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5.1 Caduta di un Impero

Il 4 settembre del 476 d.C. il generale di origine barbara e re degli Eruli Flavius Odovacer (Odoacre)122 depose il giovanissimo imperatore Romolo Augusto,123 ponendo di fatto termine all'Impero Romano d'Occidente.124

Si apriva un periodo incerto per la storia d'Italia, ancora oggi controverso e soggetto a diverse letture da parte degli storici. Un periodo che avrebbe visto, nel volgere di poche decine di anni, diversi eserciti e varie componenti avvicendarsi nel controllo della Penisola. Odoacre, a capo di una milizia mercenaria germanica composta soprattutto da Eruli, Sciri, Rugi e Turcilingi, aveva chiesto a Flavio Oreste, padre del giovane imperatore, come applicazione dell'istituto giuridico dell'Hospitalitas,125 la cessione alle

122 Odoacre, secondo quanto riporta G. Scrofani (Odoacre, Dizionario biografico degli italiani) "nacque da padre unno o sciro e da madre scira o turingia. Le notizie contrastanti circa la sua origine etnica, unna, scira, turingia, ruge, sono dovute a una complessa interconnessione tribale più che all'incertezza delle fonti".

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Flavius Romulus Augustus, soprannominato Augustolo in segno dispregiativo, regnò solo per pochi mesi, dal 31 ottobre 475 fino al 4 settembre 476. Posto sul trono dal padre Flavius Orestes, Magister

Militum di origine barbara che aveva sposato una nobile romana (Flavia Serena), aveva dodici o forse

quattordici anni. Sulle fonti bibliografiche vedi A. Momigliano, La caduta senza rumore di un impero. 124

In realtà a quella data era ancora vivo il legittimo imperatore d'Occidente, Giulio Nepote, rifugiatosi in Dalmazia pochi mesi prima e a cui lo stesso Imperatore d'Oriente Zenone riconosceva il titolo. Quando Odoacre, deposto Romolo Augusto, si rivolse all'imperatore d'Oriente, lo fece per ricevere il titolo di suo rappresentante in Italia, subordinato di fatto a Nepote, che morirà quattro anni dopo, nel 480 d.C. Ciò che di fatto renderà irreversibile la fine dell'imperò d'Occidente sarà l'aver spedito a Costantinopoli le insegne imperiali (diadema, scettro, toga ricamata in oro, spada e paludamentum porpora), che rimarranno esclusivo appannaggio della corona bizantina. Sulle fonti bibliografiche vedi AA.VV., Prosopografia del tardo Impero Romano, Odovacer, pp. 791-793.

125 L'istituto giuridico dell'Hospitalitas era stato istituito nell'Impero Romano per consentire il pagamento dei soldati attraverso l'ospitalità da parte degli abitanti di un territorio. Le popolazioni interessate infatti erano tenute a ospitare nelle proprie abitazioni i militari, cedendo loro un terzo della casa. Tale convivenza portava spesso a degli abusi da parte degli ospitati, per limitare i quali alcuni imperatori (Costanzo II, Teodosio I, Teodosio II, Giustiniano I) erano intervenuti emanando leggi,

truppe di un terzo delle terre italiche.126 Di fronte al suo rifiuto era scattata una rivolta sfociata nell'uccisione dello stesso Oreste e la deposizione e poi esilio del giovane Augusto. L'imperatore d'Oriente Zenone, pur riconoscendone l'azione, mantenne nei suoi confronti un rapporto ambiguo. Concesse le donazioni di terre127 ma non il titolo di Patrizio.128 I loro rapporti nel volgere di pochi anni si deteriorarono, tanto da sfociare in uno scontro aperto nel 484 d.C.. Ciò spinse l'Imperatore ad incaricare il re di un altro popolo germanico, gli Ostrogoti, divenuto ormai ingombrante nei Balcani, a rivolgere le proprie attenzioni all'Italia. Il giovane re, cresciuto ed educato proprio a Bisanzio, si chiamava Teoderico, e nel 484 d.C., con la carica di console, si era guadagnato la fiducia dell'Impero pacificando vaste aree balcaniche e riportandole sotto il controllo dei romani d'Oriente.129

