• Non ci sono risultati.

Arredare con la luce

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Arredare con la luce"

Copied!
142
0
0

Testo completo

(1)

Politecnico di Milano Scuola del Design

(2)
(3)
(4)
(5)
(6)

INDICE

Abstract

1. La luce

1.1 La dissoluzione della forma attraverso la luce

Claude Monet e la Cattedrale di Rouen Pg 6 1.2 Architettura e luce

La Maison de Verre. Una macchina da abitare rivestita di lucePg 22 1.3 Luce e ambiente

Light Art- Opere di James Turrell, Robert Irwin e Dan Flavin a Villa Panza Pg 34

2. Arredamento

2.1 Considerazioni sull’ arredamento Pg 52 2.2 Arredare con l’oggetto

(Eileen Gray E-1027) Pg 62 2.3Arredare con l’ambiente

(7)
(8)
(9)

ABSTRACT

Questo lavoro di tesi si svolge attraverso due tematiche diverse: l’arredamento e la luce.

L’arredamento in questo caso è considerato base dell’interior design e viene interpretato attraverso due tipologie diverse : l’arredamento in termini di oggetto e di ambiente. L’analisi di queste due tipologie di arredamento, viene studiato attraverso il confronto storico tra Eileen Gray e la sua casa E-1027 e Le Corbusier con il suo Cabanon a Cap Martin.

La luce, invece, viene studiata come materia fisica in relazio-ne all’arte e all’architettura, attraverso storiche interpretazioni come i dipinti impressionisti di Monet, la Maison de Verre di Pie-rre Chareau e la nascita della Light art.

Luce e arredamento trovano posto a Villa Panza, un luogo carico di suggestioni progettuali, grazie ad un approccio concettuale tra il pensiero architettonico di Gray e Le Corbusier; e le inter-pretazioni artistiche con la luce delle opere degli artisti ambien-tali a Villa Panza Dan Flavin e James Turrell.

Il Padiglione Luce nasce dalla riflessione di tutte le tematiche prima citate; attraverso una nuova figura museale, (serpenti-ne Gallery) l’elemento architettonico prende in considerazio(serpenti-ne l’arredamento visto come strumento progettuale e la luce come materia fisica con cui progettare.

(10)
(11)

CAPIToLO 1

LA LUCE

(12)

Claude Monet e la Cattedrale di Rouen

DISSOLUZIONE DELLA FORMA

ATTRAVERSO LA LUCE

“Di fronte alla ventina di viste della costruzione di Monet, ci si accorge che l’arte, nella sua persistenza di esprimere con sempre maggior esattezza la natura, ci insegna a guardare, a percepire, a sentire. La pietra si è trasformata in una sostanza organica, e si può percepire come cambia nello stesso modo in cui un fu-gace momento della vita è seguito da un altro. I venti capitoli di campioni di luce in evoluzione sono stati sapientemente scelti per creare un orientamento ordinato di questa evoluzione. Il grande tempio è di per sé

un testamento del sole unificante, e manda la sua massa contro la luminosità del cielo” Georges Clemenceau

(13)

La luce come manifestazione è stata parte fondamentale dell’esistenza dell´ essere umano. In questo senso le interpretazioni della luce attraverso la storia dell’umanità sono state infinte. Sem-bra implicito e se possiamo dire “naturale” il desiderio dell’uomo di voler rappresentare l´‘evento’ della luce, se teniamo in conto che anche noi come le piante rispondiamo fisicamente all´effetto della luce naturale. Nel corso dei secoli non solo gli artisti sono stati interessati a rappresentare la loro visione della luce, anche nella filosofia e in diverse religioni la luce è stata rappresentazione della divinità, dell’energia, del calore, e della vita. In filosofia per esempio, nel mito della Caverna di Platone, la luce del fuoco rappresenta la conoscenza, cioè la luce rappresenta otre ad una in-terpretazione di un evento fisico, una dimensione metafisica, simbolica e mistica.

La luce nel linguaggio visivo come nel mondo fisico è responsabile del significato espressivo delle cose; determina colore, materialità, e volume. Dipendentemente dal modo in cui questa sia interpretata, la luce conferisce caratteristiche particolari alle cose attraverso la nostra percezio-ne. Questa, è stata utilizzata sempre in maniera diversa, e assume una grande importanza sia

(14)

12

(15)

In pittura è stato l’impressionismo che, grazie all’ l´influenza della luce naturale, modifica e trasfigu-ra il soggetto trasfigu-rappresentato allontanandosi dalla spiritualità propria della luce interiore. Da Cézan-ne in poi, l´entità luminosa, non è più autonoma e superiore, viene “assorbita” dal colore che ne assorbe ed evidenzia ora tutto il potere e la forza espressiva.

In questo senso per gli impressionisti la luce as-sume una funzione diversa: non è più il contributo necessario per rendere la plasticità con i passaggi di chiaro e di scuro, cioè non è più la dialettica tra ombra e luce a definire la composizione figurativa, ma nasce dall´autonomia del colore dove, l´ombra è una macchia cromatica che si giustappone alle altre. L´osservazione attenta della realtà dimostra, infatti, che le ombre non sono né grigie né nere ma colorate e, con i colori, sono ottenute sulla tela evitando di usare il nero. Nell´impressionismo la luce diviene irradiazione e vibrazione di toni e

indi-ca la densità e la trasparenza della materia crean-do una spazialità luministica che va a sovrapporsi alla tradizionale impostazione prospettica. L´atto specifico impressionista è in definitiva la scoperta vera della luce diurna; quella luce, che scorre, pe-netra, si riflette da una cosa al altra, che schiaris-ce, crea trasparenze e spessori, si fonde nell’ac-qua dilaga nel cielo, fa tremare i boschi, annebbia le lontananze, guizza e si ritrae senza scomparire. Prima dell’arrivo formale dell’impressionismo, e di gran influenza per il posteriore movimento, Wi-lliam Turner (1775-1851), nel suo dipinto Pioggia, vapore e velocità (1844),riesce ad evocare la “im-pressione della luce” servendosi di sfumature e colori brillanti dove gli oggetti rappresentati sono appena riconoscibili e la luce è invece la protago-nista.

Claude Monet e la Cattedrale di Rouen

(16)

14 La luce

(17)

Nel controllo della luce sugli oggetti i pittori aveva-no incluso l’ambiente tra gli elementi del suo mon-do a rappresentare. Avevano ampliato il controllo della rappresentazione includendo l’atmosfera, l’aria, come materia in grado di modulare la luce. Cercavano di rappresentare con il colore la luce che riempie lo spazio. Questo tentativo di trova-re un’adeguata articolazione della luce riflessa su tinte che potessero esprimere la ricchezza sensoria della luce atmosferica è stato lo stimo-lo per il quale gli imperessionisti si sono interes-sati a scoprire nuove basi di rappresentazione. Claude Monet e la Cattedrale di Rouen

(18)

16 La luce

I pittori scoprirono scientificamente le leggi de-lla mescolanza dei colori. Compresero che non potevano rappresentare la luminosità della luce trasmessa dall’atmosfera mescolando i colori ne-lla maniera solita, attraverso una mescolanza so-ttrattiva delle tinte. Trovarono la loro risposta ne-lle ricerche scientifiche di Chevreul e Helmholtz: il colore poteva essere mescolato sulla retina, il sistema che inventarono per creare questa mes-colanza ottica di luce colorata sulla retina consis-teva nel frantumare la superficie di colore, prima uniformemente modellata, in macchioline o linee-tte di colore, e nel combinarle in un ordine che le fondeva sulla retina in una qualità luminosa. Cioè, nell’ impressionismo il piano di colore è l’ele-mento costitutivo dell’immagine, dove attraverso le piccole macchie è evidente l’intervento umano. La rappresentazione non è più un facsimile della realtà, bensì, una interpretazione dell’ambiente in sintonia con gli apparecchi del ricettore umano.

Claude Monet Studio del portale Collezione Privata.Francia (1892)

(19)
(20)

18 La luce

Alcuni dei dipinti della serie della Cattedrale. Si osserva come la fac-ciata cambia a seconda delle condi-zioni ambientali durante la giornata.

