4. La traduzione soggiogata e liberata
4.1 Il mestiere del traduttore
Se escludiamo chi, come alcuni scrittori di professione, giungeva ad occuparsi di traduzione in maniera non diretta, i professionisti del campo venivano formati nell'ambito di corsi universitari attivi in poche istituzioni. Le principali scuole di traduzione si trovavano a Mosca, Minsk, Gorkij e Baku, ammettevano ogni anno un numero assai ristretto di giovani ai loro corsi quinquennali. Prominente era inoltre l'attività dell'istituto Gorkij, finanziato dall'Unione degli Scrittori, principale organo di affiliazione per i traduttori sovietici23. Altre istituzioni offrivano corsi di durata più breve, anch'essi assai selettivi24. Alla formazione dei traduttori letterari prestavano particolare attenzione alcune personalità già affermate del campo le quali organizzavano seminari di grande valore, alcuni dei quali erano organizzati in seno ad istituzioni statali. Si citino ad esempio i seminari di Elizbar Ananiašvili o Evgenij Vitkovskij, esperti traduttori in grado di formare nel mestiere e nell'approccio globale25.
Nell'insieme, il passaggio dal contesto zarista a quello sovietico nel campo della traduzione fu segnato dall'incremento assai tangibile degli investimenti statali, legati alla necessità di produrre molti testi selezionati tra un ventaglio di autori ben accetti. Se in epoca imperiale la letteratura straniera aveva un pubblico di lettori ancora relativamente ridotto e fosse ben diffusa la tradizione della “traduzione d'autore”26, in epoca sovietica, già con gli esperimenti degli anni venti e trenta, la produzione di traduzioni fu portata ad una scala di tipo “industriale”27.
Come abbiamo reiteratamente affermato, infatti, nel suo insieme il mestiere del traduttore era indelebilmente condizionato dal fatto che la promozione della traduzione di opere di letteratura straniera su ampia scala veniva attuata sullo sfondo di priorità
23 Cfr. Komissarov 2009: 522. 24 Cfr. Barčenkov 1992: 163-164. 25 Cfr. Probštein e Kalašnikova 2002.
26 “Avtorskaja tradicija perevoda”, Kalašnikova e Sedakova 2002. 27 “Perevod […] postavili na industrial'nuju osnovu”, ibidem.
politiche nazionali, quali, tra le principali:
lo slogan della “rivoluzione mondiale” promosso dal comunismo e l'idea dell'internazionalismo quali basi della Weltanschauung sovietica; l'esigenza di trovare appoggi tra gli “alleati” […]; il bisogno del regime comunista di una legittimazione culturale e ideologica; la necessità di assicurare agli intellettuali di ambito umanistico un introito sicuro seppur minimo; il carattere plurinazionale dell'Unione Sovietica.28
Cercando di evitare ancora una volta la descrizione dell'Urss quale monolite immobile, occorre dire che negli anni di cui stiamo parlando la qualità delle traduzioni era ben migliorata rispetto ai primi decenni di storia sovietica, quando aveva spesso regnato l'improvvisazione. Nel periodo della stagnazione i lettori erano ormai abituati a fruire di letteratura straniera tradotta, ed erano quindi addestrati anche a leggere tra le righe; i traduttori a loro volta si trovavano inseriti nell'ambito dell'Unione degli Scrittori, per mezzo dell'apposita Commissione straniera, e ricevevano supporto anche per quanto riguarda le elaborazioni teoriche. In quegli anni vennero ad esempio organizzate diverse conferenze sulla traduzione che condannarono la traduzione interlineare in voga fino agli anni cinquanta, promuovendo lo sviluppo di una scuola di traduttologia sovietica attraverso la pubblicazione di numerosi saggi29.
L'Unione degli scrittori era l'unione artistica più influente e politicizzata, i membri della stessa godevano di benefici di vario tipo: innanzitutto in quanto fidi membri dell'Unione potevano essere pubblicati di sovente, di conseguenza poteva essere assicurata loro una carriera stabile, e godevano in secondo luogo di privilegi non direttamente connessi all'attività letteraria (case private, vacanze ecc.)30. Nel periodo della stagnazione la corrispondenza tra il campo politico (Partito) e quello artistico- letterario ufficiale (Unioni artistiche) rese necessario che ci fosse identità tra le linee politiche decise ai piani alti e la produzione culturale, il che comportava l'estromissione di tutti coloro che esprimevano visioni anche di poco dissimili da quella ufficiale.
