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Ciò che Melville cattura con la sua sentenza è dunque l’entropia di un processo storico in cui la necessità si è mascherata per meglio tri-

Nel documento L'impero universale nella Nuova Spagna (pagine 161-175)

I MPERO E LINGUA LETTERARIA

6. Ciò che Melville cattura con la sua sentenza è dunque l’entropia di un processo storico in cui la necessità si è mascherata per meglio tri-

onfare sul proprio avversario. Ciò che Melville preconizza con “The Bell-Tower” è la fine imminente degli Stati Uniti, non in quanto U- nione, ma in quanto progetto politico fondato sulla libertà.*

* Che alla fine tale conclusione non sia giunta, e che gli Stati Uniti siano poi diventati una democrazia liberale pienamente espressa, ci permette delle considerazioni ulteriori da mettere al margine del testo melvilliano. Nel 1855, Melville non poteva prevedere l’esito di una

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Sul rapporto fra la fondazione degli Stati Uniti si veda, fra gli altri, Morton White,

The Philosophy of the American Revolution, Oxford University Press, New York

1978. Sulla Dichiarazione di Indipendenza e sul pensiero di chi pose la prima stesura, Allen Jayne, Jefferson’s Declaration of Independence: Origins, Philosophy, and Theo-

logy, The University Press of Kentucky, Lexinton 1997. Il primo a parlare di eteroge-

nesi dei fini fu lo psicologo sperimentale Wilhelm Wundt (1832-1920). All’idea del ri- corso storico è dedicato il quinto libro de La Scienza nuova di Gianbattista Vico. Non vi è motivo di ritenere che Melville non conoscesse il principio dialettico alla radice del pensiero di G.W.F. Hegel. Nei suoi taccuini si legge che durante una traversata at- lantica “we talked metaphysics continually, & Hegel, Schleghel, Kant & c. were di- scussed under the influente of the wiskey.” Howard C. Horsford and Lynn Horth (a cura di), The Writings of Herman Melville: Journals, Northwestern University Press, Evanston and Chicago 1989, 8. Il tema della maschera è uno dei principali temi della poetica melvilliana. Una acuta indagine sul collegamento fra le condizioni materiali della scrittura di Melville e il tema della maschera si trova in Elizabeth Ranger, Strike

Through the Mask: Herman Melville and the Scene of Writing, Johns Hopkins

guerra non ancora iniziata, e il fatto che ci sarebbero voluti altri cento anni per realizzare a pieno l’emancipazione degli schiavi ottenuta con quella guerra. La sentenza di Melville mappa epigrammaticamente l’intimo difetto che portò a quella deflagrazione, ossia la contradditto- rietà irrisolvibile del discorso politico americano dei padri fondatori. A causare la guerra non fu direttamente il desiderio d’abolire la schia- vitù ma la sua espansione a occidente e quell’espansione portò alla superficie l’orrore di quel peccato d’origine. È difficile comunque dire - e questo a prescindere dall’abilità letteraria di Melville - se a celare l’orrore fu inizialmente una copertura ideologica o se non si trattò in- vece di qualcosa di più complicato. Personalmente propendo per la seconda ipotesi, malgrado sia ammaliato dall’abilità di Melville nel comprimere un’intera visione della storia in una sola sentenza. Jeffer- son era perfettamente conscio del problema e fu uno dei primi a capire che l’Unione si sarebbe sfasciata avanzando nei territori occidentali da lui acquistati per fornire agli Stati Uniti un impero per la libertà. In una lettera indirizzata a John Holmes in 22 aprile 1820, Jefferson pare del tutto convinto che se anche venisse trovato un compromesso alla questione del Missouri quel compromesso non avrebbe comunque ret- to a lungo.

I thank you, dear Sir, for the copy you have been so kind as to send me of the letter to your constituents on the Missouri question. It is a perfect justification to them. I had for a long time ceased to read newspapers, or pay any attention to public affairs, confident they were in good hands, and content to be a passenger in our bark to the shore from which I am not distant. But this momentous question, like a fire bell in the night, awakened and filled me with terror. I consid- ered it at once as the knell of the Union.

