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CAPITOLO 5 Il diritto alla salute del detenuto

5.1 Le malattie psichiche in carcere

E' noto che il disturbo mentale non è un evento che riguarda solo gli internati, ma si tratta di un problema diffuso anche negli istituti di pena ordinari. L'impatto con la struttura carceraria costituisce inevitabilmente un evento drammatico nella vita di un individuo.

Come scrive Margara125, i 2/3 dei detenuti sono rappresentati da tossicodipendenti, immigrati e persone con varie criticità, disagi di tipo sociale e problemi di adattamento; si tratta in pratica di quella che si potrebbe denominare “detenzione sociale”, ovvero detenzione che consiste in fenomeni sociali trattati penalmente, conseguenza delle politiche attuate negli ultimi anni.

Nel tempo sono stati fatti svariati tentativi di rendere più umana la vita in carcere e di prevenire i comportamenti a rischio. Uno tra i più importanti è la Circolare Amato del 30 dicembre 1987 n. 3233/5683, la quale istituisce il Servizio Nuovi Giunti, servizio che al suo interno prevede la presenza di uno psicologo, il quale effettua colloqui con ciascun detenuto al suo ingresso in carcere. Il colloquio mira alla valutazione della personalità del soggetto, soprattutto al fine di prevenire gesti autolesivi. Tale servizio è stato istituito solo nelle strutture che hanno un numero giornaliero rilevante di ingressi. Un'altra circolare della Direzione Generale126 precisa che tali colloqui non devono essere fini a sé stessi, devono bensì essere finalizzati ad un'effettiva presa in carico dei detenuti classificati “a rischio”. Dal 1999 inoltre, la retribuzione degli specialisti in psichiatria è diventata oraria, con un monte ore deciso in base alla capienza dell'istituto, in modo da svincolarli da un'attività di mera consulenza; stabilendo infatti una tariffa oraria e non a visita lo psichiatra, diversamente dagli altri specialisti, non è subordinato per l'effettuazione delle visite alla richiesta del medico incaricato, ma decide nell'ambito della propria autonomia, diventando in tal modo parte integrante non solo dell'area sanitaria ma di tutta

125 A. Margara, Carcere: la salute appesa a un filo. Il disagio mentale in carcere e dopo la detenzione, www.giustizia.it, 20 maggio 2005.

l'istituzione penitenziaria”127.

Le psicosi carcerarie sono vere e proprie forme psicopatologiche, con sintomi caratteristici, che insorgono durante la detenzione e che non si osservano in altri ambienti. Talvolta rappresentano la continuazione di una patologia preesistente che poi si accentua durante la detenzione, altre volte rappresentano risposte ad eventi particolarmente traumatici128. Si tratta di disturbi, causati da una situazione drammatica che crea angoscia e disperazione, che non vengono ritenuti abbastanza gravi da giustificare l'incompatibilità col carcere.

La sindrome di Ganser, ad esempio, è un tipo di psicosi che si presenta tipicamente nei detenuti in attesa di giudizio. Si tratta di una “reazione isterica basata su di una motivazione inconscia del soggetto ad evitare la responsabilità, sforzandosi di apparire infermo di mente. Uno dei sintomi psicopatologici più caratteristici è il fatto che i soggetti non sono capaci di rispondere alle domande più semplici che vengono loro rivolte, sebbene dalle risposte è evidente che hanno capito il significato della domanda e nelle loro risposte tradiscono una sconcertante mancanza di conoscenze che essi hanno posseduto e che ancora, senza ombra di dubbio, possiedono. (…) E' caratterizzata da un comportamento bizzarro, allucinazioni visive ed uditive, deliri, disorientamenti, amnesia, convulsioni isteriche, marcata variabilità dell'umore”129. I sintomi possono sparire all'improvviso dopo il verdetto, anche se questo è stato sfavorevole. Siccome la sindrome si presenta sempre dopo che il reato è stato commesso, il giudizio medico-legale non ne tiene conto e il soggetto è ritenuto imputabile.

La sindrome da “prisonizzazione” si articola attraverso una vasta gamma di quadri psicopatologici che vanno dalla sindrome ansioso-depressiva fino alla sindrome di Ganser. Si tratta di un processo che porta all'assuefazione al modo di vivere, ai costumi, alla cultura del carcere, al linguaggio, al modo di vestire, di mangiare o di lavorare; consiste in un adattamento progressivo all'ambiente del carcere, fino ad arrivare ad un'identificazione col ruolo di detenuto.

Il carcere ha un ruolo attivo sulle vite dei detenuti che, in base al loro grado di sensibilità, di cultura, di risorse personali, vengono indotti all'assunzione di abitudini comuni.

127 Circolare n. 577373/2 del 30 giugno 1999.

128 S. Ardita, Le malattie mentali in ambito penitenziario, Relazione della Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica, presentata il 18.01.2006, www.giustizia.it.

129 D. Pratelli, “Incompatibilità per condizioni di salute psichica”, Cap. III, p. 3, in Incompatibilità tra condizioni di salute e stato di detenzione, www.altrodiritto.unifi.it.

Come ha fatto Danila Pratelli nella sua ricerca sulle psicosi carcerarie, si può applicare la teoria di Goffman130 relativa alle “istituzioni totali” anche all'ambito carcerario, “in quanto i reclusi sono sottoposti ad un processo di “spoliazione del sè”, separati come sono dal loro ambiente originario e da ogni altro elemento costitutivo della loro identità. Sostiene sempre Goffman131 che all'interno dell'istituzione si verificano delle vere e proprie “esposizioni contaminanti” dovute alla soppressione della privacy e all'imposizione di condizioni ambientali sfavorevoli e fonti di malessere. Questo perché:

a) tutte le espressioni della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto il controllo della stessa autorità dirigenziale;

b) ogni fase delle attività giornaliere del detenuto si svolge in mezzo a tanti altri detenuti che sono trattati nella stessa maniera e a cui si richiede di fare la medesima cosa;

c) tutte le fasi sono strettamente correlate e calcolate nel tempo”.

L'analisi di Goffman evidentemente si adatta molto bene anche alle caratteristiche di vita all'interno degli OPG, oltre a quelle degli ormai superati manicomi civili. L'ambiente del carcere mette a dura prova chiunque e purtroppo sono molte le persone che finiscono col subire l'ambiente che le circonda. Si è purtroppo sempre di fronte a una contraddizione: attraverso la reclusione si vuole insegnare all'individuo a vivere nel mondo, facendolo proprio in quel luogo che ne è l'antitesi132.