Nella storica discussione svoltasi al Senato il 9 giugno 1860, il Senatore Giovanni De Foresta, nativo di Nizza, pur riconoscendo che ragioni di a lta politica avevano costretto il Re e il Conte di Cavour a cedere la sua adorata città natale alla F rancia ric a tta tri
ce. chiede che si abbandoni l'argom ento dell'esclusione e del dubbio s u ll'ita lia n ità di Nizza, che g li rende l'ingiusto trattato di cessione tanto più am aro : « __Cedete, se inesorabile necessità vi obbliga a questo doloroso sacrifizio, cedete — egli dice — il territorio nizzardo, ma non cedete le sue tradizioni, i suoi fasti, le sue glorie, che sono pur glorie nostre, perchè sono glorie ita lia n e Î... Nizza, la c ittà fe
delissim a. sarà una c ittà francese : io però non cesserò di essere it a liano e con voi farò voti che. come già una volta, la fedeltà, il corag
gio e la costanza di Nizza salvò la D in a s t i a Sabauda, ora il di lei sacrifizio serva a condurla agli a lti e finali suoi destini, e al pieno trionfo della causa ita lia n a !... ».
Parole veram ente profetiche, in cui vibrano 1 ardore patriottico del nobile nizzardo che le pronunziava, la sua incrollabile certezza nel glorioso avvenire d e ll'Ita lia risorta libera ed una. e il suo le
gittim o orgoglio delle tradizioni e dei fasti italianissim i di Nizza o per meglio d ire il suo verace attaccam ento alle glorie nizzarde, con
siderate vanto indiscutibile della grande P atria italian a !... Ecco perchè, oçgi che Nizza è stata finalmente ricongiunta a ll I ta lia . è opportuno rievocare il nome ed illu strare 1 opera dei grandi nizzardi, che nel corso dei secoli raggiunsero fama im m ortale. poeLi.
a r tis ti e scienziati in sign i, guerrieri ardimentosi, eroi purissim i, i quali ora più che mai s'impongono a ll ammirazione e a lla grati tu dine di tu tti g li Ita lia n i.
Riandiamo col pensiero alle floride condizioni dell arte italiana uella sei-onda metà del Quattrocento, allorché — specie nell archi
tettura e nella scultura — si matura il passaggio dell arte goiica a quella del Rinascimento.
Come la Grecia di P ericle e la Roma dei (. esari. nel secolo X >
tu tto vibrante di entusiasm o estetico — l Italia s innamora del bello, si tufifa nel rinascente paganesimo del mondo greco-romano pei a ttin gerne forme nuove e si avvia cosi a lla grande arte del Cinquecento : il concetto del buono si è oscurato dinanzi al colto del bello e a ll amore
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del buon gusto, che informano tutte le manifestazioni e le consuetu
dini della vita sociale. E se è vero che decade la v ita p o litica, splen
dono però le lettere e le arti; celebri architetti come il Brannelle.schi.
Leon Battista Alberti. Benedetto da Maiano, il B ram ante ed a lt r i ; glandi maestri della plastica come il Donatello, Luca e Andrea della Robbia, il Pollaiolo, il Yen-occhio e Mino da Fiesole: p itto ri in sign i e starei per dire veri poeti delle carni fior-enti come il Carpaccio, Be- nozzo Gozzoli. il Ghirlandaio, Luca Signorelli da Cortona nei suoi mirabili affreschi, il Beato Angelico che rinnova e ravviva la t r a d i
zione giottesca, il Botticelli soavissimo nelle su? fantastiche ngura zioni e il Perugino con le sue Madonne piene di « deità così gen
tile », portano nell'arte un senso nuovo di realtà e di um anità unito a freschezza e armonia di vivaci colori, mentre il genio novatore d i Leonardo da Vinci — scienziato e filosofo, pittore e scultore sommo
— riassume in sè tutte le glorie del Quattrocento per la varietà delle naturali attitudini, per la vastità del sapere e per il culto ardente del- Farte.
Accanto a questi artisti merita speciale menzione il grande p itto re nizzardo Ludovico Brea. nato a Nizza nel 1150 e vissuto a cav a
liere tra il XV e il XVI secolo; il cbe nuoce in p arte a lla sua fam a, poiché il nome dei preclari pittori di quelFepoca di massimo .splen
dore artistico contribuisce forse ad oscurare la sua rinom anza presso i posteri e gli stessi suoi con temporanei .