Fu forse da questa lettera che Jefferson prese l’idea di rappresen- tare la caduta della nazione americana attraverso l’allegoria della ro- vina di una torre campanaria-allegoria dall’eco ancora più forte visto che a segnalare l’avvenuta ratifica della Dichiarazione d’Indipendenza il 4 luglio 1776 fu una campana destinata a incrinarsi con il tempo, la Liberty Bell. Risulta comunque evidente come Jefferson non nascon- desse né a se stesso né agli altri la fondamentale gravità del problema. Ecco come prosegue la lettera:

It is hushed, indeed, for the moment. But this is a reprieve only, not a final sentence. A geographical line, coinciding with a marked principle, moral and political, once conceived and held up to the an-

gry passions of men, will never be obliterated; and every new irrita- tion will mark it deeper and deeper. I can say, with conscious truth, that there is not a man on earth who would sacrifice more than I would to relieve us from this heavy reproach, in any practicable way6. Ciò che a Jefferson pareva mancare non era dunque la coscienza del problema, ma la forza intellettuale di giungere a un progetto poli- tico che potesse risolverlo sul piano pratico. Fu dunque oltremodo i- ronico che quando il 6 luglio 1854 fu fondato il partito che avrebbe portato alla soppressione della schiavitù lo si chiamò Repubblicano in onore di quel Democratic-Republican Party fondato da Thomas Jef- ferson nel 1792.

Un altra considerazione da mettere al margine del testo melvil- liano riguarda la tanto dibattuta questione di che cosa siano gli Stati Uniti, se una repubblica o un impero. Melville gioca con il discorso pubblico del periodo pre-bellico per descrivere gli Stati Uniti come un ‘impero per la libertà’, un impero che si nasconde dietro un manto re- pubblicano. La sentenza esaminata in queste pagine ci consente di precisare un aspetto di questo discorso. Per quanto siano nati da un di- segno programmaticamente anti-imperiale, gli Stati Uniti hanno finito per decuplicare in meno di un secolo la loro estensione territoriale di- venendo una selle superpotenze planetarie. Il paradosso melviliano pare dire come dietro la maschera dei diritti dell’umanità si celi la for- za oscura del dominio dell’uomo sull’uomo. Ma per questo non oc- corre essere un impero, come ben sappiamo.

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Merrill D. Peterson (a cura di), Thomas Jefferson: Lettera, 1743-1826, Literary Clas- sics of the United States, New York 1984, p. 1434.

Federica Passi

T

AIWAN E L

IMPERO NIPPONICO

:

IL LINGUAGGIO DELL

IRONIA E DELLA SATIRA IN DUE NOVELLE DEL PERIODO

DELL

OCCUPAZIONE GIAPPONESE

Nel 1895 la Cina, uscita sconfitta dalla guerra sino-giapponese, cedette al Giappone l’isola di Taiwan: questo territorio, che costituì la prima acquisizione coloniale giapponese, rimase parte integrante dell’impero nipponico fino al 1945, cioè alla fine della II guerra mon- diale. Il duro impatto della colonizzazione si fece sentire a livello mi- litare, politico, sociale, ed ebbe anche conseguenze sul piano lettera- rio: da un lato, infatti, la dominazione straniera evidenziò una tenden- za alla resistenza contro la colonizzazione anche nelle opere letterarie, dall’altro lato proprio gli stretti contatti culturali con il paese asiatico più avanzato del tempo stimolarono il rinnovamento letterario e il passaggio a una letteratura moderna, che si concretizzò nel Movimen- to per una nuova letteratura di Taiwan sviluppatosi tra il 1920 e il 19451.

Nella difficile situazione della dominazione straniera, la letteratu- ra a Taiwan fece uso di vari “linguaggi” per porsi in relazione con l’impero nipponico. Tra questi “linguaggi” quello del realismo fu tra i più diffusi e senza dubbio quello che più ha attirato l’attenzione di storici e critici letterari: prendendo in esame il genere letterario più diffuso, vale a dire quello della narrativa breve, a partire dagli anni ‘20, cioè dopo l’inizio a Taiwan del movimento di rinnovamento della letteratura, possiamo notare come molte opere si concentrino sulle cri- tiche ai lati oscuri della vecchia società tradizionale, ancora assai pre- senti nella vita del tempo (dalla condizione femminile ai matrimoni combinati, alle credenze superstiziose); lo scontro tra la vecchia e la nuova società in quegli anni, fu accompagnato però anche da nuovi problemi, sui quali molte altre opere si concentrano (ne è un esempio il tema dello sfruttamento delle classi sociali più deboli): non sempre si trattava di mali sociali direttamente causati dalla colonizzazione,

