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M ARSILIO F ICINO TRADUTTORE DELL' E UTIFRONE

W, ponendo un trattino al di sopra di ἄν e due al di sopra di ὅπως Quest'ultimo intervento fa parte

4. T RADUZIONI DELL’ E UTIFRONE IN ETÀ UMANISTICA

4.2 M ARSILIO F ICINO TRADUTTORE DELL' E UTIFRONE

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Si può ragionevolmente pensare che, se la traduzione di Rinuccio fosse stata già disponibile, egli l’avrebbe utilizzata per leggere e spiegare il dialogo e dunque le note di Canlat, apposte dai suoi allievi, ne rispecchierebbero le scelte lessicali.

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Rinuccio condusse il lavoro con scarsi mezzi, come tutti i primi traduttori umanistici, e conoscenze linguistiche alquanto limitate (per non dire della sua scarsa o inesistente preparazione filosofica), come attestano gli innumerevoli errori e fraintendimenti, talora madornali, che costellano la versione dell’Eutifrone. Anche la versione del περὶ κόσμου pseudoaristotelico, testo di cui pure esistevano ben due versioni medievali (di Bartolomeo da Messina e di Nicola Siculo, entrambi XIII sec.), fu condotta da parte di Rinuccio in totale indipendenza da queste ultime, secondo quanto affermato in De mundo, p. XL. Nelle Fabulae Aesopicae, che circolavano tradotte in numerose sillogi parziali quando Rinuccio si accingeva a tradurle, si rilevano alcuni echi, unicamente a livello di scelte lessicali, delle traduzioni di Gualtiero Anglico, di Ognibene da Lonigo e soprattutto di Lorenzo Valla (PILLOLLA 1993, pp. 73-87). D’altra parte, Rinuccio doveva avere in qualche modo acquisito competenze sufficienti a eseguire le varie traduzioni di testi greci che portano il suo nome, per una parte delle quali egli non aveva a disposizione, a quanto ne sappiamo, alcuna resa latina preesistente.

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Nel Canon. gr. 4 non si legge, come accade nel Vind. phil. gr. 126, la firma di Rinuccio, ma il codice di Oxford è mutilo sia all’inizio che alla fine, dunque proprio delle carte più interessate da note di possesso et similia. Possiamo solo ipotizzare che, come accadde probabilmente per il Vindobonense, Rinuccio stesso portasse con sé il Canoniciano di ritorno dall’Oriente, dove il codice fu sicuramente prodotto: di fatto, la mano occidentale più antica intervenuta sul codice è proprio quella di Rinuccio.

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Lo studio della traduzione ficiniana dell’Eutifrone consente di osservare da un punto di vista privilegiato la nascita e l’evoluzione della più che ventennale impresa di traduzione dell’intero

corpus di Platone compiuta dal filosofo di Figline Valdarno. L’Euthyphron de sanctitate fa parte,

infatti, del gruppo di dieci traduzioni che ebbero una "prima redazione" (F1), testimoniata dal codice OXFORD, Bodleian Library, Canon. class. lat. 163 (XVmed.) con dedica a Cosimo de’ Medici ormai prossimo alla morte (sopraggiunta il 1 ago. 1464)609, e che furono, in un secondo momento, ampiamente riviste nell’ambito del progetto del tutto Platone latino (F2), poi giunto alle stampe.

Gli studiosi individuano, in genere, come modello greco delle versioni platoniche di Ficino un "quaderno di lavoro", ossia un manoscritto d’uso approntato da Ficino stesso servendosi di più fonti testuali contaminate tra loro: oltre al Laur. Plut. 85.9 (Laur.c) donatogli da Cosimo il Vecchio610, sono state individuate altre possibili fonti testuali, che variano a seconda dei dialoghi611. Bisogna, inoltre, tenere presente la possibilità che Ficino abbia acquisito varianti tramite contatti e conoscenze con altri dotti dell’epoca612.

4.2.1 La "prima redazione" F1

I dati emersi dal confronto tra F1 e la tradizione greca dell’Eutifrone mostrano, in linea con quanto già osservato per altri dialoghi, che il lavoro di collazione di fonti differenti ebbe inizio già al tempo delle prime dieci traduzioni per Cosimo613. Il testo greco tradotto da Ficino nella prima redazione della traduzione coincide infatti solo in parte con quello trádito da Laur.c, le cui peculiarità testuali sono sporadicamente riflesse nella versione. Un certo numero di lezioni alla base

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COXE 1854, col. 182; KRISTELLER 1989, pp. 249-250. P.O.Kristeller indirizzò l’attenzione degli studiosi su questo manoscritto contenente la prima versione di dieci dialoghi platonici tradotti da Ficino, una testimonianza fondamentale per comprendere la genesi del suo Platone completo latino. Peraltro, la presenza nel codice della traduzione dell'Assioco, conclusa poco tempo dopo la morte di Cosimo e dedicata al figlio Piero, ha indotto lo studioso a ipotizzare che il codice sia stato confezionato per quest'ultimo (KRISTELLER 1966, pp. 97-99 e n. 15). Una prima indagine di questa redazione della traduzione ficiniana dell'Eutifrone è stata condotta da M. Vanhaelen (VANHAELEN 2002): i dati raccolti dalla studiosa sono stati in questa sede ampliati e parzialmente rivisti.