Divorato fin dall’adolescenza dalla passione per l ’a rte, egli studia il disegno e la pittura a Roma e a Napoli : formatosi cosi a lla scuo
la dei grandi pittori italiani del Duecento e del Trecento, i l giovane artista gode ispirarsi alle bellezze naturali della sua Nizza e delia r : - dente Riviera Ligure e i capolavori artistici, di cui abbondano le c it tà italiane, esercitano sul suo spirito un fascino irresistib ile. T utta via. sebbene sia accertato il suo soggiorno in Italia durante la prim a giovinezza, taluni storici ritengono fantastico il viaggio che avrebl-e compiuto a Perugia e \ Roma intorno al 1507.
Se è vero che il Brea comincia giovanissimo a dipingere e a pri- meggiare. il 1465 — anno in cui egli contava appena tre lu stri — non può certo considera rei la prima data della sua a ttiv ità , come rLsoità da una dubbia epigrafe, collocata sotto la Madonna della C o nfrater
nita della Misericordia a Nizza. Un’altra ejrigrafe non atten dibile, r i portata dalFAlizeri e posta sotto un dipinto nella chiesa di S . Do
menico di Taggia. inclita invece Fanno 1473 come inizio della sua carriera artistica e accenna ad una collaborazione del ventitreenne Ludovico Brea con il valente pittore Giovanni M iraglieti.
Gli anni dal 1483 al 1513 segnano il massimo fervore della sua ge
niale attiv ità: l’ultima tavola del celebre maestro nizzardo, d i c u i abbiamo notizia, reca la data del 1519 e incerto appare Fanno d elia sua morte, forse avvenuta fra il ‘22 e il *25. e che fu un grave lu tto
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per il Ducato di Savoia, perchè — sebbene egli lasciasse numerosi seguaci, che degnamente continuarono il suo luminoso indirizzo a r t i
stico — scompariva con lu i una delle più fulgide glorie della Contea di Nizza.
Occorre tener presente che Ludovico B rea appartiene ad una fa m iglia di p itto ri insign i : poche notizie si hanno, però, di Antonio B rea, suo pai-ente e discepolo, che con successo dipinge a Genova e a M arsig lia ; e di quel Francesco Brea (non si sa bene se suo figlio o suo fratello), il quale m agistralm ente lavora a T aggia e di cui si conservano a Nizza due tele, rappresentanti S. Rocco e S. Sebastia no (1525).
Suo soggiorno preferito Genova e l'incantevole Riviera Ligure, dove nel prospero fiorire delle industrie e dei traffici Parte era pur
troppo lasc iata in quasi completo abbandono. In fatti, nelle « Vite dei p itto ri, scultori e arch itetti genovesi » (17G8), riferendosi alle condizioni della p ittu ra a Genova nel secolo XV, Raffaello Soprani osserva : « .... Se alcuno mi ricercasse, per qual cagione ne’ tempi an tichi non fiorissero in Genova, come fiorivano in a ltre città d’Italia , uomini eccellenti nella p ittu ra ; g li direi che ciò procedette dall'esse
re allo ra ta l professione in tutto accomunata con l ’arte dei doratori, soggetta a ’ Consoli, e sol meccanicamente esercitata da gente idiota nelle più v ili botteghe. Imperocché, sdegnando molti nobili ingegni d ’avere i loro nomi re g istrati nelle m atricole, non si curarono di se
g n arli nel maneggio del pennello, come avrebbero di leggieri po
tu to .... ».
Da Nizza a Genova, attraverso tu tta la pittoresca R iviera di Po
nente, si apre a Ludovico B rea l ’ampio teatro della sua intensa a t t i
vità rin n o v atrice: innam orato d e ll'Ita lia — culla d ell’arte, dove r i
splendeva il genio di m aestri sommi — egli vuole risollevare la p ittu ra ligu re d alle tr is ti condizioni di decadenza in cui si trova e con nizzarda tenacia si propone di fare anche di Genova un centro a r tistico di prim ’ordine.
Nizza, Monaco, Mentone, T aggia, Savona e Genova segnano le tap pe della sua feconda opera di rinnovamento d ell’arte ligure e, ili»
dal 1483, fonda a Genova una scuola pittorica, che diviene ben presto una delle più famose delPepoca. A ssurge intanto Ludovico Brea ad autentico caposcuola della p ittu ra n ella L iguria Occidentale e di venta Pam m irato maestro d ella tanto apprezzata scuola genovese, che annovera pitto ri di ch iara fam a quali Teramo Piaggio e Antonio Se mino, « veri im itato li del fino e delicato suo stile » ; attraverso la su;
complessa opera ed i suoi numerosi discepoli, egli prova così la gioia di vedere il suo sogno d’a rtis ta fatto in breve tempo realtà e di assi stere al pieno trionfo del suo radioso ideale artistico.