(21)
(22)

Claude Monet, personaggio protagonista dell’im-pressionismo, è stato interessato alla rappresen-tazione di uno stesso oggetto pittorico in diversi momenti della giornata, con l’obiettivo di osserva-re i cambiamenti causati dalla luce naturale. Parti-colarmente tra i suoi lavori pìu importanti; dal 1894 Monet realizzò una serie di trenta tele dedicate alla facciata della cattedrale di Rouen; una cattedrale gotica caratterizzata per la sua eccessiva deco-razione.

Nella serie il protagonista autentico non è il mode-llo architettonico, che in questo caso è “disprez-zato” da Monet che utilizza un punto di vista mol-to vicino, in modo tale che l’architettura, a causa della quasi totale assenza di prospettiva, perde la sua grandezza ed è addirittura sezionata nelle to-rri e pinnacoli. Così l’edificio qui, non più che uno sfondo, è una “scusa”, per mostrare l’autentico protagonista della composizione: il potere della pi-ttura di rappresentare la qualità dinamica di luce e atmosfera, capace di dare vita a qualcosa di così

pietrificato ed inanimato, come l’imponente faccia-ta di una cattedrale gotica.

In queste tele ciò che l’artista cerca è la luce e l’ambiente, e come questi elementi riescono a modificare la percezione della realtà. Così egli ra-ppresenta la cattedrale in diverse ore del giorno e con diverse condizioni atmosferiche. La cattedra-le sembra smaterializzarsi, la luce ne modifica in ogni caso la percezione cromatica, così che la sua facciata cambia di ‘materia’ a seconda dell’ora del giorno.

La scelta della tavolozza riflette le tonalità diffe-renti in cui la luce del giorno tinteggia la facciata del Duomo: il blu morbido del mattino, l’ocre vivido con riflessi dorati nelle immagini in pieno sole e i marroni e i grigi delle giornate nuvolose.

Così, e per la prima volta nella storia della pittura, un artista era riuscito a rappresentare la quarta dimensione, il tempo, un risultato rivendicato da numerose avanguardie pittoriche alcuni decenni più tardi.

(23)

Con il proposito di interpretare la luce in termini di sostanza, cioè come un elemento di arredamento, e dopo diversi tentativi al momento di scegliere lo spazio giusto , la Casa Gaspar progettata dall’ar-chitetto spagnolo Alberto Campo Baeza nel 1992, caratterizzata per il suo minimalismo e la sua “ele-mentarità” in termini di arredamento, è diventato luogo ideale per fare una riflessione sulla luce. La casa si trova nella città di Cadice , molto vicino al mare. La sua localizzazione si caratterizza per la presenza costante di una forte luce naturale la maggior parte dell’anno ed è orientata in sintonia con la posizione del sole. Spazialmente si dis-tingue per essere progettata sotto la tipologia di “ortus conclusus” , rappresentata in due cortili che circondano e racchiudono gli spazi sociali e privati della casa.

L’intervento si configura attraverso un grande schermo di luce naturale. Le due facciate inter-ne di fronte ai cortili, diventano schermi di vetro cemento che producono nell’interno un effetto Claude Monet e la Cattedrale di Rouen

(24)

Studio della luce nella Casa Gaspar di Campo Baeza e scelta delle piante d’accordo al percorso della luce naturale

(25)
(26)

Prospetto e sezione. Casa Gaspar. Rappresentazione degli schermi in vetro

ce-mento e i giardini proposti nei cortili.

speciale nel momento in cui arriva direttamente la luce naturale e creano un rapporto visuale con un “intravedere”, effetto che produce il vetro ce-mento.

L’esterno si caratterizza per la progettazione di due giardini nei cortili che configurano la casa. I due giardini configurano spazialmente i percorsi e una zona di relax all’aria aperta. Questi hanno una configurazione particolare nel suo rapporto con la luce naturale. Ci sono diversi tipi di piante scelte grazie alla loro colorazione, il loro posi-zionamento dipende dal tipo di luce che colpisce alle piante. In questo senso quelle piante che sono colpite dalla luce del mattino sono caratterizzate dalle tonalità blu e porpora; invece le piante che sono colpite dalla luce del pomeriggio sono state scelte di tonalità rossa e arancione.

In questo modo quando la luce naturale, dipenden-do dal momento della giornata, arriva e colpisce quel determinato tipo di piante, queste grazie ai loro colori, riflettono una luce colorata. Il filtro di

vetro cemento che materializza la luce, deter-mina l’ambiente interno, trasformandosi in uno schermo di pixel di luce, riportando in se quell’ idea delle macchie impressionistiche fatte di co-lore e luce.

24 La luce

(27)
(28)
(29)

Particolari dello stato attuale della casa Gaspar

(30)

La maison du verre. Una machina d’abitare rivestita

di luce

LUCE E

ARCHITETTURA

In architettura la luce dovrebbe essere trattata in modo ottico, cioè, con la stessa attenzione che le dedicano gli obbiettivi delle macchine fotografiche. Se si cerca di lavorare con la luce in modo naturale, di manipolarla come fosse sostanza, è di primaria importanza, esercitare su di essa un preciso controllo (la luce) si sparge come se fosse una sostanza opalina, plasmabile e visibile,

non perche illumina le cose, ma perche diventa qualcosa di concreto. Juan Navarro Baldeweg

(31)
(32)

D’accordo alla premessa metafisica in cui la luce è il primo elemento che rende possibile la propria esistenza delle cose; lo spazio che percepiamo, per essere visibile deve essere prima luminoso; uno spazio non illuminato non ha alcuna esistenza visuale. Così come nelle arti visive, in architettura è anche possibile vedere il ruolo della luce nel suo rapporto con la progettazione dello spazio, cioè la storia dei vari modi di organizzare lo spazio (at-traverso i tagli delle finestrature, i pieni e i vuoti, i lucernai dei soffitti) dimostrando una concezione progettuale consapevole con la luce come materia. Per quanto riguarda l’architettura, la luce naturale è un fatto esterno che il progettista non può modi-ficare, ma è un elemento che può essere conside-rato materia e filo conduttore della progettazione. In questo senso l´architettura nelle sue manifesta-zioni, studia i profili e l´esposizione delle forme in ordine ad un determinato effetto di luce.

Citando Sedlmayr nel suo libro La luce nelle

mani-festazioni artistiche: “ l´oggetto specifico

dell’archi-tettura è modificare e dirigere la luce naturalmen-te data attraverso accorgimenti di diversa natura. Quasi tutte le architetture “guidano”, in modo con-sapevole o inconcon-sapevole, ma di certo più spesso consapevolmente, la luce nel buio originario degli spazi interni non ancora costruiti, secondo moda-lità definite e di volta in volta specifiche”. Secondo Sedlmayr il primo elemento ‘portatore di luce’ è stato la “porta” ruolo che oggi giocano per es-empio le tende. Per Sedlmayr, la finestra ha una importante forza simbolica nel suo rapporto con la luce. “Un numero maggiore di porte o fines-tre rende possibile un´illuminazione da più lati che non esiste in natura”.

30 La luce

Lous Kahn nel Kimbell Art museum Interno della Capella di Notre-Da-me du Haut a Ronchamp, progetta-ta da Le Corbusier nel 1950

(33)
(34)

Infatti, gli architetti hanno sempre costruito i loro edifici nello spazio luce; gli involucri si aprono e si chiudono alla radiazione luminosa ed in rapporto ad essa si caratterizzano. Ecco allora le grandi su-perfici vetrate, i curtainwalls dei grattacieli di Mies, e i tagli, le forature degli edifici di Louis Kahn. Secondo i vari tipi di involucro, si caratterizza di conseguenza anche lo spazio interno; la scelta di un certo tipo di pelle è infatti anche la scelta di una particolare luminosità. In Bruno Taut per esempio, la ricerca di atmosfere colorate porta alla realizza-zione di edifici di cristallo. In Alvar Aalto, invece, il tentativo di captare la luce e trasmetterla negli interni porta alla creazione di veri e propri dispo-sitivi tecnologici che vanno a definire l´architettura. Anche la decisione di escludere la schermatura della luce è una scelta che porta a modificare gli involucri. Pensiamo, per esempio al “ brise soleil” di Le Corbusier. Una luce più controllata e omoge-nea caratterizza gli edifici funzionali della Bauhaus che ricercano attraverso l´uniformità delle finestre

a nastro una luce bianca, senza forti contrasti. An-che lo stesso Le Corbusier nella cappella di Ron-champ nella parete sud, che è quella che riceve la maggiore insolazione, ha deciso di progettare aperture profonde di diversa misura, tronco-pira-midali, con vetri da lui disegnati che, oltre a corris-pondere alla composizione generale dell’edificio, alternassero all’interno della chiesa con il variare della luce, giochi cromatici che grazie alla sua lu-minosità inducono a pensieri spirituali . Wright, al contrario, attraverso la scelta di materiali e di colo-ri diversi tenta di condurre nei suoi interni una luce più possibile vicina a quella naturale cogliendone la variabilità luminosa.

