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Lucca e Luni tra Tardo-romano e Alto-medioevo: Nuovi contributi attraverso le Carte d'Archivio, l'Archeologia e la Toponomastica.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Storia Medievale

Tesi di Laurea

Lucca e Luni tra Tardo-romano e Alto-medioevo:

Nuovi contributi attraverso le Carte d'Archivio,

l'Archeologia e la Toponomastica

Relatore: Chiar.mo Prof. Simone Maria Collavini Correlatore: Chiar.mo Prof. Federico Cantini

Candidato:

Lorenzo Francesco Marcuccetti

(2)

Indice

Introduzione pag. 6

Capitolo I. Due città simili pag. 9

1.1 Le colonie di Luca e Luna pag. 9

1.2 Nuove assegnazioni pag. 13

1.3 Luca e Luna: due città a confronto pag. 14

Capitolo II. Lucca tra alto e basso impero pag. 17

2.1 Una città di confine pag. 17

2.2 L'impianto urbano pag. 18

2.3 Il territorio extraurbano pag. 22

Capitolo III. Luni in epoca imperiale pag. 25

3.1 Tra splendore e decadenza pag. 25

3.2 Il centro urbano pag. 26

3.3 L'area lunense: un caso di "osmosi territoriale" pag. 29 Capitolo IV. Toponomastica tardoromana tra Lucca e Luni pag. 34 4.1 La toponomastica prediale in territoriale lucense e lunense pag. 34

4.2 Una prima analisi generale pag. 35

Piana di Lucca (anche Pizzorne, monti Pisani, val di Pescia,

val di Nievole) pag. 37

Media Valle del Serchio pag. 50

Valle della Lima pag. 56

Garfagnana pag. 59

Val di Magra pag. 68

(3)

Area Costiera Apuana pag. 80

Versilia Lunense pag. 83

Versilia Pisano/Lucense pag. 84

Onomastica prediale di epoca tardoromana

(estrapolazione dall'elenco) pag. 90

Onomastica espressa dai toponimi prediali latini dell'area lucense

e lunense pag. 92

Conclusioni pag. 114

Capitolo V. Tracce della presenza gota a Lucca e Luni pag. 116

5.1 Caduta di un Impero pag. 116

5.2 Il regno Ostrogoto in Italia pag. 117

5.3.1 La presenza gota a Lucca pag. 121

5.3.2 L'assedio di Lucca pag. 122

5.4 Luni al tempo dei Goti pag. 126

5.5 I goti nel territorio apuo-lucense attraverso la toponomastica pag. 128 Capitolo VI. Lucca e Luni nel periodo bizantino pag. 132

6.1 Lucca bizantina: un periodo effimero pag. 132

6.2 Luni sotto l'Impero pag. 135

6.3 Il territorio lunense in epoca bizantina pag. 137

6.4 Luni e Lunigiana, madre o matrigna? pag. 139

6.5 Toponimi di origine bizantina tra Lucca e Luni pag. 145 Toponimi derivanti da philakterion nel territorio lucchese e

contermine pag. 146

Toponimi derivanti da philakterion nel territorio lunense pag. 147 Toponimi derivanti da basiliké nel territorio lucense pag. 148

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Toponimi derivanti da basiliké nel territorio lunense-parmense pag. 149 Capitolo VII. Lucca durante la dominazione longobarda pag. 150

7.1 L'arrivo dei Longobardi in Italia pag. 150

7.2 Lucca Longobarda pag. 155

7.3 Il centro urbano in epoca longobarda pag. 163

7.4 San Frediano tra mito e realtà pag. 170

Capitolo VIII. Luni durante la dominazione longobarda pag. 178 8.1 L'arrivo dei Longobardi a Luni: una città in crisi pag. 178

8.2 La Lunigiana longobarda pag. 182

Capitolo IX. Toponomastica longobarda a Lucca e Luni pag. 186 9.1 Voci e temi longobardi nella toponomastica pag. 186

Bandum/bannum pag. 187

La Spezia, Lunigiana e Val di Vara pag. 187

Zona Apuana e Versilia pag. 188

Garfagnana pag. 189

Lucca, Media Valle del Serchio, Valle della Lima pag. 189

Gahagi pag. 191

Lunigiana pag. 192

Zona Apuana pag. 193

Versilia pag. 193

Garfagnana pag. 194

Lucca, Media valle del Serchio, Valle della Lima, Svizzera

Pesciatina pag. 195

Massa pag. 197

(5)

Sundrio pag. 203

Wald pag. 204

Wiffa/guiffa pag. 206

Capitolo X. Conclusioni pag. 207

Appendice pag. 211

La presenza dei toponimi nei documenti di epoca longobarda

(fine VII-prima metà dell'VIII secolo) pag. 211

Toponimi riportati nelle Carte dal 685 al 759 d.C. secondo l'ordine

cronologico pag. 228

Tavole (a cura del dott. Massimiliano Grava) pag. 231

(6)

Introduzione

Lucca e Luni, all'atto della loro fondazione, nel 180 e 177 a.C., pur rientrando in una medesima operazione strategica che voleva l'estromissione violenta dal territorio dei Liguri Apuani, si presentarono fin da subito con caratteri differenti.

Innanzitutto la natura stessa della deductio coloniarum, la prima di diritto latino, la seconda di diritto romano.

Poi la natura storico-geografica del territorio ad esse assegnato, la prima dedotta dai pisani in un territorio che giuridicamente apparteneva loro e che avevano donato al popolo romano, la seconda in una zona rimasta in buona parte ostile. Infine, diretta conseguenza di questo secondo punto, il fatto che il territorio lucense, a differenza del lunense, prosperò in un territorio che, nell'agro circostante la città e anche nella prima parte montana e collinare, le era fedele e solidale, mentre Luni, al contrario, fu sempre vista con diffidenza e addirittura, nei primi decenni, come un corpo estraneo da eliminare.

Tale situazione, determinata dal fatto che i Liguri Apuani, contrariamente a quanto pianificato dal Senato Romano e dai pisani, non erano stati interamente deportati nel 180 a.C. Anzi, quella colossale operazione, che aveva visto l'utilizzo di cinque eserciti consolari e l'impiego di quasi centocinquantamila soldati, aveva parzialmente raggiunto il risultato voluto, con la deportazione forzata nel Sannio di 47.000 indigeni (numero riportato dalle fonti ma da sempre oggetto di discussione).

Le valli montane della Garfagnana, Lunigiana e Versilia, i recessi delle Alpi Apuane, la valle della Lima fino anche alle Pizzorne, vedevano ancora lo stanziamento di intere entità demo-territoriali liguri, più o meno rarefatte secondo lo schema di una pelle di leopardo. La Garfagnana, per la città di Lucca, rappresentò sempre un problema, per la

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territorio però riconobbe nella città un punto di riferimento, economico, culturale, e nei secoli ne avrebbe costituito la grandezza e l'unità.

Luni, dopo il primo secolo e mezzo di feroci contrasti verso le popolazioni abbarbicate sulle montagne, che in almeno due occasioni scesero fn sotto le sue mura devastandone gli agri, trovò un punto di incontro nell'inizio dello sfruttamento degli agri marmiferi di Carrara. Luni divenne un porto importante e famoso in tutto il Mediterraneo, arrivando a raggiungere, pare, circa 18.000 abitanti. Punto di snodo e di imbarco per le merci e i prodotti agricoli dell'entroterra e del territorio emiliano-parmense, prosperò per alcuni secoli fino a quando le mutate condizioni politiche ed economiche misero a nudo la sua mancanza di sostegno e il suo non essere un riferimento per le popolazioni circostanti. Nel IV secolo un evento sismico (o forse un nubifragio o altro), resero inagibili e precari molti edifici pubblici e la società cittadina non ebbe più la forza di ristrutturarli.

Lucca nel frattempo, superata una prima crisi nel III secolo, stava trovando nuovi riferimenti nella fede cristiana e nei poli intorno cui si stava consolidando una prima sede episcopale. Anche Luni ebbe una sorte simile e paradossalmente, con il passare dei secoli, del suo antico splendore rimase solo l'autorevolezza di quella figura ecumenica che simbolicamente rappresentava l'unità dell'intero territorio.

Due città gemelle, anche nella forma urbana impressa dai primi magistrati che ne razionalizzarono l'edificazione. In realtà due città molto diverse. E la crisi determinata dalla caduta dell'Impero romano ne mise a nudo ogni singola differenza fino a porle su due piani opposti nel nuovo quadro politico che per decenni vide l'Italia e questa regione in particolare attraversata da una linea fluida, un limes militare la cui memoria durò tanto a lungo da riaffiorare, dopo circa tredici secoli, nel nome di una linea di contrasto bellico che diventerà tristemente nota durante la Seconda Guerra Mondiale: la Linea Gotica.