Teoderico varcò le Alpi Orientali nel 489 d.C. a capo, pare, di un numero stimato tra i 100.000 e i 200/250.000 ostrogoti. Di questi solo 20/30.000 sarebbero stati guerrieri, mentre il resto risultava composto di servi (liberi e schiavi), anziani, donne e bambini.130 La lotta contro le truppe di Odovacer si protrasse per circa quattro anni finché, con l'uccisione di quest'ultimo (15 marzo 493 d.C.) e lo sterminio della sua famiglia e dei suoi seguaci, ebbe inizio il regno goto in Italia.

5.2 Il regno Ostrogoto in Italia

Il regno goto in Italia (Regnum Italiae)131 durò sessant'anni. Teoderico governò l'Italia per conto dell'Impero Romano d'Oriente, da cui aveva ricevuto il titolo di patrizio. Era inoltre re del suo popolo.

126 A. Marcone, I regni romano-barbarici: dall'insediamento all'organizzazione statale, pp. 135-155. 127

Procopio di Cesarea, De bello Gothico, I, 1.

128 A. Ambrosioni-P. Zerbi, Origini germaniche del Medioevo, p. 29.

129 Per la parte bibliografica relativa a tale argomento vedi AA. VV., Teodorico il grande e i Goti d'Italia. 130

C. Azzara, I Goti nell'Italia settentrionale, p. 12, a cui rimando per i riferimenti bibliografici. 131 Cassiodoro, Variae, II, XLI, Luduin regi Francorum Theodericus rex.

In questa situazione un po' ibrida i cittadini romani riconoscevano le leggi dell'impero, mentre i goti venivano governati in base alle proprie consuetudini. Il Senato continuò a funzionare senza subire modificazioni, così come il sistema amministrativo rimase gestito da soli romani. Teoderico, essendo subordinato all'imperatore, non aveva il diritto di emanare leggi proprie (leges), ma solo editti (edicta), o precisazioni di alcuni dettagli relativi alle leggi stesse. Rimane famoso a riguardo l'Edictum Theodorici Regis, emesso nel 500 d.C. e composto di 154 articoli, che si ispirava al diritto romano, delegando a magistrati romani e tribunali civili le cause di natura economico-sociale e a comandanti goti e tribunali militari le cause in campo bellico.132

La legge applicata cambiava a seconda dell'appartenenza etnica.

Tale separazione si evidenziò anche nella vita quotidiana. I goti infatti, stanziati soprattutto nella parte centro-settentrionale d'Italia, rimasero generalmente acquartierati in proprie comunità, intorno ai centri di maggiore importanza, sedi della corte del re (Milano, Pavia, Verona). I nuclei più rilevanti sarebbero stati concentrati nella Pianura Padana occidentale e il corrispondente arco alpino, la regione tra gli odierni Veneto, Trentino e Friuli, l'area a ovest di Ravenna e a sud lungo la costa adriatica, tra le attuali Romagna e Marche, il Piceno e il Sannio settentrionale, oltre a presenze segnalate in tutte le città più importanti: Tortona, Trento, Aquileia, Roma.

Alcune città dell'Italia meridionale, tra cui Napoli, erano presidiate da guarnigioni militari secondarie. Nei decenni successivi, quando la presenza gota si consolidò anche oltralpe, furono stanziate guarnigioni e insediamenti nel Norico, Dalmazia e Provenza.133

132 J.B. Bury, History of the Later Roman Empire, XIII, pp. 422-424. 133

Per un quadro generale degli insediamenti ostrogoti sul suolo italico e nelle aree confinanti vedi M. Lecce, La vita economica dell'Italia durante la dominazione dei Goti nelle "Varie" di Cassiodoro, pp. 356-358 (con l'elenco a p. 358 dei luoghi dove erano insediati gruppi di Goti secondo le Varie di Cassiodoro). M. Aimone, Romani e ostrogoti fra integrazione e separazione. Il contributo