Tra gli infiniti casi dove l’architettura ha un ra-pporto evidente con la luce, un interessante es-empio dove l´architettura dimostra essere un’ ele-mento manipolatore di luce, a Parigi, la Maison de verre, è stata progettata da Pierre Chareau per la famiglia Dalsace nel 1927.

32 La luce

(35)

Al momento di cominciare con la progettazione dell’edificio questo si trovava in stato di abban-dono e degrado, a tal punto che i proprietari e l’architetto Pierre Chareau concordarono di de-molirlo, però non è stato possibile in conseguenza del rifiuto di una proprietaria che abitava da lungo tempo al terzo piano di quell’edificio e non inten-deva abbandonare la propria abitazione. Per ques-to motivo hanno deciso insieme di demolire solo i due primi livelli. Questo inconveniente ha portato con se diversi problemi da risolvere come: il do-ver costruire una nuova dimora sotto una parte dell’edificio da conservare, senza provocare danni strutturali alle piante superiori, illuminare l’interno della nuova abitazione, che per le sue ridotte di-mensioni e per l’ubicazione – all’interno di un cor-tile- soffriva di mancanza di luce naturale. Queste esigenze portarono all’uso di una struttura meta-llica e la scelta del vetrocemento per la facciata, una novità nel campo delle abitazioni che diede alla casa il suo attuale nome.

Luce e architettura

Particolare della Maison de verre in costruzione

(36)
(37)

L´involucro in vetrocemento, oltre a dare alla casa un’immagine fortemente contemporanea, quasi in-dustriale, permette all’interno un’illuminazione na-turale a luce diffusa, garantendo allo stesso tempo privacy alla famiglia di Dalsace e ai suoi pazienti. Gli infissi metallici con vetro tradizionale, pos-ti in punpos-ti opportuni, oltre a disegnare i prospe-tti, garantiscono la ventilazione e la vista da-ll’interno verso l’esterno. Nella sera i proiettori posti all’esterno illuminano le pareti di vetroce-mento verso le quali sono puntati, permetten-do alla luce artificiale di sostituire quella solare. La Maison de verre da così la sensazio-ne di essere una sorta di gigantesca lampa-da che capta la luce, dentro la quale vivere. Il grande contributo della Maison de verre alla storia dell’architettura può intendersi secon-do tre aspetti: la standardizzazione dei suoi componenti, la trasformazione dello spazio in-terno della casa e le potenzialità espressive

dell’ involucro di vetro che cambia per gli effet-ti della luce da trasparente a traslucido, pro-vocando una diversa percezione degli spazi. Luce e architettura

Interno cortille della Maison de verre

(38)
(39)

Particolari degli interni della Maison de Verre. Nella casa il rapporto con l’esterno è limitato. Il cortile è piccolo e con poca luce dove Chareau non vuole in

nes-sun modo ripetere il rapporto della facciata parti piene/ vuote tipico della sua epoca. Per i suoi clienti sceglie di utilizzare un linguaggio completamente moderno. Crea una scatola dove la facciata è completamente di vetro cemento. Pierre Chareau è il primo archietto a utilizzare il mattone

di vetrocemento in maniera strutturale.

In uno dei casi studio per approfondire il concetto della luce e le sue interpretazioni attraverso l’ar-chitettura, la Maison de verre si manifesta come riferimento del rapporto tra luce e ambiente. In questo caso in particolare il rapporto tra lo spazio interno ed esterno è determinato attraverso una membrana di mattoni di vetro cemento. Dall’ in-terno lo spazio è caratterizzato, oltre all’arreda-mento e alla sua configurazione spaziale, da pelle di luce, che blocca la vista verso l’esterno, ma che garantisce una tenue luce filtrata durante tutta la giornata. Di notte, la membrana diventa una pelle illuminata che dall’ esterno è caratterizzata dalla sua immagine di edificio “lampada”. In uno dei tentativi proposti, essendo in uno spazio racchiu-so di dimensioni limitate, l’immagine esterna della Maison de verre è riportata a modo di schermo di luce. Questo schermo, anche in mattoni di vetro cemento, oltre ad offrire illuminazione, suggerisce l’ idea di un intravedere, cioè si ricrea una illu-sione dove si mette in dubbio il fatto di essere in

un luogo racchiuso, ed offre la percezione visuale di un paesaggio che non esiste. Pertanto il modo in cui si riconosce lo spazio è diverso grazie alla relazione con un ambiente esterno che non esiste ma che viene creato attraverso lo schermo di ve-tro cemento.

(40)

Mark L

yon

38 La luce

Vista notturna della Maison de Verre e la sua caratteristica immagine esterna come “sorgente luminosa”

(41)
(42)

La scoperta della Light art

Opere di James Turrell, Robert Irwin e Dan Flavin a Villa Panza

LUCE E

AMBIENTE

“La maggior parte delle opere d’arte visiva del futuro saranno compito del pittore della luce… avrà la conoscenza scientifica del fisico e la competenza tecnologica del ingegnere accoppiata alla sua immaginazione, alla sua intuizione creatrice e all’intensità delle sue emozioni. È diffi-cile entrare nel dettaglio per ora, ma nei futuri sperimenti, la ricerca nell’ambito della fisiologia

dell’occhio e nelle proprietà fisiche della luce giocheranno una parte importante”. Laszlo Moholy – Nagy.

(43)
(44)

L’arrivo di nuove tecnologie nell’ultimo periodo del XIX secolo e inizio del XX, ha influenzato in maniera profonda la quotidianità dell’uomo cosi come le sue espressioni artistiche. Nel 1920 dopo alcuni anni in cui gli artisti del nuovo secolo proclamavano una nuova estetica come il futu-rismo, il cubismo, il ready -made, il collage ecc., l’ungherese Laszlo Moholy-Nagy (1895–1946) e altri appartenenti alla Bauhaus influenzati dal cos-truttivismo, ricercarono nel proprio campo della luce vista come un nuovo strumento artistico. Luce e sculture in movimento sono gli elementi dell’opera Light space Modulator (1922-30) ne-lla quale dischi e griglie di metallo sono regolate attraverso un motore. Una luce diretta colpisce continuamente la scultura, producendo intorno all’opera diversi tipi di ombre e riflessi, un es-empio dove Moholy-Nagy associa la luce con l’arte cinetica, concetto che diventerà elemento base delle proposte artistiche contemporanee. Il movimento, dopo di essere interrotto con l’arrivo

della seconda guerra mondiale, appare nuovamen-te negli anni sessanta principalmennuovamen-te con gli innuovamen-ter- inter-venti di Yves Klein, Jean Tinguely e Lucio Fontana, quest’ultimo uno dei personaggi più rappresentativi. L’arte della luce come abbiamo visto ha una storia modesta, e se possiamo dire ‘recente’; le proposte

42 La luce Luce spaziale Lucio Fontana Triennale di Milano 1951

(45)
(46)

prima menzionate, sono state i primi interventi in cui la luce non è il risultato dell’ interpretazione dell’ artista, bensì, la luce è stata rappresentata come materia prima con cui l’opera è stata realizzata. Nel 1963, alla Green Gallery di New York, Dan Flavin esibisce la sua prima mostra. In questo momento ben pochi artisti, oltre a lui, sono stati così identificati con l’uso di una particolare tec-nica artistica, in questo caso i tubi fluorescenti colorati. Flavin descrive le sue sculture luminose come delle “proposte strutturali”, le cui forme e colori si relazionano allo spazio in cui sono collo-cate. L’artista utilizza pochi colori base, li mescola affiancando neon di lunghezze diverse e lascia allo spazio minimo tra i tubi il compito di creare tonali-tà complementari, giocando sia con la percezione visiva dello spettatore che con le leggi fisiche della luce. Alla fine degli anni sessanta a Los Angeles, California, artisti come James Turrel, Robert Irwin, Dowg Wheeler, e Bruce Nauman, crearono, cosí

