Nell’interpretare i risultati delle strategie di marketing museale collegate con il concetto del period eye, si è scelto in queste pagine di perseguire un approccio esplorativo per la
costruzione di una tesi empirica attraverso l’analisi di cinque diversi case studies, qui forniti per delineare una chiave di lettura riguardante il coinvolgimento attivo del visitatore.
La popolazione di riferimento non è qui presentata attraverso differenziazioni di età, sesso o nazionalità. Tale scelta è avvenuta per due motivi: il primo, è che dalle organizzazioni culturali prescelte non si sono ravvisate ricerche frutto di elaborazione dati sufficientemente ampie e complesse da poter definire nozioni di tipo qualitativo, dove spesso anche quello quantitativo scarseggiava; questa situazione è data soprattutto dal fatto che per l’analisi dei visitatori sono stati utilizzati soprattutto dati provenienti dalle relazioni annuali dei musei. Il secondo motivo è causato dal fatto che si è preferito sperimentare una delineazione del target la più ampia possibile, per evitare errori dovuti all’eccessiva restrizione del campo. Si è così manifestata la possibilità grazie agli scritti di Moscardo e Goulding (Moscardo, 1996;
Goulding, 2000), di circoscrivere i visitatori museali partendo dai loro atteggiamenti, piuttosto che dalla loro provenienza o tasso di scolarità. Attuando la distinzione tra mindful e mindless visitor, si delinea il divario che separa un visitatore attivo da uno passivo, e partendo da tale considerazione, si evince come diminuire la dissonanza cognitiva (Festinger, 1973) per spingere anche un fruitore dotato di stato cognitivo passivo ad aprirsi verso un’esperienza museale coinvolgente sia da un punto di vista emotivo sia cognitivo.
Il contesto geografico di applicazione prescelto è piuttosto esteso, riguardando organizzazioni culturali italiane, europee ed extraeuropee. Anche la tipologia di istituzioni analizzate,
sebbene comprenda soprattutto musei di belle arti, è variegata: comprende infatti musei e fondazioni culturali per il 50% a gestione pubblica e per la restante metà a gestione privata, come si può vedere dalla Tabella 4.
Gestione Contesto Geografico Fondazione Giorgio Cini Sukiennice Museum Cleveland Art Museum Rijksmuseum Musée du Louvre Palazzo Madama
Tabella 4 Tipologia di gestione e contesto dei casi scelti.
Si è preferito focalizzarsi su centri espositivi di arte antica e moderna, escludendo le collezioni di arte contemporanea, in quanto la loro lettura attraverso la lente del period eye non appare sufficiente a colmare le distanze tra il visitatore e l’opera. Per gli artisti, così come per i visitatori di oggi (Baxandall, 2000), uno dei fattori più interessanti nell’operare
all’interno degli ultimi secoli è il continuo riferimento a diversi orizzonti temporali e spaziali, in quanto essi possono avere il vantaggio di operare all’interno di una “visione in prospettiva” (Baxandall, 2000, p. 160): adottare la logica del period eye sarebbe dunque possibile ma andrebbe calibrata su ogni singolo artista, invece che su un contesto dato. Inoltre, l’analisi dell’arte a partire dalla sua manifestazione esteriore (il dipinto, la scultura, ecc.) non è detto che porti verso la sua comprensione. Nell’arte contemporanea, il concetto vuole prevalere sulla forma, sminuita a volte, per favorire il passaggio di un’idea. Da questo punto di vista, mi ritrovo nell’opinione di Malevič, che credo riesca spiegare in poche parole la tendenza
dell’arte del Novecento, ovvero che “l’arte non vuole più avere a che fare con gli oggetti come tali” (Malevič, 2000). Tale difficoltà è poi incrementata dal fatto che l’opera d’arte, in maniera nettamente maggiore rispetto al passato, si fonda sull’autoaffermazione di sé (Hirschman, 1983) e quindi l’opera non è necessariamente una testimonianza di
collaborazione fra l’artista e il suo pubblico (Baxandall, 1978). Per quanto riguarda invece l’analisi dei singoli casi museali, si sono scelti solo quelli di applicazione più recente del marketing museale (il più lontano nel tempo risale al 2007, mentre quello più vicino al 2013). Tale decisione è stata intrapresa prendono in considerazione i progressi nel settore
tecnologico e la loro successiva applicazione al mondo museale in quanto, come già ribadito, è necessario un substrato comune, familiare ma al tempo stesso accattivante su cui proiettare esperienze diverse provenienti da un contesto passato. Si tratta di politiche di gestione
museale ancora relativamente giovani e in fase di assestamento, la cui evoluzione non segue un cammino lineare ma si adatta di contesto in contesto; inoltre i risultati sono poco estesi nel tempo per poter essere inquadrati e discussi con la profondità di analisi che meriterebbero. E’ anche per tale ragione che si è scelto di analizzarli tramite l’ausilio dello schema
interpretativo del period eye, per permettere di inquadrare più realtà all’interno di uno spirito comune. Si è cercato di guardare anche al grado di consapevolezza degli enti responsabili della gestione, per quanto riguarda la creazione del period eye, ma dagli studi eseguiti la sua presenza appare come conseguenza e non come principio regolatore delle attività di
promozione o allestimento volte a coinvolgere il visitatore.