28 Niero 2008: 21-22. 29 Cfr. Balliu 2005: 938, 941.
Questo meccanismo era a tutti gli effetti censorio: il controllo della produzione culturale a partire dalla determinazione di chi può effettivamente essere scrittore, o traduttore, comporta una scrematura degli elementi indesiderati compiuta a monte31.
La politica adottata nella seconda metà degli anni settanta nei confronti di personalità scomode portò all'estromissione di molti specialisti dalle rispettive Unioni artistiche, l'emigrazione di letterati (Efim Etkind ad esempio lasciò l'Urss nel 1974), la graduale degradazione delle Unioni artistiche stesse, con l'acclamazione di veri e propri quadri della letteratura canonica sovietica, i quali al giorno d'oggi sono pressoché caduti nell'oblio32. In questo contesto anche le attività accademiche e artistiche legate alla diffusione della letteratura straniera furono sempre più vincolate, inclusa quella dei traduttori.
Come abbiamo già accennato esistettero scrittori come Cvetaeva, i quali si potrebbero considerare traduttori atipici, rappresentarono infatti soltanto una parte assai ridotta di coloro che si occupavano di traduzione. La condizione del poeta-traduttore, il
poet-perevodčik, mestiere di fatto standardizzato, era quella di persona che si dileguava
dai problemi connessi alla professione di poeta e attraverso la traduzione ricercava uno “status legale in letteratura”33, ma anche “rifugio creativo”34. Non a caso in quegli anni si usava parlare di uchod v perevody [fuga nelle traduzioni]: in quelle condizioni estreme di vita e di lavoro, per molti poeti la traduzione non costituiva un procedimento propriamente dialogico, ma rappresentava piuttosto un fatto personale, “un modo di ingannare l'autorità” (“sposoba obmanut' vlasti”), nonché una forma di “disimpegno da esteti” (“estetskij eskapizm”)35.
A ben vedere però non si trattava sempre di una via sicura per mettersi in salvo e
31 Cfr. Zalambani 2009: 87-104. 32 Gorjaeva 2009: 362-363.
33 “legal'nyj status v literature”, Zav'jalov 2008. 34 Niero 2003a: 151.
non rischiare: la traduzione era a suo modo pur sempre inserita nel contesto periglioso e delicato delle lettere russe. In quanto ultima alternativa a disposizione poteva essere vissuta a sua modo come una condanna36. Talvolta intellettuali la cui buona reputazione presso l'autorità fosse in bilico preferivano pubblicare le proprie traduzioni sotto nome altrui. Un esempio di ciò sono alcune traduzioni di Umberto Saba elaborate da Iosif Brodskij prima della sua emigrazione. L'episodio ci è stato ben illustrato da Evgenij Solonovič e Alessandro Niero in alcuni articoli dedicati. Nel momento in cui Brodskij lasciò l'Urss e la lavorazione del volume di poesie procedeva, Solonovič decise assieme ad altri colleghi di pubblicare le traduzioni brodskiane senza citare espressamente il nome del loro autore: “non si trattava di appropriarsi del lavoro altrui, bensì di pubblicare delle traduzioni di un poeta inserito nelle liste di proscrizione del GLAVLIT […], e di ricevere il compenso dell'autore per consegnarlo ai genitori di Brodskij, che si trovavano in difficoltà”37. In un contesto socio-politico a dir poco schizofrenico, piccoli gesti di lungimiranza e solidarietà facevano sì che si potessero continuare a tradurre e pubblicare grandi opere della letteratura straniera38.
Ora, in che condizioni lavoravano invece il traduttore sovietico tipo? Maurice Friedberg si è occupato della traduzione e della ricezione della letteratura straniera in Russia molto a lungo, e ha così descritto le condizioni di lavoro dei traduttori sovietici. Sintetizziamo: 1) Come in Occidente, il lavoro del traduttore era spesso mal considerato o ignorato. 2) La traduzione sovietica inserita in un contesto di stacanovismo generale ha sofferto della mancanza di verifiche sulla qualità del lavoro di traduttori mediocri. 3) I traduttori, più o meno buoni, hanno prestato poca attenzione alla teoria della traduzione e alla critica. 4) Molti traduttori vedevano se stessi come coautori, anche per via del fatto che spesso erano a loro volta scrittori frustrati. 5) Come in Occidente i traduttori sovietici lamentavano guadagni irrisori. 6) La traduzione letteraria nell'Urss è
36 Pasternak avrebbe esclamato: “Majakovskij si è sparato, io invece traduco”, cfr. Friedberg 1997: 192; Boase-Beir e Holman 1999: 9.
