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G LI STUDI SULLA VERSIONE ARMENA DELL’ E UTIFRONE E LE EDIZIONI CRITICHE DEL TESTO GRECO

W, ponendo un trattino al di sopra di ἄν e due al di sopra di ὅπως Quest'ultimo intervento fa parte

V) il ramo di Laur.e e di Ambr.g (λ)

3. L A TRADUZIONE ARMENA

3.2 G LI STUDI SULLA VERSIONE ARMENA DELL’ E UTIFRONE E LE EDIZIONI CRITICHE DEL TESTO GRECO

A distanza di decenni dai pionieristici lavori di Conybeare sulle traduzioni armene del manoscritto mechitarista433, tra la fine degli anni Sessanta del Novecento fino a tempi molto recenti, sono apparsi importanti anche se non numerosi studi dedicati all'argomento434, che hanno potuto avvalersi dei costanti progressi dell’armenistica e dei moderni studi traduttologici. Proprio l’Eutifrone, tuttavia, non ha goduto appieno di questa seconda ondata di interesse specialistico:

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Un riassunto critico della ricostruzione dello studioso si trova in TINTI 2012, pp. 227-248. La ricostruzione di

Arevšatyan è stata ripresa con ulteriori argomenti da Andrea Scala, che ha individuato nella traduzione delle Leggi di Platone l’intrusione di elementi scoliografici appartenenti a una tradizione differente e probabilmente anteriore a quella testimoniata dalla paradosi bizantina (SCALA 1999).

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Vd. AIMI 2011, p. 16 e TINTI 2012, pp. 224-227 (il passo specifico dell’epistola XXI è riportato ivi, p. 224). 430

LEROY 1935. 431

CONYBEARE 1889, p. 340. Sull'attribuzione, tutt'altro che certa, a Magistros del Platone armeno si fonda la ricostruzione delle vicende del Parigino A di SAFFREY 2007, puntualmente discussa da TINTI 2012, pp. 255-267.

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Vd. AIMI 2011, p. 21. Furono traduttori dal greco il figlio di Magistros, Grigor Vkayasēr, e il nipote Nersēs Lambronac‘i (1153/4-1198) (vd. TINTI 2012, p. 224); quest'ultimo cita il Timeo in armeno con un testo per lo più coincidente con quello trádito dal manoscritto 1123 di San Lazzaro e ciò ha indotto Tinti a collocare il termine ante quem per la traduzione del dialogo in coincidenza con quello della sua attività, dunque alla fine del XII secolo (ivi, pp. 269-273).

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CONYBEARE 1889, ID. 1891a, ID. 1891b, ID. 1893, ID. 1894, ID. 1895, ID. 1924. 434

Per il Timeo armeno, DRAGONETTI 1986, EAD. 1988 e TINTI 2012; per le Leggi, FINAZZI 1974, BOLOGNESI 1977, FINAZZI 1990a, EAD.1990b, SCALA 1999, ID. 2000, ID. 2001, ID. 2002; per il Minosse, FINAZZI 1977; per l’Apologia di Socrate, NICOLL 1966, AIMI 2011, EAD. 2014.

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l’articolo di Roberto Solari (del 1969) sulla traduzione del dialogo è infatti fra i primi lavori post Conybeare sul Platone armeno e non si discosta nel metodo, se non in minima parte, dal lavoro dello studioso inglese435. Due sono i problemi di fondo che accomunano questi studi. Il primo risiede nel fatto che tanto Conybeare quanto Solari condussero la loro analisi sull’edizione a stampa di padre Arsēn Suk‘rean (che non usò attenzioni filologiche al testo delle versioni436) senza ricontrollare, nemmeno sporadicamente, il manoscritto. Ciò li indusse ad attribuire errori e lacune in realtà dell’editore al traduttore stesso o agli accidenti della paradosi armena.

