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Le vicende dell’undici settembre 2001 lo segnano profondamente, al tal punto che ritiene la tanto amata solitudine qualcosa di estremamente arido ed egoista, specialmente in un momento cruciale per l’umanità. Decide quindi di non ritirarsi nuovamente nel suo rifugio himalaiano, ma, per amore del nipotino Novalis, di scrivere Le lettere contro la guerra. Le Lettere sono otto brevi componimenti, tutti incentrati sul tema della pace e della non violenza, ma composti in luoghi e situazioni diverse e indirizzate a diversi referenti.

La prima lettera, 10 settembre 2001: il giorno mancato, ha una valenza programmatica e testimonia l’esperienza diretta di Terzani e le sue immediate reazioni al crollo delle torri gemelle. La riflessione si apre considerando il gran numero dei giorni che scorre velocemente senza lasciare a nessuno di noi particolari ricordi o emozioni, come probabilmente è stato per il 10 settembre 2001: all’alba dell’attentato che ha comportato dei cambiamenti significativi nella vita di quasi tutta l’umanità, il giorno che nessuno si è curato di godersi

L’ultimo giorno della nostra vita di prima: prima del 11 settembre, prima delle Torri Gemelle, prima delle nuove barbarie, della limitazione delle nostre libertà, prima della grande intolleranza, della guerra tecnologica, dei massacri di prigionieri e civili innocenti, prima della grande ipocrisia, del conformismo, dell’indifferenza, o peggio ancora, della rabbia meschina e dell’orgoglio mal riposto; l’ultimo giorno prima che la nostra fantasia in volo verso più amore, più fratellanza, più spirito, più gioia, venisse dirottata più odio, più discriminazione, più materia, più dolore. 1

Dopo i primi minuti di caos, nella mente di Terzani si fa sempre più salda l’idea che il crollo delle torri gemelle rappresenti una buona occasione, poiché tutto il mondo aveva visto la distruzione e il dolore causato dalla violenza e dall’odio e si presentava un’opportunità per ripensare tutto l’assetto dei rapporti tra stati, tra religioni, tra gli essere umani stessi e la natura, per creare dei nuovi legami basati sulla tolleranza e sulla non violenza, permettendo alla nostra concezione di vita di fare un salto di qualità. Il mondo era cambiato e anche gli esseri umani dovevano cambiare, rifiutando di nascondersi vigliaccamente nelle abitudini e nella vita di tutti i giorni, ma cercando di capire le ragioni degli altri, per creare una nuova società nonviolenta.

La lettera viene pubblicata sul “Corriere” il 16 settembre e Terzani sta meditando se sia il caso di ripiegare nel suo rifugio tra le montagne indiane, o se sia suo dovere dare un contributo in prima persona alla società, quando la pubblicazione, sempre su il “Corriere” dell’articolo La rabbia

e l’orgoglio di Oriana Fallaci lo spinge a rimanere.

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La Fallaci nega fortemente le ragioni del nemico dell’occidente, nega la sua umanità stessa, dando libero sfogo alle passioni più istintive come la rabbia, l’odio e la vendetta, rispecchiando ciò che Terzani aveva colto all’interno della società americana durante gli ultimi controlli medici: l’arroganza, la certezza di essere nel giusto, la convinzione di essere forti e di credersi il massimo picco della civiltà. Gli americani gli erano parsi tutti sottoposti a un inconsapevole lavaggio del cervello e ritiene che la Fallacci, stabilitasi e New York da molti anni, possa essere stata vittima delle stesso tranello.