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Due città accomunate persino dal nome, dove una sola consonante faceva da discrimine (Luca/Luna), ma rese distanti dalla storia.

In questo studio percorreremo quasi mezzo millennio, affondando i piedi nella storia di Roma repubblicana e alzando gli occhi verso il cuore del medioevo.

Vedremo quanto seppe entrare in profondità la razionalizzazione dei territorio da parte della gromatica romana, ma anche quanto il mondo germanico, entrato inizialmente con la sua devastante forza primordiale, dettata da una voglia quasi incontrollata di affermazione su una romanità spenta, abbia poi saputo carpirne le regole e lo spirito, quasi, nel caso di Lucca specialmente, a fondersi in un sincretismo che costituirà le fondamenta della futura classe aristocratica e mercantile lucchese.

Lucca e Luni si tennero per mano, per un certo periodo, ma sempre in maniera indotta. Appena poterono, rescissero il patto, sancito da un evento drammatico e allo stesso tempo colossale, quasi da set cinematografico, come quello rappresentato dalla deportazione di un popolo (o almeno dal suo tentativo in parte riuscito), e presero ciascuno la propria strada. Lucca verso il presente, Luni verso l'oblio.

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Capitolo

I

Due città simili

1.1 Le colonie di Luca e Luna

La colonia latina di Luca (Lucca) e quella romana di Luna (Luni) vennero fondate rispettivamente nel 180 a.C.1 e nel 177 a.C.,2 in seguito ad una complessa operazione di pulizia etnica che portò, in due distinte operazioni, alla deportazione di 47.000 Liguri Apuani nel Sannio.3 Il numero dei coloni di diritto latino assegnati a Luca non è stato tramandato dalle fonti,4 mentre i coloni romani di Luna furono 2.000, con rispettive famiglie.5 Il sistema di suddivisione agraria usato per effettuare le assegnazioni (adsignatio)6 fu quello della Centuriazione (centuriatio),7 grazie al quale si suddividevano le aree pianeggianti in grossi quadrati di 2.400 piedi di lato (circa 710

1

T. Livio, Ab Urbe còndita, XL, 43. 2 T. Livio, op. cit., XLI, 13, 4. 3 T. Livio, op. cit., XL, 37, 7; 38. 4

"Quanti fossero in effetti i coloni della prima deduzione coloniale non ci è dato di saperlo se non con molta approssimazione. Secondo K.J. Beloch (Griechische Geschichte, Berlino 1967) essi sarebbero stati 3.000 per analogia con altre colonie latine dello stesso periodo, ma i confronti non mancano neppure con colonie coeve (Luna soprattutto, e poi Mutina e Parma) che ne ebbero 2.000. Comunque, calcolando che un nucleo familiare medio fosse di 4 persone, si può ragionevolmente ipotizzare che la nostra, nel secondo ventennio del II secolo a.C., fosse una cittadina di 8-12.000 abitanti forse equamente divisi fra la città vera e propria e l'agro centuriato". P. Mencacci-M. Zecchini, Lucca

Romana, p. 243. In questo caso il riferimento a Luni, Modena e Parma può essere fuorviante,

trattandosi di colonie di diritto romano e non latino. 5

Vedi nota 2.

6 “I Comizi Tributi eleggevano tre Commissari incaricati della deduzione, di solito ex-magistrati, che restavano in carica tre anni, sovrintendendo a tutte le operazioni che accompagnavano la delibera senatoria: pianificavano l’impianto urbano, stabilivano i confini della colonia, preparavano la costituzione della nuova comunità, reclutavano i coloni”. U. Laffi, Colonie e municipi nello stato

romano, p. 18. Sulla complessa giurisprudenza che regolava le adsignatio in epoca romana M.R.

Filippi, Le procedure: le operazioni preliminari, pp. 124 ss.. 7

La centuriazione romana è ristrutturazione di un contesto agrario al fine di creare le condizioni necessarie per la vita associata di una comunità o di un insediamento stabile e di permettere il miglior sfruttamento agricolo del suolo. Questo processo di trasformazione del territorio, voluto e realizzato con i mezzi dello Stato, assunse in alcuni casi – di cui il più evidente ed il meglio studiato è quello della pianura padana – l'aspetto di un vero e proprio "piano regolatore" e comportò spesso lavori idraulici, disboscamenti, messa a coltura di vaste aree precedentemente incolte, sistemazione di reti viarie, costruzione o ristrutturazione di impianti urbani o di insediamenti minori. E. Gabba, Urbanizzazione e rinnovamenti urbanistici nell'Italia centro-meridionale del I secolo a.C., p. 73 ss.; P. Tozzi, Saggi di Topografia storica, Firenze 1974; E. Regoli, La centuriazione romana, in "Misurare la terra... op.cit.", p. 79.

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metri),8 a loro volta suddivisi in quattro lotti rettangolari o quadrati che costituivano i lotti pertinenti a ciascun colono. Le aree collinari vennero anch'esse integrate nella centuriazione attraverso una pratica di suddivisione più articolata e denominata "cultellatio".9 Nel caso di Luca (Lucca) il territorio pianeggiante assegnato, stimato intorno ai 10.000 ha (circa 40.000 iugeri), venne suddiviso in circa 200 centurie e 800 lotti,10 mentre quello montano, molto più esteso, fu forse inizialmente meno accessibile e di difficile controllo a causa dei rapporti tesi con le popolazioni autoctone rimaste sul territorio e di difficile valutazione riguardo ad una stima numerica sia in relazione alla presenza di coloni sia per quanto concerne le sacche apuane sopravvissute.

8 Secondo quanto riportato nell’opera di Dilke (Gli agrimensori di Roma antica, p. 38) il piede romano normale corrispondeva a 29,57 cm, ma vi era anche un piede più antico di 29,73 cm, un Pes

Drusianus di 33,3 o 33,5 cm e, dal III secolo d.C., un piede più corto di 29,42 cm. Nella Storia d’Italia dell’Istituto Geografico De Agostini viene considerata misura canonica del piede romano

quella di 29,57. Invece in Misurare la terra… (op. cit., nello specifico il contributo di M.C. Panerai,

Le misure romane, pp. 122 ss.) si attribuisce al pes (piede) una lunghezza approssimativa di 29,6 cm,

spiegandone in tale modo l’approssimazione di alcuni decimi di millimetro: "La valutazione del piede si fonda sia su strumenti metrici rinvenuti, strumenti reali o longimetri riprodotti su numerosi monumenti, sia su altri manufatti o strutture che con le loro dimensioni possono fornire la possibilità di ritrovare il valore delle lunghezze lineari romane. Strumenti della lunghezza di un pes esistevano in bronzo, ferro, osso o corno e forse anche in legno, a forma di riga (modulus), pieghevoli in due o tre parti, o rigidi. Si sono ritrovati vari esemplari che conservano ben visibili incisioni, a distanza regolare, relative alla suddivisione del piede nei suoi sottomultipli. Un modello del pes romanus doveva esser conservato nel tempio di Giunone Moneta sul Campidoglio e dal luogo di conservazione era chiamato pes monetalis; così lo definisce Igino per distinguerlo dal pes drusianus e dal pes

ptolemaicus (Hygino, De condicionibus agrorum, p. 123). Sugli esempi reali rinvenuti però non si

riscontra mai la stessa identica misura; questo perché essi sono una realizzazione a carattere artigianale ed è inevitabile che siano sottoposti all’oscillazione dei valori, che comunque si aggira sempre intorno ai 4 millimetri. L. Bosio (La centuriazione romana nella "X Regio", pp. 143-156), riassumendo le conclusioni di vari studiosi di metrologia, giunge (con una media aritmetica dei valori da questi proposti) alla determinazione della misura del pes, che fissa a cm 29,6 con una minima approssimazione. In base al controllo di strutture alcuni ritengono che sotto Severo e Diocleziano il piede si sia ridotto assumendo così alla fine del II secolo d.C. il valore di cm 29,42." Castagnoli infine (La centuriazione di Lucca, 1948), riferendosi ad una presunta misura base di 705 metri per i lati delle centurie e dividendo questa cifra per 2.400 (numero di piedi occorrenti per formare un lato della centuria), sarebbe arrivato a stimare la misura del piede romano in cm 29,37. Vedi a riguardo L. Belli,

Aspetti della colonizzazione romana in Versilia, pp. 28 ss..