La tendenza alla tolleranza religiosa manifestata da Teoderico, devoto alla dottrina Ariana, nei confronti dei romani e della Chiesa, ligia ai dettami del Concilio di Calcedonia, fu turbata dal precipitare degli eventi negli ultimi anni del suo regno, quando gli scontri tra le diverse dottrine si acuirono e lo videro coinvolto in prima persona.134

Alla sua morte, nel 526 d.C., gli successe il nipote Atalarico, di appena otto o dieci anni, sotto la reggenza della madre Amalasunta, figlia di Teoderico. L'aristocrazia guerriera gota non vedeva di buon occhio la reggenza di una donna e neanche il fatto che lei avesse dato al bambino un'educazione di tipo latino. Così riuscirono a strapparle la tutela del figlio che però, nel 534 d.C., morì prematuramente.

Amalasunta sposò Teodato, il nuovo re, ma ciò non le fu sufficiente a salvarsi. Il marito infatti la fece imprigionare sull'isola Martana, nel lago di Bolsena, ed uccidere nel 535 d.C. Da questo evento l'imperatore Giustiniano prese pretesto per intervenire con il proprio esercito in Italia e muovere guerra contro il nuovo re. Sbarcò in Sicilia con un'armata guidata dal generale Belisario e in brave arrivò a conquistare Napoli. Teodato, considerato un codardo dai suoi stessi soldati, venne inseguito fino a Ravenna e ucciso. Il nuovo re, Vitige, sposò Matasunta, unica figlia di Amalasunta, e fu incoronato per acclamazione a Ravenna. Inizialmente le sue capacità di condottiero sembrarono far volgere le sorti dello scontro a favore dei goti, con la conquista di Roma e, in seguito, anche di Milano. In realtà le manovre dell'esercito bizantino, affiancato anche da un secondo generale (Narsete), si fecero sempre più stringenti, trascinando i Goti in una guerra di logoramento che li vide lentamente soccombere.

Nel 540 la stessa Ravenna, capitale del regno, venne occupata dalle truppe imperiali. Vitige, condotto prigioniero a Costantinopoli, morì in quello stesso anno, mentre

Matasunta andò in sposa a un cugino dell'imperatore. I due successori di Vitige, Ildibaldo ed Erarico, rimasero in carica pochi mesi, eliminati entrambi da congiure che portarono all'incoronazione di Totila, letteralmente "l'immortale", il quale salì al trono nel 541 d.C.. Con lui la strategia mutò radicalmente. Resosi conto degli errori che avevano trascinato verso la sconfitta i suoi predecessori, cercò di evitare gli estenuanti assedi, dove i bizantini potevano prevalere. Per questo motivo faceva abbattere le mura delle città conquistate (questo però, come avremo modo di vedere nei prossimi paragrafi, non avverrà con Lucca). Allestì una flotta per meglio contrastare i movimenti delle truppe romane e passò a effettuare incursioni lungo le coste. Attuò una riforma agraria di tipo egualitario nei confronti delle popolazioni rurali italiche per ottenere il loro appoggio a discapito delle aristocrazie terriere, espropriate dei loro latifondi. Infine affrancò i servi perché potessero entrare in massa nelle fila dell'esercito goto. La nuova politica portò presto i suoi frutti. L'esercito goto si impadronì in meno di un anno dell'intera Italia settentrionale, arrivando a conquistare Napoli già nel 543 d.C.. Nel 550 d.C. fu la volta di Roma e, discendendo la penisola, anche della Sicilia.

