Alla fine di marzo si sottopone a degli esami a causa di una continua dissenteria e gli viene diagnosticato un linfoma allo stomaco. Decide di recarsi a New York per sottoporsi a un trattamento sperimentale in uno dei centri più avanzati della medicina occidentale, il Memorial Sloan-Kettering
Cancer Center; deve sottoporsi a chemio terapia, ma la rimanda per recarsi ad Hong Kong e
assistere alla fine del colonialismo inglese e alla fine del suo impero, mentre la Cina prende possesso della città. Passa l’estate ad Orsigna, sentendosi sempre più legato al luogo e partecipe della natura, dopo tanta ricerca dell’esotico e del diverso, il suo unico, vero amore sembra essere questa piccola valle tra le montagne. Amore che a settembre deve lasciare per recarsi a New York e iniziare le radio terapie.
Prende in affitto un piccolo monolocale su Central Park e chiude i contatti col mondo; solo la moglie Angela sa dove si trova, il telefono non suona mai, comunica poco e solo tramite mail. La ricerca della cura non si limita a New York, in quanto alterna mesi di trattamenti presso l’MSKCC a mesi trascorsi in India, sperimentando rimedi tradizionali e alternativi: la ricerca diventa l’occasione per un’indagine sulle diverse concezioni di malattia, medicina e guarigione e porterà alla pubblicazione del volume Un altro giro di giostra. È un continuo confronto tra diverse società e culture, tra una medicina moderna basata sulla scienza e con l’obiettivo di conservare i corpi in vita il più a lungo possibile e pratiche tradizionali, rituali, religiose e meditative, che si propongono di curare nel contempo corpo e spiritualità, per giungere alla morte nel miglior modo possibile.
Durante tutta la malattia tiene un diario, annotando tutte le sensazioni, le reazioni del corpo alle cure e varie riflessioni, derivanti da un nuovo stile di vita in un corpo malato e debole, che stenta a riconoscere come proprio.
La riflessione sulla malattia e sulle sue conseguenze inizia con un esercizio semplice, facile da imparare: guardare la propria esistenza dal di fuori, staccandosi da sé. In questo modo Terzani è in grado di valutare la propria esistenza fino a quel momento, e la giudica meravigliosa
Un’avventura dopo l’altra, un grande amore, nessun rimpianto, niente di importantissimo ancora da fare. […] e quasi senza accorgermene, senza sforzo e, strada facendo, divertendomi.1
Paragona la propria vita e le proprie esperienze a un continuo stare su una giostra, su un bel cavallo bianco su cui aveva girato e dondolato a piacimento senza mai pagare il biglietto, ma ora stava passando il controllore e anche a lui avrebbe dovuto regolare i suoi conti in sospeso. Ma con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a fare un altro, ultimo, giro di giostra.
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Si trattava ora di decidere come agire, dove e come curarsi. Terzani sceglie senza indugio le cure occidentali scientificamente all’avanguardia del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, ammettendo di non prendere neanche in considerazione le cure orientali a cui aveva anche sottoposto, e con ottimi risultati, il figlio Folco e dei cari amici. Pur non rinnegando i validi principi dei rimedi legati alla spiritualità e all’omeopatia, quando si tratta di decidere sulla propria esistenza non ha dubbi e si affida alla scienza più familiare, la ragione occidentale.
Non torna mai indietro sulla propria decisione, ma si sente combattuto da sentimenti contrastanti nei riguardi degli Stati Uniti. Come in gioventù era stato grato all’America, che grazie a una borsa di studio gli aveva permesso di imparare il cinese, disprezzando nel contempo la sua politica estera in Vietnam e in Cambogia, così si sente ora: grato per le migliori cure al mondo, ma con un gran disgusto verso il materialismo dilagante che l’America rappresenta e incoraggia.
Ammira e rispetta i suoi medici curanti, ma prova un profondo disprezzo per lo stile di vita e lavorativo che la società newyorkese ha imposto ai suoi cittadini: le donne sono bellissime e in ottima forma, ma aggressive e sprezzanti, i tanti immigrati africani o latini sono relegati ai lavori più umili e mal pagati, come accade con le caste indiane, la solitudine sembra profondissima e in molti appaiono persi e perennemente tristi. Qualcuno è costantemente alla ricerca di un’alternativa che tra il gran numero dei ciarlatani e truffatori non è facile trovare.
