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LUCE E ARCHITETTURA

Nel documento Arredare con la luce (pagine 30-42)

In architettura la luce dovrebbe essere trattata in modo ottico, cioè, con la stessa attenzione che le dedicano gli obbiettivi delle macchine fotografiche. Se si cerca di lavorare con la luce in modo naturale, di manipolarla come fosse sostanza, è di primaria importanza, esercitare su di essa un preciso controllo (la luce) si sparge come se fosse una sostanza opalina, plasmabile e visibile,

non perche illumina le cose, ma perche diventa qualcosa di concreto. Juan Navarro Baldeweg

D’accordo alla premessa metafisica in cui la luce è il primo elemento che rende possibile la propria esistenza delle cose; lo spazio che percepiamo, per essere visibile deve essere prima luminoso; uno spazio non illuminato non ha alcuna esistenza visuale. Così come nelle arti visive, in architettura è anche possibile vedere il ruolo della luce nel suo rapporto con la progettazione dello spazio, cioè la storia dei vari modi di organizzare lo spazio (at- traverso i tagli delle finestrature, i pieni e i vuoti, i lucernai dei soffitti) dimostrando una concezione progettuale consapevole con la luce come materia. Per quanto riguarda l’architettura, la luce naturale è un fatto esterno che il progettista non può modi- ficare, ma è un elemento che può essere conside- rato materia e filo conduttore della progettazione. In questo senso l´architettura nelle sue manifesta- zioni, studia i profili e l´esposizione delle forme in ordine ad un determinato effetto di luce.

Citando Sedlmayr nel suo libro La luce nelle mani-

festazioni artistiche: “ l´oggetto specifico dell’archi-

tettura è modificare e dirigere la luce naturalmen- te data attraverso accorgimenti di diversa natura. Quasi tutte le architetture “guidano”, in modo con- sapevole o inconsapevole, ma di certo più spesso consapevolmente, la luce nel buio originario degli spazi interni non ancora costruiti, secondo moda- lità definite e di volta in volta specifiche”. Secondo Sedlmayr il primo elemento ‘portatore di luce’ è stato la “porta” ruolo che oggi giocano per es- empio le tende. Per Sedlmayr, la finestra ha una importante forza simbolica nel suo rapporto con la luce. “Un numero maggiore di porte o fines- tre rende possibile un´illuminazione da più lati che non esiste in natura”.

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Lous Kahn nel Kimbell Art museum Interno della Capella di Notre-Da- me du Haut a Ronchamp, progetta- ta da Le Corbusier nel 1950

Infatti, gli architetti hanno sempre costruito i loro edifici nello spazio luce; gli involucri si aprono e si chiudono alla radiazione luminosa ed in rapporto ad essa si caratterizzano. Ecco allora le grandi su- perfici vetrate, i curtainwalls dei grattacieli di Mies, e i tagli, le forature degli edifici di Louis Kahn. Secondo i vari tipi di involucro, si caratterizza di conseguenza anche lo spazio interno; la scelta di un certo tipo di pelle è infatti anche la scelta di una particolare luminosità. In Bruno Taut per esempio, la ricerca di atmosfere colorate porta alla realizza- zione di edifici di cristallo. In Alvar Aalto, invece, il tentativo di captare la luce e trasmetterla negli interni porta alla creazione di veri e propri dispo- sitivi tecnologici che vanno a definire l´architettura. Anche la decisione di escludere la schermatura della luce è una scelta che porta a modificare gli involucri. Pensiamo, per esempio al “ brise soleil” di Le Corbusier. Una luce più controllata e omoge- nea caratterizza gli edifici funzionali della Bauhaus che ricercano attraverso l´uniformità delle finestre

a nastro una luce bianca, senza forti contrasti. An- che lo stesso Le Corbusier nella cappella di Ron- champ nella parete sud, che è quella che riceve la maggiore insolazione, ha deciso di progettare aperture profonde di diversa misura, tronco-pira- midali, con vetri da lui disegnati che, oltre a corris- pondere alla composizione generale dell’edificio, alternassero all’interno della chiesa con il variare della luce, giochi cromatici che grazie alla sua lu- minosità inducono a pensieri spirituali . Wright, al contrario, attraverso la scelta di materiali e di colo- ri diversi tenta di condurre nei suoi interni una luce più possibile vicina a quella naturale cogliendone la variabilità luminosa.

