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Prima di poter conoscere Marco Tutino ho letto il suo libro, che è una sorta di biografia ricca di spunti sul mondo della musica e della lirica, dove racconta le vicende che ruotano attorno alle sue opere, le circostanze che hanno accompagnato la sua carriera, accostate a qualche consiglio tecnico e ad alcune considerazioni personali.

Lo spunto migliore, la chiave di lettura più importante, a mio parere la offre all’inizio, si voglia perché può essere applicata a qualsiasi campo ed essere buona per tutti, o semplicemente perché lui afferma che da quel momento ebbe inizio una nuova fase della sua vita. La lettura delle sue esperienze con la costante di questo monito ne può spostare la percezione da racconto ad esempio.

A diciassette anni, durante una conversazione con la madre, questa gli pose davanti agli occhi la questione della scelta del proprio mestiere, della differenza con quello che è il dilettantismo, e quindi lo svolgere delle attività per il proprio svago personale. Dunque, a prescindere dalla retribuzione e dalla posizione sociale, di come eticamente fosse giusto fare bene qualcosa, perseverare nel raggiungimento dei massimi risultati nella mansione di cui si sceglie di occuparsi. Scrive di come queste parole divennero per lui una lezione di vita, di come la cura e la dedizione per il proprio lavoro, umile o meno che potesse essere, diventarono un valore da perseguire. La maturazione di questo pensiero guidò anche il suo gusto nell’apprezzare tutte quelle attività sottese da saperi custoditi, storia e tradizione, dai prodotti dell’artigianato alle arti.

Inevitabilmente estimatore della cultura occidentale e dei prodotti umani che se ne animano, per la sua tessitura di significati comuni e profondamente radicati nella storia, tanto autonomi e solidi da esistere a prescindere dagli individui. Ed è alla ricca tradizione che desidera ricongiungersi tramite il suo lavoro, a dispetto delle tendenze postmoderne. Non attuando la riscoperta di un oggetto archeologico ma attraverso l’uso di un linguaggio ricco di valori condivisi. Tale linguaggio, proprio perché tanto radicato nella cultura di

40 Bossini O., Orrori di guerra e citazioni d’autore, Programma di sala de La Ciociara, Cagliari, Fondazione Teatro Lirico di Cagliari, 2017, pp. 16.

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ogni individuo, continua ad essere vivo e, adattato alle esigenze del presente, può proseguire nel suo fine comunicativo. Proprio la musica e tanto più il melodramma che vi accorpa l’elemento visivo e narrativo, attraverso un processo metalinguistico costruisce un livello di trasmissione/relazione per cui ogni spettatore ne ricava un messaggio, sintesi delle sue stesse sensazioni remote, sollecitate dallo stimolo sonoro. Ogni inserto musicale, può infatti potenzialmente richiamare ricordi personali e sollecitare il pensiero tramite archetipi sonori e richiami culturali comuni.

Evidenzia come non può che tener presente di come il pubblico, verso cui è direzionata tale operazione comunicativa, sia soggetto nel mondo contemporaneo ad una quantità sempre maggiore di stimoli e sia consumatore di una gran quantità di prodotti culturali e dell’intrattenimento su vari fronti. Si tratta di un pubblico trasversale41, che va al cinema, legge libri, segue serie televisive, è circondato dalla musica ovunque vada e questo influisce sulle sue abitudini di fruizione, sulla sua attenzione e i suoi tempi. Ne conseguono necessità drammaturgiche di cui tener conto, attraverso un arricchimento che non snaturi l’opera ma accresca le sue potenzialità di ricezione. Questo riporta al pensiero che la comunicazione debba essere il fine, perché come sottolinea Tutino, l’opera non nasce per risultare un mero oggetto di contemplazione ma per essere contemporanea, toccando temi e dinamiche che coinvolgano lo spettatore e parlino dei suoi moti interiori, ricoprendo perciò un ruolo attivo. Afferma42 come le sperimentazioni delle avanguardie artistiche del primo novecento abbiano prodotto una frattura tra il pubblico e la figura del compositore e come questa sia andata ad aumentare nel secondo dopoguerra con una diffusa logica intellettuale che si asteneva dal riferirsi alla neonata società di massa. Evidenzia come la scelta di una condotta di questo tipo rischi di portare allo snobismo e ad un’imperturbabilità nei confronti del pubblico, che finisce inevitabilmente per provocarne l’allontanamento. Il giudizio espresso è sia quello di artista e compositore che non desidera rivolgere il proprio operato esclusivamente agli assensi della critica, che di manager teatrale conscio dell’ingente sforzo economico che la produzione di un’opera richiede. Reputa pertanto doveroso per il compositore perseguire nel tentativo di

41 Valanzuolo S., Io, Moravia e una sua idea di pubblico, Programma di sala de La Ciociara, Cagliari, Fondazione Teatro Lirico di Cagliari, 2017, pp. 30.