44 La luce

Douglas Wheeler , Doug Wheeler DW 68 VEN MCASD 11,

(47)

come Flavin, un nuovo modo di fare arte, attra-verso nuovi mezzi artistici per creare ambienti e installazioni di luce focalizzati sulle percezio-ni sensoriali. Questa corrente d’arte califorpercezio-nia- california-na fu definita come Light space and movement. Se teniamo in considerazione che questi ar-tisti sono gli esponenti e precursori del Light art, intesa come espressione artistica in cui la luce è stata utilizzata come materia prima ne-lla sua accezione di fenomeno propriamente fisico; la collezione di Giuseppe Panza di Biu-mo è une delle più importanti del arte contem-poranea e soprattutto nel mondo della light art. Giuseppe Panza di Biumo, (1923 – 2010) ha ini-ziato la sua collezione d’arte contemporanea da-lla seconda metà del XX secolo con opere di A. Tàpies e J. Fautrier, rivolgendosi poi all’espressio-nismo astratto (F. Kline, M. Rothko) e alla pop art (R. Lichtenstein, C. Oldenburg, R. Rauschenberg,

J. Rosenquist, G. Segal). Successivamente ha ri-volto la sua attenzione prevalentemente al mini-malismo (D. Flavin, D. Judd, S. LeWitt, R. Morris, R. Serra, ecc.), all’arte concettuale (R. Barry, J. Dibbets, J. Kosuth, ecc.) e all’arte ambientale di artisti californiani come Robert Irwin (n. 1928), Maria Nordman (n. 1943), James Turrell (n. 1943), Doug Wheeler (n. 1940), ai quali ha fatto eseguire (1973-76) installazioni permanenti nella settecen-tesca Villa di Biumo presso Varese, dove la sua collezione era presentata a rotazione. Nel 1983 il Museum of Contemporary art (MOCA) di Los Angeles ha acquistato le opere di espressionis-mo astratto e pop art, che sono divenute il nu-cleo iniziale della collezione del museo con 80 opere degli anni cinquanta e sessanta e circa di 70 lavori di 10 artisti californiani degli anni ottanta e Novanta. Dal 1987, oltre a nuove opere di arte ambientale sono entrati a far parte della collezio-ne numerosi lavori di giovani artisti statunitensi ed europei. Tra il 1990 e il 1992, 650 opere di arte Luce e ambiente

(48)

minimalista, concettuale e ambientale sono con-fluite nella Solomon R. Guggenheim Foundation di New York; al 1993 risale una nuova donazione al Museum of contemporary art di Los Angeles; negli anni1994-95 il collezionista ha donato circa 200 opere di 18 artisti americani ed europei degli anni Ottanta e Novanta al Museo cantonale d’ar-te di Lugano; Nel 1996 la Villa di Biumo, insieme ad un consistente nucleo di opere rappresentative della collezione, è stata donata al Fondo per l’am-biente italiano (FAI) con 137 opere, in gran par-te eseguipar-te da artisti americani tra gli anni Ses-santa e Novanta, che nel 2000 apre al pubblico. Al Palazzo Ducale di Gubbio sono state in co-modato 50 opere degli anni Ottanta e

Novan-46 La luce

Robert Rauschenberg Coca - Cola (1958) MOCA - Los Angeles Collezione Panza Veduta giardino Villa Panza

(49)
(50)

ta, dal dicembre 1998 fino al 2003. Al Pa-lazzo Ducale di Sassuolo sono state date in comodato 37 opere di grandi dimensioni dall’es-tate del 2001 fino al 2011. Al museo d’arte mo-derna di Rovereto in comodato 70 opere dall’ini-zio del 2002, a completamento del nuovo museo. Per quanto riguarda le opere d’arte ambientale che si conservano a Villa Panza, Dan Flavin, James Turrell e Robert Irwin sono gli artisti protagonisti; le opere di queste artisti si trovano nella deno-minata ala dei Rustici della villa; dove il percorso museale in questa area comincia con opere da-ll’artista Dan Flavin. Così descriveva il collezionis-ta la sua raccolcollezionis-ta d’opere di Dan Flavin, Robert Irwin e James Turrell: “Nell’ala dei Rustici si trova

la più grande raccolta di installazioni permanenti di Dan Flavin, l’artista americano morto nel 1996, realizzate esclusivamente con tubi fluorescenti di produzione industriale. Il primo gruppo di stanze si affaccia su di una Galleria, volutamente

lascia-ta priva di opere e di fonti di illuminazione arti-ficiale. Successivamente si entra negli ambienti, predisposti negli anni Settanta, che si aprono sul Varese Corridor. Dan Flavin ( Jamaica, New York – New York city, 1933 -1996) è stato l’artista precursore dell’uso della luce, le sue prime opere sono del 1963. Viveva e lavorava a New York. Si differenza sostanzialmente del gruppo di Los An-geles in quanto usa solamente la luce artificiale, prodotta da un manufatto di produzione indus-triale e di uso comune: la lampada fluorescente…. A Biumo vi è un’opera di Irwin che consiste in un’apertura che guarda verso l’esterno, dove si

48 La luce Varese corridor Dan Flavin Villa Panza 1976

(51)
(52)
(53)

La luce e ambiente

Particolari del corridoio nell’ala dei rustici a Villa Panza con l’opera Varese Corridor spenta.

(54)

vede la vita della vegetazione; il cielo e la luce che si riflette sui muri che dividono la stanza, bian-ca è vuota, creano una situazione dove la nostra presenza acquista un significato diverso da quello abituale; diventiamo consapevoli della nostra vera natura, diversa da quella coinvolta nelle necessità quotidiane. Sempre a Biumo vi è anche un lungo corridoio diviso a metà da un velario; a prima vista esso sembra la continuazione del muro, qualcosa di solido. Guardando con più attenzione si vedo-no ombre penetrare attraverso il velario. Il ‘muro’ diventa quindi trasparente, quasi inesistente. È la relatività delle nostre impressioni, dei nostri giudizi che si dissolvono a una più profonda conoscenza. Diventa una immagine del nostro desiderio di an-dare otre il limite invalicabile. Non vi è una certez-za definitiva. Vi è sempre qualcosa di più vero… In quanto le opere di James Turrell: “In questo modo sono state realizzate dall’artista tre stanze: una con la visione del cielo attraver-so la lunetta in fondo al corridoio del primo piano.

52 La luce

(55)

Adiacente su lato sinistro vi è la stanza quadrata con l’apertura zenitale e, prima, sempre a sinistra la stanza rettangolare con un lucernario che rice-ve la luce del giorno corretta da alcune lampade fluorescenti debolmente colorate. In questa terza stanza protagonista è la luce e non il cielo. Per Tu-rrell questa distinzione è inesistente: luce e cielo sono la stessa cosa. L’artista è un manipolatore della luce naturale come quella artificiale, entram-be sono una emissione di pura energia. Ma vi è una grande differenza: la luce artificiale ha una unica o poche lunghezze d’onda e quindi un solo colore o pochi colori, quella diurna una grande ricchezza di lunghezze d’onda quindi di colori, che noi vedia-mo biacchi. Per questa ragione la luce è la cosa più bella esistente in natura e, secondo la teoria della relatività di Einstein, creatrice della mate-ria. Non è un caso se le opere de James Turrell sono un mondo di vedere la natura nella sua realtà più assoluta: il cielo e la luce. Entrambi manifes-tazioni dell’esistenza dell’universo che si perde

La luce e ambiente

Varese Scrim Robert Irwin 1973

Solomon R. Guggenheim Museum, New York,

Panza Collection

(56)

54 La luce

nel mistero del suo inizio; la grande esplosio-ne che ha creato il tutto. Pura eesplosio-nergia senza forma che ha creato una quantità di innume-revole di forme. L’incognita dell’esistenza.”...

Virga James Turrel 1974

Solomon R. Guggenheim Museum, New York,

Panza Collection

(57)

- De Ponte, S., 1996. Architetture di luce: luminoso e sublime notturno nelle discipline progettuali e di produzione estetica. Gangemi.