Terzani interpreta fin da subito questa nuova condizione come una svolta nella propria vita, un’opportunità per cambiare delle abitudini che gli risultano pesanti, godendo della solitudine e riflettendo: è una situazione perfetta, che sognava da tempo, con intere giornate libere da ogni impegno ha la possibilità di lasciar vagare la mente, senza interruzioni. Dopo anni di rumore, di guerre, di osservare e descrivere le vicende altrui ha ora la possibilità di concentrarsi sulla propria.
Usando la malattia come scudo, non si sente più in dovere di nulla, finalmente libero e senza sensi di colpa “parrà strano, e a volte pareva stranissimo anche a me, ma ero felice”2 e coglie l’occasione di ciò che gli appare essere un nuovo ed inaspettato viaggio per raccontarne la storia, primariamente a beneficio di chi si trova ad affrontare lo stesso percorso di malattia, ma anche e soprattutto per le persone affette della malattia più comune: la mortalità.
Terzani cerca in tutti i modi una partecipazione attiva nel suo processo di guarigione, ritenendo che la sua mente possa in qualche modo avere un potere di controllo sulle cellule impazzite che stavano invadendo il suo corpo. Passa in breve tempo dall’odio per il cancro dentro di lui a sentirlo come proprio, come una conseguenza della vita trascorsa sempre di corsa, senza curare l’alimentazione, e dei numerosi impegni; invece di odiare la malattia la accetta come parte del suo essere, accetta le conseguenze delle cure sul fisico e ogni mattina, alzandosi, sorride al cancro, così
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come sorride al suo cuore, ai polmoni, al fegato e ai reni, dai quali, un saggio indiano gli aveva insegnato, alla fine dipende tutta la giornata.
Questa visione personale e soggettiva della malattia non coincide con il punto di vista dei medici, che affrontano la battaglia contro il cancro ( il cancro in generale, quello di tutti) in modo scientifico, razionale, meccanicistico e vedono il male come qualcosa di esterno, che entra nel corpo per fare danni e che va quindi distrutto il prima possibile: Terzani non si pente della sua scelta, è convinto che le cure del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center siano le migliori disponibili, ma si interessa a cure alternative e omeopatiche in cui intravede nuove possibilità.
In una megalopoli sviluppata e multiculturale come New York i corsi, seminari e convegni sulle più disparate tecniche di meditazione e di guarigione orientali non mancano e anche se in molti casi si tratta di ciarlatani, che investono le proprie capacità in truffe ben organizzate, occasionalmente si aprono per Terzani nuovi punti di vista sulla malattia.
Le prime perplessità sulla medicina occidentale giungono osservando il metodo di cura e di diagnosi delle cellule tumorali: ogni organo viene sopposto a esami specifici, il corpo viene controllato pezzo a pezzo e mai considerato nella sua integrità, nel suo essere un’unità di organi ma anche una mente e uno spirito, escludendo ogni tipo di influenze di questi ultimi nel processo di guarigione e nelle cause della malattia.
Nella coscienza di Terzani si fanno sentire forti e chiari i ricordi dei vecchi medici di famiglia, delle conoscenze tradizionali dei pastori dell’Orsigna, che basavano ogni diagnosi sui sintomi e le sensazioni riferite dal paziente, auscultando e visitando il malato da capo a piedi; ritiene che la scomparsa dei medici di vecchia formazione, profondi conoscitori della vita oltre che con una solida formazioni scientifica alla spalle, sia un grave danno per la medicina contemporanea, e si fa sempre più vivo il desiderio di colmare il vuoto umano lasciatogli dalle cure che sta ricevendo.