Isp irati per lo più ad episodi biblici e a lla Passione di Cristo, i quadri dell’illu stre pittore nizzardo rivelano il sincero fervore della
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sua fede religiosa, che fu la norma costante della sua laboriosa e s i
stenza.
A Genova, nella chiesa di S. Maria della Consolazione, egli d i
pinge uno dei suoi primi quadri, raffigurante F« Ascensione » (18 di cembre 1474) ; a Palazzo Bianco si ammira una sua stupenda « Cro
cifissione » (1481), nella chiesa di S. Agostino si conserva la grandio sa (( Strage degli Innocenti » e nel l ’interno di S. M aria di Castello s’imponeva a ll’attenzione dei visitatori la tavola di « O gnissanti » (28 ottobre 1513), una delle sue migliori composizioni, passata poi in possesso del conte Mario Spinola di Genova, che la circondò di inai
mi preziosi.
A Savona, nella chiesa di S. Maria di Castello, figura un polifti- co, dipinto nel 1490 dal Brea in collaborazione col noto pittore Vin
cenzo Foppa, che esercitò una notevole influenza su la sua arte. C in
que anni dopo, egli compone 1’« Assunzione », destinata al Duomo di Savona ; inoltre, per ordine del Cardinale Della Rovere, che fu poi Papa Giulio II, e in concorrenza con altri valenti a rtis ti, Ludovi
co Brea dipinge nell Oratorio della Madonna di Savona quel famoso
« S. Giovanni Evangelista » (14 dicembre 1490), che i membri della locale Confraternita Mariana gelosamente conservarono per molti anni e che venne poi trasportato a Roma.
Dopo aver rilevati i singolari pregi di quest’opera, Raffaello So
prani la definisce « assai ben concepita nel suo disegno, proporzio
nata nelPattitudine e d’un colorito molto pastoso e vivace : dote pro
pria del pennello del Brea — egli aggiunge — le cui opere, a motivo della buona tempera ed impressione de’ suoi colori, dopo il corso di quasi due secoli, fresche ed intatte tuttavia si conservano.... ».
Nel lungo periodo dal 1483 al 1513 egli lascia, nella chiesa di S.
Domenico di Taggia, un bel gruppo di polittici, ora in parte scom
posti e di cui alcuni frammenti sono stati rubati parecchi anni fa.
Mirabile a Taggia la sua « Annunciazione », dove appare evidente l ’influenza di Antonello da Messina, palese anche nel polittico da lui eseguito nella chiesa di S. Giorgio a Montalto. A Nizza, infine, si ammira la sua celebre « Pietà » (1475) e ricordo che — forse intorno al 1522 — egli compose un pregevole trittico per la chiesa di S.
Martino a Ghftteauneuf di Grasse.
Pur essendo giustamente considerato uno dei maggiori a rtis ti del Quattrocento italiano, la sua arte non è scevra di difetti, quali in special modo la secchezza del disegno, che lo rende inferiore a i gran di maestri contemporanei. Le sue opere hanno vari punti di contatto con l ’antica nostra tradizione pittorica del XIII e XIV secolo; il suo stile è piuttosto secco e un po’ angolose sono talvolta le sue figu
re, sebbene si distinguano per l ’ingenuità dell’espressione e l'a g graziata semplicità degli atteggiamenti. Usa spesso le dorature e a u reole d'oro circondano le teste dei suoi Santi e delle sue Madonne,
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quasi ultim o ricordo della tradizione ieratica bizantina, da cui ten
ta invano di allo n tan arsi, senza peraltro riuscirvi appieno.
P redilige il celebre pittore nizzardo le difficoltà prospettiche, dà a lle sue figure soavissim i volti dallo sguardo scintillante, snellezza di forme, a g ilità di movimenti e si compiace di avvolgerle in seriche vesti cadenti in morbidi drappeggi. Vero è che le sue composizioni
— caratterizzate dal fervore della fan tasia creatrice e d alla sma
glian te viv acità dei colori —- hanno un’impronta spiccatamente o ri
ginale, sebbene rechino talo ra un lieve riflesso dei caratteri propri d ella p ittu ra lom barda, derivato forse dal Foppa.