- Bisson, M., Boeri, C. and Calabi, D., 2009. Light art. Maggioli Editore. - Kepes, G. and Chiaia, F.R., 1990. Il Linguaggio Della Visione. Deda - Sedlmayr, H., 2009. La luce nelle sue manifestazioni artistiche. Aesthetica. - Katz, D., 1999. The World of Colour. Routledge.

- Dell’Osso, R., 2008. L’architettura della villa. Maggioli Editore.

- Magnifico, M., Dina, L.B. and Fondo per l’ambiente italiano, 2000. Villa Menafoglio Litta Panza e la collezione

(58)
(59)

CAPIToLO 2

ARREDAMENTO

(60)

Carlo Scarpa - E. Gombrich e Le Corbusier

CONSIDERAZIONI SULL’

ARREDAMENTO

“Gli arredi sono necessari, da cui il corollario: avere cura degli arredi, della loro conservazione e, soprattutto, della bellezza, cosa questa che mi pare un imperativo categorico per la nostra professione. Così come si provvede alla necessità, mi pare molto logico provvedere

alla bellezza, un fatto, questo, insito negli uomini sin dalle origini.” Carlo Scarpa

(61)

Se pensiamo all’arredamento in termini di ‘mate-ria prima’ dell’ Interior design, lo studio dell’arre-do è fondamentale per sviluppare il nostro proge-tto professionale. D’accordo al mio interesse per avere questo tipo di approccio, il laboratorio di sin-tesi finale è stato l’occasione nel mio percorso for-mativo di approfondire su questo tema attraverso diversi punti di vista d’illustri personaggi del mon-do dell’arte, l’architettura e il design che posterior-mente diventeranno la base del mio lavoro di tesi. “Avere Cura”: Sono state le parole chiave nel pri-mo approccio nel significato della parola “arre-dare”. Carlo Scarpa nella sua Lectio Magistralis intitolata “arredare” sceglie di consultare il vecchio vocabolario della Crusca per avvicinarsi al signifi-cato della parola arredo: “provvedere il necessa-rio” . Nello stesso senso il dizionario etimologico italiano di Battisti aggiunge che la parola “arreda-mento” deriva dal gotico “garedàm” che vuol dire “avere cura” e dallo spagnolo “arrear” che vuol Considerazioni sull’arredamento

(62)

dire “adornare”. In base a queste definizioni, pos-siamo affermare che arredare comprende prima ‘il principio di necessità’ , la seconda definizione aggiunge il valore della cura sugli arredi, e la ter-za, la decorazione; in parole del proprio Scarpa si intende per arredare l’ “avere cura degli arredi, della loro conservazione e soprattutto, della be-llezza”, questo ultimo valore, secondo Scarpa, di categorica importanza per la nostra professione. Da un’altra parte, e per aggiungere un approc-cio diverso nella nostra analisi del significato de-lla parola arredare, questo termine viene inter-pretato in termini di ordine. Se prendiamo ora in considerazione l’arredamento come un termine affine ad un atto decorativo questo può esse-re studiato attraverso infinte struttuesse-re d’ordine. E. Gombrich, nel suo libro Il senso del

ordi-ne, presenta un’ampia gamma di opere in cui

si rispecchia l’istinto umano nella sua ricerca

Esempio di Ordine “Patchwork” I ricami di frasi incasellate con Ordi-ne-Disordine di lettere dell’alfabeto in

griglie quadrate.

60 Arredamento

(63)
(64)

62 Arredamento

(65)

di ordine e ritmo nello spazio tempo, la dispo-sizione degli elementi dell’arte decorativa di ogni tempo e di ogni parte del mondo è - secon-do Gombrich - il bisogno di “ordine” o meglio di “regolarità” che è innato nella natura umana. È perciò lo studio della psicologia dell’ar-te decorativa che consendell’ar-te di individuare le leggi comuni che governano questo cam-po e i suoi rapcam-porti con le arti figurative. Di conseguenza possiamo affermare che la deco-razione è un’espressione astratta di un ordine e che ogni cultura ha il suo tipo d’ordine ed e pos-sibile studiarle attraverso i loro sistemi decorativi. Per introdurre nell’ambito progettuale ques-to tipo di definizione su arredamenques-to nel suo rapporto con la decorazione, nel laborato-rio di sintesi abbiamo progettato un pavimen-to d’accordo a tre nozioni d’ordine diverse: il patchwork, disordine sottile e il territorio.

Particolare pavimento di Carlo Scarpa del negozio Olivetti a Venezia. Esempio

(66)
(67)

Rythme Coloré (Colored Rhythm), Sonia Delaunay - 1946. La assenza di cornice richiama ad un mondo più avanti della

rappresenta-zione attuale. Esempio del concetto d’ordine “Territorio”

Considerazioni sull’arredamento

Contrariamente a quello che si può intendere de-ll’arredamento in termini di decorazione la teoria lecorbusiana dichiara che l’arte decorativa moder-na non comporta nessun tipo di decorazione, anzi, che la decorazione non è necessaria alla nostra esistenza.

Per Le Corbusier l’arte è l’unica necessaria per la sua condizione di “passione disinteressata che ci eleva”. Le arti decorative d’accordo con la sua interpretazione, devono corrispondere a “bisogni utilitari”, cioè, quello che chiamiamo arredamen-to è soltanarredamen-to un gruppo di “attrezzi” che devono corrispondere unicamente ad una funzione tipo, cioè una funzione standard, in corrispondenza ai bisogni-tipo dell’essere umano.

Secondo LC tutti i bisogni sono standard, cioè tutti abbiamo gli stessi bisogni: “tutti abbiamo bisog-no di completare le bisog-nostre capacità naturali con elementi di rinforzo, perché la natura è

differen-te, inumana (extra umana) e inclemendifferen-te, nascia-mo nudi e non protetti a sufficienza. Gli oggetti membra-umane sono oggetti- tipo, rispondenti a bisogni - tipo: sedie per sedersi, tavole per lavora-re, lampade per far luce, macchine per scrivere , casellari per incarcerare.”

(68)

In corrispondenza alla standardizzazione dei bi-sogni dell’essere umano, gli “atrezzi” devono es-sere oggetti -tipo ed eses-sere prodotti per l’indus-tria. Dice Le Corbusier : “ Con procedere dei tempi l’industria produce oggetti di funzionalità e utilità perfette, il cui lusso autentico – godimento dello spirito – emana dall’eleganza della concezio-ne, dalla semplicità dell’ esecuzione e dall’ effica-cia delle prestazioni.”

L’arte decorativa per Le Corbusier “non è solo che attrezzatura, attrezzatura ma bella”. D’accordo alla sua logica l’oggetto di arredamento deve essere concepito in corrispondenza alla sua funzione, l’oggetto ideato dalla logica decorativa è

conside-rato da Le Corbusier banale e superfluo. Padiglione dell’esprit nouveau

Le Corbusier. 1925 Il padiglione è una sintesi delle proposte operative

di LC che si basano su tre principali idee: 1) lo standard; 2) il mobile e l’utensile considerati come membra artificiali; 3) la nuova tecnica.

66 Arredamento

(69)
(70)

La E-1027, un capolavoro del “avere cura”

ARREDARE CON L’OGGETTO

EILEEN GRAY

68

“La casa non è una machine à habiter. È il guscio dell’uomo, sua estensione, sollievo, emana-zione spirituale. Non solo l’armonia visiva dell’edificio ma l’intera sua organizzaemana-zione, tutti i suoi termini devono contribuire a renderlo umano nell’accezione più profonda del termine”.

(71)
(72)

Grazie alle considerazioni sull’ arredamento es-presse nel capitolo anteriore possiamo catalo-gare al lavoro di Eileen Gray alla E – 1027 come un capolavoro dell’ “avere cura”. L’accuratissimo lavoro della Gray nella sua casa a Roquebrune Cap Martin è la dimostrazione di come arredare uno spazio può considerarsi in termini dell’avere cura, innanzitutto in questo caso particolare attraverso oggetti d’arredamento di qualità eccezionale. Gray, influenzata da Jean Badovici, direttore della rivista L’architecture vivante e Le Corbusier d’ini-ziare ad esplorare le sue capacità come architet-to, comincia il progetto della sua dimora insieme a Badovici, nel 1926 in un luogo scelto per loro due affacciato sul mediterraneo nella penisola di Saint Tropez.