Terzani rivendica un proprio ruolo nella nascita e nella cura della malattia. Ritiene che la sua vita, con lo stress, il contatto con armi chimiche, il cibo poco salutare, la depressione e le frustrazioni abbia contribuito in modo preponderante allo sviluppo di cellule impazzite, rifiutando così le teorie contemporanee che individuano nella predisposizione genetica la sola causa del cancro. Ritiene quindi che gli sia possibile in qualche modo, attraverso l’alimentazione, lo stile di vita o la meditazione, avere un ruolo attivo nel processo di guarigione. Si rivolge quindi a un famoso omeopata europeo, che soprannomina Mangiafuoco; questi, nato in una famiglia di affermati medici, non ha seguito le orme della famiglia in quanto, dopo una lunga permanenza in America latina presso uno sciamano, ha iniziato a considerare la medicina occidentale limitata, preferendo lo studio dell’omeopatia. Mangiafuoco riconosce l’importanza del ruolo della magia all’interno delle cure omeopatiche, considerandola un elemento serio ed importante, collocato nella
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stessa linea curva in cui si trovano religione e scienza, e non una fandonia. Spiega come il compito dell’omeopata sia di ristabilire l’equilibrio interno della persona, di eliminare la sofferenza del paziente e non necessariamente di guarirlo a tutti i costi, quanto di garantire un decorso della malattia sereno, nella consapevolezza che la mortalità è propria di ogni essere umano e inevitabile; prescrive quindi dei rimedi per limitare i danni collaterali delle radioterapie e controllare i pesanti sbalzi di umore a cui Terzani è soggetto.
Lo scrittore è molto colpito da questa disciplina, soprattutto in virtù del fatto che a ogni paziente è prescritto un rimedio personale basato sull’analisi dei sintomi e delle riflessioni che il paziente stesso riferisce all’omeopata, sullo studio dei sogni e dei rapporti interpersonali, dopo un lungo colloquio e una visita approfondita. La materia lo interessa a tal punto da accettare di assistere a un convegno a Boston, tenuto da Mangiafuoco con i più capaci omeopati americani, al termine del quale è convinto che l’omeopatia sia una vera alternativa: i medici prestano grande attenzione ai pazienti e i rimedi non sono mai aggressivi né distruttivi.
L’omeopatia ha raggiunto il suo culmine grazie agli studi di Samuel Hahnemann nella prima dell’Ottocento, raccogliendo, grazie agli ottimi risultati, un gran numero di discepoli in Europa e in America. Durante il Novecento però, con il grande sviluppo della medicina e delle chimica, l’omeopatia venne accantonata, anche a causa dell’opera denigratoria messa in atto dalle case farmaceutiche, al punto tale da essere considerata ciarlataneria; in India questa pratica, dove giunse ai tempi di Hahnemann grazie a dei missionari tedeschi, ebbe uno sviluppo autonomo ed ora rappresenta il metodo principale per poter curare a basso costo la maggioranza delle persone.
Al termine delle radioterapie Terzani ha tre mesi di intervallo prima del ciclo successivo e sfrutta questi mesi liberi per tornare in India, con l’intento di approfondire e sperimentare dei rimedi alternativi a quelli occidentali, in modo particolare l’omeopatia e l’ayurvedica.
Il primo medico che incontra in india, in uno sperduto paese chiamato Kakinada, è un giovane ayurvedico autodidatta, esperto erborista, che sostiene di aver curato la propria asma all’età di dodici anni grazie ai suoi studi sui testi antichi e ai suoi esperimenti con le erbe. Il medico prescrive vari rimedi, a base di erbe e piccolissime quantità di metallo, per purificare lo stomaco di Terzani, secondo lui brulicante di vermi, e per guarirlo da una grave infezione ai reni diagnosticata attraverso l’ascolto delle pulsazioni del cuore. Terzani assiste personalmente alla preparazione del rimedio in condizioni igieniche alquanto sospette, e appena gli è possibile scarica tutto nel lavandino della sua stanza. Il giorno successivo si sottopone a una seconda analisi basata su criteri astrologici.