Alcuni casi in particolare denunciano la dipendenza esclusiva di Conybeare, seguito a ruota da Solari, dall’edizione a stampa: l’omissione del brano che segue 14b1 πλείονος ἔργου (14b1-2 ἐστιν ἀκριβῶς πάντα ταῦτα ὡς ἔχει μαθεῖν· τόδε μέντοι), segnalata dagli studiosi è in realtà dovuta a un salto du même au même (in armeno) dell’editore, dal momento che nel manoscritto si legge il brano completo437; il corrispettivo armeno di τῶν πόλεων a 14b5 = 32,33, anch’esso annoverato tra le parole omesse in armeno, manca in realtà solo nell’edizione, mentre nel manoscritto (561,1-2) si legge correttamente il corrispettivo k‘ałak‘ac‘ (senza articolo determinativo, non di rado tralasciato dal traduttore, vd. infra)438. Il secondo elemento che rende le conclusioni raggiunte dai due studiosi solo parzialmente affidabili riguarda l’analisi dei rapporti tra la versio Armeniaca e l’originale platonico. Solari stesso notava che Conybeare, essendosi fondato sulle Studien di Schanz per la paradosi greca, non aveva potuto tenere conto di testimoni che studi successivi avevano in seguito dimostrato essere dotati di valore primario439. Lo studioso italiano, tuttavia, lavorò a sua volta su basi stemmatiche non ancora chiare e sostanzialmente incomplete che lo indussero, ad esempio, a tenere conto in qualche misura della testimonianza del bessarioneo Marc.184 (= E, in Solari), codice che tramanda un testo frutto di una vasta e stratificata contaminazione tra le famiglie della paradosi e di un'intensa attività congetturale condotta nella cerchia del Cardinale440.

In tempi recenti, è stata discussa presso l’Università Cattolica di Milano la Tesi di Laurea Magistrale di Sara Scarpellini, dedicata all’analisi dell’Eutifrone armeno441. Questo lavoro segna un passo in avanti dal punto di vista metodologico rispetto agli unici lavori fino a poco fa disponibili, giacché antepone a ogni tipo di considerazione sulla traduzione un confronto tra l’edizione a stampa (Armed.) e il testo preservato dal manoscritto (Armms.): tale operazione, imprescindibile per la costituzione di un testo realmente critico e affidabile della traduzione, è stata da me estesa a tutta la lunghezza del dialogo, dal momento che la Tesi di Scarpellini ne prende in considerazione solo la

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SOLARI 1969; CONYBEARE 1891a. 436

Nella prefazione alla sua edizione delle versioni di Eutifrone, Apologia e Timeo (PŁATONI 1877), padre Suk‘rean dichiara apertamente di essere intervenuto sul testo della versione per renderlo maggiormente scorrevole e comprensibile al lettore e di averne integrato le lacune, sulla base di una collazione con «l’originale greco»: non è chiaro a quale testo egli si riferisca mediante questa formula, ma Aimi afferma che alcune lezioni delle integrazioni all’Apologia sono compatibili col greco trádito dal Ven. Marc. gr. Z. 184 (vd. AIMI 2011, p. 17, dove è disponibile anche una traduzione italiana del brano della prefazione interessato). Bisogna comunque notare che le integrazioni dei loci fenestrati sono segnalate nell’edizione a stampa mediante l’uso del carattere corsivo, anche se non sempre in modo preciso.

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CONYBEARE 1891a, p. 204 e SOLARI 1969, p. 490. Nel manoscritto (560, 29-30 = 32,29) gorc inč‘ è correttamente

seguito dalle parole yolowagoyn stowgapēs zamenayn zasok‘ik ibrow ownin owsanel. baic‘ inč‘, che mancano nel testo di Suk‘rean.

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Altro esempio di omissione dell’edizione a stampa rispetto al manoscritto è il seguente: 13b10 = 31,4-5 θεραπευόμενοι ὠφελοῦνται καὶ βελτίους γίγνονται / hačec‘ealk‘ ew ōgtealk‘ vehagoynk‘ linic’in Armms.] ew ōgtealk‘ (= καὶ ὠφελοῦντες/ὠφελούμενοι) om. Armed..

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SOLARI 1969, p. 478. 440

Sulla sopravvalutazione di Marc.184 come fonte testuale nella storia degli studi vd. BOTER 1989, p. 57. 441

Ringrazio la dr.ssa Scarpellini per avermi permesso di utilizzare i dati da lei raccolti nella sua inedita Tesi di Laurea Magistrale presentata per l’a.a. 2011-2012 e discussa il 27 marzo 2013 (SCARPELLINI 2011-2012).

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prima metà (fino a 6a11 = 18,10)442. Nella collazione tra Armed. e Armms. è stata dedicata particolare attenzione ai luoghi in cui la tradizione greca è discorde: si tratta di una soluzione provvisioria e modellata sulle esigenze del presente lavoro, con la quale si è cercato di far fronte alla mancanza di un’edizione criticamente condotta dell’Eutifrone armeno. La speranza è che, in ogni caso, i dati raccolti possano essere di qualche utilità per chi si occuperà, in futuro, di approntarne una.

