. 17.

201 Denominata "E" sulle mappe del Vinzoni (M. Vinzoni, Atlante, Riviera Ligure di Levante). (F. Bandini, op.cit., p. 17).

202 Sull'argomento vedi U. Formentini, Conciliaboli, Pievi e Corti nella Liguria di Levante. Saggio sulle

istituzioni liguri nell’antichità e nell’Alto Medioevo, 1925-1926. G. Pistarino, op.cit. Per

approfondimento bibliografico sulla tematica vedi I. Ferrando Cabona-E. Cruisi, op. cit., pp. 16 ss.; G.L. Maffei, op.cit., pp. 22 ss..

loro riferimento di tipo culturale e politico.203

Mentre nella vicina Lucca la presenza dei romani d'Oriente si sarebbe limitata a una manciata di anni, tra il 553 e il 570 d.C., la stessa cosa non avvenne per la città sul Magra, che rimase sotto il controllo di Bisanzio fino al 643 d.C.204 I Longobardi, provenienti dal nord, occuparono quasi subito Lucca, ma ebbero bisogno di un tempo maggiore per consolidare il controllo sulla parte montuosa e, in ultima analisi, frenarono la loro avanzata in corrispondenza del confine con i territori lunensi.

Il processo fu graduale, ma portò alla definizione di un limes che per circa settant'anni si sviluppò all'interno delle Alpi Apuane e probabilmente anche su parte della dorsale appenninica.205 In funzione di tale di tale situazione furono costruiti una serie di kastra, forse sui siti di precedenti fortificazioni utilizzate fin da epoca romana e poi gotica,206 che fungevano sia da presidio che da elemento di controllo sulle popolazioni locali. Si trattava di postazioni militari che variavano dal semplice posto di guardia fino a veri e propri accampamenti fortificati, a seconda del tipo di insediamento che dovevano controllare e proteggere.

L'elemento chiave di tale sistema militare era il philakterion,207 o Fulactéria,208 "inteso come "luogo fortificato, posto di guardia, presidio", e i cui relitti lessicali sono sopravvissuti sino ad oggi nella toponomastica. Giorgio Ciprio, geografo bizantino, nella sua Descriptio orbis romani, elenca per il territorio lunigianese quattro di questi

203 A riguardo vedi, nel primo capitolo, la parte relativa a Luna (Luni). 204

Sulla campagna di Rotari vedi Paolo Diacono, Historia langobardorum (Storia dei Longobardi), IV, 45.

205 "Con la riconquista bizantina e la successiva guerra contro i longobardi, l'Appennino divenne il fronte naturale fra i due eserciti e il vecchio "limes" delle "Alpes Appenninae" con i castelli della "Tuscia Annonaria" (i cui centri con la riorganizzazione Narsetiana entrarono a far parte dell' Eparkia

Ourbicarias), furono riorganizzati e rinforzati" (G.L. Maffei, op.cit, p. 25). Vedi Georgius Cyprius, Descriptio orbis romani. Sul "limes" bizantino in Lunigiana vedi anche, nello specifico, A.C.

Ambrosi, Su due toponimi "Baselica" nell'Alta Garfagnana; Il "limes" bizantino sulle Apuane e

l'etimologia delle Panie; P.M. Conti, Luni nell'alto medioevo; U. Formentini, Scavi e ricerche sul "limes" bizantino nell'Appennino lunense-parmense; F. Baroni, Viabilità e ospedali nella valle del Serchio, pp.4-5.

206 Sembrerebbe il caso, ad esempio, di Filetto (G.L. Maffei, op.cit., pp. 94-100). 207

kastra, disposti dal limite sud della val di Taro fino ad un kastrum Eu/oriéav (Versilia),209 passando per il kastrum Swrewjon (Suriano) ed un kastrum Cafarniense.210 Una fonte successiva e posteriore anche al potenziamento del "limes", rappresentata dalla Cosmographia dell'Anonimo Ravennate, descrive un itinerario che si svolgeva da Pisa (rimasta sotto il controllo di Bisanzio successivamente alla prima ondata di Longobardi che aveva portato all'occupazione di Lucca) a Genova e che in Lunigiana seguiva probabilmente una variante militare dell'Aurelia, necessaria per consentire la comunicazione tra l'organizzazione castrense della vallata e i porti costieri ancora sotto il controllo bizantino. Tale percorso, partendo da Luni, transitava per Pullion (forse Pulica), Bibola, Rubra (forse Castrovecchio, nei pressi di Terrarossa), Cornelium (forse Zignago), Cebula (Ceula, l'attuale Montale di Levanto), da cui proseguiva per Genova.211 Percorsi che dovevano poi integrare la rete viaria romana del periodo imperiale, ancora efficiente in età bizantina.212

Re Rotari nel 643 d.C. superò il confine tra lucensi e lunensi, probabilmente in Versilia, per invadere la Liguria213 e occupò Luni.214

6.4 Luni e Lunigiana, madre o matrigna?

Nel gennaio del 599 d.C. papa Gregorio I215 fece pervenire una lettera a Venanzio,216

209 Si vorrebbe identificare questo kastrum con l'attuale castello Aghinolfi (G.L. Maffei, op. cit. p. 25). 210 G.L. Maffei, op. cit. p. 25.

