• Non ci sono risultati.

Il Maltrattamento nelle RSA: Fattori di rischio e cause

Gestione personale

LA VIOLENZA SUGLI ANZIANI NELLE RSA E' LA STRAGE CAUSATA DAL COVID-

3.4 Il Maltrattamento nelle RSA: Fattori di rischio e cause

Il maltrattamento degli anziani è un fenomeno emerso nel nostro Paese in maniera più sistematica durante gli ultimi 10-15 anni ed stato a lungo ignorato e sottovalutato dalla società italiana.

Nel nostro Paese infatti la violenza sugli anziani è poco segnalata all’Autorità Giudiziaria, anche se la tendenziale crescita demografica della popolazione di età avanzata ha posto la società di fronte ai molteplici problemi dell’assistenza agli anziani. Solo recentemente infatti, anche su stimolo delle agenzie internazionali (OMS, UE,) tramite report, raccomandazioni e convegni si è creata una rete di condizioni e collegamenti all’interno della comunità scientifica, delle professioni sanitarie e della società civile (associazioni di volontariato e gruppi di pressione) che contribuiscono ad una concreta sensibilizzazione nel fare emerge il problema a diversi livelli.

47 Il fenomeno del maltrattamento si inserisce quindi in una prospettiva complessa costituita da una serie di condizioni, cause, aspetti e determinanti che contribuiscono tra loro a generare dinamiche culturali, sociali e assistenziali non accettabili.

Le RSA sono strutture pubbliche o private, autorizzate e accreditate, rispondenti a criteri di qualità relativi sia alla struttura, che al personale, che al processo tecnico organizzativo. Su di esse in genere vigila una commissione di vigilanza ASL che provvede alla valutazione della presenza di certi requisiti e il loro mantenimento. In genere sono strutture modulari che hanno al loro interno diversi reparti destinati alle diverse condizioni ai autosufficienza o di non autosufficienza che hanno quindi personale destinato con professionalità diverse.

Le cronache ci hanno dimostrato come possano esservi agiti violenti che diventano stili di lavoro di interi gruppi di professionisti, in quei sistemi ritenuti anche simbolicamente “chiusi” perché contenutivi e contenitori di sofferenza agli sguardi del mondo47.

Molto spesso si è proposto in passato il tema della violenza in relazione alla contenzione riducendo quella che è una “responsabilità” organizzativa all’uso o meno degli strumenti di contenzione sanitaria (sponde ai letti, legature, etc). Fermo restando che la contenzione fisica deve (non dovrebbe!) essere utilizzata solo quando il sanitario ritenga non vi siano altri mezzi per fronteggiare un pericolo, e solo dopo che siano stati valutati e provati tutti gli altri mezzi meno traumatici, ridurre l’analisi a questo solo aspetto appare veramente riduttivo. Oltre alla contenzione un altro elemento di grave vittimizzazione è la trascuratezza fino ad arrivare l’abbandono.

La responsabilità dell’atto violento è quindi in questo senso “responsabilità diffusa” di cui sono imputabili anche i livelli istituzionali che devono gestire l’organizzazione del personale e garantire lo sviluppo di determinate competenze, capacità e adeguatezza professionale. è fondamentale non solo raccogliere dati su quando e dove i fatti violenti sono accaduti, le vie di fuga o le limitazioni spaziali, ma anche capire i turni di lavoro, le compresenze, i possibili testimoni, le caratteristiche del silenzio, le dinamiche relazionali del gruppo di lavoro. È necessario capire come quello stile professionale violento è stato condiviso, accettato, introiettato. È necessario capire quali siano i fattori di rischio “istituzionali” e di processo organizzativo.

48 Fig. 3.5 Fattori e tipologie di rischio

Fonte: Galavotti C., Vittime fragili e servizio sociale, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2016, p. 110