Le edizioni critiche del testo platonico apparse dopo gli studi di Conybeare, dunque dopo gli anni Novanta dell’Ottocento, mostrano atteggiamenti diversi nei confronti dell’utilizzo delle traduzioni armene ai fini della constitutio textus. La loro testimonianza venne completamente rigettata da parte dell’editore delle Belles Lettres, Maurice Croiset, in quanto facilmente sostituibile, a suo dire, con quella di altre fonti autoritative che attestano le stesse varianti443. Croiset, nello stesso passo dell’Introduction, opponeva il proprio atteggiamento a quello di John Burnet, editore di Platone all’inizio del Novecento per i tipi oxoniensi, il quale aveva invece riconosciuto l’importanza della testimonianza armena e aveva deciso di avvalersene444. In continuità con la strada segnata da Burnet, i più recenti editori oxoniensi delle prime due tetralogie hanno ritenuto di dover annoverare la versio Armeniaca tra le fonti primarie per il testo dell’Eutifrone e dell’Apologia di Socrate. La loro edizione, tuttavia, in mancanza di studi più aggiornati, si è dovuta fondare sulle ormai datate collazioni di Conybeare e di Solari, non segnando un progresso decisivo, da questo punto di vista, rispetto a quella curata da Burnet445. Diversamente da quest’ultimo, tuttavia, Nicoll (curatore del testo dell’Eutifrone, oltre che di Apologia e Critone) ha dato il giusto peso alla testimonianza del Vat. gr. 225 (V) - dei cui legami testuali con la versione armena (Arm) si dirà più oltre -, ritenuto invece da Burnet solo un «apographus foede interpolatus» su cui Conybeare aveva fatto troppo affidamento446.

Analizzando la presenza di Arm447 negli apparati nelle due edizioni oxoniensi si rileva che le lezioni della versione scelte per essere riportate coincidono in soli sei casi. Nella prima edizione dell’Eutifrone di Burnet, la traduzione armena appare per ventuno volte: nella metà circa di questi casi (11) Arm è citata, a fianco di altri codici primari greci, a sostegno di lezioni accolte a testo, mentre negli altri dieci è segnalata come portatrice di lezioni inferiori, condivise o meno con altri testimoni448. In PLATO 1995 la traduzione armena è meno presente in apparato, dove ricorre

442

Una parte dei materiali relativi al confronto tra Armms. e Armed. è ora pubblicata in SCARPELLINI 2016. 443

PLATON 1920, p. 17. L’editore scarta a priori la testimonianza della traduzione armena, senza addurre prove

filologiche per questa eliminatio: «[...] il nous a paru inutile de la (sc. la version arménienne) citer dans nos notes critiques, les quelques leçons qu’elle aurait pu nous fournir étant appuyées par d’autres autorités.»

444 Vd. PLATO 1900, praefatio. 445 Vd. PLATO 1995, p. xii. 446 PLATO 1900, praefatio. 447

Mi pare importante specificare preliminarmente e in modo univoco come vada sciolto e a quale entità specifica si riferisca il siglum «Arm», soprattutto per non ingenerare confusione nel lettore: quando si scrive «Arm», sia nella prima parte del presente lavoro, sia nell’apparato critico della seconda parte, si fa riferimento al «testo della traduzione armena dell’Eutifrone». Nelle edizioni precedenti si nota un atteggiamento potenzialmente fuorviante: nei loro conspectus siglorum Burnet e Nicoll scrivono «Arm. = Versio Armeniaca», ma in apparato non riportano il testo armeno, bensì viene indicata come lezione propria di Arm una lezione greca (ossia il risultato dell’operazione di retroversione dall’armeno). Ciò deriva senz’altro dal fatto che gli editori dipendono esclusivamente dalle retroversioni di Conybeare e Solari e non hanno potuto sottoporre a un nuovo esame diretto la traduzione in sé. Tale operazione, tuttavia, priva il lettore della facoltà di valutare personalmente i risultati presentati dall’editore.

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Il fatto che Burnet abbia escluso il Vat. gr. 225 dal novero dei testimoni primari fa sì che nella sua edizione risultino talvolta come lezioni peculiari di Arm (6c6, con Eusebio, e 11b7) quelle che sono in realtà lezioni condivise con V.

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quindici volte, delle quali di nuovo all’incirca la metà è rappresentata da casi in cui Arm riporta la lezione errata e l’altra metà da casi in cui Arm rimanda (secondo l’editore) a un testo sano. Come si vedrà ora, un buon numero lezioni attribuite al modello della versione armena nell’una e nell’altra edizione, tuttavia, non sono ricostruibili con certezza e non possono pertanto essere utilizzate a conferma dell’una o dell’altra lezione attestata dalla paradosi greca.