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V) il ramo di Laur.e e di Ambr.g (λ)

3. L A TRADUZIONE ARMENA

3.1 P LATONE ARMENO

Il codice n° 1123 della Biblioteca dei Padri Mechitaristi di San Lazzaro degli Armeni a Venezia conserva memoria di un’impresa di traduzione in lingua armena di cinque dialoghi platonici. Le due note di possesso sul recto dell’ultimo foglio di guardia anteriore (non numerato) raccontano del lungo percorso che compì il codice, partendo da Nuova Giulfa, quartiere armeno di Isfahan fondato nel 1605, per giungere poi a Madras (in India, l’attuale Chennai), e fermarsi infine, a partire dall’anno 1835, nell’isola della laguna veneta417. Il manoscritto è bipartito dal punto di vista contenutistico, codicologico e paleografico: la prima sezione (ff. 1-598) contiene le versioni dei platonici Timeo, Minosse, Leggi, Eutifrone e Apologia di Socrate ed è vergata in bolorgir, mentre nella seconda (ff. 599-886), scritta in nōtrgir418 e corredata di note e marginalia, si trova la versione armena degli Elementa theologica di Proclo e del relativo commento, originariamente redatto in georgiano, del filosofo neoplatonico Giovanni Petritsi (XI-XII sec.). Secondo l’analisi condotta da Chiara Aimi419, le due unità sono confezionate con carta di tipo diverso e presentano tecniche di rigatura differenti, nonché una numerazione dei fascicoli indipendente; d’altra parte, le sezioni erano probabilmente già accorpate quando furono introdotte le miniature. La presenza di linee di giustificazione in inchiostro rosso consente inoltre di collocare il terminus post quem per la confezione del manoscritto al XV sec. e alcune peculiarità grafiche della parte contenente Proclo inducono, almeno per questa sezione, ad abbassare ulteriormente il termine al XVII-XVIII sec. Le numerose fenestrae risparmiate dal copista indussero Conybeare a ritenere che l’antigrafo del codice di San Lazzaro fosse molto antico e per questo motivo parzialmente indecifrabile, ma la scarsa leggibilità di un codice non dipende unicamente dalla sua antichità, potendo essa derivare da accidenti materiali di vario genere.

Il corpusculum platonico trádito dal manoscritto di San Lazzaro pone innumerevoli questioni, a partire da quella relativa all’unitarietà o eterogeneità della silloge. Divergenze nelle scelte stilistiche e lessicali e nelle tecniche di traduzione tra i dialoghi tengono aperta la possibilità che le versioni armene di Platone siano da ascriversi a traduttori diversi (anche attivi in epoche diverse), come già ipotizzava a fine Ottocento Garegin Zarbhanalean, editor princeps di Leggi e

Minosse armeni nel 1890420. In alternativa, le discrepanze potrebbero ricondursi alla collaborazione

di più traduttori nel quadro di un’impresa versoria unitaria. Se si propende per la seconda ipotesi, è necessario interrogarsi sul criterio adottato per operare questa particolare selezione di dialoghi: la pentade del manoscritto è infatti aberrante rispetto al curriculum delle letture neoplatoniche e, in generale, non coincide con alcuna selezione a noi nota del corpus dall’età antica all’epoca bizantina. È stato proposto di individuare la ratio sottesa alla scelta dei traduttori nella volontà di presentare un "campionario" di dialoghi per categorie, secondo la classificazione contenutistica testimoniata da

417

Si ha notizia che un altro manoscritto di contenuto analogo a questo fu imbarcato a Madras insieme a molti altri codici armeni e che esso andò perduto con tutto il prezioso carico della nave in un naufragio al largo del Capo di Buona Speranza (CONYBEARE 1891a, p. 193).

418

Una recente sintesi di paleografia armena in KOUYMJIAN 2015; in particolare, su bolorgir (scrittura minuscola) e

nōtrgir (un tipo di corsiva), pp. 279-281. 419

AIMI 2011, pp. 18-19. I dati paleografici e codicologici qui riportati sono tratti dal lavoro della studiosa, che si fonda su un esame autoptico del manoscritto.

420

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Diogene Laerzio (III 59-61): Rosa Bianca Finazzi ha infatti ipotizzato che i traduttori armeni abbiano trascelto dal corpus platonico un ἠθικός, un πειραστικός, un φυσικός, due πολιτικοί421. Tale spiegazione non rende tuttavia conto della sequenza in cui i dialoghi sono disposti, che non rispecchia la successione in cui si presentano i cinque dialoghi nell’ordinamento tetralogico, dal momento che il Timeo appartiene all’ottava tetralogia, Minosse e Leggi alla nona ed Eutifrone e

Apologia alla prima422.

La questione più tormentata è però costituita dalla collocazione cronologica (e geografica) delle traduzioni. Un recente contributo di Irene Tinti423 offre un’ampia panoramica dello status

quaestionis, dalle origini ai più recenti interventi sul «Platonic problem», e aggiunge qualche

elemento di novità, pur non offrendo soluzioni definitive. Tradizionalmente, la critica si divide tra due datazioni alternative, una più antica, tra il V e il VII secolo, e una più recente, che si fonda sull’attribuzione delle versioni platoniche a un personaggio ben preciso, Grigor Magistros (c. 990- 1058), intellettuale e dignitario di origine armena che trascorse alcuni anni, tra il 1045 e il 1048, alla corte di Costantino IX Monomaco.

