Molte ricerche si sono concentrate sullo sviluppo di metodi per stimare il tiro delle catene attraverso misure dinamiche. Specialmente negli ultimi anni.
C’è una sorta di formula-tipo che si ripete molto simile a se stes- sa in quasi tutte le introduzioni agli articoli su questo argomento: "Nonostante...[breve accenno alla mole di lavoro pubblicata negli an- ni precendenti] ...ancora nessuno dei metodi proposti è sufficientemente... [veloce/completo/accurato]. La presente ricerca..."
Nell’opinione di chi scrive, il rischio che comporta continuare ad usare formule di questo tipo – per quanto usuali – è quello di sot- tovalutare l’importanza e la portata dei passi avanti che veramente sono stati fatti, da quando fino a pochi anni fa si misuravano le catene facendo finta che fossero fili tesi. Il percorso è importante, e dire molto semplicemente in quale modo la propria ricerca apporta un migliora- mento, anche piccolo, dovrebbe essere più naturale di qualsiasi frase fatta riguardo l’innovatività del proprio lavoro. Specialmente visto che si tratta, già di per sé, di un argomento così di nicchia da causare per- sino tra gli ingegneri qualche fraintendimento riguardo al significato che la parola catena assume.
Spendiamo quindi qualche parola sul passato delle misure dinami- che di tiro, parlando delle funi tese, in modo da capire meglio quanto sia stato importante passare ad un modello più completo.
2.3.1 Le misure sulle funi tese
Alcuni dei primi lavori sull’identificazione dinamica del tiro nelle catene si concentravano su un semplice modello a fune tesa che veniva secondo necessità adattato per meglio descrivere i risultati sperimen- tali. Questo è il caso, per esempio, del lavoro di Zui, Shinke e Namita
(1996) o di Mehrabi e Tabatabai (1998). La loro ricerca ha lo scopo di Zui, Shinke e
Namita, 1996 stimare la forza assiale nei cavi, ma è facilmente trasferibile alle catene. Il punto di partenza è la seguente proprietà delle frequenze naturali Frequenze naturali
delle funi tese nelle funi6: fn= n 2 r σ µL2. (2.6)
Qui, l’indice n sta ad indicare l’n-simo modo di vibrare, mentre µ è la densita lineare, σ la tensione normale nel cavo e L la sua lunghezza. Questa correlazione lineare tra la frequenza e il numero d’ordine del modo non rappresenta appropriatamente i dati ottenuti dalle mi- surazioni dinamiche dei cavi (cfr. Geier, Roeck e Flesch, 2006), e la coerenza è ancora minore quando si tratta di catene, relativamente più tozze. Tenendo conto di questo, Zui, Shinke e Namita propongono una serie di formule che forniscono un’approssimazione del rapporto tra le frequenze misurate e quelle ricavabili dalla teoria della fune tesa per i primi due modi di vibrare. Queste formule sono valide per un esteso intervallo di valori del parametro adimensionale (si veda l’Equazione 2.1), adattando così i risultati della ricerca sia ai cavi che alle travi – o alle catene. Mehrabi e Tabatabai fanno lo stesso, ma Mehrabi e Tabatabai,
1998 derivano le proprie formule da un modello alle differenze finite del
cavo, rendendo così possibile tenere conto anche di variazioni nella sezione. In entrambe le ricerche, l’influenza della rigidezza flessionale è tenuta in conto, ma per quanto riguarda i vincoli vengono conside- rati solo schemi di duplice incastro (Zui, Shinke e Namita, 1996) o indifferentemente di duplice incastro o semplice appoggio (Mehrabi e Tabatabai, 1998).
Le ricerche sulla tensione dei cavi sono state ulteriormente svilup- Geier, Roeck e Flesch,
2006 pate, ad esempio nel sovramenzionato lavoro di Geier, Roeck e Flesch
(2006), che in particolare utilizzano una relazione approssimata per cavi di rigidezza flessionale finita già presentata in Morse e Ingard (1986):
fn,s = αn(ξ, n)fn, (2.7)
dove fn,s rappresenta una approssimazione dell’n-sima frequenza naturale misurata sperimentalmente.
Geier, Roeck e Flesch propongono di misurare le frequenze naturali per mezzo di un accelerometro e facendo uso di un’analisi OMA. Que- sto, insieme ad un algoritmo di minimizzazione, produce una stima della forza assiale nei cavi. Test di laboratorio condotti dagli autori hanno riportato un’accuratezza vicina al ±1%, ma purtroppo non è possibile aspettarsi risultati analoghi dall’applicazione dello stesso metodo alle catene anziché ai cavi.