9 Questa tecnica (letteralmente tagliare la terra) permetteva di misurare la superficie di terreni in pendio rapportandola al piano orizzontale. In pratica consentiva di traguardare zone il cui terreno era posto in pendenza. Ciò risultava possibile disponendo due pertiche perpendicolarmente tra loro (una rispetto alla groma, l’altra rispetto al terreno), e proseguendo in questo modo sino ad aver superato l’ostacolo orografico. Per una descrizione approfondita dell’argomento vedi O.A.W. Dilke, op.cit., p. 26. M.R. Filippi, Le procedure: le operazioni tecniche, p. 134.

10

"…Pertanto il numero delle centurie risulta molto superiore alle 70-80 previste da Castagnoli (La

centuriazione di Lucca): esse in realtà furono circa 200 e furono divise fra 800 coloni. Il numero totale

di costoro fu certamente più alto perché, com’è stato rilevato da F. Castagnoli non tutti certamente

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Si trattava comunque di un territorio probabilmente esteso, che andava dai Monti Pisani (versante lucchese) alla zona di Altopascio e dall'area del futuro Padule di Bientina fino alla valle del Serchio ed alle enclavi liguri della Garfagnana e della valle del Secchia.11 Per Luna (Luni) invece sappiamo dalle fonti che ai coloni con rispettive famiglie vennero assegnati 51,5 iugeri di terreno, per un totale di 103.000 iugeri di agro centuriato.12 Considerando per il piede romano la misura canonica di 29,57 cm, ne deriverebbe un'assegnazione di quasi 260 kmq, dislocati presumibilmente nei dintorni del futuro centro cittadino e nella pianura costiera, risalendo la bassa val di Magra e lambendo qua e là alcuni tratti collinari.13

Le valli del Magra e del Vara, fino alle testate appenniniche e alle Alpi Apuane settentrionali, furono inizialmente di difficile accesso, a causa della resistenza e dell'ostilità da parte delle popolazioni indigene. Ne sono testimonianza le due rivolte del 17514 e 155 a.C.,15 che richiesero l'intervento di due diversi eserciti consolari per

11 L’attribuzione di territorio montano alla colonia lucense, come l’altro pianeggiante, presenta scarsi elementi di valutazione, se si escludono alcune citazioni topografiche nella Tavola di Velleia (C.I.L., XI, 1147) che farebbero ritenere contiguo il territorio municipale di questo centro dell’Appennino piacentino con quello della colonia in questione. I ritrovamenti archeologici, per quanto occasionali, concordano con il dimostrare una presenza fino agli estremi confini settentrionali della Garfagnana (P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., p. 245). Le campagne militari condotte contestualmente nella valle del Secchia ed in territorio apuano, rendono plausibile l’ipotesi che una parte di quel territorio, oggi nella provincia di Reggio nell’Emilia e tributario ortograficamente del Po, potesse far parte della colonia lucense, magari nella forma di prefectura, o secondo una exclave di incolae Peregrinae dove le terre confiscate e passate al demanio pubblico dopo la conquista venivano reddite, cioè rese ai veteres

possessores non attraverso singole adsignatio, ma attraverso distribuzioni come forma di indennizzo

nei confronti delle comunità indigene (res publicae), che le restituivano ai loro singoli membri mantenendo le antiche consuetudini, adottate ab immemorabilis. Nel caso infatti di terre exceptae, cioè escluse dalla centuriatio o dalle altre forme di adsignatio, esse non venivano assegnate seguendo le leggi di fondazione della colonia stessa, ma mantenevano le loro regole precedenti. L. Gagliardi,

Mobilità e integrazione delle persone nei centri cittadini romani, Aspetti giuridici, I, La classificazione degli "incolae", pp. 170 e ss.. Sui confini di Luca verso la testata appenninica ed oltre,

fino ai limiti della colonia di Placentia, vedi anche E. Sereni, Comunità rurali nell’Italia antica, p. 16. Riguardo la Tavola di Velleia e le sue citazioni di exclavi o praedia lucensi vedi, nella stessa opera, p. 71. Sulle popolazioni liguri dei Vettiregiates e Umbranates, che abitavano questo territorio, vedi Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III, 47, 116.

12 T. Livio, Ab Urbe còndita, XLI, 13, 4.

13 I. Ferrando Cabona-E. Cruisi (Storia dell'insediamento in Lunigiana. Alta valle dell’Aulella, p. 16) riportano la cifra di 257,7 kmq, considerando probabilmente per il piede la misura di cm 29,464, simile a quel 29,42 che venne adottato per tale unità di misura solo sotto Severo e Diocleziano verso la fine del II secolo d.C., ma sicuramente fuori luogo all’epoca della deduzione di Luna.

14

T. Livio, op. cit., XLI, 19, 1-3.

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ristabilire il controllo. Lo stesso agro assegnato per la centuriazione, dall'analisi delle aerofotogrammetire del territorio attiguo al centro cittadino, sembrerebbe aver subito una suddivisione approssimativa per moduli rettangolari,16 riorganizzata nell'assetto attualmente individuabili solo in epoca augustea, in seguito ad una seconda assegnazione coloniaria.17 I centri cittadini ebbero un assetto abbastanza simile, per certi versi sovrapponibile, con leggere differenze legate alla morfologia del territorio.

Luca con 38 isolati (insulae) di diversa misura, ricavati dall'intersezione di 5 decumani e 5 cardini perpendicolari. Ai due centrali (kardo e decumano Massimo), confluenti nel Foro, corrispondevano quattro porte principali per ogni lato della cinta muraria, a cui si affiancavano tutta una serie di ingressi secondari (posterulae)18 che servivano per un comodo transito dei pedoni, ma che avevano dimensioni ridotte per chiare cause difensive. Lungo le mura, inizialmente edificate forse in materiale deperibile, ma successivamente costruite con solidi blocchi di pietra, si presentavano, qua e là, delle torri,19 la cui aggiunta pare essere attribuibile a restauri tesi a rafforzare le capacità difensive della città intorno alla fine del III secolo d.C.20 Luna anch'essa con 38 isolati e

ottenne un trionfo su "(...) us et Apua", interpretato da E. Pais (Fasti Triumphales Populi Romani, p. 345) come "(de ligurib)us et Apua(neis)", mentre in altri testi si preferisce "(de Veleatib)us et Apua(neis)". M. Lopes Pegna, I liguri Apuani e le loro drammatiche vicende. Tale trionfo, di cui purtroppo non conosciamo le dinamiche a causa della perdita dell'opera liviana inerente, lo ritroviamo confermato in una epigrafe marmorea collocata nel foro di Luna: M. CLAUDIUS M.F. MARCELLUS CONSOL ITERUM, ricordo evidente dei benefici recati alla colonia civium difesa dai soprastanti Liguri Apuani (E. Pais, op. cit., p. 345).

16 G. De Santis Alvisi, Questioni Lunensi, p.6.

17 Di tale seconda assegnazione non conosciamo i canoni, causa la mancanza di documenti storici a riguardo. Gli indizi maggiori sono riscontrabili nel largo ricambio della classe dirigente (nessuno dei gentilizi dei magistrati tardorepubblicani ritorna in iscrizioni lunensi d'età imperiale; G. Ciampoltrini,

Note sulla colonizzazione augustea nell'Etruria settentrionale, p. 43) e soprattutto dalle tracce di

centuriazione riconoscibili nella fascia costiera della Versilia (G. De Santis Alvisi, op. cit., pp. 3 ss.. Il passo del Liber Coloniarum riferito dalla tradizione manoscritta a Luna sembra riguardare invece

Luca (F. Castagnoli, op. cit., pp. 285 ss.; G. Ciampoltrini, op. cit., pp. 41-42).

18 Il loro numero non è ben definito ma dovevano aggirarsi tra i 4 e i 7 (P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., p. 88).