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Per una presentazione del movimento per una nuova letteratura di Taiwan si veda F. Passi, Il movimento per una nuova letteratura di Taiwan: lo sviluppo del ‘4 maggio’

taiwanese, le influenze e le peculiarità, in “Annali di Ca’ Foscari”, Serie Orientale 30,

anzi va notato come molti intellettuali tentarono una lettura più aperta di questioni sociali che riguardavano i colonizzati quanto i colonizza- tori2. Il linguaggio realista si espresse anche nella denuncia del siste- ma coloniale giapponese e delle ingiustizie su cui si fondava, come le discriminazioni economiche nei confronti dei taiwanesi3 o lo strapote- re della polizia giapponese4. Questo fu possibile soprattutto negli anni ‘20 e nella prima metà degli anni ‘30, ossia nella fase più liberale del- la presenza coloniale giapponese sull’isola, ma divenne assai arduo dalla seconda metà degli anni ‘30, a causa dell’irrigidirsi della censura durante la seconda guerra mondiale.

Altri “linguaggi” di una certa rilevanza utilizzati nelle opere nar- rative furono quelli della satira e dell’ironia, sui quali mi soffermerò proponendo la rilettura di due racconti, entrambi pubblicati nell’ultimo decennio della dominazione giapponese, più o meno coin- cidente con gli anni della guerra, quando più forte si fece sentire il pe- so e il vincolo della censura.

Per quanto concerne la satira, nelle opere degli anni dell’occupazione essa venne spesso indirizzata agli aspetti caratteriali più negativi dei taiwanesi, esemplificati dall’avidità e dall’adulazione nei confronti dei colonizzatori; in effetti la tendenza a rinnegare la propria cultura e identità diventando lacchè dei giapponesi con

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Si consideri ad esempio la novella Songbaofu 送報伕 (Il ragazzo dei giornali) pub- blicata nel 1934 in lingua giapponese da Yang Kui 楊逵 (1905-1985). L’opera, basata sulle esperienze autobiografiche dell’autore in Giappone, narra della difficile vita di un giovane taiwanese alla ricerca di un lavoro a Tokyo, in un contesto economico capita- listico che tendeva allo sfruttamento delle classi sociali più deboli, senza alcuna distin- zione di nazionalità: Yang offrì pertanto una interpretazione del problema che andava ben oltre la questione coloniale taiwanese. Una traduzione cinese della novella è pre- sente in Riju shidai Taiwan xiaoshuoxuan 日據時代臺灣小說選 (A Collection of Taiwanese Fiction during the Japanese Occupation), Qianwei chubanshe, Taibei 1992 (rist. 1996). Il racconto è disponibile anche nella traduzione inglese di Rosemary Had- don, intitolata Paperboy, in “Renditions”, 43, 1995, pp. 25-58. Si veda il commento di Yen Yuan-shu al racconto in The Japan Experience in Taiwanese Fiction, in “Tam- kang Review”, vol. IV, ottobre 1973, n. 2, pp. 167-188.

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Si veda per vari esempi di racconti incentrati su queste tematiche Xu Junya許俊雅,

Riju shiqi Taiwan xiaoshuo yanjiu 日據時期臺灣小說研究 (Research on Taiwanese

Fiction during the Japanese Occupation), Wenshizhe chubanshe, Taibei 1996, pp. 408- 417.

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La novella più nota su questo tema è Yi gan chengzi 一幹秤仔 (La stadera) pubblica- ta da Lai He 賴和 nel 1926. Di questa novella è disponibile anche una traduzione in- glese dal titolo The Steelyard inclusa in The Unbroken Chain – An Anthology of Tai-

wan Fiction since 1926, a cura di J.S.M. Lau, Indiana University Press, Bloomington

l’intento di ottenere vantaggi personali, divenne evidente soprattutto negli anni della seconda guerra mondiale: a quel tempo venne infatti lanciato dalle autorità coloniali il programma dell’assimilazione forza- ta, che prevedeva vantaggi economici per le famiglie che abbraccia- vano uno stile di vita interamente nipponico adottando la lingua giap- ponese perfino tra le mura domestiche.