37 Solonovič 2003: 145-146.
stata influenzata negativamente da pratiche editoriali caotiche. 7) I traduttori sovietici erano negativamente influenzati dalle restrizioni di viaggio all'estero, tanto quando dalla carenza degli strumenti di base del mestiere: dizionari e opere di consultazione39.
Come si nota dalle considerazioni di Friedberg, se ci allontaniamo dagli altisonanti enunciati di alcuni teorici per osservare la prassi della traduzione, noteremo che per certi versi il traduttore sovietico non si contraddistingueva da quello occidentale, mentre, d'altra parte, il contesto editoriale e le contingenze socio-politiche sovietiche facevano sì che il suo lavoro fosse portato avanti con notevoli restrizioni. Lavori di traduzione di opere piuttosto corpose, soprattutto raccolte poetiche, erano inoltre spesso affidati a gruppi di traduttori. Talvolta decine di professionisti si occupavano della traduzione di un singolo volume, il che comportava una certa mancanza di unitarietà stilistica e talvolta insipidità40.
La mancanza di agevolezza nel lavoro della traduzione è data, tuttavia, anche dalla effettiva mancanza di determinati strumenti. Nel caso in cui, ad esempio, un traduttore sovietico si imbattesse in testi legati in qualche modo a tematiche di carattere religioso, con grande difficoltà avrebbe potuto decodificare riferimenti religiosi dal momento che i testi fondamentali delle maggiori religioni erano vietati nell'Urss almeno sino alla fine degli anni ottanta. Nel caso delle letterature occidentali, allusioni a passaggi della Bibbia sarebbero così passate inosservate41.
Ancora più grave era invero la mancanza di strumenti basilari di lavoro come enciclopedie e dizionari. Certamente questo tipo di testi erano a disposizione dei traduttori sovietici, ma riflettevano la mancanza di libertà di espressione e la tendenza a manipolare, filtrare gli elementi stranieri estranei. Vediamo alcuni esempi tratti dal dizionario compilato da Ožegov, e poi a partire dal 1964 da Švedova. Si tratta di uno
39 Cfr. Friedberg 1997: 194-198. 40 Cfr. ivi: 138-139.
strumento lessicografico caratterizzato dallo sforzo costante nel riportare i maggiori cambiamenti della lingua russa42, nonché dello specchio puntuale dei mutamenti sociali, anche a cavallo tra la perestrojka e la caduta dell'Urss. Osservando l'edizione del 1992 si nota il debutto di numerosissimi lemmi di diverso tipo prima assenti tra cui GULAG (Gulag) in ambito politico, goluboj (omosessuale, invertito) per quanto riguarda la sfera della sessualità ma anche della lingua gergale, Voznesenie (Ascensione) ed altri termini di carattere religioso43. Certamente i traduttori conoscevano queste parole anche prima della caduta dell'Urss, ma il fatto che mancassero dal dizionario della lingua russa normativa suggerisce che fossero pressoché inutilizzabili al fine di rendere espressioni straniere in russo: i compilatori di tali strumenti operavano verosimilmente la stessa funzione di autocensura preventiva che svolgevano molti altri agenti del campo culturale44. Osservazioni simili si possono desumere dalla consultazione di dizionari bilingui, nei quali spesso i corrispettivi di parole di uso corrente in ambito occidentale venivano omesse.
Per quanto riguarda il prestigio della professione, la consuetudine stabilita nei primi decenni di storia sovietica voleva che il traduttore di talento fosse ben retribuito, dacché svolgeva un compito di spessore anche sociopolitico45. Dato l'investimento e le aspettativa nei confronti della traduzione, i lavori prodotti dalla scuola sovietica erano spesso di qualità ottima, ma non mancavano certo traduzioni mediocri46.
42 Nella 3a edizione (1953) conteneva 52.000 lemmi, nella 22a (1990) ben 70.000. Cfr. Benson 1995: 432.
43 Cfr. ivi: 433. 44 Cfr. Farina 2001. 45 Cfr. Leighton 1991: 26. 46 Cfr. Friedberg 1997: 5-8.