Decide quindi “di scendere in pianura” e di occuparsi ancora una volta delle vicende del mondo, non per il pregio di una firma su un articolo o per scoprire qualcosa di nuovo, ma per dare il suo contributo alla creazione di una nuova società e per fornire un inedito, alternativo spunto di riflessione. Sostiene infatti che la violenza perpetrata dagli estremisti islamici della jihad, facenti capo a Osama Bin Laden, sia nata come reazione alle pesanti umiliazioni e violenze che il modo islamico, da sempre fiero e prospero, ha dovuto subire dal mondo occidentale e dalla sua presunzione di voler portare tutte le culture e le civiltà al proprio stile di vita, ritenuto inappellabilmente il migliore. L’escalation di violenza, culminata con gli episodi del 11 settembre, non può essere fermata se non con una profonda riflessione e con un cambiamento radicale dell’atteggiamento violento e aggressivo di una delle due parti; l’occidente potrebbe, secondo Terzani, aiutare i musulmani a isolare le frange più estremiste delle loro cultura e a riscoprirne l’aspetto più spirituale. È necessario a suo parere, ridefinire un nuovo concetto di felicità, basato sul rispetto e sulla convivenza di tutti gli esseri umani, per questo trova pericolosa la lezione di intolleranza trasmessa dalla Fallaci destinata a diffondersi in tutte le scuole e a contribuire alla sviluppo di una generazione che non saprà cambiare le cose.

Riprende nuovamente a viaggiare, trascorre dei mesi in Afghanistan, documentando le opinioni della popolazione e analizzando le conseguenze dei bombardamenti americani e lo sviluppo dell’odio causato dalla cattiva informazione e dalla sete di vendetta. Arriva a paragonare i fondamentalisti islamici all’atteggiamento di arroganza e superiorità della cultura occidentale, che col suo imporsi nei paesi islamici e del terzo mondo causa numerose vittime con l’industrializzazione forzata, l’inquinamento e la globalizzazione.

La fine della guerra fredda e la scomparsa della minaccia diretta al consumismo e al modello di vita occidentale, secondo Terzani, hanno causato un declino del consenso mondiale verso la politica di stra- potere americano e un’ingente riduzione degli introiti legati alla produzione bellica, così che si è reso necessario, per gli Stati Uniti, identificare un nuovo e minaccioso nemico, che in seguito agli attentati delle torri gemelle è davanti agli occhi di tutti.

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Una forma di violenza ne genera un’altra. Solo interrompendo questo ciclo si può sperare in una qualche soluzione2

Dopo qualche mese rientra nel suo rifugio in India per mettere un po’ d’ordine tra i suoi pensieri, in seguito alla deludente constatazione che anche l’India, stato spiritualmente avanzato e possibile alternativa alla globalizzazione, ha in corso delle trattative belliche in seguito al 11 settembre.

Le Lettere si chiudono con la speranza di una nuova evoluzione dell’homo sapiens, non in senso tecnologico o economico, ma dal punto di vista spirituale, creando nuove generazioni meno legate alla materia, al possesso e alla ricchezza e più concentrate sul rapporto con gli altri esseri umani e con il pianeta. Ritiene infatti che l’umanità sia estremamente povera da questo punto di vista, come non lo è mai stata nella storia, e che questi, visti con gli occhi del futuro “sono ancora i giorni in cui è possibile fare qualcosa”3 per cambiare direzione.

Nell’ottobre 2002 si sottopone a nuovi controlli medici e scopre che il linfoma è guarito, ma che è comparso un grave tumore allo stomaco; i medici non gli danno più di sei mesi di vita.

Rifiuta le terapie e ritorna sulle vette dell’Himalaya per gestire il duro colpo emotivo. Torna a Firenze nel gennaio 2003 per il matrimonio della figlia Saskia e trascorre il resto della sua vita ad Orsigna con Angela; dalla sua amata valle scrive una lettera al figlio Folco, che risiede a New York, proponendogli di essere intervistato da lui riguardo ogni curiosità, per creare e pubblicare negli ultimi mesi di vita una sorta di diario del rapporto tra padre e figlio: il volume La fine è il mio inizio uscirà postumo a cura di Folco Terzani.

Il 29 luglio 2004 Tiziano Terzani muore (o meglio lascia il suo corpo, come lui era solito dire) ad Orsigna, superando di quasi due anni l’aspettativa di vita che i medici gli avevano prospettato.

2Ivi, p. 1092. 3

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