Un esempio interessante di racconto satirico incentrato su questo tema è rappresentato da Xiansheng ma 先生媽 (La madre del dottore) di Wu Zhuoliu 吴濁流 (1900-1976)5. Il racconto fu scritto nel 1945 in lingua giapponese: va ricordato che, dopo una fase in cui sulle pagine delle riviste letterarie si consentiva il bilinguismo, dal 1937 il giappo- nese era stato ormai imposto alla produzione letteraria; d’altra parte lo stesso Wu, come molti altri suoi coetanei educati interamente secondo il sistema scolastico nipponico, in quegli anni trovava naturale com- porre le proprie opere in lingua giapponese6.

Nel racconto preso in esame, due personaggi, il medico Qian Xinfa e sua madre, vengono messi a contrasto. Questo contrasto costi- tuisce l’ossatura della storia, ancor più della stessa trama. Il primo personaggio a venir introdotto nella novella è la madre, descritta con aggettivi che ne esaltano la rispettabilità, vista non tanto sul piano dei rapporti formali, quanto su quello morale: l’anziana signora, infatti, si dimostra onesta, umile, gran lavoratrice, generosa, rispettosa anche nei confronti delle persone più umili, come i mendicanti. Diverso, in- vece, appare il figlio, fin dalla sua prima comparsa nel racconto, quando lo vediamo attaccare furioso una domestica che, obbedendo agli ordini dell’anziana signora, stava prelevando del riso per offrirlo a un mendicante7.

Nelle pagine successive scopriremo che la famiglia era di umilis- sime origini e che Qian Xinfa era riuscito a completare i suoi studi a

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Il testo su cui mi sono basata per la mia analisi è la versione cinese del racconto con- tenuta in Wu Zhuoliu 吴濁流, Wu Zhuoliu ji 吴濁流集 (Opere), Qianwei chubanshe, Taibei 1991 (rist. 2000), pp. 21-36. Di questo racconto è disponibile anche una tradu- zione inglese, The Doctor’s Mother, in Lau, op. cit., pp. 12-23.

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Insegnante, giornalista, scrittore, Wu Zhuoliu è famoso soprattutto per il romanzo

Yaxiya de guer 亞細亞的孤兒 (L’orfano d’Asia) pubblicato in giapponese nel 1946 e

tradotto in cinese solo nel 1962. Wu fu uno dei tanti autori taiwanesi che, dopo il ritor- no di Taiwan alla Cina nel 1945, dovette rieducarsi all’uso della lingua cinese moder- na. Vedi F. Passi, Letteratura taiwanese – Un profilo storico, Cafoscarina, Venezia 2007, pp. 45-48. Per una presentazione dell’autore si veda inoltre Xu, op. cit., pp. 213- 216.

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prezzo di enormi sacrifici da parte sua e dei genitori; non potendo di- sporre del supporto di una famiglia influente, il giovane aveva messo a frutto tutta la propria destrezza sul piano sociale per ottenere un in- carico nel sistema sanitario pubblico, dove, grazie alla sua estrema e inusuale cortesia, si era conquistato il favore dei pazienti, costruendosi una posizione socialmente ed economicamente invidiabile8. I trascorsi familiari, alla base della saggezza della donna, hanno rappresentato quindi per il figlio la spinta alla scalata sociale. Ma lo scarso rispetto per i poveri e l’adulazione nei confronti dei potenti, ovvero dei giap- ponesi, insieme alla sua ossessione per il denaro9, costituiscono moti- vo costante di scontro tra i due.

Questa opposizione viene espressa anche a livello linguistico: mentre Qian Xinfa è infatti uno dei sostenitori del movimento per l’adozione della lingua giapponese anche all’interno delle famiglie e di nomi e cognomi giapponesi in sostituzione di quelli cinesi (egli stesso infatti adotta il nome giapponese Kanai Shinsuke), la vecchia madre si ostina non solo a non imparare il giapponese, ma ad acco- gliere in casa anche gli ospiti più ragguardevoli del figlio rivolgendosi loro in un cordiale quanto spontaneo e socialmente inappropriato dia- letto taiwanese10.

Il contrasto tra i due personaggi e le loro lingue, consente di met- tere in atto un espediente piuttosto diffuso nelle opere del tempo: ossia la contrapposizione di due mondi culturali dei quali l’uno, quello tai- wanese, è considerato arretrato ma umanamente superiore, mentre l’altro, quello nipponico, costituisce un modello di progresso e mo- dernità, ma dimostra anche una perdita a livello umano. L’ostinazione e la goffaggine della madre in varie circostanze, come ad esempio il suo rifiuto di mangiare inginocchiata su un tatami, suscitano il sorriso del lettore ma non sono oggetto di satira; al contrario, percepiti come segni di un orgoglio nazionale e morale, destano simpatia e rispetto.