211

G.L. Maffei, op.cit., p. 25. F. Baroni, Viabilità e ospedali nella valle del Serchio, p. 45. 212 G.L. Maffei, op. cit. p. 25.

213 Paolo Diacono, op.cit., IV, 45.

214 Sempre da Paolo Diacono (Origo gentis Langobardorum, 6; Pseudofredeg. Chron. IV, 71), F. Bandini, op. cit., p. 17.

215 Papa Gregorio I, passato alla storia come "Gregorio Magno" (il grande), nacque nel 540 d.C. a Roma, fu vescovo della medesima e il LXIV Papa della Chiesa Cattolica dal 3 settembre del 590 al 12 marzo 604 d.C., data della morte. Sulla sua figura in relazione a Luni vedi G. Ravegnani, I bizantini in Italia. 216 Su San Venanzio, vescovo di Luni dal 590 al 604 d.C., esistono numerosi documenti biografici riferiti

al periodo episcopale. La sua santità e la sua attività apostolica infatti sono documentate nella corrispondenza e nei Dialoghi di Papa Gregorio Magno, suo contemporaneo e confidente. Molto probabilmente Venanzio, come anche Gregorio, prima di rivestire la carica apiscopale fu monaco, in Lunigiana. Ciò ha dato adito per lungo tempo all'idea che vi fossero stati due santi omonimi, uno monaco e l'altro vescovo. Pare fosse nativo di Piacenza. Fu lui ad informare il Papa del noto miracolo

vescovo di Luni, raccomandandosi di parlare a preti e diaconi di nuova ordinazione affinché si sforzassero di richiamare le popolazioni di quel territorio dall'infedeltà, allontanandole da un non meglio precisato culto dei gentili.217 Questo termine, fatto proprio dal linguaggio ecclesiastico a indicare i pagani, lo ritroviamo più volte già nei Vangeli a designare la massa dei non Giudei, dei non credenti, attraverso una forma traslata che probabilmente si ritrovava nelle comunità ebraiche del mondo greco e che si era diffusa in Occidente anche in seguito all'opera evangelizzatrice ed ecumenica di Paolo di Tarso.218 Gregorio, che passerà alla storia con il nome di San Gregorio Magno, fu timoniere di una Chiesa che stava faticosamente formando una propria identità, in una fase politica italica stritolata tra Longobardi e Bizantini. Il papa era consapevole che il Cristianesimo avrebbe potuto avere la meglio sulle credenze pagane, fortemente radicate nel substrato contadino delle campagne, solo attraverso una sovrapposizione culturale e cultuale. Consigliava dunque ai vescovi e ai preti di erigere le nuove chiese sui siti dei templi pagani e sulle preesistenti aree di culto.219 La lettera, che "invitava il vescovo Venanzio ad aderire al desiderio di Aldio, Magister Militum, cioè comandante

della deviazione del fiume Serchio a Lucca da parte del vescovo Frediano (avrebbe usato un rastrello). Sulla lettera di San Gregorio Magno a Venanzio vedi U. Mazzini, L'epitaffio di Leodgar Vescovo di

Luni del secolo VIII, pp. 225 e ss.

217

Cum quibus loqui vos convenit, ut adhorationis suae solicitudine degentem illic populum ab

infidelitate revocare, ac contendant a gentilium cultu suspendere, atque eos in omnipotentis Dei doceant timore persistere: et premia aeternae vitae diligere: quatenus haec consecratio et illis ante Deum ad gloriam et habitanti illic populo proficiat ad salutem. Gregorio Magno, Epistole, IX, 102. U.

Mazzini, L'epitaffio di Leodgar Vescovo di Luni del secolo VIII, p. 225 e nota 18 p. 235.