Nel lavoro di Kim e Park (2007) viene proposta un’altra procedura Kim e Park, 2007
per identificare, insieme al tiro, anche la rigidezza flessionale e quella assiale del cavo, attraverso un algoritmo di minimizzazione. Questo diventa possibile una volta abbandonata la formulazione analitica del problema in favore di un modello agli elementi finiti rappresentante il cavo, che in teoria rende anche più flessibile il metodo. Ciononostante, l’applicabilità del modello di Kim e Park alle catene è discutibile, essendo stato testato dagli autori solo per valori del parametro ξ com- presi approssimativamente tra 50 e 600, molto lontani dal range in cui solitamente esse ricadono.
Il motivo principale per cui è interessante soffermarsi sulla ricerca riguardante i cavi è che per molto tempo le catene sono state accomu-
nate ad essi per l’identificazione del tiro. Mastrodicasa, per esempio, Mastrodicasa, 1978 nel suo celebre Dissesti statici delle strutture edilizie del 1978 propone
un metodo dinamico molto semplificato: l’uso della relazione per le funi (Equazione 2.6), limitata al primo modo di vibrare e senza alcuna correzione per la rigidezza flessionale. È chiaramente una procedura troppo grezza per essere impiegata, ma ciononostante è tuttora molto utilizzata nella pratica professionale – con i risultati che ci si possono aspettare. A Mastrodicasa va riconosciuto il merito di aver cercato di fornire una procedura speditiva per la valutazione del tiro, com- presa una tabella con "il numero delle oscillazioni al secondo nelle varie combinazioni più usuali tra le tensioni di tiraggio e le lunghezze dei tiranti". Un altro motivo per fare una breve rassegna della ricerca in tema di cavi tesi è che alcuni degli sviluppi sono gli stessi che si sono registrati, parallelamente, nel campo delle travi. In particolare, l’abdicazione ad una formulazione completamente analitica in favore di un modello agli elementi finiti è una scelta riscontrabile in molte pubblicazioni. 2.3.2 Le misure sulle travi
Il modello a fune è chiaramente molto attraente, rendendo possibile lo sviluppo di relazioni esplicite per la valutazione del tiro; di formule, semiempiriche nei casi in cui l’autore abbia deciso di fare correzioni per tenere conto delle varie rigidezze in gioco, ma comunque in forma chiusa.
Nonostante questo, alcuni autori hanno scelto di concentrarsi fin dall’inizio su modelli a trave, anziché adattare i risultati ottenuti per cavi e funi, e questo è il corso che sperimentalmente meglio si adatta allo studio delle catene. Il compromesso si esplicita in una maggiore complessità della formulazione analitica, e solitamente nell’impossi- bilità di fornire una relazione in forma chiusa, ma i parametri che influenzano la soluzione non variano (considerando che per il modello a fune tesa molte informazioni sulla catena diventavano necessarie per poter applicare le varie correzioni proposte in letteratura).
statici, vi è sempre una descrizione analitica della relazione tra carico assiale e deformazioni, stavolta in campo dinamico. Ancora una volta, ogni autore può fornirne una versione leggermente rivisitata allo scopo di meglio illustrare il procedimento proposto, ma come per il caso statico può valere la pena mostrare sommariamente come si arriva a tale relazione, dalla quale poi sarà possibile ricavare anche versioni semplificate come la 2.6, trascurando di volta in volta l’influenza di alcuni parametri.
Riservando i passaggi dettagliati alla sezione successiva, che tratta del metodo utilizzato nell’ambito di questa tesi, si riporta di seguito qualche considerazione essenziale.
Figura 2.10: Tronco infinitesimo della catena, in condizione deformata; caso dinamico, oscillazioni libere.
In Figura 2.10 è riportato un tratto infinitesimo di trave, di lunghez- za dx, nella sua configurazione deformata (il che è necessario, come già detto, perché in condizione indeformata sforzo assiale e deformazioni trasversali sono disaccoppiati). Essendo in campo dinamico, si è fatto uso del principio di D’Alembert per tenere conto del moto, rappre- sentando lo stato del sistema come uno stato di equilibrio statico in cui sono esplicitamente incluse le forze di inerzia. Non sono presenti carichi esterni, per cui la relazione che ne verrà ricavata sarà valida per oscillazioni libere.