19 P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., pp. 80-88. 20

"Le mura di Lucca dovettero ricevere un accurato recupero, con restauri integrati dalla dotazione di strutture – come le torri – adatte alle nuove esigenze poliorcetiche, in un momento che nulla vieta di ricondurre agli anni dell’impero di Probo, quando l’esigenza di tutelare le possibili vie d’accesso dalla Pianura Padana a Roma doveva essere particolarmente avvertita, come del resto aveva avuto modo di

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una struttura analoga, ma su una superficie minore. La sua superficie infatti, di 23 ettari, venne cinta dal quadrilatero irregolare delle mura pari a circa 333 x 306 passi (490 x 450 metri), rientrante nel settore a sud-est per la presenza degli impianti portuali. Il suo imponente Foro, come già a Luca, venne diviso in due da kardo e decumano massimo, oltre cui sorse in seguito il Capitolium, tempio dedicato alla consueta triade Giove, Giunone e Minerva, simbolo della religione di stato.21 Gli abitanti del centro cittadino per entrambe le colonie, nella fase iniziale, dovevano aggirarsi tra i 3.500 e i 4.000.22

1.2 Nuove assegnazioni

Per quanto riguarda l’agro lucense, tra il 40 ed il 30 a.C. la colonia di diritto latino, nel frattempo trasformata in Municipium (in seguito alle Guerre Sociali, 90-89 a.C., per effetto della Lex Iulia de civitate, che conferiva la cittadinanza romana anche agli alleati italici non ribelli), subì ad opera di Ottaviano l’esproprio dei propri territori che furono ricolonizzati dai veterani. Il rapporto tra le due colonizzazioni non è noto, così come i criteri con cui sono state attuate e quanto la seconda dipenda dalla prima. Lo studio aerofotogrammetrico lascia trasparire una nuova misurazione ed un relativo perfezionamento, distanziando maggiormente i decumani e tenendo fissi i cardini. Con tale unità agrimensoria (20x21 actus) era possibile ottenere assegnazioni maggiori per i veterani, con lotti che, soprattutto nel bacino del Bientina, passarono da 50 a 54 iugeri.23 Le similitudini tra le due assegnazioni inducono comunque a ritenere che il numero

Archeologia di una struttura urbana "allo stato fluido", p. 64.

21 Di norma, tale tempio era collocato nella zona più elevata della città (in excelsissimo loco, Vitruvio,

De architectura, 1.7.1). Mg. Celuzza, Il territorio della colonia, p. 151. Quando ciò non era possibile

a causa del terreno pianeggiante, come a Luna, si costruiva il tempio sopra una base rialzata, in maniera che comunque rappresentasse un luogo sopraelevato rispetto al resto della città.

22 Se, sulla base di considerazioni statistico-analogiche, si suppone che i diversi tipi di insulae che formavano la città di Lucca ospitassero mediamente 25 nuclei familiari di 4 persone ciascuno, si ottiene una popolazione complessiva di 3.800 abitanti. P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., p. 88. Per analogia, applicando lo stesso criterio anche al centro cittadino della colonia lunense, si ottiene il medesimo risultato.

23

P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., pp. 238 e 242; F. Castagnoli, op. cit., p. 282; sulla trasformazione da colonie in municipi vedi anche U. Laffi, op. cit., p. 31.

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degli assegnatari non dovette essere sostanzialmente diverso, se teniamo anche conto che, se pure in pianura i lotti furono meno numerosi e più estesi, si potè procedere all’assegnazione di praedia nella zona montuosa,24

di difficile penetrazione nella prima fase. Sulla nuova deduzione coloniaria in epoca augustea di Luna non sono pervenuti documenti storici che ne tramandino i canoni. Sappiamo solo, grazie al ritrovamento di iscrizioni magistratuali di dedica, che tra la tarda repubblica ed il primo impero (I secolo a.C.) ci fu un largo ricambio della classe dirigente e ciò, in pratica, è l’indizio forse più significativo di un drastico intervento esterno quale la deduzione coloniale. Infatti nessun gentilizio dei magistrati tardorepubblicani ritorna in iscrizioni lunensi d’età imperiale.25 La deduzione di una colonia triumvirale o augustea a Luna è indiziata soprattutto dalle tracce di centuriazione riconoscibili nella fascia costiera della Versilia,26 dato che il passo del Liber Coloniarum riferito dalla tradizione manoscritta a Luna sembra riguardare invece Luca.27

Proprio l’analisi della centuriazione e dei lotti presumibili lascia presupporre che il numero dei coloni tra le due deduzioni non dovette variare sensibilmente, attestandosi quindi sulle 2-3.000 famiglie per Luca e circa 2.000 nuclei familiari per Luna.28

1.3 Luca e Luna: due città a confronto

Le due colonie di Luca e Luna, fin dall'atto della loro fondazione, presentarono profonde differenze di carattere strutturale e sociale. Al di là dell'apparente specularità del piano urbano, quasi sovrapponibile, emersero difformità insite nel tessuto sociale che le componeva. Luca infatti, in quanto colonia latina, ebbe una distribuzione di terre

24 Per approfondimenti bibliografici vedi P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., pp. 237 e 245. 25

G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 43. 26 G. De Santis Alvisi, op. cit., pp. 3 ss..

27 F. Castagnoli, op. cit., pp. 285 ss.; G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., pp. 41 ss..

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non egualitaria ma basata sul censo, presumibilmente tra le due classi degli equites (cavalieri) e dei pedites (pedoni), come accaduto pochi anni prima a Bonomia.29 Si trattava di grosse assegnazioni, ipotizzabili in 50 jugeri per le classi più basse e lotti maggiori per le classi più elevate. Ciò comportò fin dall'inizio la nascita di un ceto dirigente che poteva disporre di ampi appezzamenti di terre non coltivabili direttamente da loro ma da manodopera a basso costo, forse indigena.30 Il territorio della colonia inoltre, probabilmente per la sua posizione geografica, più prossima a Pisa e all'epicentro delle azioni militari contro le popolazioni liguri, godette di maggiori benefici conseguenti alla deportazione nel Sannio delle tribù indigene, potendo così disporre, soprattutto nelle aree più prossime al centro cittadino, di ampie porzioni di agri facilmente controllabili e coltivabili dalle famiglie dei nuovi venuti. L'analisi della centuriazione, ad esempio, ci consente di appurare come la suddivisione dell'ager lucense sia riferibile proprio all'atto di fondazione della colonia stessa, perché in linea con il cardine e il decumano massimo della città,31 cosa che non avverrà, come vedremo, per Luna.32 Ciò indica una capacità di controllo del territorio, fin dall'origine, che invece mancherà all'altra colonia. Le sacche di resistenza indigena, in questo caso, si limiteranno alla valle dell'Auser (Serchio), soprattutto a quella che oggi viene indicata come Garfagnana e che, non casualmente, manterrà una distanza politica da Lucca anche nel Medioevo fino all'unità d'Italia. Luna, a differenza di Luca, fu fondata

29

Bologna, la cui fondazione coloniaria risale al 189 a.C. U. Laffi, op. cit., pp. 16 ss.. E. Regoli, La

conquista romana dell'Italia e le fasi della colonizzazione, I e II, pp. 84 ss.. Sulle adsignatio

all’interno delle colonie e sulla loro diversa grandezza in base al censo vedi G. Tibiletti, Ricerche di

storia agraria romana, pp. 222 ss.; E. Gabba, Sulle strutture agrarie dell’Italia romana tra III e I secolo a.C., in E. Gabba-M. Pasquinucci, Strutture agrarie e allevamento transumante nell’Italia romana (III-I secolo a.C.), Pisa 1979, pp. 34 ss.. Mg. Celuzza, Il colono, p. 157.

30 G. Tibiletti, Storie locali dell'Italia romana, p. 303; E. Gabba, Sulle strutture agrarie... op. cit., p. 34. Mg. Celuzza, op. cit., p. 157.

31 "La contemporaneità tra città ed agro centuriato è documentata non solo dal fatto che l’una e l’altro hanno gli assi perfettamente coordinati, ma anche dal fatto che, sia entro le mura, sia nel territorio extraurbano, le più antiche evidenze archeologiche si datano proprio ai limiti della deduzione coloniale". P. Sommella-C.F. Giuliani, La pianta di Lucca romana, p. 8. P. Mencacci-M. Zecchini op. cit., p. 238.

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esclusivamente da cittadini romani, i quali formarono una comunità di tipo egualitario utilizzando un territorio passato giuridicamente all'ager romanus, e quindi pubblico. Le colonie di diritto romano rappresentavano degli avamposti in territori considerati ostili o ancora non completamente pacificati.33 Fino alla fondazione di Luna le colonie romane interessavano un numero limitato di famiglie, in genere non più di trecento. Nel caso lunense i nuclei familiari furono ben 2.000, sia per necessità strategiche, sia per compensare probabilmente gli effetti dovuti alla deportazione. Il territorio però non risultò di facile gestione, come dimostrano le due rivolte in appena vent'anni delle popolazioni autoctone rimaste sulle montagne circostanti,34 ma come lascia intendere anche l'incapacità da parte dei Triumviri addetti alle assegnazioni35 di far applicare la centuriazione nella pianura apuo-versiliese nel primo secolo e mezzo di vita della neocolonia.36 L'incongruenza tra il cardine e decumano massimo della città e la centuriazione, attribuibile alla seconda riassegnazione coloniaria di epoca augustea, ne rimane forse oggi la testimonianza più evidente.37 Diversi equilibri, forse anche di tipo economico, sopraggiunti in epoca imperiale, consentirono all'area lunense una pacificazione che comunque non portò mai ad una vera integrazione tra il tessuto urbano e il territorio circostante e che forse, col passare dei secoli, potrebbe contenere i germi di quell'abbandono e spoliazione a cui la città, durante il medioevo, andò incontro.