Le numerose responsabilità e i vari conflitti che sorgono quando si assiste una persona anziana sono capaci di isolare un caregiver, compromettendone i rapporti sociali e mettendo a repentaglio le opportunità di lavoro. Possono comportare un carico crescente di rabbia, frustrazione, senso di colpa, ansia, stress, depressione, senso di impotenza ed esaurimento. Questi sentimenti costituiscono ciò che viene chiamata sindrome dell’esaurimento psicofisico (o “burnout”) del caregiver. L’esaurimento psico-fisico è l'esito di un sovraccarico duraturo di stress. Applicato in ambito lavorativo si verifica quando le richieste sono sproporzionate rispetto alle energie degli operatori, l'organizzazione strutturale inadeguata ed il supporto sociale deficitario. Il burnout è una sorta di difesa che la mente mette in atto in caso di difficoltà ed in assenza di altre possibilità di soluzione; in altre parole se la persona è sottoposta ad un carico troppo pesante e troppo pressante in assenza di un idoneo supporto relazionale scatta come ultima trincea la difesa della "dissociazione": progressivo distacco dal contesto, da se stessi e dall'utenza. L'esaurimento con il deterioramento cognitivo, fisico ed emotivo lascia spazio a deficit di concentrazione e di attenzione, sensazioni di estraneità, irrealtà, inaridimento, completo disinteresse verso il proprio lavoro, se stessi e gli altri con marcata compromissione delle capacità empatiche.

Ambito •R.A, R.S.A Centri Diurni

Fattori di Rischio •Fattori di stress degli

operatori

•Tensioni tra operatori e famiglie

•Mancanza di mezzi, disponibilità e personale •Gestione delle gare di

appalto

•Riduzione dei costi •Non definizione dei ruoli e

dei compiti

•Mancanza di supervisione del personale

•Mancanza di supervisione dei processi gestionali e di cura

Tipologie di Rischio •Maltrattamenti fisici e

psicologici

•Negligenza attiva e passiva •Isolamento

•Restrizioni della libertà •Infantilizzazione •Reati contro la persona

49 3.5 L'empatia

Alla luce di quanto detto, le capacità empatiche del lavoratore risultano essere un ingrediente fondamentale nella costruzione di una relazione sana con l'anziano ospite.

Il termine empatia fu coniato da Edward Titcherer, filosofo e psicologo inglese, nel 1909, sulla base greca di empatheia, come traduzione del termine tedesco Einfuhlung (sentire dentro), a proposito del godimento estetico di un oggetto.

Fu Theodor Lipps, filosofo e psicologo tedesco, a farne un concetto psicologico, sostenendo che chi osserva un certo gesto in un’altra persona, proietti se stesso nell’altro, provando la medesima emozione. La capacità di fare propria l’esperienza altrui, partendo da una considerazione patologica, attraverso l’identificazione isterica, fu descritta, già nel 1899, da S. Freud, fondatore della psicoanalisi, che stabilì come i pazienti, attraverso tale identificazione, esprimevano nei loro sintomi le esperienze delle altre persone, soffrendo ciò che gli altri soffrivano, e considerando tale aspetto come parte del riconoscimento inconscio di una comune esperienza emotiva. In seguito l’attenzione si spostò dalla condivisione dei vissuti altrui alla relazione paziente-terapeuta48.

In questo campo Rogers ha considerato l’empatia come una componente indispensabile nel rapporto terapeutico, che consente di entrare nel mondo di un’altra persona senza giudicarla. Rogers ha definito l’empatia come l’abilità nel percepire il mondo più intimo dei valori personali del cliente come se fosse proprio, senza mai perdere la qualità del “come se”49.

Entrare nel mondo di un’altra persona senza giudicarla o volerla analizzare crea i presupposti per un’apertura alla condivisione e alla crescita personale.

L’empatia è una capacità basata sulla consapevolezza delle proprie emozioni, fondamentale nella relazione con gli altri. L’autoconsapevolezza permette di saper gestire le proprie emozioni e quelle degli altri in maniera costruttiva, senza lasciarsi travolgere. In particolare Goleman, psicologo statunitense, conferma che l’empatia si fonda sulla consapevolezza nel senso che quanto più siamo aperti verso le nostre emozioni, tanto più abili saremo nel leggere i sentimenti altrui. L’empatia è centrale e funzionale all’assistenza socio-sanitaria in quanto permette al personale sanitario di

48 Bonino S., Lo Coco A., Tani F., L’empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Ed. Giunti, Milano , 1998,

pp. 9-10

50 creare un clima di fiducia, necessario per stabilire la reale percezione dei bisogni del cliente. Alla base di una buona assistenza vi è la relazione di aiuto, questa diventa terapeutica quando contiene uno sforzo di comprensione dell’esperienza vitale della persona, con una partecipazione profonda e sincera in termini di empatia, possibile solo in condizioni di maturità affettiva.