Procedendo come già visto per il caso statico, imponendo l’equilibrio alla traslazione e quello alla rotazione, si ottiene la seguente equazione differenziale, non ordinaria, omogenea del quarto ordine:
EJ vIV(x, t) − N v′′(x, t) + ρA¨v(x, t) = 0. (2.8) Dal momento che lo spostamento trasversale della linea d’asse è funzione sia del tempo che dello spazio, ci si trova di fronte ad un’equazione differenziale alle derivate parziali, che per essere risolta richiede qualche altra ipotesi. Solitamente7si usa quella di separabilità
delle variabili. Si ipotizza cioè che v(x, t) sia in realtà il prodotto di una funzione della sola variabile spaziale, e di una funzione della sola variabile temporale. In questo modo:
v(x, t) = y(x) · τ(t). (2.9)
Questo permette di concentrarsi sulle forme modali del sistema, ovvero sulle funzioni y(x). La soluzione generale corrispondente è:
y(x) = C1cos(λx) + C2sin(λx) + C3cosh(µx) + C4sinh(µx), (2.10) dove sono incognite le quattro costanti di integrazione C1−4, mentre λe µ sono parametri che dipendono dalla forza assiale, dalle caratte- ristiche geometriche e meccaniche della trave e dalle sue frequenze naturali.
Imponendo delle condizioni al contorno adeguate, ancora una volta secondo il modello scelto per la catena e i suoi vincoli, si ottiene un sistema omogeneo di quattro equazioni nelle quattro incognite C1−4. Affinché questo ammetta soluzioni non banali, è necessario che il determinante della matrice associata sia nullo.
Si arriva ad una relazione tra la forza assiale N, vari parametri geometrici e meccanici come modulo di Young della trave e rigidezza dei vincoli (da ritenersi o meno incogniti), e le frequenze naturali. Questa relazione è la base per molti dei metodi dinamici proposti in letteratura. In alternativa, alcuni autori si soffermano sulla descrizione delle forme modali e usano la loro identificazione sperimentale per misurare il tiro. Sia che si proceda con l’approccio "nel dominio delle frequenze", o che si preferisca quello delle "caratteristiche modali" (per usare una distinzione proposta da Maes et al. (2013)), il punto di partenza rimane comunque l’Equazione 2.8.
Già nel 1967, Urbano elenca due diversi metodi dinamici per de- Urbano, 1967: metodo dinamico semplificato terminare il tiro di una catena. Il primo, che l’autore chiama "metodo
dinamico semplificato", richiede unicamente la conoscenza della prima frequenza naturale della catena. A parità di caratteristiche geometriche e meccaniche, tale frequenza cresce con il carico assiale per qualsiasi condizione di vincolo, come visibile in Figura 2.11. Questo metodo semplificato si basa sulla determinazione del tiro corrispondente a detta frequenza per il caso di catena semplicemente appoggiata, poi di quello per una catena incastrata, e suggerisce l’uso di un valore in- termedio. L’errore generato da questa tecnica diventa sufficientemente piccolo solamente trattando catene molto snelle e tese, per le quali la rigidezza dei vincoli diventa poco influente. Nella sua semplicità, il metodo tiene conto della rigidezza flessionale della catena, e quindi rappresenta comunque un’opzione più raffinata rispetto a quanto proposto da Mastrodicasa (1978) anni dopo.
Figura 2.11: Andamento della prima frequenza naturale di una catena con l’aumentare del tiro, per condizioni di vincolo diverse. Tra quella di cerniere (inferiore) e quella di incastri (superiore) ricadono tutte le altre possibili condizioni. Immagine da Urbano (1967)
Una soluzione più completa, chiamata da Urbano semplicemente Urbano, 1967:
metodo dinamico "metodo dinamico"si adatta meglio anche a catene più tozze e meno caricate. Combina la prima frequenza naturale con 5 misure di spo- stamento trasversale relative al primo modo di vibrare, e quindi alla frequenza misurata. Queste permettono di scrivere l’Equazione 2.8 per 5 punti lungo l’asse della catena, creando un sistema di cinque equazioni lineari nelle cinque incognite C1−4 ed N. Risolvere il siste- ma è divenuto molto più semplice dai tempi in cui questo metodo è stato proposto, ma l’autore avvisa che l’accuratezza richiesta alle misurazioni di spostamento è comunque troppo elevata per poter usare questa descrizione senza introdurre altre ipotesi semplificative. Queste vengono individuate in:
• simmetria dei vincoli alle estremità, e conseguentemente simme- tria delle forme modali;
• approssimazione delle forme modali con una combinazione di due sinusoidi, relative alle due condizioni estreme di trave semplicemente appoggiata e trave incastrata.