218 "Gentilis-e" è un aggettivo latino che sta ad indicare "della stessa gente, nazionale, patrio", ma che in ambito ecclesiastico prese il significato di "pagano". Da esso derivò il sostantivo maschile plurale "gentiles-ium", nell'accezione di "gentili, pagani, paganesimo" (Vocabolario latino-italiano, italiano-

latino, G. Campanini-G. Carboni). Il termine, che si ritrova oggi anche nella lingua italiana, traduceva

la parola ebraica "goym-gojim", che indica chi non è ebreo. Nella Torah "goy" e le sue varianti compaiono ben 550 volte, fin da Genesi, 10, 5. Colui che mutua il termine "gentilis" nel mondo romano è Paolo di Tarso (San Paolo), che lo utilizza spesso nelle "Lettere". Nella "Lettera ai romani" il termine gentile compare spesso, fin dal Prologo, ad indicare, per estensione, proprio i pagani (1,5; 1,13; 11,11; 11,12; 11,13 -dove Paolo si definisce "Apostolo dei Gentili"-; 11,25). Secondo una celebre massima di Sant'Agostino i Gentili erano tutti coloro che non credevano in Cristo ("Gentilis ille est qui in Christum non credit", Sermoni intorno alla Sacra Scrittura, 17, 6, 6).

219

Scriveva Gregorio all'abate Mellito: "I templi dedicati agli idoli non vanno distrutti, ma trasformati in chiese cristiane, e provvisti di altari e reliquie. Gli animali che venivano immolati al diavolo, ora verranno uccisi col pensiero volto a Dio: solo apparentemente i sacrifici saranno gli stessi. Le menti ostinate non possono abbandonare di colpo l'antico errore: solo a piccoli passi, senza salti, riescono ad

della base bizantina di Luni, ad ordinare sacerdoti per evangelizzare i pagani che vivevano sulla montagna",220 esprime la preoccupazione di un pontefice consapevole della gravità di una situazione duratura, ben radicata nel substrato popolare. Tanto, forse, da aver influenzato quei preti e diaconi più anziani che in precedenza e anche in quella fase officiavano sul territorio lunense, mostrandosi troppo tolleranti e quasi consenzienti nei confronti di manifestazioni di culto non ortodosse. Una situazione alla quale egli stesso e i suoi predecessori avevano probabilmente cercato invano di porre rimedio, fino a giungere a questo singolare ricorso all'apostolato di nuovi preti e diaconi.221 Una conseguenza di tale richiesta, da interpretare come atto formale di valenza politica, contiene nel suo assunto un passaggio importante: il desiderio del Magister Militum, comandante militare bizantino, espresso, o fatto pervenire, allo stesso Gregorio, nella sua veste di capo spirituale della Chiesa.

220

A.C. Ambrosi-M. Bertozzi-G. Manfredi, Massa Carrara, Pievi e territorio della provincia, p. 8. 221

Secondo Ubaldo Mazzini (L'epitaffio... op. cit., p. 225) quella che Gregorio cerca di combattere con la lettera a Venanzio sarebbe idolatria romana. Secondo R. Formentini (Gentilium varia hic idola fregit, p. 244) invece questo singolare ricorso all'apostolato dei nuovi preti e diaconi "fa supporre che i più anziani si fossero mostrati troppo tolleranti e quasi consenzienti con manifestazioni di culto non ortodosse (ma ben difficilmente addirittura idolatre). E questo non può certamente essere riferito alle reliquie dell'idolatria romana, di cui sappiamo oggi, con maggiore certezza rispetto al tempo in cui il Mazzini scriveva, non esistere assolutamente traccia concreta nella regione". Una serie di fattori univoci, tra cui la frequente correlazione tra le Statue-stele e le pievi, indica come il cristianesimo si sia innestato, in Lunigiana, sopra al culto delle medesime, che sono state nel tempo murate e inserite in vario modo in molti edifici sacri. Inoltre le fonti documentano vari episodi che indicano quanto sia stata difficoltosa l'opera di proselitismo da parte dei vescovi missionari in questo territorio tra V e IX secolo. Nel quinto secolo si ricorda un vescovo, Solario, martirizzato forse a San Terenzo di Lerici (spiaggia di Solario); nel settimo secolo, poco dopo la lettera di Gregorio, si ricorda il martirio del vescovo Terenzio sulla spiaggia dell'Avenza; nel nono secolo infine si ricorda il martirio del vescovo Ceccardo, che la tradizione vorrebbe ucciso dai normanni durante il sacco di Luni dell'860 d.C., ma che una memoria meno agiografica vuole martirizzato sulle montagne di Carrara dalle popolazioni autoctone mentre cercava marmi (epilogo in qualche modo avvalorato dal fatto che le spoglie del santo siano da sempre contenute nel duomo di Carrara, già Pieve di Sant'Andrea). Il vescovo Lenthecorius (Leodgar), forse lo stesso individuo che aveva infranto gli idoli a Sorano intorno alla metà dell'ottavo secolo, poi sepolto a Filattiera nel 752 d.C., sarà sottoposto ad una "damnatio memoriae" da parte degli indigeni, che ne dissacreranno la sepoltura. Tenendo conto che queste sono quattro figure di spicco della gerarchia ecclesiastica lunense (tre sono santificati come martiri), possiamo immaginare quante figure anonime di preti e diaconi saranno state martirizzate o respinte dalla popolazione delle aree montane, ancora legata ai culti ctoni. Per la tradizione legata a San Solaro (venerato dalla Chiesa Cattolica con ricorrenza il 22 ottobre) vedi P.M. Conti, Luni nell'Alto