Nel 551 d.C. Narsete, raccolto un nuovo esercito forte anche di mercenari Gepidi, Eruli e Longobardi, tornò in Italia dove l'esercito goto, pesantemente indebolito dalla lunga guerra, iniziava a cedere. Nel luglio del 552 d.C., nella battaglia di Gualdo Tadino, i goti vennero sconfitti e lo stesso re Totila perse la vita.135

Il successore, Teia, cercò inutilmente di capovolgere le sorti del conflitto e, appena un anno dopo, venne sconfitto e ucciso sui Monti Lattari, ponendo di fatto termine al dominio goto in Italia. La penisola, orrendemente devastata da diciotto anni di guerre, aveva visto entrare sulla scena nuovi protagonisti, tra cui i Franchi136 (soprattutto nella

135 Per le vicende relative al regno Ostrogoto in Italia vedi J.B. Bury, op. cit.. Sulla lunga guerra gotico- bizantina vedi Procopio di Cesarea, op. cit., I-IV.

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parte nord occidentale del Paese) e i Longobardi (prima al servizio dei bizantini, poi contro di essi), che nei decenni e secoli successivi sarebbero tornati in forze a occupare quei territori. Giustiniano, con la Prammatica Sanzione del 554 d.C., ricondusse tutti i territori italici sotto l'egida dell'impero, reintegrando tutti i proprietari terrieri delle terre alienate da Totila a favore dei contadini. I goti superstiti vennero in parte riassorbiti come truppe mercenarie nell'esercito bizantino e scomparvero, praticamente, come componente etnica, dal tessuto territoriale italico.137

5.3.1 La presenza gota a Lucca

Lucca, alla fine del V secolo d.C., si presentava come una "città frammentata", dove gli spazi urbani all'interno delle mura avevano perso una loro originaria omogeneità per frazionarsi intorno ai nuovi poli, soprattutto l'area del duomo e le porte urbiche che, attraverso la croce urbana rappresentata da cardine e decumano massimo, proiettavano la vita sociale ed economica cittadina verso le campagne.138

Le ricerche archeologiche indicano una frequentazione dell'area Galli-Tassi, dove però le dinamiche abitative variano: il luogo dell'impianto metallurgico tardoantico (fabrica di spathae) viene investito da un sepolcreto infantile,139 probabilmente attribuibile a un insediamento attiguo che scarica i propri rifiuti sui ruderi di un edificio residenziale della prima età imperiale, poco più a nord.140 I ritrovamenti archeologici di fucine presso la Loggia dei Mercanti141 (adiacente all'antico cardo maximus) e in via Santa Croce142 (tratto orientale del decumanus maximus) lasciano presupporre come, ad un

137 Su tale aspetto vedi anche Agathias Scolastico, op. cit., I, 1, 6. 138 A riguardo vedi nota 48 e successive.

139 E. Abela-Bianchini, Scoperta, pp. 51-53. G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica... op. cit., p. 69. 140

G. Ciampoltrini/P. Notini/P. Rendini/M. Zecchini/G. De Tommaso, Lucca tardoantica II, pp. 615–622. G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica... op. cit., pp. 69-70.

141 E. Abela-S. Bianchini (a cura di), Città nascosta, p. 19. G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica... op. cit., p. 70.

venir meno della succitata fabbrica di spade143 si sia verificata una sorta di diaspora dell'attività metallurgica all'interno della città.144 Il tessuto urbano è in continuo mutamento, secondo una caotica sequenza di poli insediativi che le solide mura urbane sembrano contenere come farebbe una bottiglia. Un impianto murario solido, che salva "il ruolo strategico della città come terminale di un itinerario transappenninico efficiente"145 tanto che, "nell'evidenza archeologica, la vita pubblica lucchese fra V e VI secolo d.C. non sembra lasciar tracce se non nel possibile restauro del tratto settentrionale del lato occidentale delle mura",146 forse da collegare all'assedio che le truppe bizantine portarono alla città nel corso del 553 d.C.147

5.3.2 L'assedio di Lucca.

La guerra gotico-bizantina devastò l'Italia per quasi un ventennio. Molte città, tra cui Milano e Roma, vennero saccheggiate pesantemente e in larga parte distrutte. Le popolazioni subirono massacri e decimazioni.