Durante i mesi di preparazione del progetto, Gray studiò l’orografia del terreno, il percorso del sole e l’insistenza dei venti, affinché tutti questi elementi facessero parte del progetto stesso, come veri e

E-1027. Roquebrune Cap Martin 1926 -29.Piante primo piano e piano terra.

70 Arredamento

(73)
(74)
(75)

propri “materiali” dell’architettura. Aspirando ad infondere nella modesta casa al mare una sensa-zione di confort e sensualità attraverso l’integra-zione totale di architettura, mobilio e tappeti, Gray affrontò i “cinque punti” di Le Corbusier da una prospettiva critica, per esempio sovrapponendo ai frangisole tendaggi scorrevoli, in ossequio alla tradizione mediterranea, o appoggiando la strut-tura in cemento armato su una griglia di pilastri flessibili, adatta alla gerarchia spaziale della casa. Gli armadi erano nascosti nelle pareti, altri mobili invece aggettavano, come a sfidare la distinzione lecorbusiana tra architettura e arredo.

La gerarchia spaziale riflette invece il gusto di Ba-dovici per la mondanità: sul livello principale, una living room aperto destinato ad accogliere gli os-piti, e una zona più privata per dormire, vestirsi, lavorare; vicino all’ingresso principale una cucina indipendente, adiacente ad uno spazio per la cuci-na all’aperto; ucuci-na camera per gli ospiti e un piccolo appartamento per la domestica al piano inferiore. Eileen Gray - E-1027

(76)

Integrando architettura e arredamento, Gray rende gli spazi quanto più possibile polifunzionali. Il so-ggiorno, affacciato su uno stretto balcone, è con-cepito come una loggia e dotato di porte - finestre verticali che si potevano aprire completamente al sole e al panorama. Dall’ingresso, un divisorio accessoriato con scaffali, appendiabiti e portaom-brelli impedisce la piena visuale del volume, la cui pluralità d’uso è ribadita da un’alcova con annessi doccia e vestibolo nell’angolo opposto della stanza e da un analogo spazio per il pranzo vicino alla scala.

La pianta contiene una minuziosa indicazione degli arredi che nell’opera di Gray sono parte integrante della casa, vere e proprie macchine “danzanti” che ruotano, si trasformano, scorrono, si racchiudono in se stesse, si nascondono all’interno di un muro. Molti arredi sono invece semplicemente trasporta-bili; un piccolo tavolo può essere usato per servire il tè in soggiorno o un bicchiere di vino in terrazza.

74 Arredamento

(77)
(78)
(79)

L’uso degli arredi come elemento del progetto, il modo di concepire lo spazio attraverso il detta-glio, rivela Eileen come un vero e proprio pioniere dell’architettura moderna che, in questo progetto, considerato la sua opera omnia, mostra tutti gli as-petti della “modernità” del suo tempo.

Gray concepiva la casa e il suo arredo mostran-do un atteggiamento nei confronti del progetto assolutamente differente da quello degli architetti a lei contemporanei che, pur operando similmen-te, non avevano la stessa attenzione al dettaglio. L’elemento di arredo diventava per loro un futuro prodotto seriale mentre Eileen, assumeva un at-teggiamento di tipo “artigianale”.

E-1027. Roquebrune Cap Martin Destra: camera da letto Sopra: particolari sala da pranzo

(80)

L’ oggetto d’arredamento divenuto architettura

ARREDARE CON L’AMBIENTE

IL CABANON

LE CORBUSIER

78

Ecco l’archetipo della casa: essa qualifica l’uomo: un creatore di geometrie, egli non saprebbe agire senza la geometria, Egli è esatto. Non un pezzo di legno nella sua forma e nella sua forza,

nessuna giunta senza una funzione precisa. L’uomo è economo. La casa- tipo è la summa dell’economia. Nella geometria, la modularità ( ordonnance) sottolinea la nobiltà e la bellezza.

Un giorno questo luogo non sarà come il Pantheon dedicato agli dei?. Le Corbusier, 1928.

(81)
(82)
(83)

Sempre a Roquebrune ed affianco alla casa E-1027 progettata da Eileen Gray, con un pensiero opposto dell’architettura e l’arredamento, Le Cor-busier progetta e costruisce il suo Cabanon tra il 1951-52.

Il progetto è avvenuto in tre quarti d’ora sull’ango-lo di un tavosull’ango-lo dell’Étoile de Mer, come regasull’ango-lo alla moglie per il suo compleanno, senza nessuna mo-difica successiva. Una volta ricostruito, attraverso i primi disegni e quelli elaborati successivamente, il processo progettuale appare più lungo e com-plesso di quanto dichiara il maestro e ha origine dal progressivo dimensionamento degli arredi es-senziali. Ogni elemento oltre a svolgere la propria funzione, acquisisce un compito di organizzazione spaziale come superficie o come parete.

Gli studi separati degli elementi che faranno par-te della composizione del Cabanon sono affrontati secondo due linee: la prima tende ad

omogeneiz-Cabanon. Roquebrune Cap Martin Destra: Particolare letto. Sopra: Piano del sito 1. Unità di campeggio

(84)

zare i criteri di concezione per categorie ( i mobili, i dettagli costruttivi); la seconda tende ad indivi-duare gli elementi dando loro un carattere plasti-co e policromo partiplasti-colare. Gli elementi dell’arre-damento – sedie, tavoli, letti… - sono componenti essenziali nell’organizzazione dello spazio interno. LC ha affrontato il loro studio già delle fasi preli-minari del progetto determinando a grande linee i loro caratteri formali, le dimensioni e il loro po-sizionamento. Questa nuova fase del progetto lo vede concepire i mobili in modo da raggiugere la completa integrazione nell’architettura del Ca-banon. Questo lo porta a infrangere le abitudini convenzionali dell’arredamento. Non cerca di dare carattere, identità propria a ciascun mobile secon-do le loro funzioni, ma si da una ricerca sistema-tica attraverso il disegno e il modulo di ricorrenze formali e dimensionali tra il mobile, che ridotto allo stato di superficie e di volume, perde la sua specificità tradizionale e diventa parte dello stesso universo formale del suo contorno architettonico.

Contemporaneamente, LC affronta sistematica-mente la questione del dettaglio. Nel passaggio a uno studio dei problemi di dettaglio a scala mag-giore, tende essenzialmente ad allontanare qual-siasi fattore di complicazione delle forme.

Nel Cabanon, non solo gli elementi fissi su misura, ma anche altri elementi tradizionalmente mobili sono concepiti come scatole pesanti.

La cassa del letto da 70 cm a struttura geometrico – ortogonale è difficile da muovere; per i tali visibili è stato fatto ricorso a del solido legno di castag-no, mentre per il retro e per la parte superiore, entrambi invisibili, è stato scelto il compensato. La struttura del letto contiene due grandi cassetti lignei montati su guide scorrevoli, che possono es-sere usati per riporvi lenzuola e coperte.

Su di essi si possono osservare le maniglie di

leg-Cabanon. Particolare interno

82 Arredamento

(85)
(86)
(87)

no scultoree che erano state da poco concepite per L’Unitè d’Habitation di Marsiglia. Un profilo lig-neo triangolare in fondo al letto, tiene in posizione il materasso di gommapiuma della Dunlopillo, da 190 x 70 cm, mentre al capo opposto del letto, il materasso viene ancorato ai supporti metallici di un poggiatesta in castagno – vera e propria piè-ce de résistanpiè-ce di tutti i letti di Le Corbusier fin dagli anni 30’, che si ispira direttamente ai triclini antichi.

La cassapanca, posta su supporti mobili, che ser-ve al contempo da comodino e da tavolino per il soggiorno, è anch’essa di forma scatolare. Gli ele-menti che formano il retro, i lati e il top, di solido aspetto, sono , al contrario del caso del letto, uniti fra loro da incastri a coda di rondine in modo ar-tigianale. Il panello che forma il retro e la porta ribaltabile con la sua maniglia lignea s’inserisco-no a filo del telaio circostante. La larghezza de-ll’elemento, dalla base quadrata, corrisponde alla larghezza del letto e della finestra di ventilazione Le Corbusier - Cabanon

(88)
(89)

del tronco tagliate di testa; mentre sul lato stanza poggia su di un’unica gamba di legno leggermente conica, convessa davanti e concava sul retro. Adiacente al tavolo troviamo una libreria della stessa altezza, e sopra questa, a 123 cm di altezza, un’asse sulla quale Le Corbusier era solito mettere in mostra le ultime scoperte.