Terzani prova per il medico una profonda simpatia, ma dinnanzi alle sue terapie e alle sue diagnosi rimane tra il divertito e il distaccato, a volte si altera nei confronti della cultura indiana,
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che per ignavia, è causa della miseria del popolo. Non riesce a staccarsi dal suo punto di vista occidentale e razionalistico sul mondo. È necessario un grande sforzo psicologico per accettare il fatto che le migliori cure medico scientifiche sono quelle a cui è stato sottoposto a New York e che per ottenere un qualche risultato da ciò che l’India ha da offrire (condizione necessaria alla buona riuscita di una qualsiasi terapia è che il paziente creda nel proprio medico e nell’efficacia del rimedio) è necessario un cambio di mentalità.
L’occidente tiene le diverse scienze e discipline ben separate l’una dall’altra, mentre la cultura indiana tradizionale crede che tutto sia interdipendente, che tutto sia parte di una totalità invisibile e che l’uomo, non essendo solo corpo ma anche mente e spirito, non può, quando si ammala, essere curato esclusivamente nella sua natura corporea, considerata tra l’altro la meno significativa. Fisica e metafisica si integrano. L’astrologia, una delle arti più antiche, è parte sostanziale e rilevante della scienza medica e la religione e la filosofia, essenziali per l’equilibrio psichico ed emotivo, grazie a pratiche come lo yoga e la meditazione, non possono essere escluse dalla diagnostica e dalla cura; la salute fisica non è mai fine a se stessa ma è un importante mezzo per poter raggiungere la ben più importante salute dell’anima, ma anche la malattia è spesso considerata un’occasione per avvicinarsi al divino nel dolore, come un gioielliere spiega a Terzani attraverso un racconto chiarificatore. Un uomo scivola sulla scalinata del tempio, e ruzzola fino a terra; ogni scalino che colpisce gli provoca un forte dolore e a causa del dolore si sente più vicino a Dio, così che al termine della scalinata, quando non ci sono più scalini su cui battere la testa e provare dolore, si rammarica per la fine della caduta.
Al termine del soggiorno a Kakinada, Terzani ritiene che il giovane medico abbia una visione dell’uomo più vasta, più complessa e più magica rispetto ai medici di New York, ma è anche scettico dinnanzi alla grande credito che la medicina tradizionale tibetana stava acquistando in occidente, a causa delle sfortunate vicende politiche del paese, che gli avevano guadagnato la solidarietà mondiale, mentre molte testimonianze di viaggiatori del secolo scorso e alcuni medici contemporanei ne attestano la sostanziale arretratezza, la perdita delle più che valide conoscenze antiche e la sostanziale riduzione di molte pratiche a poco più che superstizioni su cui si è persa ogni nozione.
In Thailandia soggiorna per una decina di giorni in un elegante clinica specializzata nel lavaggio del colon. La pratica consiste in una settimana di digiuno e nell’ingestione di varie pillole a base di erbe o elementi naturali con proprietà purificanti. Si rende presto conto che parte del trattamento ha un fondo truffaldino, in quando le secrezioni prodotte durante la settimana di digiuno, che dovrebbero essere la prova tangibile di tutte le tossine fuoriuscite dall’intestino,
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derivano dalle polveri contenute nelle capsule, tuttavia apprezza la pratica del digiuno, che rende il corpo leggero e la mente libera, usata a scopo terapeutico da secoli in tutte le religioni orientali.
Terzani ricicla l’antica pratica del digiuno e la applica ai problemi dell’economia moderna, ritendo che l’unica possibilità che il genere umano ha di liberarsi del capitalismo più aggressivo e distruttivo sia di applicare il “digiuno da qualsiasi cosa non sia assolutamente indispensabile, digiunare da comprare il superfluo.”3
Ritiene completamente errato il principio secondo il quale l’aumento dei consumi è sintomo di progresso e crescita e, rifacendosi alle teorie di Gandhi sulla sobrietà e sull’autosussistenza, ritiene il modello economico capitalista potenzialmente letale per il pianeta e il genere umano, dal momento che, oltre ai gravi danni ambientali, ha anche la colpa di non poter dare agli esseri umani quello di cui hanno veramente bisogno.