Ludovico B rea, che am a Genova con un attaccamento quasi pari a quello che nutre verso la sua bella città natale, è il tipico esempio del nizzardo, che si sente italian o di nascita e di fede: « .... benché avesse per p a tria Nizza, c ittà molto cospicua dell’occidentale R ivie
ra L ig u s tic a : pure affezionato essendosi a lla città di Genova —* se l i ve il Soprani — in questo gran tempo visse, mostrandosi sempre più insigne n ella facoltà di ben esprimere con colori i suoi con
c e tti.... ».
Questa la nobile figura di Ludovico Brea, m irabile artefice del pennello, vanto di Nizza e d ell’I ta lia , le cui opere im m ortali rifu l
gono di purissim a luce nel limpido cielo della gloriosa arte ita lic a !...
A r t e m i s i a Z im e i
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Ernesto Codign ola, Carteggi di giansenisti l ig u r i, tre voli. (I di 685, II di pagg. 785, III di pagg. 920), Firenze, Le Mounier, 1941-42.
I tre ponderosi volumi potrebbero far supporre che ci si trovi dinanzi ad una monumentale raccolta di materiale, ad un diligente lavoro di trascrizione di epistolari e documenti inediti tr a tti da a r chivi pubblici e privati. Basta però un rapido sguardo allo studio che apre il primo volume e che l ’autore, con eccessiva modestia, in tito la Introduzione storica, a dissipare questa prima impressione. L?in- troduzione, che è un poderoso lavoro di ricostruzione storica, narra per la prima volta in forma organica e completa le vicende del gian
senismo ligure dalle origini al primo Risorgimento e, in iscorcio, quelle dell’intero movimento in tutta la penisola da Clemente XIV in poi.
Al Giansenismo ligure era stato dedicato finora un unico a r ti
colo, apparso su questa rivista. Su di esso correvano errori e inesat
tezze di ogni genere, anche fra gli storici più insigni. L ’A., che r i mette le cose a posto su molti punti, può quindi fondatamente asserire di essere stato costretto a dissodare da solo un terreno vergine in tutta la sua estensione. I problemi, ch’egli affronta in forma estrem a
mente stringata, (al medesimo argomento promette di dedicare un volume a se) nell'introduzione e nelle note (parecchie m igliaia) sono numerosissimi e mutano radicalmente l ’opinione corrente, anche fra gli studiosi specializzati, circa il significato storico e Pestensione del giansenismo ligure, che sono stati molto più cospicui che non sia apparso finora, non soltanto nelΓambito delle vicende religiose, ma in quelle altresì della storia politica, specialmente durante il pe
riodo repubblicano.
L'introduzione prende le mosse dal Pontificato di Benedetto XIW caratterizzato dalla larga tolleranza di quel papa, propizia ag li studi di erudizione ed alla libera discussione dei problemi teologici in se
no alle contrastanti scuole cattoliche. In tali discussioni si acuisce inasprendosi la lotta tra Agostiniani, Scolopi, O ratoriani, tu tti (sia pure da punti diversi) avversi alla casistica ed al probabilismo dei
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gesuiti, tenacissim i difensori dello spirito retrivo e politicizzante della Controriforma impersonato d alla loro Compagnia.
Già durante il papato del Lam bertini comincia l ’ascesa degli av
versari più decisi dei gesuiti. L ’elevazione a lla porpora del Marefoschi rappresenta il culmine della lo tta che term ina qualche anno dopo con la soppressione dell’Ordine, s.enza segnare però affatto la fine delia loro strapotenza sotterranea. I due patriarchi del giansenismo ligure appaiono a lla rib a lta romana in quegli anni. Il primo, lo scolopio M artino N atali, professore di teologia al Collegio Nazareno, che era stato sopraffatto dai suoi emuli del Collegio Romano, aveva dovuto abbandonare in malo modo la sua cattedra, era stato relegato dai suoi ad Urbino e richiam ato poi a Roma per intervento del Cardinale Neri Corsini, anch’egli an tigesuita, riesci a risalire sopra la sua cattedra soltanto a ll ’avvento del Papa Ganga nel li, Clemente XIV, protettore dei novatori.
Ma il N atali lasco tosto Roma, chiamato a P avia da Giuseppe II, che si proponeva di fare di quella università un centro di oppo
sizione a n ticu ria listica e di diffusione delle idee regalistiche. Insieme col Tam burini e con lo Zola, il N atali esercitò a P avia una intensa e coraggiosa azione rivoluzionaria, che lasciò tracce profonde.