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Vd. supra, p. 57. 611

Il testo della Repubblica tradotto da Ficino ha avuto diverse fonti, come evidenziato da BOTER 1989, pp. 270-275.

Parimenti, alla base della versione ficiniana del Timeo, Jonkers ha individuato una pluralità di fonti greche, tra cui il Laur. Plut. 85.9 e un analogo procedimento di contaminazione del testo greco fu attuato da Ficino per il Crizia (JONKERS 1989, pp. 305-309). Le conclusioni dei due studiosi sono state sottoposte a revisione da Berti, il quale ha individuato nelle traduzioni contatti con altri codici (BERTI 1996). Brockmann ha confrontato la tradizione manoscritta greca col testo latino dell’editio princeps e ha dimostrato che, per la traduzione del Simposio, Ficino non utilizzò Laur.c, ma un testimone disceso dal Malatestiano M identificabile con il Ricc. 92, silloge di testi sull’amore autografa dello stesso Ficino, o con la fonte comune (ζ) al Ricc. 92 e al Vat. gr. 2218, altro discendente di M, già contaminata, prima che ne fosse tratto il Ricc. 92, con Coisl (BROCKMANN 1992, pp. 209 [stemma codicum], 220): la Zwischenstufe ricostruita ζ potrebbe essere identificata col codice di Amerigo Benci posseduto da Ficino (vd. ivi, p. 226). Anche il Fedone è stato tradotto da Ficino sulla base del suo manoscritto greco di lavoro, l'intermediario perduto tra Laur.c e Ambr. F 19 sup. (BERTI 2001).

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L’ipotesi dello scambio di variae lectiones è stata formulata da S. Martinelli Tempesta in relazione alla traduzione del Liside per spiegare l’affiorare nel testo greco tradotto da Ficino di lezioni attestate in codici bessarionei, in particolare nelle correzioni del cardinale a Marc.186 e nelle lezioni di Coisl (vd. MARTINELLI TEMPESTA 1997, p. 169). 613

Ad analoghe conclusioni per il Filebo, altro dialogo con doppia redazione, è pervenuto Ernesto Berti. Non vi sono peraltro elementi, in questa traduzione, che rimandino inequivocabilmente a Laur.c ed è perciò improbabile che sia stato la Hauptquelle del lavoro versorio. Si rilevano invece coincidenze con le correzioni del Par. gr. 1812 (XIV1/3 sec.), la maggior parte delle quali è di origine congetturale, anche se alcune di esse sono condivise dal diorthotes di Marc.189. È escluso, ad ogni modo, che Ficino abbia usato direttamente il Parigino e rimangono dunque aperte due possibilità ipotesi: che Ficino e il correttore del Parigino abbiano attinto alla medesima fonte, o che quest'ultimo abbia tratto le correzioni dal manoscritto di lavoro del Ficino (BERTI 1996, pp. 164-167).

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di F1 sono compatibili con Laur.c e alcune di esse riflettono specifiche peculiarità di questo testimone (6d8, 9d2, 9e5-7, 10d8, 11d5, 13a9-b1):

3d3-4 ΕΥΘ. Τούτου … πειραθῆναι.] Socrati trib. Laur.c (T WV) / Quo autem modo erga me nunc

affecti sint haud multum particulari (F1, periclitari recte F2) studeo. Socr. trib. F1

3d9 ἐθέλοι et Laur.c (BCD WV Ts.l.)/ velim F1] ἐθέλει Ti.t.

5a3 Ἆρ᾿ οὖν μοι ὦ θαυμάσιε Εὐθύφρον, κράτιστόν ἐστι μαθητῇ σῷ γενέσθαι... ; ] ἄρ᾿ οὖν μοι, ὦ θαυμάσιε Εὐθύφρον, κράτιστόν ἐστι μαθητῇ σῷ γενέσθαι ... et Laur.c (Laur.a) / O admirande

Euthyphron, operae pretium est ut discipulus tuus fiam F1

5a9-b2 «Καὶ εἰ μὲν, ὦ Μέλητε,» φαίην ἄν, «Εὐθύφρονα ὁμολογεῖς σοφὸν εἶναι τὰ τοιαῦτα, [καὶ] ὀρθῶς νομίζειν καὶ ἐμὲ ἡγοῦ... » ] «Καὶ εἰ μέν, ὦ Μέλιτε,» φαίην ἄν, «Εὐθύφρονα ὁμολογεῖς σοφὸν εἶναι τὰ τοιαῦτα, καὶ ὀρθῶς νομίζειν καὶ ἐμὲ ἡγοῦ... » et Laur.c (T WV) / «Si ergo, o Melite, - dicam