Medioevo, p. 43. Per San Terenzio (la cui ricorrenza nel calendario cattolico ricorre il 15 luglio) vi

sono varie fonti. Nello specifico rimando a G. Franchi-M. Lallai, Da Luni a Massa Carrara-

Pontremoli, p. 29 e anche A.C. Ambrosi-M. Bertozzi-G. Manfredi, op. cit., p. 8. Su San Ceccardo vedi

Evidentemente l'infedeltà delle popolazioni della Lunigiana si riverberava anche in una difficoltà di gestione del territorio. Gli scavi archeologici effettuati nelle adiacenze della Pieve di Santo Stefano (Sorano) hanno identificato resti di un abitato fortificato (probabilmente una o più torri collegate da una cortina muraria e da un aggere a breve distanza) riferibile a una fase tardo antica ma seguita da successivi ampliamenti. Una piccola cappella, riferibile al VI secolo, è stata ampliata nei decenni successivi, probabilmente all'inizio del VII secolo, quando vi venne posta una tomba privilegiata, riferibile a un personaggio eminente della Lunigiana altomedievale, poi inglobata in età romanica in una vasca usata come fonte battesimale.222 Scavi archeologici hanno individuato un grande kastrum fortificato (databile tra metà VI e metà VII secolo, con qualche traccia dell'Età del Ferro) sopra il sito di Sorano, in località Monte Castello, con una cinta imponente, una "caserma" e una chiesa simile per struttura a quella di San Giorgio in Filattiera. Il castello era chiuso da fossati e palizzate lignee ed era in relazione con un sottostante villaggio di case di legno chiuso da un aggere.223

Riguardo l'attuale centro di Filattiera, posto sulla collina di San Giorgio, i saggi archeologici lo farebbero attribuire a una fase successiva al XII secolo, essendo la parte più antica dell'abitato posta sul soprastante colle di Castelvecchio, già abitato nella seconda età del ferro dalla comunità indigena, la quale ha mantenuto l'insediamento fino al periodo medievale, quando si è spostata, nel corso del XII secolo, nell'attuale abitato di Filattiera.224 A questo quadro manca un tassello, rappresentato da una serie di statue stele collocate nell'area dell'attuale pieve, secondo una ritualità diffusa in tutto il resto della Lunigiana e anche in altre zone d'Italia e d'Europa.225 Tali monumenti, di origine

222 E. Giannichedda, op. cit., pp. 150-153. 223

E. Giannichedda, op. cit., pp. 148-150. 224 E. Giannichedda, op. cit., pp. 155-157.

225 Per la vasta bibliografia inerente il fenomeno delle statue stele in Europa vedi AA.VV. La statuaria

neolitica, erano forse collocati in fila nell'area dell'originaria cappella, ampliata proprio in quegli anni e successivamente o contestualmente agli appelli di Aldio. Dobbiamo presumere una coabitazione delle due culture per un certo periodo, se scopriamo che solo alla metà dell'VIII secolo un tale Leodgar, forse vescovo lunense,226 dovette intervenire direttamente in loco per far "infrangere gli idoli",227 evidentemente ancora oggetto di culto. Idoli che, peraltro, vennero poi successivamente fatti murare dalle popolazioni locali nella pieve stessa di Santo Stefano,228 mentre la lapide del vescovo

226

Per alcuni vescovo di Luni, per altri ufficiale della Gastaldia di Surianum, per altri ancora

corepiscopo missionario. Sulla vastissima bibliografia vedi P. Ferrari, Monumenti... op. cit., p. 3; U.

Mazzini, L’epitaffio... op. cit., pp. 81-111; Un’epigrafe... op. cit., pp. 153-160; A.C. Ambrosi-M. Bertozzi-G. Manfredi, Massa Carrara Pievi... op. cit., pp. 187-188; G. Rigosa, Per la storia

dell’espansione di Leno verso il Tirreno, note di toponomastica lunigianese, in AA.VV. (a cura di A.

Baronio), San Benedetto “ad Leones” un monastero benedettino in terra Longobarda; R. Formentini, “Gentilium... op. cit.”; U. Formentini, Scavi e ricerche sul limes bizantino nell’Appennino lunense-

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