L’atteggiamento empatico rende abile l'operatore nel comprendere la disponibilità della persona a parlare e a capire le risposte in termini di salute. Un investimento con un alto livello di empatia nella relazione operatore-paziente fornisce un riscontro positivo in termini di salute, che contribuisce a migliorare il concetto di sé e a ridurre lo stress fisiologico, l’ansia e il rischio depressivo.

Un operatore incapace di relazionarsi in modo sano con il paziente, produrrà ripercussioni sulla relazione assistenziale, sulle capacità professionali e trasmetterà le sue difficoltà anche alla persona, facendola sentire diffidente nei confronti della figura che ha di fronte, impedendogli di chiedere aiuto.

Ne consegue un fallimento nella comprensione del cliente e dei suoi bisogni che implica sia la mancata intuizione dei reali bisogni del paziente, funzionali alla presa in carico, sia l’inadeguato supporto emotivo fornito, contribuendo così, seppur in minima parte, ad una risposta in termini di salute non favorevole, come ad esempio un aumento dello stress.

Da un livello di empatia non calibrato nasce il rischio per l'operatore di una totale immedesimazione e di una condivisione non controllata degli stati emotivi del paziente, situazione definita “contagio emotivo”. Un forte coinvolgimento emotivo, può essere causa di stress per il personale, che non riesce più, con le proprie risorse, a far fronte alle richieste del paziente.

51 3.6 Rilevazione dell'abuso e piano d'azione

A questo punto, e doveroso focalizzarsi sulla rilevazione degli abusi e sugli ostacoli concreti che non consentono una chiara e precisa delineazione dei passaggi da seguire. Esistono limiti obiettivi alla rilevazione dell’abuso:

 esistono molteplici definizioni di abuso culturalmente diverse in base della provenienza del soggetto quindi non condivise e standardizzate;

 interpretazioni divergenti del concetto di abuso a livello disciplinare;  La difficoltà di utilizzare metodi di screening;

 La mancanza di consenso nei metodi utilizzati per la raccolta dei dati, non standardizzati e condivisi.

52

Fonte: Galavotti C., Vittime fragili e servizio sociale, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2016

Gli esperti del settore hanno individuato diversi strumenti per lo screening incentrati su tre dimensioni diverse:

• strumenti basati su interviste dirette alla vittime potenziali • strumenti che indagano sintomi e segni di abuso

• strumenti che rilevano e valutano l’insieme di rischi associati all’abuso

Uno strumento basato su un approccio multi-dimensionale è il Brief Abuse Screen for the Elderly (BASE); composto da cinque domande rivolte ad anziani considerati potenzialmente a rischio di comportamenti di abuso.

Nei casi di demenza e/o di degradate o compromesse capacità cognitive le metodologie di screening sono ancor più sfidanti. E’ risaputo che le domande dirette sono di difficile approccio mentre i metodi basati sulla raccolta di informazioni da diverse fonti sono i più efficaci.

In quest’ambito, il Caregiver Abuse Screen (CASE) tool, appare attualmente come uno dei migliori strumenti disponibili. Identifica nel familiare/caregiver le possibili colpe o i potenziali rischi per diventare l’autore di abusi fisici o psicologici o di abbandono e trascuratezza, ponendo una serie di domande direttamente al caregiver.

Lo strumento è stato inizialmente utilizzato all’interno del progetto CARE nell’ambito della Agenzia di servizi sanitari e sociali basati sulla comunità locale di Montréal West in Canada per identificare i sospetti o potenziali cargivers e le relative vittime e provvedere così ad interventi preventivi.

Proviamo quindi ad analizzare quali siano i ruoli professionali e le funzioni dell’equipe multi professionale, comprese le forze di polizia chiamate all’intervento per l’accertamento del reato.

Fig. 3.8 Figure professionali e ruoli

RUOLO

MEDICO Ricerca e diagnosi di abuso durante la valutazione di routine. Esame fisico, dello stato mentale e del tono dell’umore.

Comunicazione con gli altri membri del team riguardo questi risultati. testimonianza riguardo l’affidamento ed altre procedure legali.

Elemento essenziale del team in cui può essere il solo

53

all’abusatore.

INFERMIERE Possibilità di scoprire l’abuso data la natura e la

durata del contatto con l’anziano.

Importante soprattutto in casa di riposo dove può essere il solo testimone dell’abuso.

Comunicazione con gli altri membri del team, compreso il medico, riguardo all’abuso.

Possibilità di aiutare ed educare il caregiver a sospendere il maltrattamento.

ASSISTENTE

Documenti correlati