L ’autore illu s tr a l ’a ttiv ità del N atali fino nei più m inuti partici) la r i e ne mette tr a l ’altro in risalto un aspetto lino ad ora ignorato, le sue relazioni con Dupac De Bellegarde e con la Chiesa dissidente di U trecht.
Gli successe sulla cattedra romana un altro insigne campione del giansenism o ligure, anzi il vero maestro di tu tti gli esponenti più rappresentativi del movimento, e in primo luogo dell’abate E usta
chio Degola, le cui vicende sono strettam ente connesse con la storia della repubblica ligure e con la conversione della fam iglia Manzoni.
E il Padre M olinelli, anch’egli scolopio, giansenista non meno fer
vente del N atali, ingegno libero e spregiudicato, agile, sottile, estre
mamente guardingo e diplomatico però, quanto il padre N atali era invece aperto, irruento e imprudente. La corrispondenza fra il Cucca- gni e il M olinelli, che l ’autore ha scoperto e che illu stra ampiamente, iia un valore decisivo per chiarire l ’evoluzione dei sentimenti e delle idee della C uria e del Pontificato di Pio Λα nei riguardi del gianseni smo italian o . Essa proietta piena luce sulla preparazione psicologica della condanna del giansenismo culm inante nella bella A u c t o r e m fidei.
L'uno e l ’altro , 11011 meno del Tamburini, debbono ormai conside- la r s i gli iniziato ri di queiratteggiam ento di opposizione recisa a lla C uria, che doveva culm inare n ell’aperta rottura, sanzionata dappri
ma dal Concilio di Pistoia poi d a ll’adesione dell’ala sin istra del gian seni sino a lla rivoluzione francese ed ai regimi democratici.
Nel periodo prerivoluzionario le due figure più rappresentative*
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accanto al Molinelli, sono l’Abate Marcelle Del Mare e l ’oratoria no Vincenzo Palmieri. Il pi-imo, la mosca cocchiera del giansenismo ita liano, come lo definisce l ’autore, è una figura disuguale e poco coeren
te, che finisce col mendicare da Roma il perdono e col ripu diare le idee a favore delle quali aveva combattuto a lungo. Il secondo h a avuto un posto di prim’ordine nelle lotte religioso-politiche che c u l
minano nell?attività· rinnovatrice di Leopoldo II e del Vescovo De?
Ricci, di cui fu il consigliere e il collaboratore più ascoltato.
Costretto alle dimissioni il Vescovo di Pistoia e Prato, il P a l
mieri, per sottrarsi alla persecuzione, accetta dall’im peratore la no mina a ll’università di Pavia, dove succede al N atali. Ma abbandona il suo posto a ll’avvento dei francesi e si ritira a Genova, dove conti
nua a polemizzare con i suoi avversari fino alla vigilia della morte, ma dove si estranea sempre più dall’azione.
La figura culminante della generazione più giovane, che rappre
senta una svolta decisiva anche nella storia interna del giansenismo e inizia un’attività intensamente rivoluzionaria e democratica, che do
veva culminare nel tentativo di fondare anche in L iguria una chiesa nazionale e di istituirvi la costituzione civile del clero, è PAbate E u
stachio Degola, cui è dedicato gran parte del III volume. Dalla in troduzione e dai carteggi la figura del Degola balza fuori m irabil
mente tratteggiata nei suoi vari aspetti : personalità religiosa di p ri
mo piano, coerente e salda nella sua fede e giacobino intransigente, egli ha saputo avvincere a sè, con fascino irresistibile, le anime a n che più alte e indipendenti che ha incontrato lungo la sua via, un padre Vignoli per esempio, un Benedetto Solari, un Grégoire, un Manzoni. Egli capeggia il clero democratico-portorealistico dell’u l
timo decennio del secolo e preannunzia in taluni suoi atteggiam enti il pathos romantico mazziniano. Che il Mazzini, non meno del M an
zoni, sia incomprensibile fuori della tradizione democratico-gianseni
stica della sua città natale, balza evidente da queste pagine, e in particolar modo dal capitolo più felice dell’introduzione, I l g i a n s e
n ismo ligu re e Veducazione.
L’autore ha per la prima volta chiarito in tu tti i suoi p artico lari la politica ecclesiastica della Repubblica ligure, apparsa finora caotica
L’autore ha per la prima volta chiarito in tu tti i suoi p artico lari la politica ecclesiastica della Repubblica ligure, apparsa finora caotica