42 Bossini O., Orrori di guerra e citazioni d’autore nella Ciociara di Marco Tutino, Programma di sala de La

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avvincere gli spettatori in vista del fatto che parte delle risorse investite nella produzione sono appunto di natura pubblica.

Per quanto riguarda la sua maniera di accostarsi alla composizione, la descrive come lontana dall’essere cerebrale e incline ad intellettualismi. Auspica infatti, per chiunque crei un oggetto d’arte come di artigianato, l’abbandono delle congetture teoriche a favore dell’ispirazione. Il padroneggiare la tecnica con una maestria che permetta di non applicarla volontariamente ma di renderla una guida inconscia a favore dell’ondata creativa43. Lo stesso principio vale per l’innovazione, aspetto che considera non essere mai da ricercare: il prefiggersi l’innovazione è differente dal risultare innovativi ed è un dettame non produttivo per l’arte. Meglio scegliere il linguaggio che si trova più affine e credere fortemente in quello che si sta facendo, con professionalità.

Parla della stessa composizione de La Ciociara come un’operazione per la quale ha evitato gli eccessivi ragionamenti ed anzi, avvenuta quasi in uno stato di rapimento svolgendo quella che ha definito una “funzione da levatrice” di qualcosa di già esistente44. Tutino descrive infatti il suo metodo di composizione, affine quasi ad un approccio michelangiolesco per cui si accinge alla ricerca di un contenuto che avverte come preesistente, dove il suo compito è quello di riscoprire e applicare una selezione tra tutte le combinazioni possibili, scovando infine quella che avverte come un'entità autonoma45.

Marco Tutino, nasce a Milano nel 1954. Cresce circondato dagli spunti musicali che gli vengono offerti in famiglia e decide di avvicinarsi allo studio della musica frequentando la classe di flauto del Conservatorio di Milano di Marlaena Kessik e successivamente quella di composizione, prima tenuta da Azio Corghi e poi da Giacomo Manzoni. Consegue i due diplomi e svolge simultaneamente gli studi classici. Racconta dell’episodio che a diciotto anni gli indusse l’ispirazione per il suo avvenire: dalla piccionaia del Teatro alla Scala assistette alla scena dei congiurati del Ballo in Maschera di Verdi. Trovò affascinante la complessità e la ricercatezza celate

43 Tutino M., Il mestiere dell’aria che vibra, Milano, Ponte delle Grazie, 2017, pp. 43. 44 Intervista a Marco Tutino in Appendice.

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dietro un’illusione tanto credibile, quanto la concezione ingegnosa che permetteva di coordinare quel grande operato. Decise così di fare dell’opera la sua professione. Negli anni si è dedicato principalmente alla composizione per il teatro a partire dal 1985 con Pinocchio, la sua prima opera. Seguono Cirano (1987), La Lupa (1990), il dramma concertante Vite immaginarie (1990), Federico II (1992), Il gatto con gli stivali (1994), il balletto Riccardo III (1995), Dylan Dog (1999), Peter Uncino (2001), per il Teatro alla Scala Vita (2003), Le Bel indifférent (2004), La bella e la bestia (2005), The Servant (2008), Senso (2010), Le Braci (2013), La Ciociara (2015) commissionata dalla San Francisco Opera House e replicata nella sua prima europea al Teatro Lirico di Cagliari (2017), Miseria e Nobiltà (febbraio 2018) e Falscher Verrat commissione del Teatro dell’Opera di Kiel (prevista per novembre 2018). Ha ideato ed è stato coautore, assieme agli altri sei compositori da lui scelti, del Requiem per le vittime della mafia, eseguito esclusivamente il 27 marzo del 1993 presso la Cattedrale di Palermo.

Riadatta la Preghiera della pace del Pontefice Giovanni Paolo II nel Canto di pace per tenore, coro e orchestra interpretato da Placido Domingo nel 2003 e reinterpretato negli anni da Roberto Alagna e Andrea Boccelli.

Dal 1990 comincia a ricoprire incarichi organizzativi e artistici parallelamente alla sua carriera musicale: fino al 1993 è consulente al Teatro Valli di Reggio Emilia, dal 1990 al 1994 riveste il ruolo di direttore artistico dell’ente Pomeriggi Musicali di Milano, dal 1998 al 2002 è consulente artistico e compositore residente alla Fondazione Arena di Verona per cui realizza il progetto FUTURI. Nel 2002 viene scelto come direttore artistico del Teatro Regio di Torino e nel 2006 è nominato Sovrintendente e direttore artistico del Teatro Comunale di Bologna.

Nel 2008 ha fondato la scuola dell’Opera italiana, accademia di alto perfezionamento delle professioni del teatro lirico, sita a Bologna, con lo scopo ti tramandare lo stile italiano dell’arte lirica investendo sulle nuove generazioni.

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Nel 2009 viene nominato presidente dell’ANFOLS (Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche) e ha fatto parte della commissione musica del MiBACT come consulente per la lirica46.