Il metodo, con l’introduzione di queste ipotesi, ha fornito buone stime del tiro durante le sperimentazioni riportate nell’articolo, e in una simulazione effettuata dall’autore è risultato anche sufficientemen- te insensibile a piccoli errori nella determinazione dei parametri in ingresso.
2.3.3 Misure di frequenza e di deformazione
Le tecniche dinamiche di misura del tiro attualmente presenti in lette- ratura potrebbero essere raggruppate secondo la loro somiglianza ai due metodi presentati da Urbano: alcune richiedono esclusivamente di conoscere le frequenze naturali della catena; altre invece necessi- tano anche di misure di deformazione (o di spostamento), così da avere informazioni sulle forme modali da correlare alle frequenze. Ovviamente, dover misurare solo alcune frequenze comporta una no- tevole semplificazione operativa, ma può rendere più difficile la fase di analisi, ridurre la precisione delle grandezze valutate, o il numero di parametri incogniti per i quali può essere risolto il problema. Di con- tro, le misure di spostamento sono particolarmente difficili, fuori da condizioni controllate di laboratorio, per le stesse ragioni già discusse nella sezione riguardante i metodi statici. Le misure di curvatura ef- fettuate con coppie di estensimetri sono solo limitatamente più efficaci.
Nel 2005, Lagomarsino e Calderini propongono un metodo che fa Lagomarsino e Calderini, 2005 uso di sole tre frequenze naturali per identificarne il tiro, il grado di
vincolo, e la rigidezza flessionale. Il modello utilizzato per la catena è quello rappresentato in Figura 2.3c, con molle rotazionali uguali alle due estremità, e il procedimento analitico seguito è esattamente quello presentato poco sopra. Dalla scrittura dell’equazione che impone l’annullamento del determinante per 3 diversi modi di vibrare si ottiene un sistema ben definito con il quale, in teoria, sarebbe possibile risalire al valore delle incognite. In pratica, è più conveniente la strada adottata dagli autori, consistente nella minimizzazione di una funzione di errore (in questo caso la somma dei quadrati del valore assunto dal determinante per le tre frequenze misurate).
La minimizzazione viene eseguita con un algoritmo di tipo line- Algoritmo di ottimizzazione in questa tesi search, che richiede il calcolo delle prime due derivate del determinante
rispetto alle tre incognite del problema, e che dipende in larga misura dal punto scelto per l’inizio della procedura. Gli autori scelgono il punto sulla base di alcune valutazioni qualitative sull’andamento della funzione di errore, che però sono rese possibili dalla creazione di un modello di riferimento agli elementi finiti che rende la procedura meno speditiva e più adatta al lavoro di ricerca.
L’uso di un algoritmo per la minimizzazione è previsto anche dal metodo utilizzato per questa tesi, anche se la scelta si è rivolta ad un
ottimizzatore di tipo globale, in modo da rendere meno influente il punto di partenza dell’algoritmo, e per salvaguardarsi dal pericolo di minimi locali. Procedere ad un’ottimizzazione permette anche di considerare in ingresso un numero maggiore di frequenze naturali rispetto al minimo necessario, in modo da ridurre l’influenza di even- tuali errori di misura.
Figura 2.12: Andamento delle prime tre frequenze naturali di una catena di lunghezza 5m, sezione trasversale circolare di diametro 40mm e tiro 100kN con l’aumentare del grado di incastro. Immagine da Dardano et al. (2005).
Nello stesso anno, in una memoria di Dardano et al. (2005) viene Dardano et al., 2005
presentato un metodo molto simile, che fa ancora una volta uso di tre frequenze naturali di vibrazione. A differenza del lavoro di Lagomar- sino e Calderini, però, il modello adottato per la catena prevede molle rotazionali di rigidezza diversa ai due estremi, per cui la procedura è studiata in modo da permettere di identificarle entrambe. L’altra dif- ferenza riguarda la rigidezza flessionale, considerata nota a priori ed esclusa quindi dal conto delle incognite. Il metodo proposto da Dardano et al. è quello cui più si avvicina quello utilizzato in questa tesi, che presenta piccole differenze soprattutto nell’implementazione operativa, avendo cercato di rendere la procedura il più possibile speditiva – anche a costo di un po’ di precisione.