Il rivestimento di compensato che copre l’interno del Cabanon, attraverso la porta che immette nel corridoio d’ingresso, in comunicazione con l’Étoile de Mer, è un’unica superficie interattiva. Essa os-pita diverse mensole, scaffali, aperture e lampade che si inseriscono seguendo la griglia definita dei pannelli di compensato. Il muro esterno dell‘Étoile de Mer, su cui poggia il Cabanon, fu decorato du-rante il 1952/53 con un vivace murale policromo, che ora appare come una presenza ben visibile all’interno del Cabanon, contribuendo a farne una sorta di “opera d’arte totale”.

posta sul lato superiore del Cabanon.

L’altezza del celebre tabouret riprende quella della cassettiera (43cm) e segue la stessa idea costru-ttiva, ad eccezione del fatto che i panelli posti sul retro e sul fronte non sono ad incastro, ma sono fissati sulla struttura. Ogni lato presenta un foro oblungo, che funge da maniglia. Questo elemento d’arredo può essere indifferentemente messo in verticale o in orizzontale, in modo da potersene servire come seduta o come scaletta, il che riman-da la mente alle scatole che riman-da tempo immemore utilizzano pittori, scultori e vetrai. Si tratta quin-di quin-di un object- type , nell’accezione del termine data dallo stesso Le Corbusier nel periodo purista, qualcosa di scoperto, più che il risultato di un pro-cesso di design.

Il tavolo su misura è l’unico elemento dell’arre-damento che si scosti dal principio di ricorrere a forme cubiche elementari. La superficie del tavolo, vista in pianta, ha una forma romboidale, ed è ri-coperta da un mosaico di legno di noce con libre

(90)

Cabanon. Roquebrune Cap Martin Particolari del interno e degli elementi di arredamento come la cassa del letto, il celebre tabouret la biblioteca affianco al tavolo e il lavabo

(91)

BIBLIOGRAFIA

- Gombrich, E.H.J. and Pedio, R., 1984. Il senso dell’ordine. Einaudi. - Maggio, F., 2011. Eileen Gray. Interpretazioni grafiche. Franco Angeli. - Nicolin, P., 2005. Entrez Lentement. Editoriale Lotus.

- Alison, F. and Corbusier, L., 2006. Le Corbusier. L’interno del Cabanon. Le Corbusier 1952-Cassina 2006. Catalogo della mostra (Milano, 5 aprile-6 giugno 2006). Ediz. italiana e inglese: Triennale Electa.

(92)
(93)

CAPIToLO 3

IL PADIGLIONE

(94)

Villa Panza : punto d’incontro tra luce e arredamento.

LUCE - AMBIENTE

OGGETTO - LUCE

92

“Creo e trasformo lo spazio in virtù di come la luce vi entra e di come nello spazio è percepita. Lo spazio si trasforma a seconda di dove cade la luce e come questo

cos-truirsi è in relazione con noi” James Turrell

(95)

Prima di cominciare ad approfondire gli argomenti in questo capitolo, considero importante fare un breve riassunto degli argomenti trattati fino a questo punto nel elaborato di tesi; il primo capitolo studia diverse considerazioni sulla luce in relazio-ne all’arte e all’architettura, attraverso lo studio di differenti opere d’arte e architettoniche: i dipinti impressionisti della Cattedrale di Rouen di Claude Monet, la Maison Verre progettata da Pierre Cha-reau e le opere d’arte ambientale di Dan Flavin, Robert Irwin e James Turrell a Villa Panza. Il se-condo capitolo, possiamo considerarlo un insieme di argomenti sul significato di arredare, (soggetto

(96)

94 Il padiglione

caratterizza lo spazio della sua casa con l’oggetto d’arredamento, in modo da offrire una sensazione tra l’incanto e il confort.

Siamo sempre in confronto tra due tematiche diverse; l’arredamento e la luce. L’arredamento come strumento e la luce come materia.

Tematiche che attraverso questo percorso hanno uno spazio in comune: Villa Panza.

Villa Menafoglio Litta Panza situata a Varese, è costruita nella metà del XVIII secolo, ospita come abbiamo già visto, gran parte di una delle più im-portanti collezioni d’arte contemporanea, grazie all’interesse del suo proprietario il conte Giuse-ppe Panza di Biumo dal 1956, un appassionato dell’arte che a partire da quel momento cominciò una delle raccolte più importanti d’arte contem-poranea.

Tra le diverse opere contenute nel museo quelle di nostro interesse sono le opere ambientali di Dan Flavin, Robert Irwin e James Turrell.

(97)

In primo luogo, abbiamo studiato il lavoro di Dan Flavin. Artista americano, uno dei precursori della “light art”, cioè, del gruppo di artisti che utilizzano la luce come materia prima nella realizzazione de-lle loro opere d’arte. Nel loro caso la caratteristica principale delle opere oltre ad essere la luce è proprio la sorgente luminosa : la lampada fluores-cente colorata. Un elemento di carattere industria-le tramite il quaindustria-le l’artista trasforma gli ambienti in cui inserisce le sue opere. Se vogliamo tradurre questa ‘particolarità progettuale’ in cui, l’oggetto (in questo caso la sorgente luminosa) è la materia con cui si realizza l’opera, e oltre a questo

diven-rizzato anche per le sue opere di luce, ma una luce naturale, che si trasforma a seconda del passare delle ore, una luce zenitale che si trasforma in cie-lo. Come artista della luce, Turrell la manipola attraverso l’ambiente e propriamente con l’archi-tettura della villa tramite lucernari ed aperture, che permettono l’ingresso della luce che occupa e trasforma l’ambiente in un ambiente fatto sol-tanto di luce. Con le caratteristiche prima citate, il lavoro di James Turrell a Villa Panza è coerente con il lavoro di Le Corbusier nel suo Cabanon; loro condividono il modo di lavorare con l’ambiente per creare delle opere d’arte totali; in cui è

(98)

indissolu-96 Il padiglione

(99)

Destra: Untitled 1/3 Dan Flavin Collezione Panza 1987 Sinistra: Poltron Bibendum Eilenn Gray 1929

(100)

98 Il padiglione

Skyspace I James Turrell Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Panza Collection, Gift, in prestito permanente al FAI

(101)

Luce - oggetto - ambiente

Cabanon Le Corbusier

Roquebrune Cap Martin 1952

(102)

Una struttura architettonica provvisoria in funzione delle nuove

manifestazioni museali.

SERPENTINE

GALLERY

PAVILLION

100

Questi padiglioni, costruiti con relativamente poco denaro, sono di una qualità incredibile. Non saprei indicarne uno che mi sia piaciuto più degku altri: sono tutti capolavori.

(103)

Dal 2000, la Serpentine Gallery, situata nei giardini di Kensin-gton di Londra, invita alcuni degli architetti più rinominati del mondo a progettare padiglioni stivi, ossia strutture provvisorie che vengono erette accanto alla galleria per un periodo di tre mesi. Costruita nel 1934 come padiglione per il tè, nel 1970 la Serpentine Gallery è diventata una vetrina per mostre di artis-ti moderni e contemporanei, da Matthew Barney a Dan Flavin, a Ellsworth Kelley, a Louise Bourgeois e Rachel Whiteread. I padiglioni del programma ideato nel 2000 dalla direttrice della Serpentine, Julia Peyton – Njones, sono opera di architetti inter-nazionali o gruppi di designer che, all’epoca dell’invito della Ser-pentine, non avevano ancora ultimato neppure una costruzione in Inghilterra. Tra l’invito e il completamento dell’opera devono passare al massimo sei mesi. Questo programma di architettura unico al mondo attira alla Serpentine fino a 250.000 visitatori ogni estate. Il padiglione della Serpentine appare infatti regolar-mente tra le cinque principali mostre di disegno e di architettura al mondo nel sondaggio annuale svolto da The Art Newspaper sull’affluenza di pubblico nei musei e nelle grandi gallerie d’arte.

(104)

102 Il padiglione

La sua è una pensilina dalle forme leggere e piegate che scende fino a toccare il prato.