33 Gli abitanti erano esentati dal servizio militare nelle legioni (sacrosanta vacatio militiae) e non potevano allontanarsi più di trenta giorni dal centro coloniario proprio per svolgere tale mansione di difesa del territorio.

34 Vedi note 13 e 14.

35 L'adsignatio fu demandata ad un collegio triumvirale (tresviri agris dandis adsignandis) composto da Publio Elio, Marco Emilio Lepido e Cneo Sicinio. T. Livio, op. cit., XLI, 13, 4.

36 Vedi note 15, 16 e 31. 37

Il diverso orientamento dell'anfiteatro (costruito in epoca imperiale poco fuori dall'abitato lungo l'asse di collegamento in direzione sud-est) rispetto al resto del centro urbano testimonia ancora oggi il cambio di simmetria nella centuriazione attuata in epoca augustea rispetto alla prima suddivisione del territorio per moduli rettangolari contestuale alla fondazione della colonia. Sull'argomento vedi G. De

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Capitolo II

Lucca tra alto e basso impero

2.1 Una città di confine

Lucca, fin dalla sua fondazione, ebbe una vocazione di terra di incontri e di scambi. Inizialmente forse per la sua posizione geografica, che la poneva tra le porte di accesso alla penisola italiana per chi provenisse dalla Liguria e la Gallia.38 In seguito per il ruolo che seppe ricavarsi nell'ambito del commercio, soprattutto nei confronti del territorio montano alle sue spalle verso cui fungeva da cerniera.39

Una città posta in Etruria, ma con la faccia rivolta alla Liguria, abitata e colonizzata da latini e romani, ma con interessi economici e territoriali fin nella Gallia Cisalpina e nella valle Padana.

Forse fu per questo motivo che venne scelta da Cesare, Crasso e Pompeo per stringere il loro patto spartitorio di quella Repubblica ormai matura per diventare impero, noto come Primo Triumvirato. Era il 56 a.C. e la città appariva giovane, ma certamente viva. Lucca aveva un territorio in parte ancora abitato da popolazione autoctone, soprattutto nella parte montana appenninica e sulle Alpi Apuane, ma, rispetto per esempio alla sua gemella Luna, disponeva di un'area prospicente il centro urbano quasi totalmente ripopolata dai coloni di origine latina e italica e poi, in epoca augustea, dai veterani delle legioni, romani e italici anch'essi. Ciò le permise di attuare fin da subito politiche

38 Basti ricordare il celebre incontro del 56 a.C. tra Cesare, Pompeo e Crasso, che dette l'avvio al primo Triumvirato. G. Ciampoltrini, L'incontro di Cesare, Pompeo, Crasso (56 a.C.). Lucca "città d'incontri"

nell'Italia della Tarda Repubblica, in Lucca incontra il mondo, a cura di C. Rovai.

39

Tale ruolo, in epoca preromana svolto da Pisa, interessò sicuramente anche l'area di Lucca, il cui territorio venne donato ai romani nel 180 a.C. proprio per fondare una colonia che fungesse da antemurale nei confronti delle popolazioni liguri incombenti e sempre pronte a rappresentare un pericolo (pisanis agrum pollicentibus quo latina colonia deduceretur, gratiae ab senatu actae;

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di romanizzazione maggiormente incisive e tese a creare, in ambito del tessuto sociale, una classe dirigente40 che nel tempo si sarebbe rivelata fondamentale per il seguito della storia politica della città in quanto entitàstatuale.

2.2 L'impianto urbano

La struttura urbana di Lucca, nel corso dei primi secoli dalla sua fondazione, non subì sostanziali modifiche. Di pianta quadrangolare, leggermente arcuata nella parte settentrionale, ebbe in età imperiale l'ampliamento di un paio di isolati solo nel settore nord-occidentale, in un'area all'epoca interessata da impianti di tipo metallurgico.41 Le mura, in origine prive di torri se non negli avancorpi a tutela delle porte,42 vennero restaurate e rinforzate con torri rettangolari nella seconda metà del III secolo d.C.,43 sotto il regno dell'imperatore Probo.44 Rimane traccia del curatore, forse tale Marco Aurelio Laevio, in una epigrafe rinvenuta nell'orto del convento di San Girolamo nel

40

La tipologia di insediamento delle colonie latine vedeva nel rango equestre la classe elitaria, che nel tempo si sarebbe sedimentata nel tessuto sociale cittadino, come attesta anche l'epigrafe marmorea relativa al restauro delle mura cittadine sotto l'imperatore Probo, relativa ad un cittadino probabilmente appartenente a questa classe sociale. G. Ciampoltrini, Iscrizioni lucchesi e pisane. pp. 255-258; Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 61.

41 Si tratta dell'area tra via Galli-Tassi e piazzale San Donato. Sulla ricostruzione della parte antica vedi G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 62. Le ipotesi più recenti tendono ad attribuire questo "dente", di circa tre isolati, già alla fase iniziale dell'edificazione coloniaria, un po' come era avvenuto a Luna con la zona del porto. In effetti "il supposto ampliamento del VII secolo con cui si è cercato di porre rimedio per regolarizzare l’andamento asimmetrico della cinta non trova confronti nel mondo altomedievale, dove semmai è frequente un restringimento dello spazio cittadino da difendere" (E. Abela, Lucca, p. 28, a cui rimando per il vasto corredo bibliografico). Sull'argomento vedi anche I. Belli Barsali, La topografia di Lucca nei secoli VIII-XI, p. 472.

42

Resti di tali fortificazioni sono documentati sia nella porta orientale (2002-2003) che in quella occidentale (documenti altomedievali). G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 64. Sui documenti altomedievali a riguardo vedi D. Bertini-D. Barsocchini (a cura di), Memorie e

documenti per servire all'istoria del ducato di Lucca; D. Barsocchini (a cura di), Memorie e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca, n. 729.

43 "La torre inglobata proprio nel complesso del San Gerolamo, rimasta a lungo inosservata nonostante le feritoie in laterizi che ne segnalano inequivocabilmente il ruolo e, assieme alla tecnica edilizia, ne pongono la costruzione tra III e IV secolo, con l'icnografia rettangolare, aggettante rispetto al filo delle mura, dà una chiave di lettura per ancorare fra la media e tarda età imperiale la costruzione delle torri che Antonio Minto (Lucca, Vestigia della cerchia urbana, pp. 209-219) potè esplorare nel settore meridionale del lato orientale della cerchia". G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., pp. 63-64. Sempre di Ciampoltrini, Lucca, la prima cerchia, pp. 9-13.

44

"Seppure in uno scenario ancora condizionato da ampi spazi d'ombra, l'incrocio dell'evidenza archeologica con quella epigrafica porta a proporre che le mura di Lucca dovettero ricevere un accurato recupero, con restauri integrati dalla dotazione di strutture, come le torri, adatte alle nuove esigenze poliorcetiche, in un momento che nulla vieta di ricondurre agli anni dell'impero di Probo". G.

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XVII secolo e di cui ci ha lasciato memoria il Penitesi.45 Le nuove esigenze difensive, accompagnate dalla necessità di rendere più sicura la strada che univa la Pianura Padana a Roma, furono alla base di questa opera, condotta con l'utilizzo di lastre e liste di arenaria giallastra legate da una solida malta con largo impiego di ghiaino, peculiare di Lucca tardoantica.46 I ritrovamenti archeologici mettono in evidenza come la città, nel corso della prima fase imperiale, fosse andata incontro ad una crisi, che ancora nel II secolo d.C. si riverberava in modeste attività edilizie portate avanti con materiale di recupero.47 Il foro, così come il complesso di edifici pubblici che vi si affacciavano, apparivano in gran parte ricoperti da discariche e ridotti a "frammenti di spazi urbani dispersi all'interno del circuito di mura almeno in parte fatiscenti".48

Il diretto intervento imperiale che emerge alla fine del III secolo d.C., con il restauro delle mura portato avanti forse anche con la partecipazione dell'esercito, trova una propria ragion d'essere nel ruolo strategico della città quale terminale transappenninco tra L'Etruria e l'Aemilia.49 A tale riguardo non sembra casuale la scelta di Lucca come sede di una "fabrica" imperiale di "spathae", ponendola di fatto come supporto logistico fondamentale a quel sistema militare che nella Pianura Padana formava l'antemurale per la difesa di Roma stessa.50 L'attività metallurgica lucense, già documentata in epoca

45

"LUCEN. CIV. SUB PROBO IMP. AUG. M. AUR. LAEV. PROCOS. INTRA. GALLIAS ENSIUM FAB RETENTURAE IUSQU. COH. PR. LEGENDAE MOEN. REST. A DUO LAT." Penitesi fu uno dei migliori antiquari lucchesi dei primi del Seicento. G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e

altomedievale... op. cit., p. 61.