La satira è invece rivolta nei confronti del figlio, che viene ripe- tutamente messo in ridicolo: nel momento in cui il medico si scanda- lizza perché il governo coloniale ha concesso l’onore del nome giap- ponese anche a calzolai e barbieri11, la sua posizione morale ci appare ben più deprecabile di quella degli stessi colonizzatori, nei confronti dei quali non viene lanciata alcuna aperta critica all’interno del rac-

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Ivi, pp. 23-24. 9

Qian Xinfa viene infatti definito aiqianpi 愛錢癖, ivi, p. 25. 10

Ivi, p. 26. 11

conto. Inoltre la volontà di trasformarsi in tutto e per tutto in un citta- dino giapponese e il desiderio di negare le proprie origini culturali, moti che potrebbero trovare giustificazione in un razionale e sincero riconoscimento del valore del progresso e della cultura giapponesi, sembrano invece radicarsi, nel medico, soltanto in una personale e in- controllabile brama di rivalsa sociale.

Con il procedere del racconto notiamo inoltre che tanto più la sua posizione sociale si eleva e il suo stile di vita si adegua a quello giap- ponese, fino a diventarne una vera e propria caricatura, tanto più il medico ci appare come un profilo vuoto, assolutamente privo di reali contenuti umani. La satira sembra quindi, in questo racconto di Wu Zhuoliu, concentrarsi su un personaggio che viene tipicizzato e co- struito come tipo sociale, rappresentante di un gruppo sociale o co- munque di un aspetto del carattere nazionale. Questo uso della satira, rivolta non tanto a un singolo individuo, quanto invece a tendenze ri- conoscibili nella società, fu comune anche ad alcuni scrittori del con- tinente, tra i quali l’esempio più noto è Lu Xun12. Nell’acceso dibatti- to che segnò a più riprese gli anni ‘30 e ‘40 in Cina, quando vennero messi in evidenza gli effetti dannosi e demoralizzanti che una satira cinica e amara poteva esercitare sulla società, varie voci, da Lu Xun a Mao Dun13, si levarono in difesa di questo espediente letterario e delle intenzioni non disfattiste, ma, al contrario, appassionate dell’autore satirico14. Nel caso di Wu Zhuoliu e di altri autori dell’isola ritrovia- mo la convinzione che la satira rappresenti uno strumento in mano al- lo scrittore per segnalare aspetti deplorevoli della vita sociale, di fron- te ai quali gli autori del tempo, per lo più sorretti dalla volontà di con- tribuire al progresso della società in cui vivevano, si sentivano in do- vere di pronunciarsi. Inoltre, nella particolare situazione storica di Taiwan, la satira costituisce anche una sfida all’impero: Wu Zhuoliu, animato da un forte spirito nazionalistico, attacca attraverso la satira i taiwanesi per colpire un sistema sociale generato dalla presenza stra- niera sull’isola e traccia in modo defilato un modello alternativo, che nel racconto in questione è identificato nella figura della madre: un

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Lu Xun (pseudonimo di Zhou Shuren, 1881-1936) è considerato il padre della lette- ratura cinese moderna. Per alcune osservazioni sulla satira si veda il saggio di Lu Xun intitolato Dalla satira allo humour del 1933, incluso in Lu Hsün, La falsa libertà, Ei- naudi, Torino 1968, pp. 245-46.

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Mao Dun (pseudonimo di Shen Yanbing, 1896-1981) critico e autore di romanzi e novelle di impronta realista.

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Cfr. M. Anderson, The Limits of Realism – Chinese Fiction in the Revolutionary Pe-

personaggio modesto, incapace di significative azioni sul piano politi- co, ma in grado di portare avanti nella vita domestica una coraggiosa resistenza culturale e morale.

Al linguaggio dell’ironia fecero invece ricorso vari autori quan- do, a partire dalla metà degli anni ‘30, le critiche aperte al sistema co- loniale incontrarono una rigida censura. Citerò a questo riguardo il racconto Lixiang xiang 理想鄉 (Villaggio ideale) di Cai Qiutong 蔡秋桐 (1900-?) scritto nel 1935 in un cinese fortemente dialettale15

. Già molto giovane l’autore ricoprì vari incarichi amministrativi che

Nel documento L'impero universale nella Nuova Spagna (pagine 161-175)