2000

Libeskind realizò un padiglione dalle linee spezzate e discontinue realizza-to con una lastra di metallo piegarealizza-to che trae ispirazione dagli origami gia-pponesi.

2001

2002

Toyo Ito realizza un parallelepipedo con parti piene, realizzate con pan-nelli di alluminio verniciato di bianco e vetro trasparente. All’interno, uno spazio flessibile da utilizzare come luogo di convivialità, caffè e spazio per mostre.

2003

Oscar Niemeyer. Il suo è un piccolo edificio appoggiato su colonne e con travi di metallo di 8m che reggono un tetto in cemento armato dalla for-ma parabolica che appare come una nave sospesa sul prato di Kensington, mentre una passerella rossa conduce all’interno della galleria.

(105)

La Serpentine Gallery

2005

Il 2005 è l’anno di due grandi archi-tetti portoghesi: Alvaro Siza Viera & Eduardo Soto De Moura. La loro è una struttura in legno composta da travature coperte da lastre in

policar-2006

Rem Koolhaas e Cecil Balmond reali-zzano un uovo cosmico. Il padiglione appare come un enorme pallone bian-co di tela di poliestere (una mongolfie-ra) e una cupola, un uovo gonfiato con

2007

Il lavoro del 2007 è di Olafur Eliasson e Kjetil Thorsen: un padiglione dallo scheletro in acciaio rivestito in pannelli di compensato verniciato e con una rampa a spirale che trasporta i

visita-2008

Frank Gehry, che progetta una via di collegamento tra il parco e l’edificio permanente della galleria. È spazio aperto: due file di spalti paralleli limita-no la via coperta da tettoie di vetro che

(106)

104 Il padiglione

Il 2009 è la volta dello studio gia-pponese Sanaa, con un’altra donna, Kazuyo Sejima. Il suo è un esile tetto galleggiante in alluminio retto da so-ttili colonne in metallo: la copertura a specchio riflette il prato e i visitatori e capovolge l’immagine di ogni cosa in un gioco continuo di rimandi.

2009

Jean Nouvel nel 2010 realizza un padiglione dall’immagine potente e dirompente, un’architettura che comu-nica con forza e in maniera eloquente la propria autonomia, s’impone con un forte contrasto rispetto al luogo in cui sorge, non foss’altro per quel vivace color rosso fuoco che lo caratterizza e per un’altezza di 12 m.

2010

2011

Peter Zumtor, nel 2011, ha voluto rea-lizzare uno spazio intimo di raccolta e contemplazione che invita alla rifles-sione. Come un chiostro di un monas-tero laico e moderno.

Il nuovo padiglione è letteralmente nel parco, scavato nel terreno per una profondità di cinque metri e protetto da una piattaforma circolare posta ad un metro e quaranta di altezza dal suolo. Spazio galleggiante appoggiato a dodi-ci colonne, tante quante le edizioni de-lla manifestazione sino ad oggi, il tetto è ricoperto da uno specchio d’acqua che riflette il cielo mutevole di Londra e potrà essere svuotato per ospitare eventi o semplicemente per potersi sdraiare o ballare.

(107)

La Serpentine Gallery

Da sempre ispirata dall’apparenza flessibile delle strutture organiche, l’estetica di Fujimoto è focalizzata sulla capacità di fondere in un singolo spa-zio sia l’elemento artificiale che quello

(108)

Il luogo, disegni tecnici, e immagine del progetto

IL PADIGLIONE

LUCE

106

Il padiglione di Villa Panza è un’interpretazione dell’ arredamento e la luce attraverso una funzione contemporanea del museo.

(109)
(110)

108 Il padiglione

(111)

Il luogo

Il padiglione si localizza nell’area di fronte ai giardini della Villa e si estende orizzontalmente, conservando il rapporto con gli elementi esterni, come il bellissimo pergolato naturale di fronte al padiglione. La sua localizzazione est –ovest de-termina il suo rapporto con la luce naturale, ed

(112)

Veduta aerea della villa e posizione del Padilgione

(113)
(114)

112 Il padiglione

(115)
(116)

Il padiglione si configura attraverso una pianta re-ttangolare di 252 m2, su un solo livello. Lo spazio interno viene determinato da una diagonale che divide lo spazio in due e rappresenta due mundi diversi: il mondo dell’arredamento intesso come oggetto e il mondo dell’arredamento prodotto con l’ambiente. Il padiglione che viene creato per es-sere usato nei mesi estivi, è funzionalmente anche suddiviso in due. Il primo spazio funziona come area di ristoro (bar – caffetteria) e il secondo è progettato come spazio per accogliere diverse manifestazioni come incontri, dibatti, conferenze ecc.

(117)

Planimetria

(118)

116 Il padiglione

(119)

Planimetria

(120)

118 Il padiglione

Sezione A

(121)

Planimetria

(122)

Lo spazio destinato al bar – caffetteria viene carat-terizzato dagli oggetti d’arredamento. Oggetti rico-nosciuti per la loro qualità di progettazione ed ese-cuzione. In questo caso per evidenziare il rapporto con il lavoro di Eileen Gray nella E-1027 come un’particolare esempio dell’ “avere cura” di uno spazio attraverso gli oggetti, sono state scelte di-versi ‘pezzi’ d’arredamento progettate dalla stessa Gray durante la sua professione come architetto designer. Oltre all’arredamento, è anche la luce protagonista nello spazio. Essa si configura attra-verso un pannello bianco forato, con i tagli che evocano un ricordato paravento laccato di Gray il SIX-PANEL SCREEN, (1922-25), che permettono il passo di luce in modo controllato e decorativo.

Il padiglione

(123)
(124)
(125)
(126)

Il padiglione 124 Poltrona Bibendum Eileen Gray 1929 Non Conformist Eileen Gray 1929 Sedia Bonaparte Eileen Gray 1935 Bar Stool No 1 Eileen Gray 1927

(127)

Arredamento

Divano Lota Eileen Gray 1925

(128)

Il padiglione 126 Tavolo Menton Eileen Gray 1932 Tavolino Adjustable E - 1027 Eileen Gray 1927 Tavolino Museum | 419-439 Eileen Gray 1927

(129)

Per quanto riguarda la zona destinata a gli incon-tri, piccoli eventi, conferenze ecc., lo spazio viene determinato per l’indissolubilità tra architettura ed arredamento, attraverso una scalinata in leg-no che può ospitare circa di una cinquantina di persone. Il pavimento e il contro soffitto sono anche in legno, il pavimento in questo caso sem-bra piegarsi e diventare elemento d’arredamento. Nella scalinata, il colore appare come elemento rappresentativo dell’architettura di Le Corbusier presente nel Cabanon e nel Museo Heidi Weber. Il colore se configura nella scalinata attraverso una griglia ortogonale che in pianta e in prospe-tto, dipinge i gradini con piani di colore attraverso un determinato ordine. La luce in questo spazio viene determinata per il brise soleil, rifermento a Le Corbusier come primo architetto in utilizzare questo elemento come manipolatore di luce. Area Incontri

(130)
(131)
(132)

Museo Heidi Weber Le Corbusier Zurigo 1967 Il padiglione 130

(133)

Riferimenti

Documenti correlati

CESARE SILVI, Presidente Gruppo per la storia dell’energia solare, Roma A2A e il primo impianto solare termico integrato con una rete di teleriscaldamento.. FABIO FIDANZA,

La Comunicazione della Commissione europea - “Una strategia per l'idrogeno per un'Europa climaticamente neutra” – ha fornito il quadro di riferimento per l’Alleanza

Sono diversi anni che l’Inail ha scelto di affi ancare alla pe- riodica, e sempre più approfondita, divulgazione dei dati su- gli infortuni del lavoro e le malattie professionali

classica dell’ergonomia cognitiva – il cui scopo abbiamo visto essere quello di comprendere le strutture e le attività funzionali del cervello in relazione ai

At the molecular cytogenetic level, intrachromosomal rearrangements can be identified by hybridizing cloned DNA such as bacterial artificial chromosomes (BACs) or probes specific

PIANO LOCALE GIOVANI CITTA’ METROPOLITANE TRIESTE GIOVANI PERCORSI E NUOVI MESTIERI.

L’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG), fondata a Padova il 22 aprile 1954 con Sezioni in tutte le Regioni; non ha fini di lucro e persegue finalità d’incontro