46 G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., pp. 61-62.

47 G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 64, a cui rimando per il vasto corredo bibliografico. In particolare, dello stesso, Aspetti della dinamica urbana a Lucca tra Tarda Repubblica

e III secolo d.C. Contributi archeologici, pp. 79-95.

48 G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 64. Per Lucca "città frammentata", sempre dello stesso autore, si rinvia a Città "frammentate" e città fortezza. Storie urbane della

Toscana centro-settentrionale fra Teodosio e Carlo Magno, pp. 615-633, pp. 615-620.

49 Tale ruolo compare documentato dallo stesso "Itinerarium Antonini", in cui la città è vista come terminale dei due percorsi che attraversano l'Appennino tra l'Etruria e l'Aemilia, portando a Parma attraverso Florentia (Firenze) e Faventia. G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., pp. 64-65.

50

G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica e altomedievale... op. cit., p. 65, a cui rimando per il vasto corredo bibliografico.

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augustea,51 trovò all'inizio del IV secolo nuova linfa, concentradosi nella parte dell'abitato a ridosso di un cardo glareato in disuso della città medio-imperiale.52

Nel corso del IV secolo quindi il centro cittadino accentuò quelle modificazioni già avviate nei decenni precedenti, attraverso la frammentazione degli spazi urbani, la concentrazione delle necropoli suburbane a ridosso delle porte, la trasformazione di edifici e spazi pubblici in edifici e spazi sacri legati alla nuova religione cristiana.

Ne rimangono un esempio gli scavi archeologici condotti sulle pavimentazioni musive della cattedrale cittadina (basilica episcopalis), dedicata ai SS. Giovanni e Reparata, edificata tra la fine del IV e la prima metà del V secolo sui resti di una domus tardo repubblicana trasformata in edificio termale nel secondo secolo d.C.53 Il battistero, quadriconico,54 posto sul lato settentrionale della cattedrale, venne ottenuto dal riadattamento di un edificio del II secolo d.C., probabilmente annesso al complesso termale.55 Gli scambi e la vitalità insediativa si catalizzarono intorno alle porte urbiche, che rappresentavano il luogo di scambio e di proiezione verso il territorio circostante. A

51 G. Ciampoltrini-P. Notini-C. Spataro- E. Abela, Vie e traffici nella valle del Serchio d'età augustea. In G. Ciampoltrini (a cura di), La "colonia" e la montagna. Archeologia d'età augustea a Lucca e nella

valle del Serchio, pp. 57-95, pp. 94-95.

52 Vedi nota 39. "Nell'area Galli-Tassi un vero e proprio 'quartiere' metallurgico si dispone a poche decine di metri dalle mura, investendo anche un cardo glareato della città medio-imperiale, in disuso o comunque ridimensionato, con una serie di forni subquadrangolari o circolari, caratterizzati da pareti rettilinee rubefatte o concotte, e con fondo piano, rivestito di norma con ciottoli accuratamente sistemati, che spesso conservava tracce di riempimento di carboni. Lo scavo ha messo in luce almeno otto di queste strutture, verosimilmente pertinenti a forni da fucina, idonei cioè non al processo di riduzione del minerale, ma all'attività di trasformazione del metallo; l'assenza nelle stratificazioni di minerali o di scorie, la presenza, spesso solo nelle tracce lasciate nel terreno, di piccoli 'lingotti' o semilavorati di ferro (elementi circolari con foro centrale, linguette e barrette con fori passanti, placche sagomate) corrobora l'ipotesi. La perdita, se non per modestissimi lembi pavimentati in laterizi e pietrame misto a lenti di argilla concotta, dei piani di calpestio relativi ai forni pregiudica la possibilità di ricostruire le strutture del complesso, ma la coerenza tipologica e cronologica porta ad ipotizzare che l'area già urbanizzata nell'estremo settore nord-occidentale della città fu scelta, nel corso del IV secolo, come sede di un impianto metallurgico". G. Ciampoltrini, Lucca tardoromana e

altomedievale... op. cit., pp. 65-66.

53 G. De Marinis, Lo scavo del battistero (1976-1977), in G. Piancastelli Politi Nencini (a cura di), La

chiesa dei SS. Giovanni e Reparata. Dagli scavi archeologici al restauro, pp. 101-124. E. Abela, Lucca, in Archeologia urbana in Toscana: la città altomedievale, p. 25. G. Ciampoltrini, La cattedrale di Santa Reparata a Lucca. Per un riesame delle pavimentazioni musive del IV secolo. In H. Morlier

(a cura di), La Mosaique Gréco-Romaine IX, pp. 109-121. G. Ciampoltrini, Lucca tardoromana e

altomedievale... op. cit., p. 66.

54 E. Abela, op. cit., p. 25. 55

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931-tal fine, nella nuova città cristiana, le aree attigue alle chiese erette lungo gli originari cardo e decumano massimo, recuperarono la funzione sepolcrale extramuranea e diedero nome alle rispettive porte presso cui erano state edificate: San Vincenzo (poi intitolata a al vescovo Frediano) a nord, San Pietro a sud, i Santi Gervasio e Protasio a est, San Donato a ovest.56

La cattedrale, in questa nuova prospettiva, assunse un ruolo nodale nella vita civile tardoantica fungendo anche da fulcro per un consistente nucleo abitativo57 "in un'area urbanizzata da tempo, rispettando la struttura viaria antica, ma lontana dalla zona del teatro e dell'anfiteatro, secondo una consuetudine frequente in età paleocristiana, e distante dal foro romano".58 Secondo tale impostazione urbanistica l'insediamento cristiano, posto per esigenze di orientamento liturgico e augurale sul lato destro del cardine centuriale (percorso principale d'ingresso alla città), arrivava prima del Foro pagano, raggiunto solo in seguito e aperto sul lato sinistro.59

Un centro urbano, dunque, che nel corso degli oltre sei secoli che hanno caratterizzato il periodo romano, ha cambiato volto, mutando l'edilizia fragile e in materiale deperibile dei primi decenni, quando ancora il contesto circostante delle comunità indigene sopravvissute poteva rappresentare motivo di instabilità e il corso dell'Auser (Serchio) lambiva l'abitato causando il timore di eventi di tipo alluvionale, fino alla stabilizzazione avviata nel corso del I secolo a.C. e consolidata in epoca augustea. Edifici nuovi e di maggiore stabilità, fino alla decadenza del II-III secolo d.C., alla frammentazione dell'abitato all'interno del cerchio murario e ad un nuovo riassetto

56 I. Belli Barsali, La topografia..., op. cit., pp. 461-552, in particolare pp. 464-474; 484-486. G. Ciampoltrini, Lucca tardoromana e altomedievale..., op. cit., p. 68. Le quattro porte urbiche avrebbero acquisito il nome dei santi a cui erano dedicate le rispettivi chiese ivi edificate fino almeno dall'VIII secolo. E. Abela, op. cit., p. 33.

57

Nell'area in questione sono state trovate diverse epigrafi risalenti al IV secolo, anche se manca la prova certa che il loro rinvenimento fosse da considerare "in situ". G. Ciampoltrini, Lucca

tardoromana e altomedievale..., op. cit., p. 69. Vedi anche, dello stesso autore: Iscrizioni, p. 258.

58

E. Abela, op. cit., p. 25.

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favorito dal restauro delle mura (seconda metà del III secolo d.C.) e dalle nuove esigenze, di tipo architettonico e liturgico, legate al culto cristiano ed agli edifici preposti a tale funzione, che vedono una valorizzazione delle parti prospicenti alle mura e uno svuotamento del ruolo civile di quella parte centrale, prospicente all'antico Foro, ormai accostata simbolicamente all'epoca pagana.