A Hong Kong incontra un anziano filantropo cinese che prima di morire ha deciso di lasciare in dono all’umanità una prodigiosa cura contro il cancro: l’estratto di un fungo miracoloso per la medicina tradizionale cinese; successivamente si è accodato a un importante yogi e a un musicista per partecipare a un corso di yoga durante il quale, assunte le posizioni e aperti “i canali”, la musica sarebbe filtrata nei tessuti e nelle cellule del corpo, stimolandone la vitalità.
I tre mesi di stacco tra una radioterapia e l’altra passano anche troppo velocemente, e Terzani deve fare ritorno a new York con gran bagaglio di dubbi
Era il mio dilemma quel che avevo scoperto da solo, quel che mi pareva di essermi conquistato, m interessava e mi pareva avere un valore; quel che trovavo negli scaffali di un supermercato mi ripugnava. Un indovino mi disse era il libro di uno che “crede” nella riscoperta egli aspetti magici della vita, ma ora che ero tra i “credenti” tornavo a essere uno scettico inveterato.
Insiste sulla necessità di cambiare punto di vista sulla realtà fisica e sulle cure mediche che dalla concezione di questa si sviluppano, sull’idea di morte, che è passata in breve tempo da essere un fatto corale, umanitario, da vivere con la famiglia, a qualcosa da demonizzare e nascondere negli ospedali, al punto tale da renderlo sconosciuto, cosicché la maggioranza delle persone vi giunge completamente impreparata e nel terrore.
Le notizie che riceve a New York sono buone e il controllo successivo è fissato ad altri tre mesi di distanza. Terzani si ritira in un asham (eremo) nel sud dell’India insieme ad altri cento sisha (coloro che meritano di studiare) per approfondire i testi vedici e il sanscrito sotto la guida di un famoso e saggio swami (maestro). Durante la presentazione ai compagni di studio vuole evitare ogni riferimento all’uomo che è stato finora, al giornalista italiano internazionale, al proprio nome e
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alla propria nazionalità: quell’identità lo avevo condotto alla depressione e, successivamente, al cancro e lasciare il proprio sé alle spalle è visto come una liberazione da un pesante fardello, per avere la possibilità di viaggiare leggero verso qualcosa di nuovo e di diverso.
L’identità composta dal bagaglio di esperienze, dalle qualificazioni scolastiche e lavorative, dagli affetti, dai luoghi cari cessa di essere un elemento qualificante dell’io, che è visto come un nuovo luogo da esplorare, per un viaggio non all’esterno nel mondo, ma all’interno di se stesso, finalmente libero dal peso delle responsabilità, che un nome famoso e ben affermato comporta. Il viaggiare e scoprire nuovi paesi e culture è sempre stata una costante nella vita di Terzani, che non era venuta meno neanche con il sopraggiungere della malattia e con l’indebolimento del corpo, ma ora per la prima volta nella sua esistenza arriva a mettere in dubbio la validità del viaggio come tecnica per approfondire la conoscenza di se stessi e del mondo, riconoscendo che la ragione di tutto quel muoversi era un tentativo di colmare il vuoto che aveva dentro: senza viaggiare non avrebbe avuto nulla da dire, nulla su cui riflettere.
Il nome, sempre il nome. Quante cose dipendono nella vita dal nome […] il nome, sempre quell’identità. Che fatica!
Via, tutto questo, via! Un altro po’ di inutile zavorra da buttare a mare per affrontare meglio l’ultima traversata. […]
Io stesso mi toglievo altri pezzi è [come avevano fatto i medici di New York]: meno fisici, questa volta. E che restava? Che restava di me senza il mio nome, la mia storia, senza quello a cui per una vita avevo così assiduamente lavorato?4
Il viaggio da sempre ritenuto, a partire da Omero e Gilgamesh, un mezzo di crescita spirituale, è diventato un ostacolo a questa stessa crescita, poiché più a lungo e lontano Terzani si spingeva, meno sentiva di apprendere e di scoprire; ritiene essere giunto il momento di fermarsi, di non viaggiare più fisicamente, ma di iniziare un nuovo e più difficile viaggio alla scoperta dell’unico luogo che non ha mai esplorato durante la sua esistenza: se stesso.