Gli autori scelgono di utilizzare un parametro sintetico, chiamato "grado di incastro" per indicare la rigidezza dei vincoli; questo può assumere valori compresi tra 0 e 1, rispettivamente corrispondenti alla catena incernierata e a quella incastrata. Risolvendo il problema diretto, ovvero ricercando le frequenze corrispondenti ad una catena di tiro e condizioni di vincolo noti, si possono elaborare grafici come quello in Figura 2.12.
In esso, è possibile notare chiaramente un aumento delle frequenze con il grado di incastro (come bisognava aspettarsi), il cui andamento però è marcatamente non lineare: per un certo range di rigidezze dei vincoli potrebbe non essere necessario tenerne di conto.
Gli autori hanno avuto anche la possibilità, non comune, di validare il metodo proposto con analisi in situ, confrontando i risultati con quel- li ottenuti da prove di rilascio effettuate su catene presso la Cattedrale di Ruvo di Puglia. Una prova di rilascio può essere realizzata solo se si ha a che fare con una catena dotata di tenditore; consiste in un suo gra- duale allentamento, coordinato con una misurazione dell’estensione della catena. Non è una prova distruttiva, ma non è sempre applicabile.
Nel 2010, Amabili et al. pubblicano un ulteriore contributo al campo Amabili et al., 2010 dei metodi dinamici basati sulle sole misure di frequenza, utilizzando
per la prima volta un modello a trave di Timoshenko vincolata da letti di molle di rigidezza incognita applicati alle porzioni di catena inserite nella muratura (si veda Figura 2.13).
Figura 2.13: Modello di catena vincolata da letti di molle di rigidezza inco- gnita, applicati alle porzioni di catena inserite nella muratura. Immagine tratta da Amabili et al. (2010).
L’intento generale della ricerca di Amabili et al. è quello di rifarsi ad un modello che rispecchi il meglio possibile la realtà fisica del problema. Per questo motivo considerano momento di inerzia, sezione trasversale e area a taglio come funzioni (note) variabili lungo la linea d’asse, in modo da tenere conto delle eventuali irregolarità della catena.
Le frequenze "teoriche" da confrontare con quelle misurate vengono poi calcolate tramite un programma sviluppato ad-hoc, e la procedura di ottimizzazione viene portata a termine utilizzando l’algoritmo di Nelder-Mead, anche detto del simplesso. Lo stesso usato nell’ambito di questa tesi.
Agli sviluppi di questa ricerca risponde, tre anni dopo, un lavoro di Osservazioni al lavoro di Amabili et al. (2010) Gentilini, Marzani e Mazzotti (2013), che propone alcune osservazioni
• Amabili et al. non si preoccupano di fornire una stima del mo- dulo elastico, e considerano solo vincoli simmetrici; Gentilini, Marzani e Mazzotti (2013) giustamente sostengono che questo comporta errori nella stima del tiro, ma fortunatamente l’eviden- za sperimentale sembra mostrare come questi errori siano, in molti casi, ridotti;
• l’uso del metodo del simplesso per la ricerca del tiro comporta la necessità di scegliere il punto da cui far inizare l’ottimizzazione, e una sua stima errata potrebbe causare risultati errati per via di minimi locali. Sebbene questo sia vero, è piuttosto semplice ovviare al problema inserendo l’ottimizzatore di Nelder-Mead all’interno di un algoritmo di ricerca del minimo globale, come ad esempio il basinhopping usato nell’ambito di questa tesi. Il metodo proposto da Gentilini, Marzani e Mazzotti è comunque Gentilini et al., 2013
molto interessante, perché gli autori propongono di utilizzare una massa aggiunta alla catena in posizione asimmetrica in modo da identificare precisamente non solo le rigidezze – diverse – dei vincoli, ma anche quale rigidezza competa a quale vincolo. Il modello usato è rappresentato in Figura 2.14.
Figura 2.14: Modello di catena con vincoli asimmetrici e massa aggiunta proposto da Gentilini, Marzani e Mazzotti (2013).
Anche nel lavoro appena citato si fa uso esclusivamente di misure di Li et al., 2013
frequenza, mentre nello stesso anno Li et al. propongono un metodo