Un centro cittadino pronto a crescere e a proiettarsi nella nuova era post romana che lo avrebbe visto protagonista nei secoli a venire. Un centro cittadino che ha cambiato volto per rimanere, in ultima analisi, sempre uguale a se stesso.

2.3 Il territorio extraurbano

Sul'estensione della colonia lucense durante il periodo romano si è molto discusso. Insieme al territorio appartenente in origine al municipio pisano (Piana di Lucca, versante orientale dei monti Pisani, zona attinente all’alveo dell’ex lago di Bientina)60 e ceduto al popolo romano per fondare la colonia latina lucense, venne aggregata alla neo colonia anche una vasta porzione di territorio montano, corrispondente alla media ed alta valle dell’Auser (Serchio) e ad una parte della valle del Secchia, appartenute presumibilmente alla tribù dei liguri apuani ed a popolazioni transappenniniche forse gravitanti intorno alla confederazione friniate o a quei Vettiregiates e Umbranates nominati da Plinio.61

60 Sulla originaria competenza territoriale della colonia latina di Luca nella parte pianeggiante verso la val d’Arno si è a lungo dibattuto senza giungere a conclusioni certe. Esiste indubbiamente una continuità nella centuriazione dell’agro lucense fino a tutto l’ex bacino del lago di Bientina ed oltre, per il cui approfondimento rimando a P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., p. 242. Sulla cessione di parte del territorio pisano ai romani per fondare una colonia di diritto latino vedi T. Livio, op. cit., XL, 43. 61 Anche l’attribuzione di territorio montano alla colonia lucense, come l’altro pianeggiante di cui alla

nota precedente, presenta scarsi elementi di valutazione, se si escludono alcune citazioni topografiche nella Tavola di Velleia (C.I.L., XI, 1147) che farebbero ritenere contiguo il territorio municipale di questo centro dell’Appennino piacentino con quello della colonia in questione. I ritrovamenti archeologici, per quanto occasionali, concordano con il dimostrare una presenza fino agli estremi confini settentrionali della Garfagnana (P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., p. 245). Le campagne militari condotte contestualmente nella valle del Secchia ed in territorio apuano, come vedremo in

(23)

In questo settore, rappresentante gran parte della pertinenza coloniaria, erano rimaste vaste sacche di popolazione indigena, probabilmente classificate nella tipologia degli incolae.62

La forma demoterritoriale riservata a tali unità territoriali era in genere quella dell’arcifinius (dal confine arcuato), cioè di un’area che, per morfologia, non può avere confini rettilinei e regolari, ma si avvale di quelli naturali (fiumi, creste di monti, ecc…).63

Nelle compagini così definite l’elemento indigeno poteva essere prevalente o marginale, secondo diverse sfumature che si adattavano alle singole circostanze. Poteva capitare che un’intera comunità autoctona sopravvivesse in forma subalterna alla colonia oppure, più frequentemente, che l’unità venisse assegnata interamente a coloni a cui venivano sottoposti in regime di servitù prediale gli abitanti preesistenti sopravvissuti.64

L’analisi dei toponimi riportati sulla Tavola di Velleia lascia intravedere come il municipio in oggetto, che occupava la parte montana della provincia di Piacenza, confinasse verso sud-est con la colonia lucense, che quindi aveva ricevuto competenza

nell’Emilia e tributario ortograficamente del Po, potesse far parte della colonia lucense, magari nella forma di prefectura, o secondo una exclave di incolae Peregrinae dove le terre confiscate e passate al demanio pubblico dopo la conquista venivano reddite, cioè rese ai veteres possessores non attraverso singole adsignatio, ma attraverso distribuzioni come forma di indennizzo nei confronti delle comunità indigene (res publicae), che le restituivano ai loro singoli membri mantenendo le antiche consuetudini, adottate ab immemorabilis. Nel caso infatti di terre exceptae, cioè escluse dalla centuriatio o dalle altre forme di adsignatio, esse non venivano assegnate seguendo le leggi di fondazione della colonia stessa, ma mantenevano le loro regole precedenti. L. Gagliardi, op. cit., pp. 170 e ss.. Sui confini di

Luca verso la testata appenninica ed oltre, fino ai limiti della colonia di Placentia, vedi anche E.

Sereni, Comunità rurali nell’Italia antica, Roma 1955, p. 16. Riguardo la Tavola di Velleia e le sue citazioni di exclavi o praedia lucensi vedi, nella stessa opera, p. 71. Sui Vettiregiates e Umbranates vedi Plinio il Vecchio, op. cit., III, 47, 116.

62 Letteralmente “abitante”. Nello specifico indicava in genere gli abitanti indigeni, a cui si contrapponeva giuridicamente il colonus, dotato di superiorità giuridica. L. Gagliardi, op. cit., pp. 1 ss.. Sull’argomento vedi anche E. Gabba, Per un'interpretazione storica della centuriazione romana, p. 23. Sulla vasta bibliografia relativa ai diversi casi di inferiorità giuridica dell’elemento indigeno nei confronti dei coloni vedi Mg. Celuzza, Il territorio della colonia, in Misurare la terra… op. cit., p. 157. Sull’utilizzo di manodopera indigena vedi G. Tibiletti, op. cit., p. 303; E. Gabba, Sulle strutture

agrarie... op. cit., p. 34; Mg. Celuzza, Il colono... op. cit., p. 157.

63 Frontino, De agrorum qualitate; De controversiis agrorum. O.A.W. Dilke, op. cit., p. 45. Riguardo invece l’analisi dei testi di Hygino e Siculo Flacco, entrambi intitolati De condicionibus agrorum, vedi L. Gagliardi, op. cit., pp. 161 ss..

(24)

sul versante appenninico oggi appartenente alle province di Reggio nell’Emilia e Parma,65 mentre la presenza lungo tutta la direttrice in questione di numerosi toponimi prediali latini, specie intorno ai fondovalle, testimonia l’assegnazione di terre a coloni, ma non identifica con esattezza l’epoca, essendo stata riassegnata l’intera colonia anche in epoca augustea e forse pure con distribuzioni a veterani in epoca tardo imperiale.66 Mentre la parte pianeggiante e collinare, come già visto, venne assegnata attraverso i canoni della centuriatio67 e della cultellatio,68 nella parte montana ciò non fu possibile, per motivi anche di tipo morfologico. In quel caso la tipologia di gestione riportata dai gromatici era quella dell'arcifinius, cioè un territorio di frontiera non soggetto a leggi civili ma a quelle internazionali.69 Le fonti storiche su questo particolare periodo sono praticamente assenti, per cui l'indagine è affidata a riflessioni di tipo comparativo, quali ad esempio quelle connesse al campo archeologico e toponomastico, che però da sole possono fare solo un po' di luce ma non chiarire in maniera univoca le dinamiche sociali, politiche ed economiche di quel lungo e controverso periodo.

65

Sulla contiguità dei territori di Luca e Velleia vedi nota 60 di questo stesso paragrafo. 66 P. Mencacci-M. Zecchini, op. cit., p. 237.

67 Vedi nota 7. 68

(25)

Capitolo III

Luni in epoca imperiale

3.1 Tra splendore e decadenza

Luna, fondata nel 177 a.C.70 come avamposto armato del mondo romano in territorio ligure ostile, portò avanti per tutto il periodo tardorepubblicano una propria vocazione agricola, legata all'allevamento (produzione di lana e formaggi) e all'agricoltura (soprattutto riguardo vino e olio).71 Tale mercato, che trovava nell'attività portuale un facile veicolo di commercializzazione nel resto d'Italia e nel Mediterraneo, andò in crisi durante la prima età imperiale, quando i prodotti lunensi vennero soppiantati da quelli provenienti soprattutto dalla penisoa Iberica, dove monoculture in larga scala li rendevano maggiormente convenienti.72

Nel corso del I secolo d.C. l'economia del territorio lunense subì una trasformazione verso un nuovo prodotto, già utilizzato fin dall'epoca cesariana e ottenuto per estrazione dalle vicine Alpi Apuane: il marmo.73 Un prodotto che avrebbe reso celebre il nome di Luni in tutto il mondo romano. L'arrivo di nuovi coloni, in epoca augustea, portò ad un ricambio della classe dirigente74 e a un mutamento del tessuto sociale, non più prettamente agricolo, ma imprenditoriale.75 Anche quei rapporti, così difficili da conciliare, con le popolazioni autoctone circostanti, trovarono forse nei mutati assetti economici nuove forme di mediazione, dando spazio e voce anche a quei ceti

70

Vedi nota 2 del primo capitolo. 71 F. Bandini, Luni, p. 11.