Tra gli infiniti casi dove l’architettura ha un ra- pporto evidente con la luce, un interessante es- empio dove l´architettura dimostra essere un’ ele- mento manipolatore di luce, a Parigi, la Maison de verre, è stata progettata da Pierre Chareau per la famiglia Dalsace nel 1927.

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Al momento di cominciare con la progettazione dell’edificio questo si trovava in stato di abban- dono e degrado, a tal punto che i proprietari e l’architetto Pierre Chareau concordarono di de- molirlo, però non è stato possibile in conseguenza del rifiuto di una proprietaria che abitava da lungo tempo al terzo piano di quell’edificio e non inten- deva abbandonare la propria abitazione. Per ques- to motivo hanno deciso insieme di demolire solo i due primi livelli. Questo inconveniente ha portato con se diversi problemi da risolvere come: il do- ver costruire una nuova dimora sotto una parte dell’edificio da conservare, senza provocare danni strutturali alle piante superiori, illuminare l’interno della nuova abitazione, che per le sue ridotte di- mensioni e per l’ubicazione – all’interno di un cor- tile- soffriva di mancanza di luce naturale. Queste esigenze portarono all’uso di una struttura meta- llica e la scelta del vetrocemento per la facciata, una novità nel campo delle abitazioni che diede alla casa il suo attuale nome.

Luce e architettura

Particolare della Maison de verre in costruzione

L´involucro in vetrocemento, oltre a dare alla casa un’immagine fortemente contemporanea, quasi in- dustriale, permette all’interno un’illuminazione na- turale a luce diffusa, garantendo allo stesso tempo privacy alla famiglia di Dalsace e ai suoi pazienti. Gli infissi metallici con vetro tradizionale, pos- ti in punti opportuni, oltre a disegnare i prospe- tti, garantiscono la ventilazione e la vista da- ll’interno verso l’esterno. Nella sera i proiettori posti all’esterno illuminano le pareti di vetroce- mento verso le quali sono puntati, permetten- do alla luce artificiale di sostituire quella solare. La Maison de verre da così la sensazio- ne di essere una sorta di gigantesca lampa- da che capta la luce, dentro la quale vivere. Il grande contributo della Maison de verre alla storia dell’architettura può intendersi secon- do tre aspetti: la standardizzazione dei suoi componenti, la trasformazione dello spazio in- terno della casa e le potenzialità espressive

dell’ involucro di vetro che cambia per gli effet- ti della luce da trasparente a traslucido, pro- vocando una diversa percezione degli spazi. Luce e architettura

Interno cortille della Maison de verre

Particolari degli interni della Maison de Verre. Nella casa il rapporto con l’esterno è limitato. Il cortile è piccolo e con poca luce dove Chareau non vuole in nes-

sun modo ripetere il rapporto della facciata parti piene/ vuote tipico della sua epoca. Per i suoi clienti sceglie di utilizzare un linguaggio completamente moderno. Crea una scatola dove la facciata è completamente di vetro cemento. Pierre Chareau è il primo archietto a utilizzare il mattone

di vetrocemento in maniera strutturale.

In uno dei casi studio per approfondire il concetto della luce e le sue interpretazioni attraverso l’ar- chitettura, la Maison de verre si manifesta come riferimento del rapporto tra luce e ambiente. In questo caso in particolare il rapporto tra lo spazio interno ed esterno è determinato attraverso una membrana di mattoni di vetro cemento. Dall’ in- terno lo spazio è caratterizzato, oltre all’arreda- mento e alla sua configurazione spaziale, da pelle di luce, che blocca la vista verso l’esterno, ma che garantisce una tenue luce filtrata durante tutta la giornata. Di notte, la membrana diventa una pelle illuminata che dall’ esterno è caratterizzata dalla sua immagine di edificio “lampada”. In uno dei tentativi proposti, essendo in uno spazio racchiu- so di dimensioni limitate, l’immagine esterna della Maison de verre è riportata a modo di schermo di luce. Questo schermo, anche in mattoni di vetro cemento, oltre ad offrire illuminazione, suggerisce l’ idea di un intravedere, cioè si ricrea una illu- sione dove si mette in dubbio il fatto di essere in

un luogo racchiuso, ed offre la percezione visuale di un paesaggio che non esiste. Pertanto il modo in cui si riconosce lo spazio è diverso grazie alla relazione con un ambiente esterno che non esiste ma che viene creato attraverso lo schermo di ve- tro cemento.

Mark L

yon

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Vista notturna della Maison de Verre e la sua caratteristica immagine esterna come “sorgente luminosa”

Nel documento Arredare con la luce (pagine 30-42)

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