Le mete prescelte testimoniano ognuna un aspetto diverso dei benefici e dell’efficacia
dell’applicazione del period eye nel marketing museale. Il caso del “Progetto Nozze di Cana” alla Fondazione Giorgio Cini funge da introduzione per gli altri casi esaminati, illustrando l’evoluzione di un aspetto piuttosto banale e indirettamente collegato con il period eye: le period rooms. Le vere potenzialità del period eye vengono evocate direttamente grazie alla comunicazione, sia interna che esterna al museo, del Sukiennice Museum di Cracovia: inizia così a delinearsi una proposta per far scaturire l’attenzione del visitatore nella fase di
insorgenza del suo bisogno, nonché di ricerca di informazioni e valutazione della decisione (Kotler & Andreasen, 1996). Analizzando invece l’esecuzione della decisione (ibidem) è stato portato come caso modello quello della trasformazione tecnologica del Cleveland Art
Museum, dove il fruitore riesce a interagire con l’opera grazie a un utilizzo della tecnologia riconducibile alle teorie di Baxandall. L’esperienza post-visita viene invece rappresentata dal Rijksstudio di Amsterdam, dove il piacere del possesso e della creazione di un oggetto
“artistico” si posiziona agevolmente nell’immedesimazione di sé fra l’artista e il committente. Gli ultimi due casi, “Tous mécènes” e il crowdfunding di Palazzo Madama, come rilevato del precedente capitolo, esprimono una forma di fruizione a lato della visita museale stessa che risponde al riappropriarsi della propria coscienza fisica, del senso del possesso e del
promuovere se stessi come figura di mecenate. Tutti i casi qui illustrati, prendono in
considerazione la volontà di agire di un fruitore dotato di mindfulness, e quindi di uno stato cognitivo mindful attivo (Moscardo, 1996; Goulding, 2000). Si potrebbe pensare che si sia voluto mostrare tramite la successione di questi casi il manifestarsi e il causare un
coinvolgimento sempre più profondo nel consumatore culturale. Tale supposizione è parzialmente vera, ma più che una sequenza netta del progredire delle emozioni stimolate e stimolanti la sfera cognitiva, testimoniano tre diverse possibilità di realizzazione di
Figura 11 Una visione delle diverse fasi dell’esperienza correlate da esempi (Kotler & Andreasen, 1996).
Il primo caso introduttivo è stato usato per far comprendere l’importanza di vivere un’opera nel suo luogo di appartenenza originario, quello che si potrebbe esprimere come il suo period place, che forma un’esperienza talmente intensa che la sua riuscita esula dalla reale presenza o meno dell’opera d’arte. I tre casi successivi fungono da esempi per inquadrare i
coinvolgimento del fruitore dei suoi diversi momenti di scelta e valutazione delle stesse. L’ultima proposta invece è il risultato per eccellenza: il visitatore è talmente penetrato all’interno dell’esperienza museale che vuole farne parte non solo visitatore attivo, ma come piccolo mecenate e “creatore” della collezione: non è un caso che uno degli episodi di crowdfunding di maggior successo sia accaduto a Palazzo Madama, dove la gestione del museo si è dimostrata più volte sensibile a politiche di audience development attraverso il marketing esperienziale, come nel caso di Madama Knight (Margarone, 2012).