72 C. Delano Smith-N. Mills-B.R. Ward Perkins, Luni and the Ager Lunensis, the rise and Fall of a

Roman Town and Its Territory: results and problems, "Papers of the British School at Rome", LIV, pp.

81-146. 73

F. Bandini, op. cit., p. 12.

74 Nessuno dei gentilizi dei magistrati tardorepubblicani ritorna in iscrizioni lunensi d'età imperiale. G. Ciampoltrini, Note... op. cit. p. 43.

75

"Chiara testimonianza ne sono le iscrizioni lapidarie recuperate dove compaiono commercianti, liberti e vari collegi artigianali fra cui quello dei lavoratori delle pietre". F. Bandini, op. cit., p. 12.

(26)

provinciali e marginali che comunque rappresentavano le esigenze delle comunità di quel vasto territorio che si stava caratterizzando nell'esito prediale del nome cittadino.

3.2 Il centro urbano

Luna, così come Luca, mantenne per tutti i quasi sette secoli della storia romana, ma anche nella sua effimera e controversa vita successiva, lo stesso impianto nato dal disegno urbanistico dei suoi fondatori. Quello che venne modificandosi, col passare del tempo, fu il suo aspetto. Nata con solide mura in "opus poligonale",76 per proteggerla dagli insidiosi abitanti delle vicine alture, conservò in epoca imperiale poco del suo carattere edilizio originario,77 certamente più modesto e attinente al carattere difensivo che mantenne per tutto il periodo tardorepubblicano.

In epoca augustea, con le nuove assegnazioni, la città vide la sua popolazione raddoppiare e raggiungere, secondo le stime attuali, il numero di 18.000 abitanti.78 Gli edifici pubblici e quelli privati vennero arricchiti e resi maestosi, spesso con l'utilizzo del marmo. Il grande Foro, corcondato su tre lati da portici e dominato a nord dal Capitolium, era separato dall'area forense dal Decumanus Maximus (tratto urbano dell'antica via Aurelia) e circondato da un bacino fontana a forma di U, da due tempietti e da un colonnato, sul cui lato orientale trovava posto la basilica civile. Sul lato occidentale si affacciavano invece sei tabernae e sul lato meridionale un ampio complesso di più edifici la cui funzione non è nota, fra cui forse una schola. L'imponente Cardo Maximus collegava uno degli approdi al Foro, mentre nella parte settentrionale della città si trovava il Grande Tempio, dedicato ad Apollo, Artemide e Luna, e davanti al quale si apriva una piazza porticata, oltre al teatro, che invece si

76 "L'impianto murario, oggi interrato, non è stato indagato in modo sistematico, quindi poco chiare risultano le diverse fasi cronologiche, deducibili dall'uso di più tecniche costruttive" (F. Bandini, op. cit., p. 12). Sull'opus poligonale, visibile in alcuni tratti, vedi nota 7 della stessa e AA.VV., Luni. Guida

Archeologica, pp. 41-44.

77

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trovava sull'angolo nord-orientale. Procedendo lungo l'Aurelia ad oriente delle mura, si trovava l'anfiteatro, edificato nella prima epoca imperiale, il quale poteva contenere fino a 7.000 spettatori. Del grande porto sono stati rinvenuti due moli, entrambi nel settore sud-orientale della città.79

Le domus private, con le loro dimensioni eccezionali per il periodo, comparabili solo con quelle delle grandi residenze signorili di Roma tardoantica,80 testimoniano l'alto tenore di vita della città. Tra esse: la domus "degli affreschi" (a sud del Foro), "dei mosaici" (a nord del Capitolium), "di Oceano" (sottostante alla cattedrale), la domus settentrionale (a ridosso della porta cittadina omonima).

All'interno della cinta muraria non mancavano neanche granai (Horrea)81 e magazzini con molti dolia di grosse dimensioni per le derrate di consumo interno.

Le necropoli82 erano collocate intorno alla città, lungo i percorsi stradali. L'esempio più rappresentativo di quel contesto rimane il cosiddetto Mausoleo,83 edificio funebre che si stagliava nelle immediate adiacenze dell'abitato.

Allo splendore di quei primi secoli seguì un periodo di decadenza, che si evidenziò a partire dal IV secolo e che sembrerebbe attribuibile in larga misura, anche se non in maniera univoca,84 ad un evento sismico avvenuto presumibilmente dopo il 366 d.C.85 e che ebbe, tra le cause riscontrabili attraverso la ricerca archeologica, un crollo unidirezionale del colonnato nel portico del Grande Tempio86 e le deformazioni

79

F. Bandini, op. cit., pp. 12-13.

80 Sull'argomento vedi F. Guidobaldi, L'edilizia abitativa unifamiliare nella Roma tardoantica, p. 193. F. Bandini, op. cit., p. 13.

81 AA. VV., Luni... op. cit., pp. 94-95. F. Bandini, op. cit., p. 13. 82

Indagate fin dal Rinascimento per interesse antiquario. F. Bandini, op. cit., p. 13.

83 Situato fuori dalla porta orientale, mai indagato in modo sistematico. F. Bandini, op. cit., p. 13. 84 In passato si era pensato anche a possibili eventi alluvionali o di incendio, che avrebbero interessato

rispettivamente il bacino-fontana del Capitolium e la basilica civile, ma già Ward Perkins (L'abbandono degli edifici pubblici a Luni, pp. 33-46) non le riteneva convincenti e sono state recentemente abbandonate anche dai loro autori in favore dell'ipotesi di un evento sismico. F. Bandini, op. cit., p. 14.

85 S. Lusuardi Siena-M. Sannazaro, op. cit., p. 196. F. Bandini, op. cit., p. 14. 86

Lo scavo archeologico previsto per le campagne di fine anni '70 non ha mai avuto luogo, lasciando pertanto solo parzialmente esplorato questo rilievo. F. Bandini, op. cit., p. 14.

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ondulatorie subite dai livelli pavimentali, oltre alle modalità del crollo di una parete con intonaci dipinti della domus degli affreschi.87

Il fatto però che, dopo tale evento distruttivo, gli edifici pubblici non vennero più ricostruiti, lascia pensare che le cause della decadenza del centro cittadino non fossero solo legate al sisma, ma che piuttosto si evidenziasse già una situazione di crisi, dovuta a vari aspetti probabilmente di tipo economico e sociale, a cui i crolli dovuti al terremoto si sarebbero sommati accelerando il fenomeno del loro abbandono e rendendolo irreversibile.88

Proprio in seguito al terremoto la domus cosiddetta "di Oceano", di tali dimensioni da ricoprire la superficie di un intero isolato, venne ricostruita con un processo di totale riorganizzazione degli spazi (tra cui l'innalzamento dei livelli pavimentali), probabilmente in funzione di cerimonie cristiane. L'eliminazione dello stesso cardine minore fa supporre un ripensamento completo dell'area in funzione di nuove esigenze, riferibili alla progressiva cristianizzazione dello spazio secondo canoni riscontrabili in altri centri maggiori, che videro il fenomeno spingersi di preferenza dalla periferia verso il centro, rispettando almeno in una fase iniziale edifici ed aree ancora pubbliche o recepite come tali.89 Questa prima soluzione ci riporta ad una fase ancora acerba del cristianesimo lunense, che aveva dato i natali nel III secolo ad un futuro papa (Sant'Eutichiano),90 ma ancora sembrava non esprimere la figura di un vescovo e di una diocesi. Verso la metà del V secolo la situazione sembra evolversi e consolidarsi, da edilizia privata a religiosa, con l'edificazione proprio sopra questo complesso di un

87

Ibidem.

88 L'argomento è controverso e ancora oggi oggetto di ipotesi. La Rossignani (La fine della Luni

imperiale e la nascita della città tardonantica, p. 490) ad esempio, pur ritenendo verosimile l'ipotesi

sismica, non nasconde "il pericolo di attribuire a cause esterne fatti che possono essere giustificati attraverso i profondi mutamenti sociali, politici e civili che caratterizzano il periodo tardoantico e che determinano anche la perdita di funzionalità dei precedenti edifici pubblici". F. Bandini, op. cit., p. 14. 89 P. Testini, "Spazio cristiano" nella tarda antichità e nell’alto medioevo, pp. 31-48. P. Testini-G.

Cantino Wataghin-L. Pani Ermini, La cattedrale in Italia, pp. 5-232. F. Bandini, op. cit., p. 15. 90

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