I sostenitori della cronologia alta collegano l’impresa di traduzione dei dialoghi platonici all’attività della cosidetta "Scuola ellenizzante" (Yownaban dproc‘), una cerchia di traduttori di collocazione geografica incerta, a cui è riconducibile un nutrito gruppo di versioni armene di autori cristiani e di testi profani soprattutto di carattere retorico-grammaticale e filosofico424. Le traduzioni "ellenizzanti" presentano elementi linguistici caratteristici, genericamente classificabili come grecismi (a vari livelli), la cui presenza e frequenza variano a seconda dei periodi in cui è stata suddivisa la vita della Scuola425. Secondo la periodizzazione di Abraham Terian426, le versioni platoniche rientrerebbero nel medesimo gruppo delle traduzioni dell’opera427 - originariamente redatta in greco - del filosofo neoplatonico armeno Dawit‘ Anyałt (David "l’Invincibile"), attivo principalmente ad Alessandria nel VI sec. d.C. La proposta più articolata a favore dell’attribuzione al milieu della "Scuola ellenizzante" è stata avanzata sulla base di elementi linguistici e storico-

421

FINAZZI 1977, p. 28. 422

Quanto si legge poco oltre nello stesso passo laerziano (III 61-62) può forse offrire uno spunto per interpretare questa insolita successione: nell’ordinamento trilogico sulla base del quale Aristofane di Bisanzio, tra gli altri, raggruppava i dialoghi di Platone, il Timeo appartiene alla prima trilogia, il Minosse e le Leggi alla terza ed Eutifrone e Apologia alla quarta. L’unica discrepanza tra la sequenza in cui questi cinque dialoghi si presentano nelle trilogiae e l’ordine dei dialoghi tradotti in armeno è costituita dall’inversione della successione Leggi – Minosse in Minosse – Leggi (come nelle tetralogie). Ad ogni modo, la perturbazione rispetto all’ordinamento tetralogico potrebbe avere le cause più disparate.

423

TINTI 2012. 424

La storia della letteratura armena ha inizio con una traduzione, quella della Bibbia, per la quale Mesrop Maštoc‘ (361-440 d.C.) inventò il sistema di segni alfabetici tutt’ora in uso. Alla fase "classica" o "dei primi traduttori", a cui appartengono anche alcune versioni dei Padri greci, seguì una fase che è stata definita "pre-ellenofila" (naxayownaban) ed è caratterizzata, secondo B. Coulie, da una maggiore attenzione stilistica rispetto alle traduzioni "ellenizzanti" a pieno titolo e da una conseguente maggiore libertà rispetto al dettato del testo greco di partenza (COULIE 1994-1995, pp.

57-59): al periodo "pre-ellenofilo" sono state attribuite svariate traduzioni, tra cui quelle di Gregorio di Nazianzo, di Basilio di Cesarea, di Gregorio di Nissa e del Romanzo di Alessandro (vd. MURADYAN 2004; ID. 2014, pp. 325-326). 425

Sulla periodizzazione della Yownaban dproc‘ si veda la recente sintesi di MURADYAN 2014, pp. 322-323, che presenta le diverse ipotesi ad oggi apparse di suddivisione cronologica e di attribuzione delle traduzioni alle singole fasi dell’attività della Scuola. Anche la data di inizio di quest’ultima è incerta e oscilla tra gli ultimi due decenni del V sec. e la seconda metà del successivo (vd. ivi, p. 324-325).

426

TERIAN 1982. Più comunemente adottata dagli studiosi è tuttavia la periodizzazione dell’attività della Yownaban dproc‘ stilata da Manandean (riassunta, ad es., in AJELLO 2001, p. 980).

427

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culturali da Sen S. Arevšatyan, che ha collocato il Platone armeno tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, proprio nell’ambiente di David "l’Invincibile" e dei suoi successori428.

Sul versante opposto, l’attribuzione all’intellettuale di XI secolo, che ha incontrato forse maggior favore nella storia degli studi, prende le mosse da un passo di interpretazione tutt’altro che pacifica dell’epistola XXI di Magistros429, nel quale egli sembra fare riferimento a due traduzioni platoniche, segnatamente del Timeo e del Fedone (del quale non è giunta alcuna versione armena), che, secondo la lettura di Leroy, egli avrebbe condotto in prima persona430. Che il terminus ante

quem della realizzazione delle versioni platoniche sia da collocare proprio in coincidenza con

l’attività di quest’ultimo è peraltro opinione vulgata a partire da Conybeare431, ma, secondo quanto posto in evidenza in anni recenti, la pratica delle traduzioni dal greco non si interruppe affatto con Magistros, protraendosi fino a tutto il XII secolo e oltre con i suoi discendenti432.

Come si è visto in questa sintetica panoramica, lo spettro delle possibili datazioni del Platone armeno abbraccia, sostanzialmente, almeno sei secoli di storia. Per chi studi le traduzioni armene nell’ottica della ricostruzione della Textgeschichte platonica, la conoscenza dell’autore (o degli autori) delle versioni platoniche, o quanto meno dell’ambito culturale in cui furono prodotte, costituirebbe un importante elemento di valutazione dei rapporti che intercorrono tra il testo greco e il suo corrispettivo armeno. D’altra parte, se l’assenza di certezze in questo senso non è un vantaggio, perché preclude la fissazione di un preciso terminus ante quem, essa non è, tuttavia, neppure un fattore tale da ostacolare irrimediabilmente la ricerca: l’epoca in cui ebbe luogo l’operazione di traduzione, infatti, di per sé non dice nulla riguardo all’età del suo modello greco, che può collocarsi in qualunque momento prima di essa.

3.2 GLI STUDI SULLA VERSIONE ARMENA DELL’EUTIFRONE E LE EDIZIONI CRITICHE DEL TESTO