In questo clima di grave instabilità si colloca l'assedio di Lucca del 553 d.C., ormai in una fase tarda del conflitto e quasi al suo epilogo.

L'episodio viene narrato dallo storico bizantino Agathias, nel primo libro delle sue "Storie" (Historiae) e descritto con dovizia di particolari, quasi in forma aneddotica.

143

In realtà sarebbe potuto trattarsi anche solo di un ridimensionamento. G. Ciampoltrini, Lucca

tardoantica... op. cit., p. 70.

144 G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica... op. cit., p. 70. "Nella difficoltà di datare contesti della seconda metà del V o dei primi del VI secolo, sono inopinati ritrovamenti numismatici,come il quarto di siliqua d'argento di Teodorico al nome di Giustino imperatore ritrovato a Maggiano nei lontani anni Ottanta del Novecento (I, 48) ... (ibidem) ... ad indicare la continuità nella frequentazione di siti già occupati nella tarda età imperiale, mentre le preoccupazioni di Teodorico per la navigabilità dell'Auser e dell'Arno, documentate dalle Variae di Cassiodoro (III, 17; III, 20), certificano da un lato la vitalità del complesso portuale e dei navalia di Pisa, alla cui attività era essenziale il legname giunto per fluitazione, dall'altro la continuità delle vie d'acqua che formavano l'ossatura del sistema di comunicazione, assieme a quel che sopravviveva della rete stradale tardoimperiale, registrata dagli

Itineraria". G. Ciampoltrini, La città di San Frediano, Lucca tra VI e VII secolo: un itinerario archeologico, p. 15. Sugli itinerari tardo-antichi vedi anche M. Calzolari, Il contributo degli itinerari tardo-romani alla ricostruzione della viabilità tra Emilia-Romagna, Toscana e Marche, pp. 417 e ss..

145 G. Ciampoltrini, Lucca tardoantica... op. cit., p. 70. 146

L'intento dell'autore, vicino ovviamente alla causa bizantina, sembrerebbe quello di esaltare, da un lato, le capacità militari e l'astuzia del comandante romano, Narsete, dall'altro porre l'attenzione sulla sua capacità, attraverso uno spiccato senso della giustizia, di riportare dalla parte dell'Impero quei cittadini che si erano fatti traviare, confidando in false aspettative.148 Si tratta di un resoconto poco verosimile ma che consente di trarre una lezione esemplare, probabilmente a discapito della verità dei fatti, ma in linea con una metodologia espositiva che ritroviamo in altri episodi dell'opera, come quelli di Belisario contro gli Unni Kotriguri,149 della disfatta dei bizantini a Onoguris,150 di quella dei persiani sul fiume Fasi.151

Dopo la morte di Teia, tra la fine del 552 e l'inizio del 553 d.C., i goti erano ormai allo sbando e privi di una guida. Approfittando del vuoto che si era creato e rispondendo a una richiesta di aiuto degli stessi goti, Leutari e il fratello Butilino, al comando, pare, di un contingente franco-alamanno forte di 75.000 soldati, invasero l'Italia settentrionale arrecando gravi devastazioni. Narsete, con l'armata bizantina, si spostava tra la Campania e la Toscana per consolidare i domini imperiali e togliere ai goti e ai loro alleati il controllo delle ultime città a loro ancora fedeli. In questa fase prima cinse d'assedio Cuma, poi risalì la penisola fino ad accogliere la resa dei Fiorentini, di Volterra, Pisa e Luni. Solo Lucca si oppose, pur avendo essa in precedenza dato in ostaggio ai bizantini giovani esponenti delle più nobili famiglie cittadine. Narsete, con