- Euthyphronem in iis recte sentire arb{r}itraris me quoque existima neque damnes.». La traduzione

di Ficino non è totalmente aderente al greco, ma presuppone la lezione καὶ ὀρθῶς νομίζειν, attestata anche da Laur.c. Il traduttore ha infatti riunito in un unica espressione, in iis recte sentire, le due frasi che egli interpreta come coordinate, σοφὸν εἶναι τὰ τοιαῦτα καὶ ὀρθῶς νομίζειν rette da ὁμολογεῖς. La semplificazione è probabilmente dovuta al fatto che egli avvertiva le espressioni come equivalenti nel significato.

5e3 ἐρῶ et Laur.cp.c. o c.ipse / referam F1] ἐρωτῶ Laur.ca.c. (Y) 6c5 μόνον] μόνα Laur.c (et T) / haec sola F1

6d8 Καὶ γὰρ ἔστιν. Euth. trib. Laur.c (T) / F1

8c11-d1 οὐχὶ εἴπερ ἀδικοῦσί γε] οὐκ ὑπεραδικοῦσι γε et Laur.c (cfr. Ta.c.) / de iniustis [...] minime F1 9c9 εἰ] καὶ εἰ Laur.c (cum T) / et sivis F1

9d2 τοῦτο ὃ νῦν ἐπανορθούμεθα] τοῦτο (om. ὃ T) νῦν ἐπανορθώμεθα Laur.c (Laur.a) / istud iam in

sermone emendemus F1

9e5-7 ΣΩ. Οὐκοῦν ἐπισκοπῶμεν αὖ τοῦτο, ὦ Εὐθύφρον, εἰ καλῶς λέγεται, ἢ ἐῶμεν καὶ οὕτω ἡμῶν τε αὐτῶν ἀποδεχώμεθα καὶ τῶν ἄλλων, ἐὰν μόνον φῇ τίς τι ἔχειν οὕτω, συγχωροῦντες ἔχειν; ἢ σκεπτέον τί λέγει ὁ λέγων;] SO. An hoc iterum discutiendum utrum recte dicatur necne, vel potius

obmittendum? Atque ita et nobis ipsis indulgere debemus ut quicquid dictum fuerit admictamus, an quod dictum examinandum? F1. Alla base della versione ficiniana sembra esservi un testo con

l'omissione di 9e6-7 οὕτω, συγχωροῦντες ἔχειν, che Laur.c eredita da Laur.aa.c..

10c2 εἴ τι γίγνεται ἢ εἴ τι πάσχει] εἴ τι γίγνεται ἢ εἴ τι πάσχει τι Laur.c (T) / Siquid fit aut patitur

aliquid F1

10d8 ΕΥ. Ἔοικεν.] om. Laur.c (Esc.y) / om. F1 11d5 μόνα] μόνον Laur.c (Esc.y) / solum F1

11e3 συμπροθυμήσομαι δεῖξαι Laur.c (BCD T V) / declarare contendam F1

12a9-b1 Ζῆνα δὲ τὸν ϝέρξαντα καὶ ὃς τάδε πάντ’ ἐφύτευσεν οὐκ ἐθέλει νεικεῖν] Ζῆνα μὲν (Y) τὸν ἕρξαντα (ῥέξαντα Laur.ci.m.) καὶ ὃς τάδε πάντ’ ἐφύτευσεν οὐκ ἐθέλεις εἰπεῖν. Laur.ci.t. / Iovem

quidem auctorem quique haec omnia genuit dicere non vis. F1

13a9-b1 ΣΩ. Οὐδέ γε κύνας - ΕΥΘ. Ναί. om. Laur.c (Y) / SO. Et venatoria canum. F1. Al posto di queste quattro battute, mancanti nel suo modello greco principale, Ficino integra suo Marte un intervento di Eutifrone, basandosi sulla menzione, nell'elenco riassuntivo a 13b13, dei cani e della κυνηγετικὴ τέχνη.

È certo, invece, che Ficino non traduce il testo offerto da Laur.c nei seguenti casi, alcuni dei quali rivelano possibili legami di F1 con altri testimoni medievali:

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3d7 ὅτιπερ ἔχω ἐκκεχυμένως παντὶ ἀνδρὶ λέγειν Laur.c (BCD T Ws.l.V)] ὅτι παρέχω (Wi.t.) / quoniam

unicuique hominum passim me praebeo F1. È molto probabile che qui Ficino traduca la lezione di

W, interpretando παρέχω + inf. come 'prestarsi a', 'essere disponibili a', attestato in questo significato