148 Agathias Scolastico, op. cit., I, 12, 2. Sulla finalità morale e l'utilità pedagogica della vicenda: "In conformità alla tradizione secondo la quale la storia deve essere utile, Agazia sottolinea che il suo obiettivo deve essere edificare. Lo dice chiaramente nella prefazione, fornendo esempi nei quali degli uomini sono onorati per aver dato prova di riflessione e di giustizia: la storia ispira la virtù. Lo storico deve dunque mettere in evidenza tutto quello che è utile nei fatti raccontati, ma anche biasimare

apertamente e criticare ciò che è nocivo (I, 7, 6). Se non fa questo, la sola esposizione dei fatti è

inutile. Da cui la sua preoccupazione costante, e perfino invadente, di moralizzare, di riuscire a trarre degli insegnamenti." P. Maraval (a cura di), Guerre e avversità al tempo di Giustiniano, Agazia

Scolastico, Storie, p. XI.

149 Agathias Scolastico, op.cit, V, 19. 150

Agathias Scolastico, op.cit, III, 57.

la propria armata, pose l'assedio nell'autunno del 553 d.C., forse in settembre.152 I suoi luogotenenti, rabbiosi per il voltafaccia dei lucchesi, chiedevano a gran voce al comandante di far giustiziare gli ostaggi. Egli però si oppose, dichiarando che degli innocenti non avrebbero dovuto pagare per la colpa di altri. Escogitò un inganno teso a convincere gli assediati a capitolare. Prima fece sfilare gli ostaggi a testa bassa e con le mani legate sotto gli occhi atterriti dei loro familiari e conoscenti che si trovavano sopra le mura, poi dette ordine ai suoi soldati di decapitarli.

In realtà aveva fatto sistemare in precedenza grossi rami di legno dietro i loro colli, in maniera da proteggerli dai colpi inferti. I prigionieri, a completare la messinscena, si dimenavano per terra come se realmente stessero morendo, obbedendo alle disposizioni ricevute. Dalla città provenivano grida di disperazione, le donne si stracciavano le vesti pensando ai loro congiunti o figli così crudelmente uccisi, gli uomini inveivano contro Narsete, tacciandolo di avere una doppia faccia. In realtà il generale ne prese spunto per comunicare che se si fossero arresi i loro concittadini sarebbero tornati in vita. I lucchesi, sentendosi presi in giro da quelle parole, acconsentirono all'offerta, adducendo il fatto che era impossibile, purtroppo, che potessero tornare in vita. Come nelle favole a lieto fine Narsete fece comparire gli ostaggi vivi e vegeti e gli assediati, resisi conto solo in quel momento di essere caduti in un tranello, non vollero tener fede a quanto promesso. Narsete, a questo punto, restituì loro comunque i prigionieri, dicendo che tanto la città sarebbe caduta non per questi giochini, ma per l'azione delle sue truppe.153 La vicenda, che ricorda molto i racconti aneddotici legati alle vicende dei consoli romani della fase Repubblicana, sempre tesi a propagandare l'arguzia e le capacità militari e politiche dei vari esponenti di fazioni e gentes, risente evidentemente della formazione classica dell'autore.

152 Agnello di Ravenna, Chronique, Agnelli qui et Andreas liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, p. 331.

In seguito, dopo avvenimenti bellici che riguardano la zona di Parma, Faenza e Ravenna e che videro le truppe imperiali soccombere sotto l'attacco dei franco-alamanni, si intensificò l'assedio di Lucca, dove Narsete aveva necessità di raggiungere in tempi brevi una vittoria risolutiva. I bastioni vennero assaliti con foga, avvalendosi di macchine da assedio e di quelle tecniche poliorcetiche che avevano reso celebri i bizantini. Venne aperta una breccia nelle mura e ormai la capitolazione sembrava inevitabile. Secondo le cronache di Agazia ormai sono i comandanti della guarnigione franca si opponevano alla resa. Vennero tentate delle sortite dalle porte urbiche contro gli assedianti, ma con scarsi risultati e molte perdite. Alla fine, dietro consiglio anche degli ex ostaggi, la popolazione si convinse che era necessario arrendersi e, in cambio dell'assicurazione che non ci sarebbero stati accanimenti sulla popolazione, aprirono le

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